Le parti invariabili del discorso PDF

Title Le parti invariabili del discorso
Author Giovanni Alberti
Course Lingua italiana  
Institution Università degli Studi di Verona
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Morfologia: le parti invariabili del discorso. Sintassi: il periodo ipotetico.

Indice

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Introduzione

3

Le parti del discorso

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Le parti invariabili del discorso: avverbio!

5"

Avverbi qualificativi!

6"

Avverbi determinativi!

6"

I gradi dell’avverbio!

9"

Preposizione o funzionale subordinante!

9"

Congiunzione o funzionale coordinante e subordinante!

10"

Interiezione o esclamazione!

13"

La proposizione condizionale e ……

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…..il periodo ipotetico

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Conclusioni

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Bibliografia

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Introduzione Si ritiene comunemente che ormai tutti si esprimano in italiano e nessuno mette in dubbio che l'italiano sia, oggi, la lingua di tutti gli italiani. Eppure i fatti sembrano contraddire questa convinzione: secondo alcuni ricercatori, l'italiano mai come oggi investirebbe il ruolo di lingua rischio. Se si analizza la situazione sono tre le principali cause della perdita di terreno da nostra lingua nel nostro stesso paese. In primo luogo il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno in aggiunta a quello reale: dati statistici ci informano che sono circa sei milioni di persone che in Italia hanno una conoscenza minima se non nulla della lingua scritta, con conseguenze significative anche sono su quella della lingua parlata. Il secondo aspetto, di per sé positivo, ma che, sulla scorta di quanto appena espresso, crea motivi di preoccupazione per le sorti della nostra lingua, è che circa due milioni di italiani utilizzano lingue minoritarie (tedesco, francese, sardo, friulano, croato, albanese, greco, franco-provenzale, occitano, etc.) e sono moltissimi coloro che fanno uso del dialetto locale nella vita quotidiana. Dato per scontato che la sopravvivenza del dialetto e delle lingue locali sia vitale, essa dovrebbe essere garantita ed andare di pari passo con la capillare diffusione dell'italiano che è uno strumento indispensabile di unità nazionale di comune comprensione. Tertium (questa volta) datur, il fatto che al giorno d’oggi l’ingresso di numerosi termini stranieri sia accettato acriticamente, al punto di sostituire molte espressioni correnti della lingua italiana rendendo difficile, incomprensibile la lingua a chiunque non conosca i termini della lingua letteraria, spingendo nel dimenticatoio i corrispondenti termini italiani sentiti come inadatti ad esprimere concetti mutuati da altre culture. Il seguente approfondimento si propone semplicemente di considerare due aspetti spesso calpestati della grammatica italiana, uno morfologico (le parti invariabili del discorso) e uno sintattico (il periodo ipotetico), nella speranza di chiarirne l'utilizzo e di ridurne le storture applicative nella consapevolezza dell’evoluzione semplificativa che il nostro idioma continuerà a subire.

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Le parti del discorso “La morfologia o studio della forma (dal greco Μορφέ, che significa “forma”, e Λόγοσ che significa “studio”), classifica e descrive le forme delle varie parole e ne analizza le eventuali variazioni a seconda del loro particolare significato e della loro funzione nel discorso.” 1 Sulla scorta di questa autorevole definizione di Marcello Sensini si può tranquillamente osservare che, convenzionalmente e secondo tradizione, le parole della lingua italiana, come oggetto di studio della morfologia, sono ripartite in nove categorie grammaticali, dette parti del discorso. Poiché, fondamentalmente, l’oggetto di studio della morfologia, è la forma delle parole, le nove suddette parti del discorso vengono a loro volta suddivise in due gruppi nettamente distinti: •

Le parti variabili del discorso che sono le parole che possiedono più forme e che, quindi,

variano cambiando le desinenze secondo il significato e le esigenze degli accordi che devono rispettare con le altre parole con cui vengono in contatto e che sono: 1. Articolo 2. Nome 3. Aggettivo 4. Pronome 5. Verbo •

Le parti invariabili del discorso che sono quelle che presentano una sola forma e, quindi

non cambiano mai e che sono: 1. Avverbio 2. Preposizione 3. Congiunzione 4. Interazione. Queste ultime sono oggetto del nostro approfondimento a partire dall’avverbio.

