Il mondo musulmano, Scarcia Amoretti PDF

Title Il mondo musulmano, Scarcia Amoretti
Author ilenia bertacche
Course Storia E Istituzioni Dei Paesi Afro-Asiatici
Institution Università degli Studi di Trieste
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Riassunto della prima parte della monografia, dai capitoli 1-4: dalle origini dell'Islam all'epoca pre-coloniale ...


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BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI RIASSUNTO

IL MONDO MUSULMANO, QUINDICI SECOLI DI STORIA Anche se esistono delle forme devianti dell’Islam, rubricate solitamente sotto Al-Qaeda, esse non possono considerarsi rappresentative delle società musulmane contemporanee nel loco complesso. Nell’ottica islamofobica, l’Islam è religione strutturalmente violenta; l’islamofobia, è atteggiamento antico e diffuso, che ha legittimato le operazioni in Medio Oriente di “esportazione della democrazia”. Esistono due scuole storiografiche sull’Islam, quella “tradizionalista” e quella “revisionista”; nella visione di Wansborough, la datazione del Corano come “libro scritto” (stessa analisi per i biblisti dell’Antico testamento) va postdatata. Contraddizione di fondo sull’Islam, quando lo si vuole intendere come insieme di paesi in esso riconoscono la propria matrice storica. Il suo ruolo in codici comportamentali è tuttavia innegabile e ciò spiega come il mondo musulmano sia spesso percepito come un tutto di organico e omogeneo. È una distorsione, che priva l’Islam della sua duplice dimensione religiosa e cultural-ideologica. Esiste la difficoltà, del tutto musulmana, di coniugare l’aspirazione a ripetere nei fatti l’esperienza storica di Maometto, che ha offerto la sua personale visione operativa dei principi rivelati nel Corano.

I.

L’Ideale dell’unità

Il preteso integralismo islamico La differenza tra civiltà musulmana e le altre si è detto essere la non distinzione tra religione e stato, din e dawla; una commistione rafforzata anche dalla mancanza di una “Chiesa” e di un “clero” in senso stretto. I musulmani hanno sempre usato il linguaggio religioso per esprimere le loro istanze politiche, adeguandosi sempre al dettato divino e saltando la fase storica di distinzione tra potere clericale e laico come è avvenuto in Europa. Una distinzione, che non aveva senso nel contesto califfale, ma è stata causa dell’idea di inferiorità tecnologica percepita dall’occidente nei confronti nel mondo islamico. Maometto è un caso a sé, uomo di stato, condottiero e profeta, il quale non ha voluto sacralizzare la propria persona: la predicazione serviva a dare coesione alla nuova comunità ( umma), che si fondava su una condivisa appartenenza religiosa in antitesi al paganesimo prima presente in loco. È così che Muhammad intraprende azioni politiche e militari e da qui nasce l’istanza della realizzazione del regno dell’Islam, lo stato islamico. Chi si sottomette attivamente a Dio, lavora alla realizzazione di esso, egli si trova nella vera condizione dell’Islam. Per questo motivo, a volte, esso è stato paragonato al Protestantesimo, che non ha solo obiettivi ultraterreni, ma anche terreni e materiali: l’Islam punta anche a una pienezza di vita sulla terra. Il din, fatto e fenomeno umano, indica gli obblighi del credente per i quali la Legge viene messa a disposizione di tutti gli uomini; il dawla, lo stato, diventerà poi il luogo in cui gli obblighi vanno concretamente assolti. Dio pretende, come dovere, la sola ammissione della sua esistenza e la fede nel messaggio rivelato a Maometto. È da dire inoltre la tematica del peccato non fa parte dell’Islam delle origini, Adamo viene punito, e quando il Corano parla di colpe intende delitti e pene e la visione dell’inferno è ancora discussa. L’endiadi sopracitata del din wa dawla indica una condizione terrena; l’integralismo ma ricercato nella sovrastruttura, duale, di cui l’Islam si caratterizza, con un aldilà e un aldiquà. Per i militanti, l’Islam è un sistema totalizzante che è in grado di risolvere la frattura tra Dio e la sua creatura, soluzione che si trova nell’armonico ordine cosmico del creato. Siamo al rifiuto del laicismo, unica prerogativa dell’Occidente. L’aspirazione al din wa dawla e quella all’unità si manifestano nell’utilizzo di una terminologia mutuata dal Corano e dalla tradizione: concetti che ovviamente si sono modificati nel tempo e nello spazio. L’uso di una stessa parola una garanzia della fedeltà al principio informatore del Corano. Din, dawla e dar al-Islam  -

