Profili linguistici – Sicilia PDF

Title Profili linguistici – Sicilia
Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Palermo
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Breve elaborato, contenete: storia della sicilia,lingue,dialetti, culture e l'italiano regionale....


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Profili linguistici – Sicilia CAPITOLO 1 - LA REGIONE E LA SUA STORIA Quello che definiamo comunemente dialetto siciliano non è altro che un’astrazione, poiché la realtà è costituita dalle singole varietà locali molto diverse tra loro. La Sicilia divide il mediterraneo occidentale da quello orientale ed è stata per molto tempo un ponte tra Europa, Asia minore e Africa; la sua configurazione a triangolo si ricollega al termine Trinacria, con il quale è spesso denominata. La sua storia linguistica riflette quella politica e sociale, infatti il lessico è molto vario e contiene latinismi, arabismi, normannismi e bizantinismi, acquisiti dalle varie popolazioni che l’hanno dominata. Prima che vi si insediassero i Greci l’isola venne conquistata e abitata da Siculi, Sicani, Elimi e Fenici, e alcuni studiosi pensano che la particolare pronuncia di dd o tr in parole come “beddu” o “strata”, risalga a una di queste popolazioni. I greci arrivarono verso il 750 e fondarono numerose colonie, questo evento ebbe una grande importanza poiché introdusse un nuovo sistema politico (poleis) che influì sull’evoluzione dei popoli del Mediterraneo. Una conseguenza dell’ellenizzazione fu la diffusione della lingua greca, ma questo evento risulta assai complesso: - la Sicilia orientale fu grecizzata in maniera più intensa e il greco rimase vitale per lungo tempo. - alcuni grecismi erano già stati assimilati dal latino regionale e furono trasmessi ai vari dialetti non direttamente dal greco, ma attraverso il latino (bummula, grasta, troffa,cantaru). I romani trovarono un’isola profondamente ellenizzata; l’occasione del loro intervento fu offerta dalla richiesta d’aiuto dei Mamertini, assediati a Zancle (Messina) da Cartaginesi e Siracusani. Il console Appio Claudio iniziò la conquista dell’isola sconfiggendo Gerone II, tiranno di Siracusa, col quale poi si alleò ed espugnò Zancle. La prima guerra punica terminò nel 241 a.c. con il ritiro dei cartaginesi dalla Sicilia, della quale si impadronirono i romani e fu uno dei primi territori conquistati a diventare Provincia; sotto i romani si ebbe un processo di romanizzazione culturale e linguistica. La regione continuò comunque ad amministrarsi autonomamente, e anche per questa ragione il latino si diffuse del tutto solo durante la prima età imperiale. Non possiamo dire che il siciliano sia un dialetto neolatino, tuttavia in esso sono presenti elementi arcaici della prima romanizzazione per quanto riguarda la fonologia (conservazione del dittongo au – “tauru”) e la morfologia (desinenza –imu – “ficimu”). Nella toponomastica sono latini i toponimi prediali, formati cioè dal nome del proprietario del fondo seguito dal suffisso –anum (es. Favignana). La diffusione del cristianesimo è anche un importante evento poiché i riti cristiani venivano enunciati inizialmente in greco e solo dopo in latino. La decadenza dell’impero romano d’occidente provocò conseguenze anche in Sicilia, che fu invasa da diverse popolazioni. Nel 440 la occuparono i Vandali fino al 476, quando passò in mano ai Goti di Teodorico, che fu ucciso nel 526. Nel 535 si ebbe la presa di Catania con la quale inizia il periodo della dominazione bizantina (fino all’ 827); essa favorì una nuova ondata di grecità linguistica (“zimmaru” maschio della capra, “spannamu” acero) che tese perlopiù a recuperare e stabilizzare ciò che era sopravvissuto della prima ellenizzazione. Nell’ 827 in Sicilia arrivarono gli Arabi sbarcando nei pressi di Mazara, da dove iniziò la loro avanzata. Nell’895 si concluse la pace con i bizantini e la Sicilia entrò a far parte del mondo arabo e forse questo fu il suo periodo di maggiore splendore. L’isola fu ben presto islamizzata, anche se alcune comunità cristiane riuscirono a sopravvivere, e possiamo dire infatti che la convivenza tra i due popoli fu abbastanza pacifica. Un fattore molto importante per l’economia della regione fu l’innovazione delle tecniche in campo agricolo, con la conseguente coltivazione di agrumi, canna da zucchero, gelso e riso. Le campagne si popolarono e sorsero molti