Lineamenti DI Scienza Politica PDF

Title Lineamenti DI Scienza Politica
Course Scienza politica
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LINEAMENTI DI SCIENZA POLITICA Concetti, problemi, teorie Domenico Fischella CAPITOLO 2: Il concetto di politica Ambivalenza del rapporto politico Per il concetto di politica nelle scienze sociali esiste una storia che mette in evidenza diversità e molteplicità di visioni e di interpretazioni. La parola “politica” è stata variamente estesa o ristretta a designare esperienze assai differenti. La politica viene ridotta da Machiavelli a mero strumento di dominio, da Hobbes a pura “grammatica dell’obbedienza”, da Locke a semplice assicurazione sulla vita e sugli averi. Varia la sua competenza a seconda dei tempi e sugli averi. Esistono una polivalenza e una mobilità spazio-temporale del “fenomeno politico”, e qui basterà riassumere che, mentre in tutta una grande fase della storia il dato preminente è stato il rapporto tra politica e religione, in una fase successiva è divenuto sempre più significativo il rapporto tra politica ed economia. L’elemento da porre in evidenza è la ricchezza di forme storiche nelle quali la politica si è volta a volta espressa, talché sarebbe una forzatura indefinibile identificare la politica con una delle fasi storiche. Rimane però il quesito se sia possibile definire il rapporto di tipo politico, quindi fare emergere una nozione di politica superiore a quello ricavabile dalle singole, specifiche configurazioni storiche del “fenomeno politico”, e che pertanto come tale sia applicabile su basi di generalità spazio-tempo. Il rapporto di tipo politico, come rapporto sempre interpersonale e intersoggettivo è caratterizzato da un fondamentale ambivalenza. Se consideriamo la politica come un modo esistenziale di vivere con sue proprie caratteristiche fenomenologiche e strutturali, il dato di partenza è l’identità sovraindividuale che accomuna coloro che vivono politicamente: non “io”, dunque, ma “noi”. Se per un verso aggrega e integra, per un altro verso la politica esclude: in questo senso, il rapporto politico è un rapporto “chiuso”. In breve, mentre per un verso integra e aggrega, per un secondo verso la politica esclude e si fa, potenzialmente o in atto, inimicizia. Il nesso tra politica, amicizia e inimicizia è di lunga data nella storia delle idee a partire da Platone ad Aristotele, da Machiavelli a Hobbes, da Rousseau a Hegel. Nel pensiero politico e nella storia delle ideologie e delle utopie troviamo sia concezioni che hanno visto e sostenuto l’esistenza di una grande stagione di armonia tra gli uomini, sia concezioni che hanno visto e indicato un traguardo di armonia universale e definitiva. Taluni filoni collocano “l’età dell’oro” del genere umano in un tempo remoto del nostro passato, altri filoni immaginano “l’età dell’oro” in un inevitabile futuro (Claude Henri de Saint-Simon è un sostenitore di questo filone). futuro. Lungo il corso del pensiero politico, c'è un ampio arco di dottrine per le quali il conflitto è un fattore di segno radicalmente negativo, costituisce una patologia collettiva da eliminare dal territorio politico. L'orientamento antitetico assume il conflitto come l'essenza autentica, esclusiva e ineliminabile della categoria del politico. Per Schmitt nemico è un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente e che si contrappone a un altro raggruppamento umano dello stesso genere, e la distinzione amico-nemico è immanente ad ogni comportamento politico. L'orientamento del 1° tipo è di genere prescrittivo, indica come le cose dovrebbero andare, mentre il 2° è di genere descrittivo, indica come le cose vanno. Per alcune dottrine riferibili al primo orientamento la realizzazione definitiva nella storia coincide con la fine della politica. Per Engels l'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso; quindi lo stato non viene abolito ma si estingue. Ma questi ragionamento evidenziano solo una parte della realtà, e trascurano il carattere di ambivalenza della condizione politica: se ogni sintesi politica per un verso è esclusiva, per un opposto verso è inclusiva; non c'è solo l'interazione tra amico e nemico, ma anche tra amico e amico. È l'idea di solidarietà che precede l'evento della esclusione e la possibilità del conflitto (se prima non si formano i raggruppamenti sulla base delle rispettive solidarietà, non è possibile la lotta tra i raggruppamenti). Prima ancora del