Din: sfera religiosa nel suo complesso; un non musulmano appartiene a un din diverso dall’Islam. Kafirun, è il politesista, contro cui la guerra è giusta e pia (jihad) Altre categorie individuano il credente: la più importante è quella della scuola giuridica che segue, il madhhab, la via che fornisce i dettami che regolano l’esecuzione dei doveri della Legge rivelata (shari’a), elemento fondante del din; il madhhab coincide per noi con la religione. Altra categoria è quella della firqa, “divisione”, che indica una setta o un’eresia: nell’Islam si parla di correnti, caratterizzate da divergenze dottrinarie (ikhtilaf). Ortodossia si era imposto il sunnismo; sciismo e kharigismo le più note eresie, suddivise in correnti. Gli aderenti alle firaq saranno considerati kafirun, contro cui si può dichiarare jihad. Nella realtà, è

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preferita la via politico-diplomatica della risoluzione dei conflitti. Firaq sono anche correnti di pensiero, come il mu’tazilismo. Dawla è parola ambigua che sottende a una rotazione, un “periodo” in cui si esercita il potere di un gruppo, cioè una dinastia. La struttura sociale dell’Islam si basa sui clan e le dinamiche di potere hanno caratteri familiari, come è accaduto nella successione a Muhammad: gli sciiti sostenevano che la famiglia che di diritto avrebbe dovuto succedergli era quella degli Alidi (potere preso poi dagli Abbasidi contro Ommiadi). Lo stato come viene inteso in Occidente è un’esperienza lontana al mondo musulmano, che solo in tempi moderni ne ha sposato le forme, non la sostanza.

Din, Dawla, madhhab sono parole imprescindibilmente collegate al mondo arabo, interiorizzate anche da popoli non arabofoni. L’evoluzione dei termini non è omogenea, come è avvenuto per “dawla” che ha assunto differenti significati, come governo (hukuma), politica (sisyasa shar’iyya) e funzione amministrativa (sisyasa). Lo slittamento di significato dipende dalle vicende dei singoli paesi muslims. 

Dar al-Islam: fatto geografico e concettuale nel califfato. Significato concettuale per indicare idea islamica di frontiera, idea fluida e legata all’identità religiosa. Il confine è segnato dal din di chi in quel territorio vive. La frontiera tra la Dar al-Islam, la dimora e territorio della pace, e la Dar al-harb, la sede e il territorio della guerra coincide nelle zone dove vivono musulmani e dove domina lo stato islamico. Dar al-Islam, post spinte centrifughe del XI sec., è la zona dal Maghreb all’oceano Indiano: i governi si professano musulmani e pretendono l’applicazione della legge rivelata, ma questo varia a seconda delle dinamiche (anche storiche). A partire dal XVI sec. Si hanno l’Impero Ottomano e l’Impero Moghul (India) e quello safavide (Iran): non vi è più l’unità originaria e le istanze di potere sono sovranazionali, la dawla per legittimarsi deve rappresentare la comunità e non più solo un’etnia. Le cose cambiano con l’affacciarsi dell’Europa con il progetto coloniale: la storiografia occidentale, nel definire la dar al-islam, coniuga i criteri geografico e concettuale. Tre accezioni dell’endiadi: 1) Territori islamizzati delle prime conquiste, il Crescente Fertile in Asia, l’Iran (si islamizza senza arabizzarsi) e la penisola araba; i territori africani del Maghreb e del Mashriq. Limite il deserto, nessuna colonizzazione dell’Africa Subsahariana in un primo periodo; il deserto ha segnato il limite anche in Asia. 2) Seconda tappa è l’islamizzazione dell’Anatolia, l’entrata del mondo turco nella dar al-islam; ostacolo a est la Cina. 3) Islam periferico nell’Africa subsahariana e nel sud-est asiatico, India inclusa. Sono da valutare gli sviluppi della modernità in queste aree: esiste il dato macroscopico del Pakistan, stato moderno che rivendica la propria appartenenza religiosa come dato fondamentale a determinarne l’identità nazionale (Bangladesh ottiene indipendenza nel 1917). In Indonesia l’86 % della popolazione è musulmana; in Africa esiste una convivenza di religioni.

