IL Pastoralismo IN Sicilia PDF

Title IL Pastoralismo IN Sicilia
Author Carmen Vella
Course Storia delle tradizioni popolari
Institution Università degli Studi di Palermo
Pages 9
File Size 261 KB
File Type PDF
Total Downloads 139
Total Views 396

Summary

IL PASTORALISMO IN riassume nel libro animalium alcuni fondamentali saperi relativi al latte e alla in formaggio. Prima di Aristotele, Omero nel libro IX ci restituisce uno vita bucolica del ciclope Polifemo, tradizionalmente collocato nel territorio etneo, nel descritti i recinti per gli agnelli e ...


Description

IL PASTORALISMO IN SICILIA Introduzione Aristotele riassume nel libro III dell’Historia animalium alcuni fondamentali saperi relativi al latte e alla sua trasformazione in formaggio. Prima di Aristotele, Omero nel libro IX dell’Odissea ci restituisce uno spaccato di vita bucolica nell’antro del ciclope Polifemo, tradizionalmente collocato nel territorio etneo, nel quale vengono descritti i recinti per gli agnelli e i capretti, i secchi colmi di siero, le pecore, la mungitura, l’allattamento, la realizzazione del formaggio. Strabone, infine, nel I secolo d.C. riferisce che la maggior parte dei paesi interni della Sicilia sono abbandonati ai pastori e che la Sicilia aveva acquisito la fama di granaio di Roma e alla capitale era diretto tutto ciò che produceva. La profondità storica delle testimonianze degli autori classici induce a riflettere da una parte sulla pastorizia e sulla tradizione casearia siciliana, dall’altra sulla dicotomia tra pratiche agricole e attività pastorali, che ancora oggi connotano il paesaggio siciliano. Percorrendo infatti l’Isola si nota la folta coltivazione di grano, che è poco intervallata da greggi di pecore, greggi che si ha la possibilità di vedere solo addentrandosi. gggggggggggggggggggggggggggggggg La Sicilia è la seconda regione italiana per patrimonio ovino allevato e occupa le prime posizioni per prodotto-latte ottenuto. La pastorizia si concentra principalmente nelle aree collinari e montuose delle province di Palermo, Agrigento, Enna, Trapani, Catania e Messina ed ha caratterizzazione estensiva o semiestensiva a conduzione prevalentemente familiare, sebbene nelle aree pianeggianti si siano diffusi negli ultimi anni sistemi semi-intensivi. gggggggggg gggg Ancora oggi la pastorizia è poco studiata dagli antropologi. Risalendo all’Ottocento, basta scorrere la Biblioteca delle tradizioni popolari d’Italia di Giuseppe Pitrè, per notare che compaiono pochi richiami all’argomento e peraltro di relativo interesse. Di contro, appaiono interessanti le testimonianze di un altro folklorista, Cristoforo Grisanti, che descrive il pastoralismo del paese madonita. Anche per quanto riguarda il secolo scorso è possibile confermare la medesima lacuna. Da citare è il lavoro di Antonio Uccello, nel quale è documentata l’importanza della produzione casearia nell’Isola attraverso l’analisi delle tecniche di lavorazione, del consumo e delle destinazioni dei prodotti. Lo studio di Antonio Uccello si colloca nel periodo in cui le trasformazioni politiche ed economiche hanno contribuito alla rifunzionalizzazione delle tradizioni pastorali. Dalla fine degli anni Settanta, in linea con il più generale processo di rivitalizzazione dell’antropologia italiana, la Scuola antropologica di Palermo ha promosso una serie di convegni sulla cultura e i mestieri tradizionali della Sicilia, con la pubblicazione dei relativi atti, nei quali compaiono alcuni lavori sul pastoralismo. In questo clima intellettuale, inoltre, si collocano i contributi di Mario Giacomarra, che ha documentato la cultura pastorale dell’Isola, contestualizzandola nel quadro delle variabili storiche che l’hanno interessata nei secoli scorsi. L’area di indagine considerata è quella montuosa delle Madonie. gggg Nel 2006, la Fondazione Ignazio Buttitta ha ristampato I pastori delle Madonie con una nuova introduzione, nella quale Giacomarra riflette sugli sviluppi ultimi del pastoralismo madonita. La pastorizia di quest’area era in declino e, nei primi anni Novanta, la presenza di questi pastori era sempre più sporadica. L’istituzione del Parco, poi, alla fine degli anni Ottanta ha portato al divieto di pascolamento del bestiame nei prati di montagna, luoghi di attività pastorali. Tuttavia, per tutti gli anni Novanta, i più testardi hanno continuato a pascolare gli animali tra le alte e basse colline. Dopo poco tempo, comunque, le normative europee e le regolamentazioni sull’igiene e la salute pubblica hanno vietato la caseificazione in strutture non idonee, portando, nei primi anni del XXI secolo, al ridimensionamento del pastoralismo madonita. Oggi in ragione della crisi generale appare interessante indagare in che modo i pastori riadattino la loro cultura sulla base delle nuove condizioni dettate principalmente dal variare delle dinamiche politicoeconomiche. Con i regolamenti vigenti della Politica agricola comunitaria (Pac), gli operatori dei comparti agro-zootecnici si stanno confrontando con un nuovo tipo di politica agraria, basata sulla competitività dell’agricoltura, ma nel rispetto della specificità e della qualità dei prodotti. ggggggggggggggggggg g g La pastorizia siciliana, basata su conduzione tradizionale, presenta oggi diversi caratteri problematici, 1