villaggi. Tra i toponimi arabi possiamo individuare: quelli composti con cala- o calt- da qal’a = fortezza (Caltavuturo, Calascibetta), quelli derivati da gebel = monte (GIbilmanna), quelli modellati su rahl = casale, o manzil = luogo di sosta (Misilmeri, Racalmuto). Fu notevole anche l’influenza araba nell’antroponimia: Cangemi (haggam = salassatore), Macaluso (mahlus = schiavo affrancato). Altri termini di origine araba sono: giarra (recipiente), balata, giurana (rana), giuggiulena (sesamo), azzizzari (abbellire). La conquista normanna ebbe inizio nel 1061 con la presa di Messina e si concluse 30 anni dopo con il totale predominio sull’isola. L’esercito normanno era guidato da Ruggero d’Altavilla e Roberto il Guiscardo. Sia Ruggero che il suo erede Ruggero II favorirono il sorgere di un grande e solido regno incoraggiando la convivenza pacifica con la popolazione araba, testimoniata tra l’altro dall’architettura nella quale abbiamo l’unione dei due stili. I successori di Ruggero II furono Guglielmo I e Guglielmo II; il regno del primo fu caratterizzato da continue lotte, mentre con il secondo si ebbe una ripresa politica e culturale e durante questo periodo Palermo si arricchì di monumenti come la Zisa, la Cuba e il Duomo e il chiostro di Monreale. Alla morte di Guglielmo II assunse il regno la zia Costanza d’Altavilla che aveva sposato il futuro imperatore Enrico IV di Svevia, tuttavia i siciliani riconobbero come erede Tancredi, nipote illegittimo di Guglielmo. Dopo la sua morte Enrico IV prese il potere su Palermo e il suo regno fu caratterizzato da ogni sorta di crudeltà. Alla sua morte il regno passò a Federico II, sotto la tutela della madre Costanza. Egli fu una delle figure più importanti del medioevo e riorganizzò il regno sotto ogni punto di vista ; fu in questo periodo che nacque la Scuola poetica siciliana. Scomparso Federico, il papa assegnò il Regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, che però assunse la corona solo dopo aver sconfitto Manfredi, il figlio di Federico, e due anni dopo il nipote Corradino. La dominazione angioina fu breve e si concluse nel 1282 con la rivoluzione del Vespro, che pose fine a questa dominazione fatta di angherie, soprusi e crudeltà. Durante questi secoli comunque convivevano molti popoli: gli antichi abitatori greci e latini, gli arabi di Sicilia (mozarabi), Turchi, Normanni e italiani settentrionali. Questi ultimi chiamati genericamente Lombardi fondarono vari centri nell’isola (Sanfratello, Piazza Armerina, ecc.). Dal punto di vista linguistico, l’arabo era molto diffuso, e si parlava ancora il greco (almeno nella parte nord-orientale). Le opinioni divergono rispetto al neolatino; infatti mentre in alcune regioni il processo di latinizzazione si sviluppava senza interruzioni, in Sicilia fu interrotto dalla dominazione araba, per poi essere ripreso con i Normanni, con quali si ebbe quindi un nuovo processo

di romanizzazione, che determinò il decadimento dell’arabo. Basti notare ad esempio che in siciliano “domani” = domani, mentre in calabrese è“crai” dal latino cras (lo stesso vale ad esempio per cieco = orbu, calabrese cicato dal lat. Caecatus). Il regno in seguito passò in mano a Pietro d’Aragona che aveva sposato una figlia di Manfredi. La Sicilia rimarrà sotto influenza spagnola fino al 1713 quando con il trattato di Utrecht e Rastadt passò ai Savoia. Si tratta di un lungo periodo durante il quale si avvicendarono vari re e viceré fino all’unificazione delle corone di Aragona e di Castiglia sotto Carlo V e poi sotto Filippo II e i suoi successori. Per quanto riguarda l’influenza linguistica dello spagnolo essa viene distinta in: - parole di origine catalana(nzirtari = indovinare, anciova = acciuga, sgarrari= sbagliare) - parole di origine castigliana (criata= serva, nzaiari= indossare, accanzari= ottenere). Nel 1860 in seguito all’impresa dei mille e al plebiscito, la Sicilia viene annessa al regno d’Italia e ciò segna un momento di svolta per il dialetto. La Sicilia, rispetto al resto dell’Italia, era una terra arretrata economicamente e culturalmente, poiché era molto diffuso l’analfabetismo. Nel dopoguerra si può comunque osservare una situazione che inizia a cambiare, ma la continua lotta per il progresso ha portato nel frattempo all’indebolirsi del dialetto: è diminuito il numero di coloro che lo parlano, e tende comunque ad essere un dialetto italianizzato.