In ogni caso, è surreale la costituzione di uno stato islamico nei termini di una dar al-islam, tradizionale, cioè intendendo stato islamico ovunque ci sia una presenza musulmana anche occasionale. Diversa è la situazione nei Balcani, dove la presenza musulmana in loco è secolare. La costituzione di uno stato islamico non ha riscontro nella prassi politica, e gli stessi musulmani hanno più volte denunciato la difficoltà a coniugare l’aspirazione unitaria. Alcuni hanno postulato l’idea di nazione che di per sé non esclude diverse entità statuali costituite intorno all’omogeneità presunta del popolo soggetto privilegiato politico: così la nazione araba conterrebbe popoli diversi sulla base degli stati esistenti (impronta risorgimentale del XIX secolo). È la guerra dei sei giorni nel 1967 a porre una drastica battuta d’arresto al sogno nazionale arabo. Si cerca di superare l’impasse considerando che la umma sia idonea a inglobare diverse realtà capaci di collegarsi tra loro in una sorta di progetto politico e unitario. I teorici del 1800 affermano l’attualità politica e religiosa dell’azione del profeta; la salafiyya come matrice di alcuni fondamentalismi di oggi e di molti movimenti politici, tra il panislamismo, che afferma la plausibilità di una nazione musulmana fondata sul credo religioso. Ma ci sono dei problemi circa “nazione”: umma è la umma’arabiyya, nonostante tra il popolo arabo sia ben presente la componente cristiana. Il riferimento è a tutti coloro che hanno come lingua madre l’arabo (stesso discorso lo fanno i turcofoni) e l’interiorizzazione religiosa non viene percepita. In Iran o in Turchia, la parola di riferimento è milla, gruppo distinto da altri per fattori linguistici o culturali; se religiosamente connotato è stato assimilato a firqa, e nell’Impero Ottomano Millet erano le comunità non musulmane a cui venivano riconosciuti parità di diritti e di doveri. Vi è confusione a