specialmente nelle zone interne. Si tratta di una serie di carenze strutturali evidenziatesi in particolar modo a seguito del processo di modernizzazione che, in linea con gli altri paesi del Mediterraneo, si è consumato negli ultimi sessant’anni e ha contribuito a far emergere in numerosi contesti i limiti dei sistemi produttivi locali: strutture zootecniche arretrare, frammentazione della terra e della proprietà, esiguità del capitale ovino allevato per azienda. Negli ultimi sessant’anni, infatti, l’economia siciliana è stata interessata da una serie di cambiamenti: i processi migratori e la meccanizzazione delle campagne sono i fenomeni più incisivi che ha gg provocato sconvolgimenti, definiti da alcuni studiosi con la locuzione di “catastrofe antropologica”. La varietà del pastoralismo isolano porta a constatare che non è possibile definire un quadro di riferimento unitario. Le tipologie aziendali costituiscono infatti un insieme assai diversificato, per tali motivi si è tentato di rintracciare delle linee rappresentative. L’area di ricerca considerata comprende il palermitano, le Madonie e i Nebrodi. 1. La dimensione storica del pastoralismo in Sicilia Nel recente lavoro Le radici del Mediterraneo e dell’Europa Jean Guilaine è arrivato a concludere che l’uomo ha iniziato a consumare cereali e legumi nel Vicino Oriente da almeno 20.000 anni, ma ciò non deve indurre a pensare che fosse diventato agricoltore. Pare infatti che l’uomo si sia sedentarizzato verso il 12.000 a.C., compiendo una scelta culturale che ha portato a nuove regole di vita in comune e a un sentimento di appartenenza a una comunità identificata. Ciò non significa che tale processo di cambiamento abbia portato alla domesticazione di animali e quindi a forme compiute di allevamento. Non c’è stata all’improvviso un’iniziativa globale, ma ondate successive, più o meno rapide e più o meno avanzate. Il Neolitico sarà poi la ggggggggggggggggggggggggg ggggg gggggggggggg risultante di tutti questi avanzamenti cumulativi. E’ nel Vicino Oriente che, alla fine del Dryas recente, si assiste al proliferare di insediamenti e durante questa tappa del Neolitico preceramico A si accentua la manipolazione dei cereali e il controllo degli animali per sfociare verso l’8500 a.C., durante il Neolitico preceramico B antico, nella domesticazione definitiva del grano e dell’orzo. Infine, sarà nel corso nell’VIII millennio a.C. che alcuni villaggi di agricoltori saranno pienamente operativi. gggggggggggggggggggggg Il processo di addomesticamento degli animali si costituisce come uno dei cardini principali nel mutamento delle condizioni originarie dell’uomo, segnando il passaggio da un’economia di caccia e raccolta ad un’economia di produzione basata sulla pastorizia. Si tratta di un fenomeno che dovette verificarsi necessariamente in presenza delle seguenti condizioni:  

Il possesso, da parte dell’uomo, di un sapere empirico relativo al comportamento dei branchi; L’esistenza di un sistema ecologico.

