Il Demostene di Plutarco PDF

Title Il Demostene di Plutarco
Author Alessio Anichini
Course Storia Greca I
Institution Università degli Studi di Siena
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Corso avanzato di Storia Greca I II semestre a. A. 2018/2019 “Demostene e l'Atene del IV secolo. Appunti per una impossibile biografia” Il Demostene di Plutarco Introduzione Demostene è senza ombra di dubbio uno degli attori più importanti sul palcoscenico della storia greca, non solo limitatamente ateniese, del IV secolo a.C. Ciò che sorprende innanzitutto della sua figura è la quantità di notizie e di dati che possiamo ricavare sulla sua esistenza - in parte tramite le sue orazioni, in parti tramite passi di altri autori - che ci permettono di tracciarne la vita con pressoché approssimativa tranquillità d’animo dalla nascita alla morte, caso più unico che raro per un personaggio operante in un’epoca così lontana da noi. L’intento di questo elaborato è quello di esporre la visione che Plutarco, uno dei più letti autori forse di tutti i tempi, ci tramanda su di lui, dedicandogli una delle sue Vite. Egli fu molto probabilmente uno dei più tardi autori greci, a riportarci la vita di un cittadino ateniese che tanto condizionò quel periodo storico estremamente complesso.

Plutarco, autore della Vita di Demostene Solo per fornire qualche notizia sull’autore, Plutarco nacque a Cheronea, in Beozia tra il 46 e il 48 d.C. ed apparteneva a una famiglia agiata. Studiò ad Atene, dove seguì le lezioni del filosofo Ammonio e ricoprì anche incarichi diplomatici. Compì numerosi viaggi, andando più volte in Italia, dove tenne conferenze su questioni etiche e filosofiche. Fu in contatto con personalità di spicco per quel periodo come il suo protettore e dedicatario delle Vite Quinto Sosio Senecione. Tornato in patria, rivestì alcune cariche pubbliche: fu arconte eponimo e sacerdote del tempio di Delfi. Morì tra il 125 e il 127 d.C. Per completare la panoramica sull’autore, ricordo, brevemente, che la produzione plutarchea è convenzionalmente suddivisa in due ampie aree: le Vite Parallele (βίοι παράλληλοι) e i Moralia. La prima è una raccolta di biografie di uomini illustri esaminate per coppie in cui si accosta generalmente a un personaggio greco uno romano - fatta eccezione per una coppia “quadrupla” (Agide e Cleomene – Tiberio e Gaio Gracco) e 4 Vite singole (Galba, Otone, Arato e Artaserse). Per Moralia si intende tutta quella messe di trattati su tutta una serie di argomenti - si tratta dall’astronomia alla religione, dalla critica letteraria alla filosofia - che sono senza dubbio la testimonianza più evidente dell’estrema cultura che contraddistingueva l’autore di Cheronea. È il catalogo di Lampria a tramandarci tutti i titoli delle sue opere, un elenco di ben 227 scritti, una parte dei quali tuttavia purtroppo non ci è arrivata.

