Infanzia Le categorie dello spazio e del tempo nell\'apprendimento infantile ridotto PDF

Title Infanzia Le categorie dello spazio e del tempo nell\'apprendimento infantile ridotto
Author Laura Gasperoni
Course Pedagogia speciale per l'inclusione
Institution Università di Bologna
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Le categorie dello spazio e del tempo nell’apprendimento infantile Patrizia Sandri Docente Associato di Pedagogia Speciale - Università di Bologna [email protected] Le dimensioni spaziale e temporale sono alla base di tutte le conoscenze, ma soprattutto della formazione dell’identità del bambino. Si propone una prima riflessione su quali rappresentazioni e operazioni cognitive possano essere sollecitate in una scuola dell’infanzia attenta all’integrazione e all’inclusione di ognuno.

Le dimensioni spaziale e temporale sono connaturate alla nostra esistenza, alla base di tutte le conoscenze, ma soprattutto alla base della formazione dell’identità del bambino. Intese come sistemi di orientamento possono essere considerate, al pari del linguaggio e della tecnologia, strumenti intellettuali fondamentali per adattarsi al proprio sistema sociale e naturale. Una riflessione sulle abilità necessarie per padroneggiarle è dunque essenziale, e questo soprattutto quando si abbia cura dell’apprendimento di bambini con deficit, come del resto prevedono anche le recenti Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del Primo ciclo di Istruzione (2012) quando ribadiscono la necessità di impostare percorsi didattici che aiutino il bambino a maturare una consapevolezza di sé nel suo interagire nei diversi contesti spaziotemporali, a formarsi una identità ricca di esperienze rielaborate in narrazioni. Esse individuano tra le competenze fondamentali da perseguire quelle relative al far sì che il bambino sappia collocare le azioni nel tempo della giornata e della settimana; riferire correttamente eventi del passato recente; dire che cosa potrà succedere in un futuro prossimo e immediato; individuare le posizioni di oggetti e persone nello spazio; seguire correttamente un percorso sulla base di indicazioni verbali,... La dimensione temporale, in quanto sfuggevole alla percezione, necessita di un pensiero di tipo rappresentativo – relazionale (Piaget, 1946; Ferreiro, 1971; Friedman, 1982) che sembra richiedere maggiori abilità dal punto di vista cognitivo per essere padroneggiato rispetto alle principali relazioni spaziali, fondate su esplorazioni percettive, soprattutto di tipo visivo, e motorie nell’ambiente (manipolazione di oggetti, locomozione, …). Il tempo infatti non si percepisce direttamente, ma solo indirettamente tramite i cambiamenti che osserviamo in noi, negli altri, nelle cose. Non è un caso che molti bambini della scuola dell'infanzia, alla richiesta di spiegare che cosa sia il tempo, sentano la necessità, per così dire, di “concretizzarlo”, associando il termine prevalentemente a sensazioni o a fenomeni meteorologici («è quando fa freddo», «è quando piove», ecc.). Si tratta di guidarli gradualmente a distinguere la percezione soggettiva delle successioni e della durata degli eventi dalla loro misurazione, riflettendo sui termini e sugli strumenti usati per ingabbiare, “matematizzare” il tempo. Devono cioè imparare a distinguere, naturalmente in modo diverso a seconda dell’età e delle possibilità logiche e linguistiche di ognuno, il tempo psicologico da quello biologico e da quello convenzionale. Per quanto riguarda il concetto di spazio, utile da un punto di vista didattico è riflettere sulla distinzione tra lo spazio del corpo, legato alla presa di coscienza dei movimenti e alla costruzione dello schema corporeo, la rappresentazione di spazi ambientali (la casa, la città, la scuola …) e lo spazio astratto, studiato dalla geometria all’interno della sistemazione tipica della matematica occidentale. Ogni aspetto riguarda esperienze strettamente interrelate con gli altri, ma diversi sono i modi di esplorazione e le attività cognitive implicate (Bartolini Bussi, 1992, p.66). Le modalità di esplorazione, per esempio, sono diverse a seconda che il bambino analizzi dall’esterno un piccolo spazio, mediante la vista o la manipolazione, oppure esplori uno spazio più esteso come quello di un parco, in cui egli è incluso e che può dominare, giungendo all’elaborazione di una rappresentazione globale, solo mediante l’attivazione integrata di più processi quali l’assunzione di punti di vista diversi, il movimento, la percezione di suoni, la memorizzazione e il confronto dei dati.