Ad oggi è possibile scartare la successione di matrice evoluzionista, dalla fase selvaggia di caccia-raccolta a quella barbara dei popoli pastori a quella civilizzata delle società agricole, alla luce di dati sempre più aggiornati. Per esempio nel Levante, sostiene Helmer, permangono attività di caccia-raccolta anche successivamente all’avvento della pastorizia. Lo stesso Helmer osserva che la confidenza acquisita dagli uomini col bestiame ha consentito loro di sviluppare tecniche di sfruttamento diversificate, orientando le produzioni non più esclusivamente sulla carne, ma anche sul latte. Ciò ha condotto al passaggio da una cultura di caccia ad un’attività di produzione. Maria Arioti e Barbara Casciarri tuttavia sottolineano che Helmer tralascia un aspetto importante, ossia che le forme di allevamento da lui considerate si sono sviluppate in una società già agricola. Da queste considerazioni muovono le due studiose per chiarire le origini della pastorizia in Africa e in Asia, concludendo che la diversa evoluzione del pastoralismo africano e di quello asiatico, l’uno a partire da una società di caccia-raccolta, l’altro da società agricole, stia a monte di differenze tra Africa e Asia: per esempio, nel rapporto dell’uomo coll’animale, che il Africa è un compagno, mentre in Asia e anche in Europa è spesso un servo.

2

Nel caso specifico dell’Italia, gli studiosi concordano nel ritenere che l’agricoltura e la pastorizia sono sorte in società sedentarie esistenti. Queste aree erano caratterizzate dalla presenza di ecosistemi particolarmente favorevoli poiché dotati di variabilità ambientale che amplificava le possibilità di drenare risorse. Il processo di neolitizzazione ebbe luogo, quindi, soprattutto nell’ambito di siti costieri, dipendenti dalle risorse marine. Proprio la pesca, nel caso della Sicilia, assume una certa importanza sul finire del VII millennio a.C. mentre gggggggggggggggggggggg decrescono le attività di caccia a vantaggio della domesticazione. I dati archeologici, paleontologici e archeologici a disposizione, nel contesto siciliano riferibili sostanzialmente alle emergenze archeologiche della Grotta dell’Uzzo ci consentono di individuare le trasformazioni economiche succedutesi tra il Mesolitico e il Neolitico. In questo particolare momento si registra l’introduzione del bue, della pecora, della capra (dall’esterno), del maiale e del cane. L’introduzione degli ovicaprini avviene graduale, ma costante. Le classi di età evidenziano una netta maggioranza di uccisioni giovanili (di età inferiore ai 2 anni) e non ci sono prove di uccisioni di animali di età superiore ai 6 anni. Un simile modello riflette un allevamento diretto principalmente allo sfruttamento della carne, con pochi animali adulti mantenuti per la riproduzione del gregge. gggggggggggggggggggggggggggggggggggg Nella seconda fase neolitica l’attività venatoria lascia quasi esclusivamente il posto alla pastorizia. Gli ovicaprini sono in continuo aumento e l’analisi dell’età di morte indica che l’allevamento è più complesso di quanto rilevato nel neolitico antico, con un aumento di resti di individui adulti e la presenza di più numerose classi di età, dovuto allo sfruttamento dei prodotti degli animali vivi. Con la fase neolitica, si assiste all’abbandono progressivo della grotta come abitazione e la sua probabile trasformazione in ricovero di greggi e pastori. L’allevamento degli ovicaprini, assieme alla pesca, diviene l’attività economica prevalente. 2. Il pastoralismo in Sicilia tra continuità e cambiamento 2.1 Considerazioni generali Agricoltura e pastorizia in Sicilia hanno spesso convissuto e spesso l’una ha sostituito l’altra, ma è importante dire che il settore pastorale, a differenza di quello agricolo, non si è avvalso dei vantaggi offerti dai processi di innovazione che a seguito della Seconda guerra mondiale sono stati indotti per il rilancio delle economie locali. gggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggg La zootecnia siciliana presenta oggi diversi problemi, soprattutto nelle zone interne. Nelle Madonie, per esempio, sino alla prima metà del secolo scorso il pastoralismo ha rappresentato un’importante attività economica, ma oggi rimangono solo alcuni esempi e pochi tratti di un’attività una volta ben estesa. Il caso madonita è esemplare: dalle ricerche sul campo è emerso che tra i paesi di quest’area alcuni conservano ancora una radicata tradizione pastorale come Geraci, Castelbuono e Siculo, altri invece come Polizzi Generosa contano soltanto quattro pastori. Tali considerazioni sono ancora più significative se si tiene conto del fatto che già cinquant’anni fa Renée Rochefort aveva avuto modo di osservare la grande diversità di diffusione del progresso passando da una zona all’altra dell’Isola. Ci sono aree in cui il progresso è avvertito da tutti, come nella zona litoranea della provincia di Siracusa e in una parte della provincia di Catania, mentre altre zone rimangono in un letargo secolare. E’ la stessa Rochefort poi a proporre un’importante considerazione: il progresso tecnico è accessibile a tutti? Sostanzialmente, la domanda che ancora oggi ci si pone è in che modo le istituzioni politiche e l’assistenza tecnica abbiano interagito con le aziende pastorali nell’ultimo cinquantennio. ggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggg Il sistema tecnico-produttivo aziendale è in larga parte basato sullo sfruttamento del lavoro manuale. Le razze ovine principalmente allevate sono la comisana, la valle del Belice e solo negli ultimi anni sono stati sperimentati alcuni incroci tra le razze locali e la pecora di razza sarda. In numerosi contesti l’unità aziendale è ubicata nelle vecchie masserie, all’interno delle quali il pastore provvede alla mungitura degli animali, alla trasformazione diretta del latte e alla conservazione dei derivati. L’elettrificazione e la disponibilità di acqua costituiscono spesso un problema, i locali sono in molteplici casi fatiscenti e la strumentazione utilizzata per la lavorazione del formaggio talora non rispetta le norme comunitarie. Per questi motivi il pastoralismo 3

