Imprese per la gola - Luca Storti PDF

Title Imprese per la gola - Luca Storti
Author Francesco Laugero
Course Sociologia dei processi migratori
Institution Università degli Studi di Torino
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Riassunto completo de "Imprese per la gola" di Storti L....


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CAPITOLO 1 Immigrati imprenditori 1.1 Un dilemma concettuale: imprenditorialità immigrata, imprenditorialità etnica Possiamo identificare due famiglie di studi sugli imprenditori: la prima analizza i fattori socio-economici che ne condizionano l’agire; la seconda evidenzia i tratti significativi della loro personalità. I casi che indagheremo sono un settore a bassa innovazione. Attribuiamo all’idea di imprenditore: titolare di un’attività economica dotata di un certo grado di autonomia operativa. 1.1.1 Imprenditori etnici Le imprese immigrate sono classificate secondo due variabili: in base alla loro collocazione sul mercato; e in relazione al tipo di prodotto. Vengono identificate 4 tipi di imprese ( TABELLA PAG. 24 ). I casi della nostra indagine sono etnici in base al prodotto. Possiamo identificare 3 configurazioni tipiche di attività economiche immigrate: le imprese NON ETNICHE, quelle INTEGRALMENTE ETNICHE e quelle che non sono riconducibili. Gli autori prendono in considerazione non solo il mercato di sbocco, ma anche gli intermediari e i fornitori. 1.2 Tornano in scena le piccole e medie imprese Il processo di (ri)emergenza della piccola impresa coinvolge anche gli immigrati. Per spiegare le cause di tale fenomeno, alcuni studi hanno posto l’attenzione sull’OFFERTA, cercando di delineare le risorse di gruppo o individuali, a cui gli immigrati attingono nel momento in cui intraprendono un’attività autonoma. Altri si sono concentrati sulla DOMANDA, dunque sulle condizioni strutturali presenti nel mercato. 1.3L’offerta Il GRADO ZERO degli studi incentrati sull’offerta spiega la PREDISPOSIZIONE ALL’IMPRENDITORIALITA’ -> un patrimonio valoriale proprio della loro cultura. Altre interpretazioni: - TEORIA DELLO SVANTAGGIO -> la transizione degli immigrati al lavoro indipendente è una reazione alle discriminazioni; - ECONOMIA D’ENCLAVE -> un raggruppamento spaziale d’imprese ubicate in prossimità di una collettività immigrata. 1.3.1 Alla luce della nuova sociologia economica: l’imprenditoria come materia di EMBEDDEDNESS Alla base vi è il concetto di EMBEDDEDNESS, secondo cui “ l’azione economica è sempre socialmente situata e non può essere spiegata unicamente in riferimento a motivazioni individuali “. In genere, gli immigrati detengono network connotati a livello etnico. Secondo Putman, gli immigrati dispongono di BONDING SOCIAL CAPITAL, una risorsa esclusiva che funziona da collante sociale tra i membri di un gruppo; ma non hanno BRIDGING SOCIAL CAPITAL, tipico di quei legami-ponte che connettono tra loro i membri di gruppi diversi. Il possesso di buone risorse di capitale sociale è utile per: a) reperimento del capitale di partenza; b) conseguimento informazioni riguardanti il mercato; c) assunzioni dei dipendenti. I gruppi immigrati caratterizzati da reti di questo tipo possono “ intrappolare “ i membri all’interno di determinati settori di lavoro, limitando la possibilità di carriere professionali. Non è possibile descrivere le reti come una risorsa o come un vincolo. 1.3.2 Un quadro di sintesi sulla base del capitale sociale Portes e Sensenbrenner identificano 4 tipi di capitale sociale ( TABELLA PAG. 29 ). Più utili alle nostre finalità sono le dotazioni di capitale sociale riconducibili al secondo e al quarto tipo, poiché veicolano risorse maggiormente coinvolte nei processi economici. Il capitale sociale di secondo tipo trova un riferimento nella teoria dello scambio. Il capitale sociale di quarto tipo si basa sulla distinzione tra razionalità formale e sostanziale. La prima è tipica degli scambi aperti, la seconda implica obbligazioni particolari. L’appartenenza a determinati gruppi genera comportamenti stabili. 1.4 La domanda L’imprenditorialità immigrata è l’esito di un processo d’adattamento a quei cambiamenti economici che generano una struttura delle opportunità favorevole alle attività autonome. La demercificazione implica maggiori protezioni sociali per il lavoro dipendente, facendone aumentare il costo e favorendo la concentrazioni di alcune attività in grandi unità produttive. Le unità produttive che non riescono a

