Il passero solitario. - Letteratura italiana PDF

Title Il passero solitario. - Letteratura italiana
Course Letteratura italiana
Institution Sapienza - Università di Roma
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Letteratura italiana...


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Il passero solitario. Affrontiamo un testo molto importante e allo stesso tempo enigmatico. " Il metro non prevede più la stanza di canzone che fino a qui abbiamo previsto, ma prevede tre lasse di endecasillabi e settenari in cui si articola il discorso lirico. È la canzone libera leopardiana, la scelta di staccarsi dalle stanze di fronte e sirma per approdare a un discorso libero più mobile con un’alternanza di versi cadenzati da rime e assonanze: Leopardi ci arriva tardi, a partire dai canti pisano- recanatesi del 1828 (il primo canto dove si sperimenta questo tipo di canzone è proprio A Silvia, come vedremo). È un componimento di data incerta, sul quale è molto aperto il dibattito in termini di datazione: questo è basato sul fatto che non abbiamo un testimone autografo, nessun manoscritto. Leopardi spesso annotava le date di composizione, qui l’esemplare unico è N35. Questo significa che il passero non viene pubblicato nell’edizione del 24, ma non appare neanche in Bologna 26 e non viene stampato neanche nella prima edizione di Piatti, a Firenze, compare quindi tardi. Al contrario di questa tarda composizione, viene collocato relativamente presto all’interno della struttura dei canti: in undicesima posizione, dopo le prime nove canzoni, dopo l’elegia del Primo amore, prima della sezione degli idilli, come se Leopardi volesse collocare il passero in una prima fase, mentre tutti gli elementi che abbiamo (anche la metrica) ci portano a una stagione successiva, quella pisano-recanatesi, è quindi possibile che sia stato composto dopo il 1830." Proprio su questo si sono affrontate diverse ipotesi, vale la pena ricordarne alcune. Collocare in una stagione o in un’altra il passero dà un peso diverso alla scelta del Leopardi. " Un’ipotesi molto raffinata è quella fatta da Monteverdi: ne collocava la composizione nel 1831. Di contro l’ipotesi affascinante di De Robertis, che colloca il testo nel 1835 (giusto in tempo per far entrare il testo nella Starita). Quest’ultimo studioso parla di una voluta contraffazione d’autore, di un’opera scritta molto avanti, ma scritta come se fosse un Leopardi giovane, proprio per questa collocata in una sezione che è accanto agli idilli. Leopardi scriverebbe come avrebbe scritto il Leopardi di una volta, all’altezza del 35 scriverebbe un testo caratterizzato dalle posizioni ideologiche che avrebbe avuto precedentemente. Il Blasucci tende a preferire la scelta di Monteverdi, anche se. È difficile dire quale periodo abbia riguardato la composizione de Il passero: certo è che compare all’interno dell’edizione Starita. Il passero solitario, caratterizzato dalla solitudine come elemento fondamentale, compare in testi molto antichi: qui Russo riprende l’argomento di Idilli/2 (strani gruppi di programmi che Leopardi annota fra le sue carte) per sottolineare la congruenza con l’argomentazione in analisi in un frammento datato fra il 18 e il 20, in corrispondenza della stagione degli Idilli. Si ha in questo frammento si ha la tessera del passero solitario, è quindi possibile che Leopardi abbia ragionato il tempi differenti su questo elemento, per poi ragionare sullo stesso in una chiave più libera, rappresentata ovviamente anche dal metro. Se tutto ciò è vero, rimane un elemento: come viene articolato il discorso? Abbiamo parlato delle tre lasse di endecasillabi e settenari, invece le parti iniziali e finali sono più contenute. " C’è una celeste naturalità (Santagata) nel testo, pertanto la parafrasi sarà più semplice." Prima stanza.