CAPITOLO 2 - LINGUE,DIALETTI E CULTURE Esistono tante rappresentazioni concrete di siciliano quante sono le varietà locali, che presentano somiglianze, ma per non molti aspetti sono profondamente diverse tra loro, da zona a zona. Per esempio, da Alimena, la consonante GN viene pronunciata NN (pignatapinnata). A Canicattì in alcuni quartieri il dittongo UO è pronunciato UO’ mentre in altri UE’ (buònubuènu). A Terrasini è possibile individuare molte differenze fonetiche, lessicali e morfologiche tra il quartiere marinaro e quello contadino. Bisogna dire che in ogni centro il dialetto presenta caratteristiche diverse in base all’età, al grado d’istruzione e anche alle caratteristiche socio-economiche del centro in cui si vive. La Sicilia ha un patrimonio linguistico che si è arricchito nel corso dei secoli attraverso i contatti con diverse popolazioni; queste innovazioni sono arrivate soprattutto nei grossi centri costieri e commerciali; con meno facilità nelle zone interne. Sulla base della diversità e delle somiglianze sono state fatte delle classificazioni dei dialetti italiani e il siciliano rientra nella sezione dei dialetti meridionali estremi, che rientra a sua volta nei dialetti centro-meridionali, accomunati da alcune caratteristiche di pronuncia.Per quanto riguarda i dialetti siciliani, il Ragusano Giorgio Piccitto ha realizzato un'ulteriore classificazione: Siciliano occidentale: palermitano, trapanese, agrigentino centro-occidentale; Siciliano centro-orientale: Centrale: parlate delle Madonie, nisseno, ennese, agrigentino orientale; Orientale: parlate del sud-est, del nord-est, catanese, siracusano, messinese. Inoltre esistono delle parlate, che non sono considerate del tutto siciliane; le ritroviamo a Piazza Armerina e a Piana degli Albanesi che rientrano tra le comunità "alloglotte"(dialetti di ceppo diverso rispetto quello della regione). Si tratta di linguaggi giunti in Sicilia con gruppi di coloni o profughi: essi appartengono rispettivamente alla comunità albanese e galloitalica. Quest'ultima risale al periodo della dominazione normanna quando i gallo italici si insediarono nella Sicilia centro-orientale. Le colonie albanesi risalgono invece alla seconda metà del XV secolo quando a causa della espansione turca molte persone giunsero in Sicilia dall'Albania; queste comunità possono essere divise in due gruppi: quello dove si conserva la parlata albanese e il rito bizantino; quello che mantiene solamente il rito bizantino. La variabilità del dialetto e i cambiamenti linguistici possono essere dovuti a cause storiche, economiche, sociali e geografiche: invasioni o migrazioni interne  contatti tra popoli costruzione di nuove strade  circolazione di persone e quindi di parole eventi sconvolgenti che possono disintegrare la vita comunitaria nuovi oggetti, tecniche, abitudini, mode  nuove forme linguistiche Infine occorre valutare la vitalità di una zona , che è tanto più elevata quanto più giovane è l'età media degli abitanti: nei luoghi in cui essa è bassa la popolazione aumenta e la lingua si rinnova più velocemente. A causa di questi fattori può accadere che una parola si presenti nelle parlate locali con forme diverse [polimorfia].