Spazio Tempo Identità Per Jean Piaget lo spazio e il tempo sono “nozioni” intellettuali che il bambino costruisce attivamente, passando da una prima fase di completa indifferenziazione tra i due parametri ad una loro graduale distinzione. E questo processo avviene parallelamente sia al costituirsi della rappresentazione di un mondo esterno ordinato (ed in relazione diretta e complementare allo sviluppo delle nozioni di oggetto e causalità) sia alla conquista sempre più consapevole della propria identità (Piaget J., 1946; Piaget J., Inhelder B., 1947). Accanto all’esperienza motoria e all’acquisizione della capacità di rappresentarsi le azioni prodotte da lui stesso o dagli altri, è importante considerare tuttavia anche l’influenza esercitata dall’interazione sociale, dall’educazione e dalla partecipazione al mondo simbolico e culturale degli adulti nel sollecitare il bambino ad uscire progressivamente dal proprio egocentrismo e ad imparare a collocare gli eventi in un flusso temporale continuo e in uno spazio oggettivo (Bruner J., 1976). Questo processo può risultare compromesso o difficile da sviluppare nei bambini con deficit, in particolar modo se non si interviene in modo precoce e competente. La ricezione di rumori e suoni, per esempio, costituisce una delle prime esperienze astratte del bambino, perché gli permette di concepire l'esistenza di qualcosa a prescindere dalla sua presenza. Quando il bambino ascolta la voce della madre o sente il rumore dei suoi passi che si avvicinano, ne recepisce la presenza pur non vedendola e le informazioni uditive gli consentono di individuare la direzione da cui lei sta parlando e la distanza che la separa da lui. Attraverso queste esperienze egli può gradualmente elaborare il significato di attese più o meno prolungate e fondare le basi dell’organizzazione spazio-temporale. Un bambino che, a causa del deficit uditivo, non riesca a recepire tali messaggi, può vivere con ansia l'attesa della madre, non potendo percepirne l'esistenza se non quando sarà presente. L'ansia connessa a queste esperienze può avere un’influenza negativa sullo sviluppo della sua capacità rappresentativa, con conseguente difficoltà a comprendere la scansione degli eventi e a organizzare il proprio patrimonio di esperienze. Nel caso di un bambino cieco dalla nascita o dai primi mesi di vita, l’elaborazione cognitiva dello spazio, la percezione di sé in rapporto all’ambiente circostante, la formazione delle rappresentazioni mentali e l’espressione dei termini relativi possono risultare ritardate o inadeguate a causa di carenti sollecitazioni percettive, rappresentative e di autonomia motoria. Lo stesso uso del senso del tatto, vicariante la vista, come canale privilegiato per cercare di dare un significato alla realtà, necessita di “un intervento mirato e paziente che conduca il bambino all’uso appropriato delle proprie mani e soprattutto alla capacità di decodifica delle informazioni tattili ricevute, partendo dalla conoscenza di sé e del proprio corpo per arrivare alla conoscenza dell’altro da sé”. (Caldin R., 2006, p. 41) Sapersi orientare rispetto al proprio corpo, farsi una rappresentazione del proprio schema corporeo e di sé in relazione agli altri e agli oggetti sono abilità di base per orientarsi nello spazio, e, per essere potenziate, devono accompagnarsi all’assunzione da parte del bambino cieco di un atteggiamento attivo di ricerca nel proprio ambiente e di immaginazione degli oggetti, delle relazioni tra di essi e degli spazi. L’influenza dell’organizzazione spaziale e temporale dei contesti di vita Gli ambienti di vita, intesi anche nella loro organizzazione di spazi e di tempi, rivestono un ruolo centrale nel determinare la strutturazione delle esperienze e conoscenze, nonché dell'emotività del bambino stesso, come studi ormai classici hanno evidenziato. Secondo queste ricerche i fattori spazio-temporali contestuali incidono sullo sviluppo rappresentativo e mentale del bambino che elaborerebbe una prima concettualizzazione pre-linguistica del mondo sotto forma di script. Il termine script è stato introdotto da Schank e Abelson (1977) per indicare una sceneggiatura che descrive sequenze di eventi ricorrenti e familiari in un determinato contesto, come quelle relative ai momenti della preparazione e dell’assunzione del cibo, del bagno o del dormire,..., e che verrebbe interiorizzata dal bambino partecipando agli eventi sociali, ascoltando e osservando il comportamento degli altri, senza condividerne necessariamente gli obiettivi (egli può dunque rappresentarsi gli eventi in modo diverso e incompleto), ma fornendogli la prima possibilità di fare