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IL MONDO MUSULMANO, QUINDICI SECOLI DI STORIA diversi piani, e la nazione idealizzata dovrebbe attuare politiche in netto contrasto con gli obiettivi dei singoli stati e popoli: con essi si scontra il panislamismo, con l’assetto internazionale. Il mondo islamico non si è riuscito ad opporre alla colonizzazione occidentale, la quale ha creato nuove fratture e ha lasciato aperti conflitti etnici, politici territoriali, economici e religiosi (curdi, guerra del Golfo, conflitto israelopalestinese, India vs Pakistan). Forme di potere Considerando le forme di governo, il califfato si impone dopo la morte del profeta, e califfo è il suo successore in veste di uomo di stato, mentre vi è incertezza sul suo ruolo di vicario di Dio in terra (smentito dalla definizione coranica di “sigillo dei profeti” e dalla politica del tempo, in netto contrasto con la tendenza sciita di rivestire di religiosità le cariche pubbliche). Per gli sciiti, l’Imam ha il diritto di interpretare la Rivelazione, è l’amico di Dio e non il suo inviato (wali, non rasul); vi è insito il concetto di vicinanza. Nello sciismo, l’Imam conosce la verità intima e reale della Rivelazione, e diviene ipostasi divina; ma non è figura esistenziale nel sunnismo. Il sunnita si sente soddisfatto dalla discesa del profeta. Nella terminologia dell’Islam, il grado di potere di qualcuno si commisura con il grado di vicinanza a chi tale potere rappresenta. Il Wali è il delegato dell’autorità centrale, funzionario amministrativo di alto livello, e il malawana (sciita) detiene competenza religiosa. Per il sunnismo, il califfato è istituzione laica e il califfo non detiene il potere legislativo, che sta a Dio, autore della legge santa (shari’a). L’unica attribuzione religiosa del califfo è poter mettere mano al suo braccio secolare a tutela della fede contro i nemici interni ed esterni. Gli ulama sono gli interpreti della legge sacra, ma mai si sono costituiti in “chiesa”; manca nell’Islam una figura omologabile al Papa. Il califfo concentra nelle sue mani il potere giudiziario ed esecutivo; può nominare i giudici, che applicano la legge ( fiqh), nel suo aspetto laico detta qanun. Se la legge è stata dettata da Dio, esistono comunque degli interpreti che si collocano in una linea di trasmettitori con cui il potere, nelle epoche, dovrà fare i conti; essi rimangono i garanti della legittimità del passaggio dal principio alla sua applicazione. Il diritto positivo prevede poi delle procedure che hanno il fine di legalizzare l’eventuale discordanza tra teoria e prassi; nella stessa ottica si veda la differenza tra il giudice di nomina califfale e il mufti (colui che sapendo di legge e teologia esprime la sua opinione, la fatwa). Nella dar al-Islam, si ha relativamente presto una pluralità di sovrani praticamente autonomi, seppur riconoscenti l’autorità califfale. È da dire che in caso di controversia, la strada della trattativa basata sul rapporto di forza è un’opzione più realistica rispetto alla jihad. Una monarchia non vi è nell’Islam medievale, dal momento che Dio è Re (malik): il sovrano agisce nel nome del Creatore e non vi è implicita nessuna idea di delega, poiché ognuno è responsabile davanti a Dio (nella pratica, i dotti, agiranno come esponenti qualificati della comunità a legittimare il potere). Una fetta di riformismo musulmano, in questo secolo, ha avanzato la teoria della forma repubblicana come prediletta nel mondo islamico, che rende legittima dunque la rivoluzione (si ha la legittimazione per un colpo di stato tirannico). I primi quattro Califfi che succedono a Maometto sono i “Ben Guidati” ( Rashidun), in linea di principio eletti dalla comunità nel suo insieme, attraverso consultazione nella pratica. È l’età dell’Oro, guardata dal mondo musulmano di oggi come ideale situazione da realizzare per metter fine alle odierne difficoltà. Segue il califfato ommiade (visto da alcuni come deviante), soppiantato dagli Abbasidi, a cui viene attribuita la qualifica di “musulmano”. Nella funzione simbolica della figura del sovrano si ha una commistione di requisiti religiosi e istituzionali istituiti dagli Abbasidi. I moduli per definire il sovrano son sciiti. Dal 1258, con la caduta di Baghdad, si ha la frammentazione del califfato in regni autonomi; rimarrà nella storia l’ambiguità circa la funzione religiosa del califfo. Universalità delle istituzioni e pluralità delle modalità di applicazione Se l’amministrazione è l’ambito prediletto della politica, è in essa che si hanno maggiori divergenze. Il secondo successore del profeta, Umar, è l’artefice del primo stato islamico, con l’introduzione del registro dei combattenti impegnati nella conquista del crescente fertile. A lui si deve la fissazione delle regole che permettono al non musulmano di partecipare allo stato islamico, senza far parte dell’esercito e con una relativa libertà di culto. Innegabilmente ci sono state persecuzioni e soprusi ma è vero anche che sono esistititi ministri e funzionari cristiani o ebrei (fino alla nascita di Israele) in stati che non affermavano la loro identità musulmana prioritaria; comunità cristiane sono da sempre testimoniate nell’area siro-palestinese. Vi è stata una pluralità di stati, partendo dai diwan