FONETICA In gran parte della Sicilia centrale e sud-orientale si verifica un fenomeno detto METAFONIAdata una parola con E/O toniche le due vocali subiscono un cambiamento se la parola termina in I/U; non avviene con la A (bieddubieddibiedda). Il meccanismo analogo (=METAFONESI) regola anche le parole in O (puortupuortiporta). Il cambiamento di E/O consiste in un dittongo che perde il 2° elemento (EIEI / OÚOU) (beddu-bieddu-biddu). In altre aree questo cambiamento o non avviene o si ha anche se la parola termina in A (Palermo, provincia di Messina, Catania e Siracusa). La “propagginazione” consiste nella riproduzione di un elemento linguistico; accade infatti che la U della prima sillaba si può ripetere nella seconda precedendo la A. (PurtariPurtuàri) = la A diventa UA quando nella sillaba precedente vi è una U. In alcuni casi può anche trasformarsi in UÓ e ridursi poi a O (pronunzie usate dagli anziani). Anche nel caso delle consonanti si sono avuti diversi cambiamenti rispetto al latino: passaggio da B a V (bucca  vucca) (nella Sicilia nord-orientale, non nelle aree più interne); passaggio da D a R ( dare  rare; coda  cura); passaggio da D a T nelle parole dove l’accento cade sulla terzultima sillaba in latino ( acidu  àcitu; humidu  ùmitu). Indebolimento  una consonante può indebolirsi fino a scomparire quando: da forte (doppia) passa a debole (lat. Pullitrum  puledro); da sorda passa a sonora (lat. Spicam  Spiga); da occlusiva a fricativa (lat. Caballum  cavallo); da consonante passa a vocale (“vocalizzazione”). In Sicilia questo processo può portare alla scomparsa della consonante (iamma). Pròstesi  fenomeno inverso: ritroviamo la G davanti ad una vocale (acitu  gacitu / apriri  grapiri). Nessi consonantici: unione di due consonanti  in Sicilia le parole che iniziano in questo modo hanno sviluppi particolari: PL / CL : il suo sviluppo più diffuso è CHI ; pronunzia GGHI (Sicilia nord-orientale), CI (Sicilia sud-orientale) (clavechiave,chiavi,gghiavi,ciavi); FL : pronuncia in CIU ; nei territori più interni HIU / IU (Enna e provincia); GL : sviluppo più diffuso = GGHI , numerose parlate interne presentano GLI mentre l’esito LL è particolarmente radicato in un’area delle Madonie orientali (ghianda  agghianna, aglianna, allanna).

Questi esiti valgono anche se questi nessi consonantici sono in posizione interna nelle parole latine (teg(u)la = teglia-tigghia,tiglia, tilla). Anche il nesso consonantico RL presenta diverse soluzioni : In alcune zone della Sicilia (zone centrali palermitane, agrigentino,nisseno,ennese) si conserva; in altre (trapanese) questo nesso ha perso il primo elemento rafforzando il secondo (pallari, mellu). Nelle parti restanti dell’isola invece scompare il secondo elemento e si rafforza il primo (parrari, merru). Questi sono fenomeni di ASSIMILAZIONE  due suoni diversi diventano “simili” o addirittura uguali. Altri casi di assimilazione sono quelli cono il nesso MB e ND, presente in quasi tutta la Sicilia (non nell’area nord-orientale). “Quando”  quannu “Strambo”  strammu Nelle parlate agrigentine orientali e nissene NFMP (infernompiernu). Le consonanti M e N producono una “sonorizzazione” sulle consonanti che le seguono = MP  MB; NF  NV; NT  ND; NC  NG. Questo fenomeno si ha in molte zone della sicilia a eccezione dei territori palermitani. Quando L precede T, S ,C + E, I abbiamo diversi sviluppi fonetici: alto autu, atu, antu. In AUTU che è l’esito più diffuso, la L si trasforma in U; nel secondo caso si è indebolita fino a scomparire; nel terzo è stata sostituita da N (Caltanissetta, centri agrigentini e zone orientali). Lo stesso vale per il nesso LD: caldo caudu,cauru,callu,casdu. Anche in questo caso la prima pronuncia è la più diffusa , la seconda è tipica delle parlate nissene-agrigentine, la terza si ha in un piccolo gruppo di parlate agrigentine occidentali (Caltabellotta, Bivona, Ribera). Anche la R, seguita o preceduta da altre consonanti è soggetta ad alterazioni : carne,poetaca’ni,po’ta /cainni,poitta / canni,potta. R si ‘localizza’ nelle parlate costiere (da Cefalù a Trapani), ‘ si nelle parlate delle province di Messina, Catania e Siracusa. Le consonanti dentali dell’italiano sono pronunciate in un punto più arretrato per questo la loro pronuncia viene definita “postalveolare”. In certi casi la punta della lingua si ritorce un po’ indietro e le consonanti articolate in questo modo possono essere definite “retroflesse”pronuncia presente nei nessi con R (strata, quattru, matri).