!1 Sensini M., La grammatica della lingua Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pag.35

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Le parti invariabili del discorso: avverbio Il termine avverbio deriva dal latino dotto adverbium (composto di ad che significa presso, e di verbum, che significa parola) che traduce esattamente il greco Έπιρρηµα "parola apposta al verbo”.2 L'avverbio o modificante è la parte invariabile del discorso che si aggiunge a un verbo, a un aggettivo, a un nome o a un altro avverbio per modificarne, qualificandolo o determinando, il significato. L'avverbio ha la funzione specifica di cambiare, determinare, precisare il verbo e le altre parti del discorso cui si riferisce. Il suo impiego più comune, è quello che lo lega al verbo di cui è il modificante per eccellenza. Dal punto di vista sintattico, l'avverbio ha sempre il valore e significato di un complemento circostanziale (di modo, di tempo, di luogo etc.). Perciò esso è quasi sempre sostituibile con il corrispondente complemento: Ad esempio: Il farmaco sta agendo efficacemente ———> con efficacia Vieni qui —————> in questo luogo Per quanto riguarda la loro forma, gli avverbi si distinguono in: •

Primitivi o semplici sono quelli che non derivano da altre parole e hanno perciò una

forma propria come ad esempio: bene, male, qui, là, lì, sempre, mai, oggi, già, si, no, non, forse, poco, meno etc. •

Composti sono quelli che risultano dalla fusione di due o più parole diverse che in origine

costituivano delle locuzioni avverbiali come ad esempio: almeno (al-meno), inoltre (in-oltre), talora (tale-ora), soprattutto (sopra-tutto), lassù (là-su), adagio (ad-agio), talvolta (tale-volta), dappertutto (da-per-tutto) etc. •

Derivati sono quelli che hanno origine da un'altra parola con l'aggiunta di un particolare

suffisso, come ad esempio onestamente che deriva dall'aggettivo qualificativo alla forma femminile singolare onesta più il suffisso -mente; sono forme di avverbi derivati anche quelli che derivano da una parola attraverso una semplice modificazione funzionale della stessa come tutti gli aggettivi usati con funzione avverbiale. Ad esempio: “parlare forte”. •

Locuzioni avverbiali sono gruppi di due o più parole che vengono utilizzate come frasi

fatte e che essendo fortemente legate tra di loro svolgono funzioni di avverbio come esempio: di frequente, a precipizio, alla meno peggio, nei dintorni, di buon’ora, neanche per idea, neanche

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Vocabolario Etimologico Treccani online: www.treccani.it

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per sogno, senza dubbio, a bizzeffe, d'ora in avanti, da queste parti, in un batter d’occhio, di buon grado, per l’appunto, a più non posso, in fretta e furia, fra poco etc. 3 In base al loro significato, cioè in base al tipo di modificazione o di determinazione che esprimono, gli avverbi si suddividono in: •

qualificativi: bene, male, onestamente etc;



determinativi: 1. Di luogo: qui, là, lassù; 2. Di tempo: ora, ieri, sempre, mai; 3. Di quantità: poco, molto, abbastanza, tanto; 4. Di valutazione: davvero, sì, non, neppure, forse; 5. Interrogativi: quando?, perché?. 4

Avverbi qualificativi Gli avverbi qualificativi o di modo indicano il modo in cui si compie una determinata azione espressa da un verbo oppure aggiungono una precisazione qualificativa a un aggettivo o a un altro avverbio. Equivalgono a un complemento di modo e rispondono domanda: come?, in che modo?. A questa categoria appartengono: 1. la maggior parte degli avverbi in -mente: onestamente, velocemente, malignamente, fermamente etc. 2. gli avverbi in -oni: balzelloni, penzoloni, bocconi saltelloni etc. 3. gli avverbi costituiti dalla forma maschile singolare di alcuni aggettivi qualificati usati, appunto, in funzione avverbiale: piano, forte, caro, giusto, chiaro, alto etc. 4. Alcune parole di origine latina che oltre essere sostantivi hanno anche una valenza avverbiale come esempio: bene, male, così, come, volentieri, insieme, cioè, invano.