Vita di Demostene A Demostene è dedicata proprio una delle Vite Parallele, in cui figura accostato all’altro grandissimo uomo latino Cicerone. L’intento chiaramente esplicito dell’autore è quello di mettere a confronto i due più grandi esponenti dell’arte della parola, uno proveniente dal mondo greco, uno dal mondo latino. Egli cerca di trovare le assonanze e le divergenze tra le vite di questi due personaggi che, al di là dei giudizi che possiamo formulare intorno alle loro figure, certamente rivestirono un ruolo importantissimo nel periodo storico in cui operarono. Lo scopo dell’opera di Plutarco è manifestatamente pedagogico ed educativo: attraverso la ricostruzione dell’ ἦθος, del carattere cioè dei vari personaggi presi in esame, la scommessa dell’autore è quella per cui il lettore attento, il pubblico colto in sostanza, può imparare un corretto modo di agire solo dopo aver riflettuto su vizi e virtù comuni a tutti gli uomini, in particolar modo a quelli più famosi del proprio tempo o precedente. Le Vite, nel suo complesso, non sono un’opera storica, lo scrittore, quindi, non si occupa di πράξεις, o meglio non solo di quelle, ma il suo obiettivo prioritario è quello di creare, in una dimensione etico-filosofica, un exemplum - non necessariamente interamente positivo o totalmente negativo- su cui poi i fruitori del libro possano specchiarsi. In quest’ottica, la storia cosiddetta evenemenziale, i fatti cioè che si studiano sui libri di storia svolgono un ruolo di cornice, potremmo dire, servono infatti solo a inquadrare da un punto di vista cronologico il personaggio su cui riflettere. Ecco allora spiegato perché l’autore spesso nel riportare accadimenti storici anche di fondamentale importanza si trova un po’ impacciato o impreciso: essi non hanno importanza ai fini dell’intento dell’opera di Plutarco; meglio anzi, non rivestono un ruolo così importante da essere trattati con una correttezza scientifica di un’opera storica. Come affermato nell’incipit della Vita di Alessandro 1.21, “non è che nei fatti più celebrati ci sia sempre una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un breve episodio, una parola, un motto di spirito dà un’idea del carattere molto meglio che non battaglie con migliaia di morti, grandi schieramenti d’eserciti, assedi di città.” Dunque, ora è molto più chiaro perché viene attribuita una preferenza evidente a episodi spesso anche insignificanti, marginali e forse neanche mai conosciuti, se non ci fossero stati riportati in questo modo, piuttosto che i grandi eventi della storia. Inoltre, subito prima del passo qui riportato, sempre l’autore aveva affermato di non scrivere ἱστορίας, ma βίους. In questo orizzonte di attese e di propositi opera Plutarco e quanto detto finora riguardo il suo modo di intendere il suo prodotto letterario credo sia fondamentale e alla base per capire anche le considerazioni che egli stesso fa sulle figure che occupano un posto all’interno delle Vite.

Alla luce di questa idea sottesa a tutta la poetica plutarchea, sarebbe assumersi un rischio troppo avventato, a mio avviso, basare la ricostruzione storica di Demostene a partire dalla sua Vita. Rimane tuttavia indubbia la sua importanza come completamento e compendio a tutte le altre fonti che ci sono giunte sulla sua figura. Essa diventa invece essenziale per alcune fasi della sua vita, nel caso specifico per gli ultimi due anni della vita dell’oratore, dalla partenza per l’esilio alla morte, laddove la documentazione e le testimonianze relative sono scarse o addirittura inesistenti. Se da una parte, ai fini meramente storici l’opera di Plutarco ci aiuta e non ci aiuta, ci è utile, ma allo stesso tempo la avvertiamo un po’ carente in termini di affidabilità e correttezza, dall’altra essa risulta, e di fatto lo è, estremamente fondamentale per capire degli aspetti spesso trascurati di alcuni personaggi - aspetti, intendo, più marcatamente personali, assolutamente privati e relativi al carattere, alla personalità, al modo di affrontare le situazioni. Plutarco, dunque con i suoi scritti ci proietta in una dimensione altra rispetto alla storia, ci introduce in un mondo assolutamente umano e potremmo dire più “intimo”, in cui questi grandi uomini illustri, modelli chi di virtù chi di vizi, ci sembrano davvero vicini, perché si rivelano in tutte le loro sfaccettature. Ecco allora, che dopo aver letto una Vita di Plutarco, ci sembra davvero di aver fatto la conoscenza di quel famoso uomo e di aver capito davvero ciò che di “buono” e di “cattivo” ha fatto e di essere in grado di formulare un giudizio su quel personaggio.