MORFOLOGIA E SINTASSI Rispetto alla fonetica, morfologia e sintassi presentano maggiore uniformità. Prevale l’uso del passato remoto e vari costrutti: dovere+infinito è reso con avere+a+infinito (aiu a manciari); un altro costrutto con ‘a’ si ha in frasi come ‘vado a bere  vaiu a bbivu’. Per la grammatica c’è una certa variabilità tra le diverse parlate locali, ad esempio: Il pronome ‘io’ può essere ricondotto al tipo arcaico eo =eu, ieu, ie o al tipo italiano io= iu,ia,iò; La terza persona singolare del passato remoto dei verbi con infinito in –ari può essere reso con la desinenza –au (purtau, iucau) o con –ò (purtò,iucò); Per il condizionale del verbo essere ci sono varie forme derivate dal latino fueram: fora, forra, furra; ma oggi sono più utilizzati fussi e sarìa; L’uso di alcuni nomi con il plurale in –ura (tettura,tetti) è scomparso; resta vivo il plurale in –a (li tetta) e va diffondendosi quello in –i. Questi sono i casi di trasformazione nel tempo legati anche alle condizioni sociali dei parlanti; in certi casi le differenze si dispongono nitidamente nello spazio geografico. Ad esempio è davvero singolare la presenza del latino ‘est’ in due piccole aree opposte (Trapani, Marsala, Messina). Nella Sicilia centro-orientale abbiamo il suffisso diminutivo –ittu, invece di –iddu e –uzzu. L’articolo determinativo si può avere nelle forme arcaiche (lu,la,li  Sicilia occidentale) o nelle forme ridotte (u,a,i  Sicilia centroorientale). Le forme per quello indeterminativo davanti a consonante sono un, nu,n,nun. Può accadere che l’articolo si salda al nome sino a non essere più distinto da esso (l’apel’apalapa). Si può avere anche il caso opposto, cioè , la vocale iniziale viene scambiata per articolo e separata dalla parola a cui appartiene (l’estatel’astati = la stati/ a stati). L’influsso del francese medesme (même) si coglie nella forma “midemma” = anche , nella Sicilia centrale. Nel caso di “andiamo” possiamo osservare differenze cronologiche e territoriali: “imu”  dal latino imus, maggiormente radicata intorno a Caltanissetta ed Enna; “emu,iemu”  Sicilia occidentale e orientale (Messina); “iamu”  Estesa nella Sicilia centrale a partire da Palermo; “annamu, andamu”  tipica dell’area intorno a Messina. La congiunzione “mi” può essere usata per esprimere un desiderio o un’intenzione, ma può anche introdurre un imperativo o sostituire un infinito (vonnu mi vegnu: vogliono che io venga; ci dissi mi veni: gli disse di venire). I nomi maschili al singolare terminano in –u o –i, quelli femminili in –a o –i. I plurali terminano sempre in –i. Possiamo notare alcune differenze di genere. Rispetto all’italiano “lebbru (m) – lepre (f)” . Anche dente e sale possono presentarsi nella forma femminile ( lo Sali, la denta). Tra i derivati con suffisso i nomi terminati in –uni esprimono un diminutivo (scaluniscalino); gli accrescitivi si formano con –azzu (buffazza) che può anche formare i peggiorativi ( fimminazza). Gli aggettivi hanno desinenza –a –u –i e al plurale è sempre –i. Per i comparativi si hanno le forme “cchiù…di” / “cchiù picca” / “megghiu≠pegghiu”. Il superlativo non ha un suffisso particolare ma può essere reso in vari modi  è beddu assai / è veru beddu o con il raddoppiamento dell’aggettivo nerissimo= niuru niuru. I pronomi ‘noi’ e ‘voi’ hanno diverse forme: nuatri,nuantri (tipico nissena), natri, nautri / vuatri, vatri, vuantri, vantri. a me, a te  a mmia, a ttia mi, ti, gli  mi, ti, cci (ma nel riflessivo abbiamo ‘nni’) Quando ci si rivolge ad una persona per la quale si mostra rispetto si può usare il ‘vu’ oppure ‘vossia’, ‘vossignoria’. Sono però forme sempre meno usate. Per il possessivo abbiamo: me, to, so, nostru,vostru,so (o anche mo/ma, to/ta, so/sa). Quando segue il nome possiamo avere ‘lu patri me, to, ecc..’. Il pronome relativo è chi o ca (chiddu chi voi), cu (cu mania..) sempre presente nella forma interrogativa (cu è?). I dimostrativi sono chistu o chissà e chiddu (st/ssu/ddu = forme abbreviate). La prima persona plurale dei verbi in –iri può mutare desinenza in base alle zone (nesciriniscinu,niscemu)-inu dal latino, -emu probabilmente dal gallo italico, aiu = ho può alternarsi con ê; in alcune parlat...


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