Avverbi determinativi Gli avverbi determinativi modificano il significato della parola cui si riferiscono determinandolo, cioè precisando una particolare circostanza o situazione che può essere di tempo, di luogo, di quantità, di qualità e simili. •

Avverbi di tempo: Consentono di determinare con precisione il tempo in cui si svolge una

determinata azione. Equivalgono a un complemento di tempo e rispondono alla domanda 3Tresoldi 4Sensini

R., Parlare Scrivere Comunicare meglio, Firenze, Giunti Demetra, 2010, pag 181

M., La grammatica della lingua Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pag.198

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quando? I più comuni sono: ora, allora, adesso, oramai, subito, prima, poi, dopo, poscia, sempre, spesso, sovente, talora, talvolta, ancora, tuttora, finora, già, mai, presto, tardi, ieri, oggi, domani, dopodomani, stamani, etc. Le parole prima e dopo possono essere sia avverbio sia preposizione: sono avverbi quando sono utilizzati per precisare un verbo (es: ne parlerai dopo, prima sostieni un’opinione), mentre sono preposizioni o locuzioni preposizionali quando accompagnano un nome (es: dopo l’esame, debbo finire questo lavoro prima di sera). •

Avverbi di luogo: consentono di localizzare nello spazio un evento, una situazione, una

persona, un oggetto, relativamente a chi parla o a chi ascolta. Nella frase corrispondono ai complementi di luogo e rispondono alla domanda dove? I più comuni avverbi di luogo sono: accanto, addosso, altrove, appresso, attorno, avanti, dappertutto, davanti, dentro, dietro, dinanzi, dintorno, dovunque, fuori, giù, indietro, innanzi, intorno, là, laggiù, lassù, lì, lontano, oltre, ove, ovunque, quaggiù, quassù, qui, sopra, sotto, su, vicino. Gli aggettivi vicino e lontano nell'uso avverbiale determinano il verbo e sono invariabili (es: I musei si trovano lontano), mentre come aggettivi concorderebbero normalmente con il sostantivo (es: I musei sono lontani). Svolgono funzione avverbiale (di luogo) anche le particelle: A.

ci, vi che significano qui, in questo luogo oppure là in quel luogo e possono

esprimere sia un moto a luogo (ci andammo insieme), sia uno stato in luogo (ci sono molte persone), sia un moto per luogo (ci passo tutti giorni); B. ne che significa da lì o da qui ed esprime un moto da luogo (ne vengo proprio ora = vengo proprio ora da lì) •

Avverbi di valutazione o giudizio: modificano l'elemento cui si riferiscono mediante una

valutazione un giudizio che può confermare il significato, metterlo in dubbio o negarlo; si distinguono in: A. Avverbi di affermazione: appunto, certamente, esattamente, certo, davvero, proprio, sicuramente, sicuro (es: torneranno sicuramente nel pomeriggio); B. Avverbi di negazione: neppure, non, nemmeno, neanche, mica (forma colloquiale) (es: quei ragazzi non sono simpatici e neppure educati); C. Avverbi di dubbio: eventualmente, forse, magari, probabilmente, quasi (es: forse hai ragione tu) •

Avverbi di quantità: indicano in modo indefinito, “vale a dire non precisato dal punto di

vista numerico, una quantità o una misura, sia essa riferita all'azione indicata da un verbo o alla