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IL MONDO MUSULMANO, QUINDICI SECOLI DI STORIA militari e continuando per quelli amministrativi di epoca abbaside; una complessità da molti paragonata a quella dell’Impero Romano nelle regioni orientali: questo spiega il perdurare di differenze sostanziali in paesi sottomessi al dominio musulmano. Se il potere legislativo è nelle mani di Dio, egli è padrone del creato e il suo potere va nelle mani di alcuni suoi vicari in terra. Lo stato islamico è proprietario della terra e la dà in gestione a chi a coltiva o chi ha il diritto di averla in usufrutto; il beneficio può essere revocato e non è acquisizione stabile. Esistono i latifondi nella dar al-Islam , ma si hanno delle formule che ricercano la coerenza formale con la legge santa, che prevede uno stato centralizzato; la differenza con l’Europa e che nel mondo musulmano non si viene a creare un’aristocrazia terriera, perché la periferia non cerca di alienarsi dal centro. Nemmeno dopo la crociata di Terrasanta si è riusciti ad esportare una sorta di struttura feudale (in impero Ottomano), che si impone solo con il colonialismo europeo, il quale riesce ad omogenizzare -paradossalmente- la dar al-Islam più di quanto non fosse prima. Il modello politico-istituzionale esportato dagli europei non era omogeneo: chi voleva l’integrazione delle popolazioni sottomesse, chi l’assimilazione forzata (francesi), chi l’alienazione della classe dirigente disposta alla collaborazione (inglesi). Prima degli europei, in epoca ottomana, si ha un sistema “feudale” che prevedeva la concessione di terre in cambio servigi tra potere centrale e determinate categorie di sudditi. Il waqf è una mano morta, nel diritto musulmano, che si può dare a beneficio di una persona che ha degli scopi pii. Due elementi sono risaltati: in primis esiste una concezione islamica del potere e coesiste con realtà contradditorie, che coesistono senza disagi fino al colonialismo, che ha creato fratture e traumi. E non esiste un pensiero economico islamico, seppure indirettamente si possa ricostruire un modello ideale. Esisteva una tassa fondiaria ( kharaj) per i popoli conquistati, e i trattati riguardanti il mercato ( suq). Il mercato è istituzione urbana, che racchiude una molteplicità di funzioni (contadini e artigiani, nomadi, marcanti); i trattati contengono i principi cui attenersi, tra cui il rifiuto islamico dell’usura. Il mercante è l’homo islamicus per antonomasia, che può viaggiare e conoscere, fare azione missionaria e non si abbassa al lavoro manuale. Altra discrepanza tra realtà è ideale deriva dalle descrizioni delle terre dell’Islam da parte di geografi e viaggiatori musulmani, i quali descrivono agglomerati urbani e anche il deserto, zona di passaggio. I villaggi, nella rappresentazione tradizionale, sono parvenza di città o sua negazione, il cui interesse dipende dal peso economico della città stessa. Questo discorso sembra aiutare nella comprensione della sovrastruttura dell’Islam, che non è solo ideologica ma si sostanzia dell’esecuzione degli atti di culto, come la preghiera cinque volte al giorno, il ramadan, l’elemosina e il pellegrinaggio alla Mecca. La preghiera crea identità, l’elemosina evita il conflitto sociale; al pellegrinaggio si deve quella forma di cosmopolitismo che ha permesso al credente di sentirsi a casa in qualsiasi luogo della dar al-Islam, i cui confini sono religiosi.

II.

Le origini e le prime affermazioni statuali (secoli VI-VII)

L’assetto vicinorientale alla vigilia dell’Islam Gli storici si interrogano sull’origine dell’Islam, che ha mutato la fisionomia dell’area vicinorientale, data dalla coincidenza di circostanze. L’islam nasce in ambiente semitico, e anche l’arabo è una lingua semitica; la religione delle tribù era tipicamente politeista e gli dei non venivano adorati tutti con la stessa importanza e la loro importanza dipendeva dal luogo del culto. Già aveva un significato particolare il pellegrinaggio annuale alla Mecca, durante il quale venivano sospesi i conflitti; ad esso era collegata una sorta di saga culturale, ma soprattutto aveva valenza politica, che ha contribuito alla nascita di una coscienza collettiva di appartenenza a una comune struttura socioculturale, cementata dalla lingua. Questa specie di nazione-cultura araba ha creato il terreno fertile per lo stato di Muhammad, il quale utilizza la valenza politica del pellegrinaggio. Maometto permette di mantenere intatti i privilegi economici dei meccani, custodi del santuario: l’importanza economica della Mecca e di Medina è dovuta al fatto che si trovavano si un percorso carovaniero, e affiancate da mercati profittevoli; è qui che si crea un composito clima culturale. È errato il binomio primitivismo/nomadismo: da tempo si hanno stanziamenti sedentari nello Yemen di cristiani ed ebrei, oltre che di dinastie importanti collegate con la nascita dell’Islam. I cristiani,...


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