previsioni su ciò che sta per accadere e di cominciare a comprendere una realtà già organizzata spazio – temporalmente. Sia per l'adulto sia per il bambino, gli script permettono di gestire in modo automatico, economizzando cognitivamente, situazioni conosciute e di dedicarsi soltanto agli eventuali aspetti problematici della questione (variazioni di routine,...). Il bambino tuttavia ha meno capacità dell’adulto di essere flessibile rispetto ai cambiamenti nella sequenza spazio-temporale delle azioni e il suo repertorio di script è meno ampio, per cui è continuamente impegnato ad elaborare nuovi script o ad ampliare, generalizzandoli, quelli già appresi. Le esperienze nuove possono contribuire a formare in lui il senso della sicurezza e della fiducia in sé, ma solo se adeguatamente preparato ad esse. All’inizio del suo inserimento al nido o alla scuola dell'infanzia, per esempio, il bambino si trova in un ambiente ancora non familiare e di cui non può ancora condividere alcun script; questa mancanza di condivisione può fare emergere in lui atteggiamenti egocentrici e difficoltà di negoziazione. È a partire da considerazioni analoghe che si cerca di tutelare il momento di inserimento del bambino in tali contesti, chiedendo inizialmente ai genitori di fornire con la loro presenza “l'elemento di continuità” rassicurante. La progressiva conoscenza delle azioni abitudinarie quotidiane, che costituiscono il quadro organizzativo della giornata, fornisce la possibilità di anticipare e dominare almeno gli avvenimenti più comuni. Per questo motivo è assolutamente necessario rendere noto ai bambini, con modalità adeguate alla loro età e alle loro caratteristiche cognitive, lo svolgimento della giornata a scuola e sollecitarli per quanto possibile ad essere partecipi della sua programmazione, come Richterman ha avuto occasione di sottolineare: «Già in età prescolare i bambini devono imparare ad orientarsi da soli nel tempo:... avvertire la sua durata per regolare e pianificare la propria attività, mutare il ritmo delle proprie azioni in dipendenza del tempo che si ha a disposizione. La capacità di regolare e pianificare nel tempo l'attività rappresenta la base per sviluppare qualità della personalità come la capacità di organizzarsi, la concentrazione, la finalità, la precisione che sono indispensabili al bambino sia per l'apprendimento a scuola che per la vita quotidiana» (Richterman, 1982, p.1). La capacità di compiere previsioni del resto è di importanza fondamentale per la formazione di una personalità autonoma e volta alla progettualità. Il raggiungimento di tali competenze è particolarmente rilevante per bambini con deficit intellettivo, uditivo profondo o con sindrome autistica, i quali avendo maggiori difficoltà a individuare e a collocare spazio-temporalmente gli avvenimenti che si succedono nella giornata possono vivere con molta ansia e un senso di estraneità nell’ambiente in cui sono integrati. Conoscere o, ancor meglio, se è possibile, partecipare all'organizzazione della giornata e degli spazi permette invece al bambino di vivere in prima persona, di sperimentarsi nella capacità di compiere scelte, di confrontarle con gli altri, di condurle a termine e di rispettare le regole condivise. La rievocazione, al termine delle attività, di quanto è stato svolto sollecita il ricorso a capacità di ricordo, di ordinamento, oltre che di rielaborazione della propria “storia”. Dagli “script” ai racconti La graduale padronanza del linguaggio, e in particolare la comprensione e l’uso di avverbi, preposizioni, locuzioni spaziali e temporali, la progressiva conoscenza dei sistemi di tempo convenzionale relativi al calendario e all’orologio permettono al bambino di proiettarsi oltre il “qui” ed “ora” vissuto e di esprimere agli altri, anche se lontani, i propri ricordi o i propri progetti con precisione. Al loro ingresso nella scuola dell’infanzia i bambini mostrano di saper rilevare cambiamenti negli oggetti, negli eventi del giorno,…, di comprendere e usare termini quali: sopra - sotto, davanti dietro, vicino,… acquisiti probabilmente per primi rispetto ai locativi temporali come prima, adesso, dopo. Inizialmente questi termini vengono riferiti a situazioni che riguardano direttamente il bambino stesso, per poi, con il progredire dell’età, essere utilizzati in modo più esteso. Tuttavia, come afferma Lovell (ed.it. 1970, p. 86), un bambino può usare termini temporali senza avere la padronanza delle relative strutture logiche (capacità di decentramento, di uso della proprietà transitiva, di