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qualità designata da un aggettivo o da un avverbio”. 5 Sono assimilabili a un complemento di quantità e rispondono alla domanda quanto? Gli avverbi di quantità sono di vario tipo: aggettivi e pronomi indefiniti usati come avverbi, avverbi semplici, avverbi derivati in -mente (come talmente, grandemente, minimamente). I più comuni avverbi di quantità sono: abbastanza, affatto, almeno, appena, assai, piuttosto, e quasi; da considerare che gli aggettivi indefiniti si distinguono degli avverbi corrispondenti perché accompagno il nome con il quale si accordano (es: ho visto molti animali in cortile), mentre gli avverbi indefiniti accompagnano in verbo, un aggettivo o un avverbio e non variano, rimangono cioè alla forma maschile singolare (Antonio e Tommaso corrono troppo velocemente): gli aggettivi indefiniti usati come avverbi sono: alquanto, altrettanto, meno, molto, parecchio, più, quanto, tanto, troppo. Capitolo a parte meritano i pronomi indefiniti niente e nulla usati come avverbi: in tale occasione significano per nulla, niente affatto e si accompagnano a un verbo, a un altro avverbio o a un aggettivo ad esempio: Non le importa nulla di te. •

Avverbi interrogativi ed esclamativi: vengono di norma riportati insieme poiché alcuni

avverbi interrogativi possono essere usati anche come avverbi esclamativi: sono infatti usati per porre una domanda diretta quando sono interrogativi per esprimere stupore o meraviglia quando sono esclamativi. Hanno valenza interrogativa: come? (interroga sul modo in cui qualcosa viene viene fatto), dove? (in quale luogo?), quando? (in quale tempo?), quanto? (interroga sul valore o sulla misura di qualcosa), perché? (come mai?). Hanno valenza esclamativa: quanto (quanto sei antipatico!), come (come è cresciuta tua figlia!) •

Avverbi frasali e parole olofrastiche (cioè parole che equivalgono ad un'intera frase): si

tratta di avverbi che non modificano solo un elemento della proposizione ma un’intera frase e sono per lo più avverbi modali come francamente, sinceramente, sicuramente e pochi altri come forse o innanzitutto. Sono parole olofrastiche per antonomasia si e no (Hai telefonato nonna? Sì), in quanto soprattutto nelle risposte, sono equivalenti ad un'intera frase come nell'esempio tra parentesi. •

Avverbi focalizzanti: sono forme appartenenti alle varie categorie già passate in rassegna e

hanno la caratteristica di spostare l'attenzione su elementi diversi della frase: i più usati sono addirittura, anche, perfino, proprio, soprattutto. Si noti nei seguenti esempi come la posizione dell'avverbio cambi sensibilmente il significato della frase:

- Persino Teresa è riuscita a parlare con il presidente;

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Sensini M., La grammatica della lingua Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pag.202

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- Teresa è perfino riuscita parlare con il presidente; - Teresa è riuscita perfino parlare con il presidente; - Teresa riuscita a parlare perfino con il presidente. I gradi dell’avverbio Per quanto riguarda la gradazione, l'avverbio si comporta come aggettivo, e può essere di grado zero (positivo: rapidamente), di grado comparativo (di maggioranza di minoranza e di uguaglianza: più rapidamente, meno rapidamente, tanto rapidamente), o di grado superlativo (assoluto o relativo: rapidissimamente, il più rapidamente possibile). Possono avere comparativo e superlativo in genere e gli avverbi di modo (tranne quelli che escono in -oni) e alcuni avverbi di luogo di tempo. Alcuni avverbi, riassunti nella tabella sottostante, hanno forma particolare di comparativo è superlativo proprio come gli agenti corrispondenti. Avverbio di grado positivo