raggiungere le dimensioni necessarie offrono opportunità alla piccola impresa. Le imprese immigrate sono tra le più pronte a raccogliere questa chance. È stato messo in luce che gli immigrati si dirigono negli ambiti in cui la regolamentazione è meno rigida. 1.5 Interazione: offerta e domanda Autori ritengono che nell’analisi delle transizioni al lavoro autonomo sia stato sovrastimato il peso delle risorse dei gruppi immigrati a scapito delle altre componenti. Waldinger, Aldrich e Ward propongono un modello d’analisi che definiscono interattivo, basato su due elementi: a) le CARATTERISTICHE DEI GRUPPI IMMIGRATI: cioè le loro strutture reticolari; b) le OPPORTUNITA’ STRUTTURALI, che attengono ai vincoli socio-economici del contesto. Alla luce dell’INTERAZIONE tra queste due dimensioni, i gruppi immigrati costruiscono le loro STRATEGIE ETNICHE. Kloosterman e Rath, invece, affermano che l’imprenditorialità immigrata è caratterizzata da una forma doppia di EMBEDDEDNESS: la prima riguarda lo specifico network sociale in cui è inserito il potenziale imprenditore immigrato, la seconda il funzionamento dei mercati e la struttura delle opportunità. Kloosterman e Rath identificano le risorse degli immigrati utili per le azioni economiche. Essi raramente introducono innovazioni tali da modificare i fattori produttivi. 1.6 Una sintesi e alcune considerazioni generali Appare evidente la complessità del fenomeno, che deriva innanzitutto dalla sua diffusione. L’imprenditorialità immigrata è considerabile come l’esito di una rete di causazioni. Possono concorrere molteplici fattori che a livello empirico esercitano un effetto differente da caso a caso. I fattori proposti per spiegare lo sviluppo dell’imprenditoria sono classificabili in funzione dell’oggetto di riferimento, disponendosi lungo a un CONTINUUM individuo/contesto, dunque da un livello micro a uno macro. A livello micro, intendendo come unità d’analisi l’attore,, si sottolineano le motivazioni individuali. A livello meso, l’attenzione viene posta ai gruppi di immigrati e alle loro dotazioni di capitale sociale. A livello macro, l’oggetto di analisi è la struttura delle opportunità, dunque le caratteristiche della legislazione vigente. L’idea è cercare di coniugare differenti livelli d’analisi. Un altro tema riguarda i processi di mobilità sociale a cui darebbe luogo la transizione degli immigrati al lavoro indipendente. In altri termini, si tratterebbe di vedere se gli immigrati che acquisiscono una posizione stabile nel mercato del lavoro autonomo diventano parte del ceto medio o se vanno a riempire le fila di una nuovo “ ceto marginale “. 1.7 Emigrare, ma perché? Possiamo identificare le cause principali delle migrazioni nella sfera economica e in quella politica dei paesi d’origine: povertà diffusa e mancanza di lavoro; persecuzioni; presenza di regimi oppressivi. In modo speculare, dobbiamo tenere conto anche del ruolo dei paesi d’accoglienza. Alcuni demografi hanno proposto una distinzione tra fattori di spinta ( PUSH FACTORS ) e fattori d’attrazione ( PULL FACTORS ). Teoria di Piore -> mette in relazione il fabbisogno di manodopera immigrata con il funzionamento del mercato del lavoro, al cui interno si crea un dualismo tra i lavori cui corrisponde uno STATUS sociale elevato e un buon ritorno economico e quelli caratterizzati da guadagni bassi e scarso prestigio sociale. Tale frattura provoca un doppio mercato del lavoro: il PRIMARIO, appannaggio dei lavoratori più dotati di risorse e il SECONDARIO, in cui confluiscono i lavoratori disposti a svolgere mansioni a salario ridotto. Questi ultimi sono sempre meno numerosi tra gli autoctoni. Sulla base di un calcolo costi/benefici si decide di emigrare se il differenziale salariale tra il paese di destinazione e quello di provenienza è positivo. Le migrazione sono anche EMBEDDED in strutture sociali: la presenza di contatti precedentemente immigrati ( network ) forniscono risorse appropriabili. A tal proposito, si parla di catene migratorie, intendendo un tipo particolare di migrazioni fortemente mediate dalle reti. 1.8Sull’integrazione L’integrazione è un processo dinamico che concerne l’avvicinamento tra due gruppi. Una prima questione attiene al VERSO di tale avvicinamento: unilaterale ( adattivo ), bilaterale ( scambio culturale ). Prevale un’idea di integrazione che mette in risalto la componente di scambio tra gli immigrati e la società ospitante. L’integrazione è considerabile come un equilibrio modificabile tra ritenzione culturale e apertura alla società d’accoglienza tollerando la preservazione di legami con la cultura d’origine. Possiamo definire l’integrazione come un’interazione positiva che attiene alle sfere della vita sociale, culturale, politica ed economica, fondata sulla parità tendenziale di trattamento.