madonita ha dovuto fare i conti con le direttive emanate dall’UE, situazione ha indotto al ridimensionamento ggggggggggggggggggggggggg ggggggggggggg e alla scomparsa della pastorizia in diverse comunità. Se è indubbio che i problemi di carattere infrastrutturale rappresentano un condizionamento nella competitività di un sistema moderno, è indubbio anche che manca una pur minima sensibilità politicoeconomica e antropologica, tesa a salvaguardare il pastoralismo tradizionale nell’ottica di uno sviluppo. A maggior ragione se si considera che è questo tipo di sistema produttivo che tramandando pratiche e saperi tradizionali incentiva la produzione di alimenti identificabili geograficamente e frapponibili nei mercati ai gggggggggggggggggggggggggggggggggggg ggggggggggggggggg prodotti di fabbricazione industriale. Da un punto di vista commerciale, l’offerta dei prodotti è disomogenea e variabile. Il tipo di gestione aziendale, inoltre, determina talvolta dei costi di produzione elevati e la diseconomicità delle imprese. La scarsa remunerazione dell’attività è tra i motivi per cui l’allevamento di alcune zone è in progressiva scomparsa. A ciò si aggiungono il graduale invecchiamento degli addetti al settore e la mancanza di ricambio generazionale. gggggggggggggggggggggggggggggggggggggg Oggi il pastoralismo continua ad essere diffuso in tutta la regione, seppure in forma frammentata. Non dissimile la situazione osservata nei Nebrodi. Anche qui l’attività pastorale è estesa a tutto il suo perimetro e attualmente convivono aziende scarsamente ottimizzate accanto ad imprese pastorali moderne. Queste ultime si sono orientate verso la razionalizzazione tecnico-produttiva, esito del processo di sedentarizzazione: molti pastori hanno acquistato le terre da destinare alla coltivazione di erbai e di foraggi per l’alimentazione del bestiame e hanno costruito moderne infrastrutture. Il tipo di conduzione dell’allevamento è brado o semibrado e non si dispone di moderne infrastrutture per il ricovero del bestiame, soprattutto nei mesi invernali. Anche nei Nebrodi è ancora praticata la transumanza a corto e a lungo raggio, che permette in questo modo ai pastori di sopperire per quasi tutto l’anno all’alimentazione delle greggi. gggggggggggg Gli obiettivi prioritari da perseguire per il miglioramento del sistema zootecnico isolano sono: 