Avverbio di grado comparativo di maggioranza

Avverbio di grado superlativo assoluto

Bene

Meglio

Ottimamente" Benissimo" Molto bene-assai bene

Male

Peggio

Pessimamente" Malissimo" Molto male-assai male

Molto

Più

Moltissimo" Assai

Poco

Meno

Pochissimo" Minimamente" Molto poco-assai poco

Grandemente

Maggiormente

Massimamente" Sommamente

Preposizione o funzionale subordinante “Il termine preposizione deriva dal latino praepositione(m) (= posizione davanti) che a sua volta deriva dal verbo preponere (= porre davanti)”. 6 È quella parte invariabile del discorso che si premette a un elemento della frase (nome, pronome, verbo all'infinito, avverbio) per metterlo in relazione con altri elementi della frase o con altre frasi, perciò è detto anche connettore. Nella maggior parte delle lingue indoeuropee, la preposizione precede il nome, introducendo un complemento indiretto; in altre lingue, come il giapponese, viene posto dopo l’elemento 6Sensini

M., La grammatica della lingua Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pag.207

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nominale. Nelle lingue che possiedono la categoria del caso, quali il latino e il tedesco, la preposizione è strettamente legata a uno o a più casi fissi (ad esempio, il tedesco ‘mit’ = “con”, regge il dativo; il latino ‘in’ , regge l’accusativo e l’ablativo). In italiano, una stessa preposizione può introdurre diversi complementi indiretti; ad esempio, ‘per’ può introdurre un complemento di fine, di moto per luogo, di tempo e così via. Alcune preposizioni possono svolgere una funzione simile a quella di una congiunzione subordinante, introducendo una proposizione secondaria, con la differenza che, mentre la subordinata introdotta da una congiunzione può essere sia esplicita sia implicita, quella introdotta da una preposizione è sempre implicita, con il verbo all’infinito (“Vennero a vedere”, “Un esercizio utile per imparare”). Le preposizioni di solito si dividono in tre gruppi: 1. Le preposizioni proprie che si dividono a loro volta in: •

Semplici: di, a, da, in, con, su, per, tra (fra);



Articolate: “le preposizioni di, a, da, in, su e l'articolo determinativo (il, lo, la, i,

gli, le, l’) si fondono insieme a dar luogo alle cosiddette preposizioni articolate”. 7 2. Le preposizioni improprie, così chiamate perché oltre a funzionare come preposizioni sono usate anche con altre funzioni grammaticali: sono cioè parti del discorso (avverbi aggiuntivi verbi) che possono funzionare anche come preposizioni. Sono da ricordare tra gli avverbi: circa, contro, davanti, dentro, dietro, dopo, sopra, sotto; tra gli aggettivi: lungo, salvo, secondo; tra i verbi: durante, certo, escluso, mediante, nonostante, rasente. Queste parole sono preposizioni quando reggono un nome e introducono un complemento indiretto (viviamo lungo il canale Grande). 3. Le locuzioni prepositive: che sono gruppi di parole formate da avverbio o verbo più preposizione (diversamente da, a partire da), oppure da locuzione avverbiale più proposizione (in base a, per conto di, al pari di).

Congiunzione o funzionale coordinante e subordinante Il termine congiunzione deriva dal latino coniunctio, che è la traduzione del greco σύνδεσµος che significa “unione”.8 È una parte del discorso invariabile che serve a collegare sintatticamente due o più parole (o gruppi di parole) di una frase oppure due o più frasi di un periodo. Rispetto alla forma le congiunzioni si distinguono in:

7Sensini 8

M., La grammatica della lingua Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988, pag.44

Vocabolario Etimologico Treccani online: www.treccani.it

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Congiunzioni semplici se formate da una sola parola: e, o, me, ma, anche, se, quando,

etc.; •

Congiunzioni composte se formate da dalla fusione di due o più parole: oppure (= o pure),

sebbene (= se bene), nondimeno (= non di meno), etc.; •

Locuzioni congiuntive si sono costituite da gruppi di due o più parole: dal momento che,

ogni volta che, anche se, a patto che, etc. In ragione del tipo di collegamento che determinano si distinguono: A. Congiunzioni coordinative, che stabiliscono un rapporto di equivalenza logico-sintattica tra frasi o parti di frase. 9 Si distinguono in: aggiuntive, se aggiungono...


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