Questo il primo movimento, nel quale dobbiamo sottolineare alcuni elementi: la frequenza, in punti chiave di questo primo respiro poetico, delle rime (core migliore fiore, terna di rime che identifica un paradigma positivo). Il passero solitario al quale si rivolge l’allocuzione del poeta è portatore di una condizione di solitudine, compare l’elemento del tramonto del giorno che comporta la sensazione dello scorrere del tempo, forse filo conduttore di tutto il testo. Il passero si rivolge verso un luogo deserto, la campagna. Di contro, vi è un elemento tutto positivo del tripudio naturale: la primavera che brilla nell’aria, dunque lo scenario di solitudine e isolamento scelto dal passero contrasta con il tripudio (specialmente nel verso 6) della primavera, che rende l’estrema fiorire della primavera, che approda al verso 7 in cui compare per la prima volta una visione umana, lo sguardo degli uomini, che al mirare la primavera vengono inteneriti. Qui torna un elemento dell’attacco del Purgatorio VIII, la tessera dantesca è molto efficace, perché sottolinea un elemento di apertura dell’animo, dell’aprirsi del cuore. Tutto questo è l’espressione di questa primavera, che ha un effetto di armonia e intenerimento sull’animo degli uomini. Questo viene ribadito nella seconda parte, dopo il vero 7: gli uccelli sono contenti, ovvero qualcosa su cui Leopardi ragiona anche all’interno dello Zibaldone (Leopardi riflette sulla contentezza anche all’interno de La Ginestra), gli uccelli fanno a gara per il cielo libero attraverso mille evoluzioni, effetto della naturale letizia e accompagnano il canto in volo. In questo si anticipa e riprende uno dei testi più emblematici delle Operette, l’Elogio degli uccelli dove vengono celebrati il canto e il

volo degli stessi come massimo elemento di gioia per l’essere umano. Nel “tempo migliore” viene richiamata la giovinezza, con quel pur che ha valore di soltanto: esser lieti, contenti, della loro giovinezza. Rispetto a queste evoluzioni, la melodia di questo coro naturale, il passero si connota di nuovo di elementi negativi espressi da quel “pensoso”: anche il passero è in un certo senso disposto a guardarsi intorno, senza tuttavia riuscire a essere intenerito, poi una sequenza di negazioni (non compagni, non voli, non ti cal d’allegria). L’unica caratteristica del passo è il canto, attraverso il quale il passero trascorre il più bel fiore della sua vita. Compiano quindi, in questo primo movimento, il giorno, la primavera che brilla nell’aria, e l’intero arco della vita negli uccelli che celebrano la loro giovinezza e poi tutto questo viene condensato nel più bel fiore dell’anno (la primavera) e della vita (la giovinezza): si crea così un trittico che riguarda il girono, la primavera, la giovinezza, tre concetti chiave che scandiscono l’intero componimento. Tutto questo organizza, in un sistema bipartito, lo scenario naturale distinto fra un tripudio del coro degli animali e dello scenario naturale, di contro il passero pensoso e solo in una posizione la cui ragione è difficile da intendere. " Russo aggiunge due pagine in cui si parla del diletto degli uccelli, la prima Zibaldone 159 (scritta nel luglio 1820), una stanza alta dello Zibaldone, l’altra pagina di una stagione immediatamente successiva. In questa prima Leopardi, teorizza il fatto che gli uccelli cantano e siano allo stesso tempo allietati dal loro canto per una sorta di armonia interiore che vedono riscontrata nelle note che emettono: gli uomini possono solo parzialmente cogliere questo senso di armonia, poichè lo stesso è per loro diverso. Tutto questo diventa più significativo in una pagina fondamentale dello Zibaldone, 1782 (datato nel settembre del 1821): si parla qui di una proiezione degli effetti della musica, che comporta un passaggio alla poetica dell’indefinito (rappresentata dalle innumerevoli sensazioni delle quali si parla in questo passaggio). Leopardi teorizza da un lato la letizia provata dagli uccelli derivante dal loro stesso canto, dall’altro una gamma di sensazione vaghe e arbitrarie, alle quali Leopardi ricorre nella poetica degli Idilli e del vago: da questo punto di vista, il passaggio sta richiamando questo effetti dell’intenerire il cuore." Seconda stanza.