ordinamento lineare e ciclico, di stima e misurazione, …), poiché l’uso è strettamente collegato al contesto esperienziale, alle impressioni e agli stati soggettivi vissuti nel presente. La scuola dell’infanzia può svolgere una funzione essenziale per promuovere la padronanza di questi concetti, in quanto può favorire il pensiero rappresentativo guidando il bambino a un “distanziamento” progressivo dalla situazione in cui si trova coinvolto, sollecitandolo a raccontare, a descrivere, a rappresentare con codici diversi, non esclusivamente orali, e nel rispetto delle caratteristiche cognitive e di apprendimento di ognuno, la propria esperienza presente, passata e a prevedere la futura. Sollecitare il bambino a narrare, soprattutto se ha un deficit intellettivo, è importante perché saper narrare è una capacità molto indicativa rispetto alla potenzialità di apprendimento (Capozzi, Musatti e Levi 1991, pp.179-180). Chiedergli di raccontare quello che sta facendo, di ricordare quello che ha fatto o visto fare precedentemente o quello che intende fare in un prossimo futuro, significa fornirgli un’opportunità di porre in relazione “pezzetti” delle sue conoscenze. L’ascolto delle narrazioni può permettere agli insegnanti inoltre di individuare le abitudini evocative, visive o uditive, del bambino e di intervenire per potenziarle (De La Garanderie, 1987). Si tratta fondamentalmente di impostare percorsi didattici che aiutino il bambino a fornirsi non solo di punti di riferimento per orientarsi nel tempo e nello spazio, ma a formarsi una “coscienza spaziale e temporale”. Dalle rappresentazioni locali alle rappresentazioni globali Il bambino, osservando e interagendo nei contesti sociali di appartenenza, impara a farsi delle rappresentazioni mentali locali, delle mappe cognitive, in cui situa gli ambienti sulla base di dove, quando e che cosa succede. «Con il termine mappa cognitiva - che traduce i due termini inglesi cognitive mapping (processo) e cognitive map (prodotto del processo precedente) – si intende il processo-prodotto di una serie di trasformazioni psicologiche attraverso le quali un soggetto acquisisce, codifica, archivia, ricorda, decodifica informazioni sulle posizioni relative e sugli attributi dei fenomeni nel suo ambiente spaziale quotidiano.» (Bartolini Bussi, 1992, p. 71) Tali mappe sono rappresentazioni dinamiche che conservano informazioni legate alla tridimensionalità degli ambienti; esse possono essere incomplete, distorte, schematizzate, fantasiose, ma sempre ricche di un sostrato emotivo, attitudinale e motivazionale, poiché comprendono anche le aspettative che il bambino elabora riguardo alle persone conosciute o incontrate e i comportamenti adeguati al contesto (White S.H., Siegel A.W., 1984). In caso di cecità precoce è particolarmente necessario sostenere questo processo rappresentativo con interventi educativi e didattici competenti, offrendo ai bambini la possibilità di avvalersi di dati plurisensoriali (tattili, uditivi …) fondamentali per l’elaborazione cognitiva dello spazio, di sentirsi artefici del proprio apprendimento, motivati a muoversi, a conoscere gli oggetti e le persone che li circondano e a rappresentarseli mettendo i dati in relazione tra loro. Per organizzare queste rappresentazioni locali e collegarle tra loro, i bambini devono impadronirsi di conoscenze, di strumenti e di abilità che permettano loro di proiettarle su una griglia spaziotemporale, coordinando luoghi, relazioni, distanze. Da un punto di vista didattico è utile partire dall’osservazione delle modalità d’uso dei termini temporali e spaziali da parte del bambino e dalle relative rappresentazioni spontanee che ha elaborato, per fornirgli l'opportunità di diventarne consapevole e, progressivamente, di costruire schemi mentali sempre più coerenti e complessi. A questo fine molteplici possono essere le attività da proporre; tra queste si ritiene particolarmente formativa la costruzione di un modello tridimensionale degli ambienti scolastici, con scatole di cartone e/o di legno, all’interno del quale far muovere dei pupazzetti, con sembianze simili a quelle di ogni bambino, per giocare a “far finta di muoverci nella scuola”1. Tale gioco permette infatti di sollecitare ognuno sia ad elaborare una visione “decentrata”, dall’”alto e d’insieme” degli spazi a lui familiari, sia a “distanziarsi” dalla 1