Fonti utilizzate per la Vita di Demostene Anche se come si è detto non si tratta di un’opera propriamente storica, essenziale per comprendere il giudizio di Plutarco su Demostene è interrogarci sulle fonti2 da lui sfruttate per scrivere questa biografia. Cercherò qui semplicemente di porre la questione che appare estremamente complessa, e molto probabilmente ad ora impossibile da risolvere con certezza. Plutarco all’interno del testo, cita molti autori da cui dice di aver attinto nel riportare alcuni episodi o alcune frasi celebri dell’oratore. Ora difficile, se non appunto praticamente impossibile, risulta cercare di capire se l’autore si sia rifatto a certi testi direttamente oppure attraverso una lettura di seconda mano - si intende ad esempio riportati da un altro autore. La critica si è aspramente divisa su questo punto, cercando anche di capire di conseguenza quale sia stata - se mai vogliamo pensare che ce ne sia stata una - la testimonianza principale attraverso cui Plutarco è giunto alla conoscenza della vita di Demostene. Non è mio intento riportare le numerose varie posizioni dei diversi filologi, senza stare quindi a stilare l’elenco di tutti gli autori di storie o biografie citati nell’opera e di cui si ritiene che l’autore si sia servito per comporre il suo testo. Comunque c’è da dire che, seppure a prima vista, sembra superfluo interrogarsi su questo argomento, tuttavia esso assume un’importanza assoluta se pensiamo, come secondo me dovremmo ritenere, che Plutarco risulti essere profondamente influenzato dalle opere che legge per comporre i suoi lavori. Di conseguenza, capire quali siano stati i modelli per la biografia, indirettamente ci permette anche di prendere coscienza del giudizio sulla figura di Demostene che traspare dal testo. Mentre c’è sostanziale discordanza sulle fonti utilizzate, per quanto riguarda la conoscenza diretta da parte di Plutarco di alcune orazioni demosteniche, salvo rarissimi casi, la critica si trova in definitivo assenso. L’impressione che si ricava dalla lettura di passi plutarchei è che il biografo conoscesse molto bene alcune opere, come Sulla Corona, Sulla mala ambasceria, la Midiana, le Filippiche, ma avesse una conoscenza, sia pure più superficiale, di tutte le orazioni politiche demosteniche e di parte almeno di quelle forensi, come dimostrano passi provenienti da altre opere. Venendo ora alle fonti “esterne” all’opera di Demostene, dal momento che Plutarco stesso afferma che molti avevano scritto su di lui, e dato il gran numero di fonti indeterminate che compaiono nelle biografie, è impossibile ricostruire con una qualche sicurezza, in questo caso come nei più delle Vite, le fonti di cui Plutarco si servì in prevalenza. Le opere che il biografo si sarebbe potuto trovare a disposizione facevano parte di due grandi filoni che avevano analizzato la figura di Demostene: quello storico e quello nato in ambiente peripatetico. È stato ipotizzato (Barbu) che egli si sia servito di fonti peripatetiche per quanto riguarda la fase della giovinezza e della formazione retorica, invece di fonti storiche per quanto riguarda la parte relativa agli avvenimenti della vita del personaggio, per ritornare infine a testi più eticofilosofici per le fasi finali della vita del personaggio. È importante considerare che questa distinzione non va presa in senso assoluto, in quanto le prima potevano benissimo aver trattato anche dei fatti salienti della vita di Demostene, mentre le seconde potevano essersi soffermate sulle caratteristiche della sua oratoria. In questa situazioni in cui possono essere formulate interpretazioni le più diverse, ci sono elementi tuttavia che possono essere asseriti con buona certezza. Tra gli autori di cui certamente si servì va considerato Teopompo ed Ermippo ed altrettanto certamente si servì di una raccolta di detti, frasi celebri, frasi opportune di Demostene, o più probabilmente degli oratori in generale (ἀποφθέγματα, γνῶμαι, χρεῖαι) Ermippo di Smirne, filosofo e storico peripatetico, compose una raccolta di bìoi, autore che conosce direttamente e che cita più volte nelle Vite. Teopompo di Chio viene citato 5 volte nel testo, citazioni tratte dalle Storie Filippiche A proposito delle fonti utilizzate da Plutarco, si può ancora aggiungere che il biografo si è servito sicuramente anche di autori che non ha nominato e dai quali ovviamente non siamo in grado di dire quanto abbia tratto in che modo. Quello

che è certo, è che si trovava di fronte non solo a due gruppi di fonti, quelle che trattavano il Demostene oratore e quelle che trattavano il Demostene politico, ma anche a fonti favorevoli e fonti sfavorevoli al personaggio.