La stanza si sposta sul soggetto: tutto il componimento è fondato su un’apparente solitudine del passero, cosi orientato per natura, e l’io solitario dell’io lirico. Il poeta si auto-rappresenta in una posizione apparentemente simile a quella del passero nella prima stanza. Questi due movimenti, i primi sedici versi e i secondi ventotto versi, sono costruiti su una serie di correlazioni e opposizioni dall’uno all’altro movimento con i quali Leopardi vuole costruire un apparente parallelismo, mentre il terzo passaggio servirà a discernere la similitudine stessa perché gli elementi presentano comunque una profonda differenza. Compaiono quei riferimenti positivi che il passero schivava: qui sono il divertimento e la letizia, dolce famiglia della giovinezza. Compare la tessera chiave per il poeta: la doppia negazione sta a sottolineare una condizione di estraneità, perché se il passero e il poeta condividono un costume e un atteggiamento, tuttavia il passero lo porta avanti in maniera innata, mentre il poeta risponde a un orientamento del quale non c’è ragione, l’io precipita in un’aria d’ombra della quale è difficile rendere ragione: tutto questo approda a quel passo del viver mio la primavera, la giovinezza è la primavera della vita. Il tramonto della giornata ricompare. Il giorno viene presentato nella posizione declinante, ed è un giorno di festa. È importante questa evocazione del giorno di festa. La gioventù del luogo che si sparge per le vie della città è partecipe di questo gioco di sguardi e per questo si rallegra nel cuore insieme agli esseri viventi: di contro l’io solitario, durante il tramonto del sole che sembra voler dire il trascorrere della giovinezza. Composta questa struttura a dittico fra una prima parte per il passero e la seconda dedicata al poeta, il terzo e ultimo movimento si incarica di sancire quelle che sono le differenze." Terza stanza.

Scompaiono gli elementi positivi, c’è il trionfo del tempo, una previsione della futura amarezza. La conclusione è esplicita nel tirare fuori le amare conseguenze dell’atteggiamento isolato del passero e del poeta, il poeta descrive una condizione d’amarezza precisamente articolata e scandita dalla negatività. La vecchiezza è continuamente presente nella riflessione leopardiana a partire da Natura e islandese, in cui la vecchiaia è approdo dei mali umani. La disposizione stessa delle tre interrogative retoriche (voglia anni miei me stesso, si porta via l’intero profilo della propria vita). L’inutile volgersi indietro agli anni della giovinezza vengono resi con due formule enclitiche

che cercano di dare una compostezza solenne a un elemento di grande pathos malinconico. Con questa conclusione sbilanciata, poi sul poeta che sul passero, il testo si chiude su questa solo parziale similitudine. Si respira la naturalezze e la straordinaria efficacia del canti pisanorecanatesi, molti hanno sottolineato l’epilogo quasi raziocinante del terzo movimento, a volte troppo meccanica, rispetto alla straordinaria naturalezza che riguarda il primo ma anche il secondo movimento del testo: qualcuno ha potuto pensare che questo brano conclusivo fosse stato aggiunto da Leopardi in un secondo momento, come a trarre una morale della storia: non avendo l’autografo, nessuna supposizione è certa. Blasucci pensa a una composizione unitaria, il professore la colloca negli anni trenta." Osservazioni.

Alla pagina 4421 4422 dello Zibaldone: la riflessione è articolata in due momenti ,nel recupero di una memoria personale e nel cercare di estrarre una verità universale. Nella prima parte, quella schiettamente autobiografica, ricorrono molti elementi che si trovano anche nel componimento analizzato: è possibile questa pagina ne costituisca un passaggio." Possiamo quindi ricordare alcune questioni fondamentali: " La posizione all’interno del libro dei Canti: Blasucci sostiene che il passero scritto negli anni 30 sia stato collocato così indietro perché rifletterebbe un’ideologia antica, visto che non è presente la responsabilità di un impianto negativo della natura che verrà poi esplicitato specialmente nel Pastore errante e che caratterizza il pensiero del Leopardi di lì in avanti. La responsabilità del poeta è primaria rispetto a quella della natura, sarebbe lui l’origine della sua natura solitaria e isolata. È possibile che Leopardi abbia percepito un testo ideologicamente antico e che l’abbia messo così avanti. Un dubbio sopraggiunge considerando il canto di Saffo in cui la natura è già aspramente attaccata, con un attacco al quale si fa riferimento alle disadorne sembianze dell poeta. La questione del rapporto fra passero e natura è molto complessa." Il rapporto con gli idilli-apologhi: sembra ci sia la stessa vena riflessiva di apologo che caratterizza la quiete dopo la tempesta e il sabato del villaggio, con una differenza: la presenza in prima persona dell’io lirico, mentre negli apologhi è soprattutto Recanati a dominare: è specialmente con quei testi che il passero deve essere studiato. La motivazione della posizione all’interno del contesto dei Canti è ancora difficile da specificare con certezza....


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