È stato avanzato il concetto di ACCULTURAZIONE SELETTIVA, con cui si fa riferimento al fatto che gli immigrati possano assumere alcuni tratti della cultura dominante. CAPITOLO 2 Emigrazione italiana in Germania L’emigrazione italiana in Germania è articolata in tre grandi flussi: i primi due sono riconducibili alla fase delle migrazioni liberali, il terzo a quella fordista. I tre movimenti migratori hanno avuto un impatto diverso sul paese di destinazione: i primi infatti “ non lasciano quasi tracce né nella cultura materiale, né nella coscienza dei contemporanei “, mentre il più recente ha influenzato profondamente la società tedesca, contribuendo alla formazione di una memoria comune. 2.1 Quadro storico 2.1.1 In Germania prima della Grande Guerra L’emigrazione di cittadini tedeschi verso altri paesi si protrae fino al termine del XIX secolo. Inoltre, con l’inizio del secolo ha luogo una fase di espansione economica che crea i presupposti per la richiesta di nuova forza lavoro; ne deriva che a partire dai primi anni del Novecento la Germania diventa luogo d’immigrazione. L’emigrazione in Germania è caratterizzata da una permanenza a termine: gli emigrati si fermavano per un periodo di tempo limitato. 2.1.2 Tra le due guerre La successiva ondata d’immigrati italiani si registra nella seconda metà degli anni Trenta. Tanto la prima si era sviluppata in modo spontaneo, quanto la seconda è programmata e controllata dai due Stati sancita dall’Asse RomaBerlino. Costretti a sostenere non pochi sforzi per aiutare l’italia, i tedeschi richiedono come contropartita la possibilità di ricorrere maggiormente alla manodopera proveniente dal nostro paese. Nei primi mesi del 1941 la Germania domanda altri 150.000 lavoratori. A tutto il 1942, gli italiani che lavorano nell’industria tedesca sono più di 270mila. 2.1.3 Dopo la guerra L’emigrazione veniva intesa come una valvola di sfogo per le tensioni sociali che derivavano dallo squilibrio tra pressione demografica e risorse. Con il trattato d’accordo bilaterale tra Italia e Germania per lo scambio di manodopera, siglato nel 1955, questo paese diventa la destinazione più ambita. Le autorità tedesche decisero di affiancare alla commissione un’altra via di reclutamento, consentendo di rilasciare permessi di lavoro agli italiani entrati in Germania con il semplice visto turistico, fermo restando che fossero adatti al lavoro. Gli italiani, a partire dal 1962, godevano della progressiva liberalizzazione degli accessi: potevano cambiare lavoro in cerca di uno migliore, rientrare in Italia, ecc. Il legislatore tedesco favoriva il PRINCIPIO DI ROTAZIONE, che prefigurava un soggiorno limitato nel tempo da parte del lavoratore straniero e il continuo arrivo di nuovi immigrati che dovevano rimpiazzare i VECCHI. 2.1.4 Gli erranti Da dati possiamo ricavare che: a) rispetto al totale degli ingressi, solo il 12% degli italiani ha dato vita a una permanenza in Germania stabile; b) l’emigrazione italiana è stata caratterizzata da consistenti fenomeni di spostamento tra i due paesi. L’emigrazione italiana in Germania è stata significativamente influenzata dall’andamento ciclico dell’economia tedesca. Dai dati disponibili non si può evincere quanto sia estesa la quota dei rientri temporanei e quanto lo sia quella dei rientri definitivi. È altresì ipotizzabile che il fenomeno del PENDOLARISMO MIGRATORIO sia stato tra gli italiani particolarmente esteso. Si afferma che il mancato sviluppo di progetti migratori di lungo periodo abbiano comportato per le seconde generazioni una serie di difficoltà d’inserimento. Possiamo concludere che il pendolarismo sia stato una risorsa per le prime generazioni, ma un vincolo per le seconde. 2.1.5 Gli stanziali L’autore scompone il processo in 4 fasi: la prima è caratterizzata da flussi contenuti, dominati dalla presenza di giovani celibi. Col passare del tempo la composizione demografica del gruppo diviene più eterogenea ( seconda fase ):