La sedentarizzazione dei pastori, mediante l’acquisizione e l’accorpamento di terre a prezzi agevolati su cui poter progettare una base aziendale più competitiva, con la costruzione di moderne infrastrutture; Il potenziamento dell’informazione e della formazione degli allevatori

E' indubbio che la maggior parte della pastorizia isolana abbia un’origine storica. Recentemente Giuseppe Astuto ha osservato che il pastoralismo siculo ha avuto nel tempo esiti alterni e il ciclo favorevole, nettamente avviato in età giolittiana, si blocca con il primo conflitto mondiale. La battaglia del grano, la crisi economica mondiale e poi la Seconda guerra mondiale sembrano aver cumulato i loro effetti e aver optato nella direzione di una retrocessione della pastorizia. Soltanto negli anni Cinquanta e Sessanta si avrà un’inversione di tendenza: scartare l’agricoltura e migrare fuori dall’isola. La pastorizia recupererà, ma sarà difficile colmare i ritardi strutturali accumulati nel tempo. 2.2 Pastoralismo e gestione dello spazio: i pascoli e la transumanza I cicli stagionali e le variabili ambientali, i regimi di proprietà e di affitto dei terreni, la presenza o meno di infrastrutture condizionano profondamente l’attività pastorale isolana. Il pastore deve possedere un insieme di conoscenze e competenze che gli permettono di pianificare gli spostamenti del bestiame e i periodi di pascolamento in determinate aree, in relazione ai cicli vegetativi e alle rotazioni colturali. gggggggggggg Per quanto riguarda i pastori madoniti, la transumanza è ancora largamente praticata e si costituisce come uno dei momenti più importanti dell’intera annata produttiva. Oltre i percorsi montani sono essenzialmente tre gli itinerari di spostamento, e coincidono con quelli rilevati da Giacomarra negli anni Settanta: 

I primi si dispongono lungo il versante settentrionale, i cui pastori passano l’inverno scalando su distese pascolative che si approssimano gradualmente al mare; 4

 

I secondi sono quelli dei pastori che si muovono lungo le medie e basse colline limitrofe alla provincia di Caltanissetta entro cui penetrano fino a raggiungere anche i territori dell’Agrigentino; Gli ultimi riguardano i pastori di Sclafani e Caltavuturo che scendono verso le vallate disposte a occidente, con i centri di Scillato, Cerda e Montemaggiore. gggggggggggggggggggggg

La transumanza è praticata anche dai pastori che dispongono di terre di proprietà e ciò sottolinea come tale pratica sia intimamente legata non solo alla ricerca dei pascoli ma anche, e soprattutto, alle variabili ggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggg climatiche. L’obiettivo principale dei pastori è sempre stato quello di ottimizzare la produzione di latte. In quest’ottica si giustifica il movimento continuo delle greggi e la perenne ricerca dei pascoli. Mario Giacomarra ha avuto modo di chiarire sistematicamente le logiche sottese alla mobilità pastorale: da dicembre a febbraio nelle terre di marina, da marzo a maggio nelle terre di collina, da giugno ad agosto in montagna. Il movimento continuo delle greggi non è esclusivo dei sistemi pastorali montani. Le ricerche sul campo condotte nel palermitano confermano anche per quest’area il ricorso alla transumanza. Nel vicino paese di Caccamo, invece, l’azienda osservata presenta diverse strutture di stabulazione del bestiame, la proprietà è accorpata e le terre sono sottoposte a rotazione, per cui oltre al pascolo naturale, durante i periodi di bassa redditività dei terreni, si somministrano agli animali cereali e foraggi, garantendo la produzione costante del gregge. Per questa nuova gestione dello spazio, ci sono altre conseguenze da mettere in rilievo:  

Si riducono le muti, cioè i cambiamenti di pascolo perché si rinuncia definitivamente ai pascoli di marina. Scompaiono i massicci spostamenti di uomini e animali dal momento che i pascoli estivi e quello autunnali e primaverili si trovano a pochi chilometri di distanza. ggggggg

Quanto sostenuto da Giacomarra, tuttavia, deve essere contestualizza...


Similar Free PDFs