Si ringrazia Aurelia Martini per la descrizione della proposta didattica e la documentazione fotografica relativa.

realtà vissuta, in una modalità fortemente connotata da affettività, facendo fare al pupazzo le esperienze percettive e motorie da lui stesso precedentemente compiute. Nella realtà i bambini si ritrovano nel salone della scuola a cantare o a recitare filastrocche, si recano in bagno a lavarsi le mani, giocano in giardino compiendo, come piccoli acrobati, gimcane, percorsi a ostacoli, ...., mangiano in mensa, dormono nei lettini e infine tornano a casa. Successivamente le principali attività della giornata scolastica vengono riprodotte in piccola scala con protagonisti i pupazzetti. I bambini, giocando con questo materiale in miniatura, sono chiamati a ricordare la successione delle azioni da loro svolte precedentemente e ad acquisire così “un “modello” del mondo reale, su cui possono compiere manipolazioni e osservazioni (scelta delle posizioni relative degli oggetti, movimento di tutto l’insieme, cambiamento di prospettiva, ecc.) che facilita la loro concettualizzazione degli spazi e dei tempi reali” (Pontecorvo, Pontecorvo, 1985, pp. 104 – 105).

Riferimenti bibliografici Bartolini Bussi (1992), Lo spazio l’ordine la misura, Juvenilia, Bergamo. Bruner J.S., Olver R.R., Greenfield P.M. (ed.it. 1976), Lo sviluppo cognitivo, Armando, Roma. Caldin R. (2006), Pluridisabilità e vita quotidiana, Ed. Erickson, Trento, 2006. Calidoni P. (2000), Didattica come sapere professionale, La Scuola, Brescia. Canevaro A., Gamberini A. (2003), Esploro il mio corpo e l'ambiente. Giochi e attività per bambini dai due ai sette anni, Erickson, Trento. Capozzi F., Musatti L., Levi G. (1991), I disturbi di apprendimento nel ritardo mentale, in: Cornoldi C. (a cura di), I disturbi dell’apprendimento, Il Mulino, Bologna. D’Amore B., Manini M. (1986), Percorsi, labirinti, mappe, La Nuova Italia, Firenze. De la Garanderie A. (1987), Comprendre et imaginer. Les gestes mentaux et leur mise en oeuvre, Le Centurion, Paris. Donaldson M., Wales R. (1970), On the acquisition of same relational terms, in: J.Hayes, Cognition and the development of language, Wiley, New York, 235-267. Fabbri M. (2005), Educare al nido: memoria, identità e tempo della ripetizione, in: Per una pedagogia del nido: scenari e orientamenti educativi, a cura di P. Manuzzi e A. Gigli, Milano: Guerini scientifica, pp. 61-90. Farné R. (2007), Memoria e saperi, in Agazzi E., Fortunati V. (a cura di), Memoria e saperi. Percorsi transdiscipl...


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