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rapporto tra uomini, il conflitto è una condizione che riguarda l'individuo: non c'è solo il conflitto interpersonale ma c'è anche il conflitto intra-personale, ove il proprio io viene percepito come nemico. Ci sono pratiche corporali e spirituali per il superamento completo della situazione intra-conflittuale, ma l'analisi della realtà suggerisce comunque che sul terreno politico, inter-soggettivo, l'eliminazione completa e definitiva del conflitto esprime un'impossibilità. Guerra e pace Il concetto politico di nemico può riguardare un conflitto interno (si sviluppa entro una comunità con una sua identità statuale) o un conflitto internazionale (riguarda il conflitto tra comunità statuali). La guerra è un conflitto tra gruppi politici rispettivamente indipendenti o consideratisi tali, la cui soluzione viene affidata alla violenza organizzata. Violenza organizzata perchè il concetto di guerra non comprende esplosioni di violenza sporadica, non durevole e accidentale. È possibile costruire una tipologia a 4 voci della guerra: 1. la guerra esterna tra Stati sovrani o guerra internazionale; 2. la guerra entro uno Stato o guerra civile; 3. la guerra coloniale o imperialistica; 4. la guerra di liberazione nazionale. I problemi sono numerosi. Uno riguarda il rapporto tra politica e guerra. All'interpretazione della guerra come evento inevitabile, si deve contrapporre la visione della guerra come evento possibile. Un certo filone di pensiero parla ormai di guerra impossibile, in connessione con l'equilibrio del terrore nucleare. Ma la nascita dell'era atomica, con la fine della seconda guerra mondiale, non ha chiuso la stagione delle guerre convenzionali, cioè delle guerre condotte con armi non nucleari. La testimonianza sulla quale si basa la tesi della necessarietà dell'esito bellico è fondata sul fatto che le guerre ci sono sempre state. Ma questa prova non è un fattore decisivo: che ci siano state sempre guerre non implica che ci siano state tutte le guerre che avrebbero potuto esserci. La controprova decisiva è: le guerre sono tanto poco necessarie che l'uomo ha scoperto da millenni un'istituzione atta a impedirle, cioè la monopolizzazione della forza. Il problema vero è quello del tasso di probabilità. Il quesito essenziale riguarda la capacità della sintesi politica di espandersi nel tempo e nello spazio. Il riferimento limite è costituito da quella forma politica che è l'impero, come organizzazione politica vocazionalmente universale. Può l'impero annullare l'ambivalenza della politica risolvendo ed esaurendo i rapporti pubblico nella “amicizia”? C'è chi dà una risposta negativa: si può avere solo un minimo di due sintesi politiche, in reciproca opposizione, ma mai una sola, perché quando ciò si avvera il sistema politico unico si autodistrugge. Se la soluzione cosmo-politica è raggiunta non mediante consenso ma per conquista e dominazione, l'inimicizia diventa interna; se gli imperi nascono da un'entità politica solidale, la loro estensione e potenza segna l'inizio della decadenza, perché è la loro stessa estensione a erodere quella solidarietà. Neanche l'ipotesi universale dell'impero, quindi riesce a rendere il tasso di probabilità della guerra tanto modesto da avvicinarlo a 0. Un'altra inferenza, oltre a quella che vede la guerra come inevitabile, è che sia lecito esaurire la collocazione dei differenti stati in cui si articolano e manifestano le interazioni e le rapportualità politiche, entro un continuum politica-guerra. In un contesto del genere la pace diventa non definibile “in positivo”. Se la guerra è inevitabile, allora la pace rappresenta solo una parentesi tra una guerra e l'altra. Il discorso sulla pace definibile solo “in negativo” nasce da un errore metodologico: non è logicamente e metodologicamente coerente ricavare l'impossibilità di una