prende parte all’emigrazione un numero maggiore di persone sposate. Con la terza fase, il riequilibrio demografico in termini di presenza uomo/donna si fa più evidente. Infine, la quarta fase segna la maturità del processo: gli immigrati iniziano a vedersi come cittadini del paese e si attivano per la formazione di “ istituzioni etniche “. Alla luce di tale modello possiamo sostenere che un numero consistente di italiani abbia procrastinato un tipo di presenza in Germania paragonabile alla fase uno, vista l’assenza di stabilizzazione; altri, non hanno avuto accesso alle fasi tre e quattro del processo. Per alcuni si verifica un cambiamento anche nella collocazione occupazionale. In questa fase si verificano le prime esperienze imprenditoriali, concentrate soprattutto nel settore della ristorazione. In sintesi, l’attuale presenza degli immigrati italiani nel mercato del lavoro tedesco è contraddistinta da 3 categorie di lavoratori: la prima è costituita dagli immigrati tradizionali; la seconda da quelli di seconda e talora di terza generazione; la terza dagli immigrati più recenti. 2.2 Italiani in Germania oggi Gli immigrati ammontano circa all’8,8% sul totale. Il tasso d’incidenza degli italiani sulla popolazione immigrata è apri al 7,5%. In sintesi, la presenza locale degli italiani risente di 2 ordini di fattori: un primo attiene alla continuità geografica, con una preferenza per le zone di sud-ovest; il secondo riguarda le modalità storiche di reclutamento. I gruppi immigrati presentano nella gran parte dei casi un’età media inferiore a quella degli autoctoni, con una prevalenza di individui che hanno tra i 15 e i 34 anni. Il flusso delle migrazioni di massa si è arrestato da tempo, creando le condizioni per l’invecchiamento della popolazione. 2.3 Italiani, lavoro, lavoro autonomo A tutto il 2004, si poteva stimare il numero di lavoratori autonomi immigrati intorno alla cifra di 297mila. Circa 45mila italiani. Il tasso d’imprenditorialità degli italiani si mantiene saldamente al di sopra non solo di quello autoctono, ma anche di quello medio immigrato. Notiamo un consistente trend di crescita del tasso nei primi anno ’90. Il mercato del lavoro tedesco è caratterizzato da un’accentuata regolazione dei regimi lavorativi, che consente elevati standard di efficacia e una quota bassa di attività informali. Anche l’accesso al lavoro indipendente risulta essere altamente regolato: è difficili trovare un settore di lavoro autonomo a cui si può accedere senza alcun prerequisito formativo. La proporzione degli autonomi italiani attivi nella gastronomia è superiore di più di 30 punti in percentuali rispetto a quella media degli autonomi immigrati di altra nazionalità. La percentuale di autonomi italiani che ha dipendenti è più alta della percentuale degli autonomi tedeschi. CAPITOLO 3 Casi, disegno, contesto: la ricerca 3.1 Perché proprio loro? Ovvero, breve storia della nascita della ricerca Innanzitutto, abbiamo già messo in luce che l’imprenditorialità immigrata raggiunge livelli elevati soprattutto nei contesti metropolitani. Di qui la decisione di svolgere la ricerca su gruppi d’imprenditori attivi in una città. Abbiamo scelto Francoforte come area dell’indagine perché alcune sue caratteristiche lasciavano suppore che fosse un contesto adeguato a osservare l’imprenditorialità immigrata. Sappiamo che molti connazionali hanno fatto della cucina nostrana una risorsa. Si prospettavano due alternative: potevamo mantenere l’impianto logico originale della ricerca, che comportava uno studio dell’imprenditorialità italiana in generale. Oppure, potevamo cercare un nuovo criterio di pertinenza per l’identificazione del secondo caso: per esempio, dare al lavoro un taglio più circoscritto. La logica era di andare alla ricerca di STATI diversi sulle PROPRIETA’ rilevanti per le nostre finalità analitiche. È apparso evidente che la presenza italiana nel settore della ristorazione si concentra in due gruppi, pizzerie e gelaterie. E’ apparsa fondata l’idea che pizzaioli e gelatieri fossero identificabili come due casi polari o opposti. Essi funzionano per mettere a fuoco: a) progetti migratori differenti; b) modelli antitetici d’inserimento nel mercato del lavoro e di transizione al lavoro autonomo. Pizzaioli e gelatieri hanno avuto origine da migrazioni diverse. 