Il Demostene di Plutarco Dopo aver approfondito la prospettiva entro cui Plutarco operava ed aver analizzato la questione temporaneamente irrisolvibile delle fonti, possiamo giungere alle conclusioni necessarie per trarre dalla Vita il giudizio a cui l’autore sottopone l’oratore greco. “Se all’ambizione dei suoi disegni e alla nobiltà dei suoi discorsi si fossero aggiunti il coraggio in guerra e l’integrità in tutto il comportamento avrebbe meritato di essere collocato non nel novero di retori come Merocle, Polieucto e Iperide, ma più in alto, con Cimone e Tucidide e Pericle” 3 Credo che quanto espresso al capitolo 13, di importanza fondamentale, insieme alla conclusione del 12 e al 14, per la caratterizzazione del personaggio, riporti senza mezzi termini il giudizio assoluto dello scrittore su di lui. Quasi senza dubbio il Demostene di Plutarco è una figura positiva, ma non è una figura così importante come i grandi uomini del V secolo a.C., quando uno stesso individuo era insieme politico e stratego. Nella prospettiva plutarchea, certamente il fatto che Demostene non avesse rivestito cariche militari influisce negativamente sull’immagine che Plutarco vuole lasciare al lettore. Più avanti, nel raccontare un episodio famosissimo della sua vita, l’affare del tesoriere di Alessandro Magno Arpalo, viene messa in risalto un’altra caratteristica negativa dell’oratore, la sua corruttibilità, la sua cioè cupidigia di ricchezze. Due quindi sono gli aspetti che portano Plutarco a vedere l’oratore ateniese in una luce non del tutto positiva: la sua vigliaccheria in guerra e la sua cupidigia di ricchezze. Partendo a trattare della seconda “accusa”, non viene citato solo l'episodio prima menzionato -Arpalo e il suo tesoro - in cui Demostene fu persuaso dalla quantità di oro che il tesoriere macedone aveva con sé - Plutarco non nutre un minimo dubbio sul fatto che l’oratore possa essere colpevole -, ma si parla anche del fatto che per amore di guadagno metteva la sua eloquenza al sevizio di uomini avversari tra loro (si fa riferimento all’episodio di Apollodoro e Formione). A ciò, si aggiunga la notizia, riportata dall’autore che l’oratore prestava denaro a interesse soprattutto attraverso i prestiti marittimi. Tuttavia, se Plutarco condanna senza assoluzione questi due vizi di Demostene, riconosce che egli ha agito sempre per il bene di Atene (capp. 13-14). Il tema dell’oro e del suo desiderio percorre quasi ossessivamente tutta la Vita di Demostene: così apprendiamo anche che secondo i soldati presenti alla sua morte si sarebbe suicidato ingerendo dell’oro (cap. 30) – e non il veleno secondo la versione più conosciuta - e il testo stesso si conclude con l’aneddoto della statua dell’oratore che avrebbe conservato nelle sue mani l’oro che il soldato vi aveva nascosto (cap. 31, 1-3). Tornando invece alla virtù del coraggio, l’autore non ne ha mai fatto oggetto di un’indagine troppo approfondita: è una critica che rimane un po’ nascosta lungo tutta la storia, ma senza mai renderla oggetto di una connotazione così forte come quella della sua avidità. Questo tema è presente due volte (cap. 14,2 e 20,2), in cui si sottolinea che l’oratore “corse via nella maniera più vergognosa, dopo aver gettato le armi, senza alcun ritegno per le parole scritte sul suo scudo”. Basandoci sulle testimonianze che abbiamo, sappiamo che ad Atene c’erano delle cause giudiziarie specifiche per un comportamento sbagliato in guerra di un cittadino (la γραφή λιποταξίου, la γραφή ἀποβεβληκέναι τήν ἀσπίδα, la γραφή δειλίας). Ora, il fatto che nessuno degli avversari politici dell’oratore, per quanto ci risulti, abbia esposto una γραφή contro Demostene in un contesto come quello ateniese, in cui i processi giudiziari erano all’ordine del giorno, non può di sicuro lasciarci libertà di affermare che egli fu un valoroso guerriero; certo è in ogni caso, che a lui non fu intentato alcun processo di ambito militare, circostanza che ci porta a pensare che forse quello che ci viene riportato sulla sua vigliaccheria è un po’ esagerato. D’altronde gli Ateniesi non avrebbero affidato l’incarico di pronunciare il discorso funebre in onore dei caduti a un cittadino che si fosse macchiato di un reato militare. In fin dei conti però Demostene esce come un personaggio positivo. Plutarco ne loda soprattutto l’operato politico e oratorio, il suo essersi mantenuto fedele fino alla fine alla sua città, cercando di aiutarla e combattendo per la libertà di quella perfino durante il periodo dell’esilio. E per giunta, “non solo non mutò i suoi obiettivi mentre era in vita, ma anzi perse la vita per non mutarli” (13,2). Lo scrittore apprezza il fatto che seppe reggere il δ ῆμος e “ non cerca di spingere i suoi concittadini nella direzione di ciò che è più piacevole o più facile, o più utile, ma mostra dovunque di pensare che la sicurezza e la salvezza vanno collocate in secondo piano rispetto a ciò che è bene e conforme al proprio dovere” (13,6). Davvero onorevole appare anche il modo in cui, addirittura in esilio, il politico si adoperò per il bene della Grecia: il suo gioco di creazione di alleanze in funzione antimacedone e i suoi tentativi di recuperare quell’autonomia che contraddistingueva le πόλεις greche non venne meno neanche in quella spiacevole circostanza di allontanamento da Atene. Anche da un punto di vista prettamente tecnico per quanto riguarda l’arte oratoria, Demostene gode della fama del suo biografo, sebbene si faccia molta insistenza sulla sua incapacità di improvvisare, alla maniera del suo “collega” Demade. L’autore riporta un passo secondo cui l’abitudine demostenica a non prendere la parola su qualsiasi argomento era frutto di una libera scelta, derivata dalla volontà di seguire l’esempio di Pericle.