3.2 Il disegno

Abbiamo fatto in primis una scelta di prospettiva in favore dell’individualismo metodologico, intendendo con ciò ogni fenomeno sociale come il risultato di un insieme di azioni, credenze, atteggiamenti individuali. Abbiamo studiato i nostri imprenditori considerandoli come attori razionali. Pertanto, abbiamo cercato di portare alla luce: a) come il diventare imprenditore si collochi nelle traiettorie biografiche; b) in quale modo questi imprenditori compiano le scelte fondamentali del “ fare impresa “. Si è cercato di massimizzare l’attenzione agli aspetti pertinenti ed endogeni ai due gruppi, lasciando sullo sfondo quelli esogeni e di contesto. La ricerca si dispiega lungo tre fronti: a) mostrare se le differenze riscontrate nella fase preliminare dell’indagine sono rintracciabili a livello empirico; b) elaborare una fenomenologia esaustiva delle forme d’imprenditorialità; c) spiegare come i due gruppi immigrati abbiano prodotto tali diverse forme d’imprenditorialità. La nostra idea è che esse possano venire interpretate come una funzione di tre ordini di componenti: a) i progetti migratori degli attori; b) le caratteristiche intrinseche dei prodotti; c) lo stock di risorse differenziali. Cerchiamo ora di rendere operativi questi concetti da un punto di vista empirico ( SCHEMA PAG. 75-76 ). 3.3 Il contesto: italiani, gelaterie e pizzerie nello spazio urbano Prendiamo in considerazione la presenza di una data popolazione immigrata all’interno di un perimetro cittadino. Gli studi distinguono situazioni si SEGREGAZIONE RESIDENZIALE e DISPERSIONE. Il fenomeno è rilevante anche in relazione alle attività economiche. Possiamo notare che i quartieri del primo insediamento non sono diventati dei centri di attrazione per gli immigrati italiani. Al contrario, hanno prevalso le “ forze centrifughe “, fino a dar luogo a una significativa DISPERSIONE. Il parametro conferma che sono identificabili alcune aree urbane in cui la presenza della popolazione italiana è più marcata che altrove. A questo punto, è utile ampliare il fuoco della nostra analisi, osservando se esistono “ schemi di distribuzione residenziale che comportano una maggiore mescolanza o separazione “ dei diversi gruppi immigrati presenti in città. A tal fine, facciamo uso di due indicatori sintetici: l’INDICE DI SEGREGAZIONE e l’INDICE DI DISSIMILARITA’ RESIDENZIALE. TABELLA PAG. 81 . Dalla tabella constatiamo che i gruppi immigrati presi in considerazione registrano valori bassi su entrambi gli indici. Francoforte presenta scarse barriere residenziali ed è priva di zone connotate fortemente dall’insediamento dell’uno o dell’altro gruppo immigrato. Proviamo a vedere se la distribuzione di pizzerie e gelaterie è correlata con la distribuzione degli italiani. Gli italiani sono insediati nelle diverse aree urbane sulla base di schemi residenziali compatibili con quelli autoctoni. CAPITOLO 4 Dal lavoro dipendente al lavoro autonomo: il caso dei pizzaioli 4.1 Da dove vengono La gran parte degli immigrati è originaria del Mezzogiorno. Cechiamo di seguire i pizzaioli nelle tappe essenziali della loro vita. Individuiamo due categorie d’imprenditori: i PIONERI, ovvero i casi che si sono inseriti dappri...


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