Insomma, è un’immagine a tratti chiaroscurali quella che esce dall’opera. Demostene è sicuramente stato un grande e ha tutti i requisiti per fare parte di quegli uomini da conoscere, ma ebbe, come tutti noi uomini, anche delle “mancanze”, grandi o piccole che si vogliano considerare.

Giudizio complessivo La Vita di Demostene lascia l’autore un po’ deluso dalla semplicità con cui Plutarco ha tratteggiato la figura di uno degli uomini politici ateniesi più importanti della storia. Per l’autore nativo della Beozia, avidità e codardia sono i due grandi tragici vizi dell’oratore; perciò non può essere considerato come i più grandi altri uomini illustri. La grandezza non può andare disgiunta dalla dirittura morale. Demostene è quasi certamente un personaggio che Plutarco non amò, almeno questo è quello che sembra, capace di lottare contro tutto fuorché contro i propri “demoni”. Tuttavia, è da riconoscere a Plutarco la capacità di superare le difficoltà in cui si era imbattuto nel parlare di Demostene, di ben adoperare il materiale a lui a disposizione, tratteggiando una figura che, se da un punto di vista storico solo in parte si avvicina al vero Demostene, ci è utile più a conoscere il biografo che non l’oggetto stesso della Vita, attraverso un personaggio che non sarà facile da dimenticare anche al lettore meno colto. Demostene è sicuramente una figura molto controversa: ogni epoca storica ha il suo Demostene. Penso che nessun personaggio nella storia in generale dell’uomo abbia suscitato giudizi così agli antipodi, a seconda dei punti di vista da cui viene esaminato. In ultimissima analisi credo che Demostene sia stato, seppur in una visione un po’ miope della storia, un grande, se non il più grande, difensore del concetto di πόλις. Sembra che l’oratore ateniese fosse così affascinato dal concetto della democrazia ateniese e quindi anche da quello di Atene da ergersi come ultimo baluardo contro l’onda della storia che si abbatteva su quei concetti stessi. Ognuno potrà formulare e avere il giudizio che vuole su una figura di questo tipo, sicuramente una delle più discusse; certo è, che nessuno potrà non riconoscere quanto egli sia stato influente, con il suo pensiero, con le sue parole e con le sue azioni, per la storia di tutti i tempi.

No t ealt e s t o : 1Pl ut ar c o ,Al e s s andr oeCe s ar e .Vi t ePar al l e l e ;t r aduz i o nieno t ediD. Magni no , c o mme nt odiA.LaPe nna;e di z i o neBurCl as s i c igr e c iel at i ni ,2014 2Pe rl aque s t i o nede l l ef ont ir i mandoalc o mme nt oi nt r o dut t i voaPl ut ar c o ,De mo s t e ne eCi c e r o ne .Vi t ePar al l e l e( ac .diB. Sc ar di gl i ,c o ns aggi ...


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