definizione “in positivo” da un accertamento di “infrequenza”. Infatti, i problemi di definizione non vanno confusi con i problemi di misurazione. Dunque il continuum idoneo è quello pace-politicaguerra. Così come la lotta armata tra unità politiche organizzate dà luogo a una guerra esterna, la guerra civile è lotta armata all'interno di un'unità organizzata. Un tipo particolare di guerra civile è la rivoluzione: questa può essere definita come guerra interna nella quale prevalgono i fautori di un profondo cambiamento. Il rischio della guerra civile è la distruzione per disintegrazione della sintesi politica. Lo strumento per evitarlo 2

è il monopolio legittimo della forza. C'è chi sostiene che l'area interna alla sintesi politica è quella dove regnano la pace e il diritto; la pace vera è solo quella che regna tra amici. Ma il carattere pacifico delle relazioni politiche interne non è sempre così scontato e senza residui: altrimenti diverrebbe superfluo il monopolio della forza. Principio di risoluzione dei conflitti Le relazioni intersoggettive sono di vari tipi: un rapporto familiare (es. genitori-figli), rapporto economico (es. compratore-venditore), un rapporto sociale (es. studente-docente), ecc. Rispetto a tutte queste, la particolarità del rapporto politico è data dal suo includere costitutivamente un elemento coattivo e coercitivo, ricorso alla forza fisica e limitazioni alla libertà di individui e gruppi, fino all'estremo atto dell'uccisione/soppressione. Non vuol dire che i rapporti di tipo familiare, sociale, economico, ignorino completamente questo modo di impostare l'interazione tra soggetti. Infatti, in quei rapporti può esserci l'elemento coattivo, mentre il rapporto politico non può esistere indipendentemente da esso. La ragione è che l'idea di politica include l'idea di nemico. Le occasioni conflittuali sono innumerevoli e possono raggiungere e superare limiti tali da mettere a repentaglio continuità, integrità e sopravvivenza stessa della sintesi politica. Di fronte a questa situazione, la politica come prospettiva integrativa e aggregativa risponde con l'istituzionalizzazione di un principio di risoluzione pacifica dei conflitti interni. Tale principio non è lo stesso per tutto i regimi politici, ma tutti i regimi fanno riferimento a un principio del genere (tranne quelli totalitari). Es. il criterio maggioritario (temperato dalle garanzie per le minoranze) è il principio tipico della democrazia rappresentativa: si assume e si accetta pacificamente che la sintesi politica sarà guidata dall'ipotesi che ottiene maggiori suffragi. L'ereditarietà aristo-monarchica, a sua volta, è un principio funzionale nell'ottica della pace interna. “Le occasioni conflittuali possono superare certi limiti”. L'espressione ha due significati fondamentali. Il 1° pone in evidenza un riferimento empirico: ci sono situazioni di conflitto che possiamo considerare di portata tale da produrre sulla sintesi politica gli esiti indicati sopra, mentre ci sono conflitto che non giungono a tanto, e ci sono conflitto che rimangono limitati e conclusi nella loro area originaria senza debordare in campo politico. Questi ultimi sono considerati politicamente differenti, adiaphora. Il 2° significato dell'espressione è soggettivo: accadimenti e orientamenti culturali o economico o esistenziali che appaiono politicamente indifferenti per un regime non solo tali per un altro. Da qui si ricava che un criterio per distinguere e comparare i regimi politici è quello relativo al loro modo di giudicare e valutare la significanza politica o meno dei conflitti. più un regime politico tenderà a giudicare politicamente significativo il conflitto sociale, culturale, economico, esistenziale, più sarà portato, a parità di condizioni, a intervenire nel processo sociale, economico, culturale, nella vita dei singoli. La forza tra potere e autorità Si parla di monopolio della forza perché si attribuisce a un soggetto istituzionale presente e operante nella sintesi politica, e solo a esso, il titolo a organizzare e gestire la forza, per assicurare l'ordine civile e la pace interna. Si parla di monopolio legittimo per sottolineare che il soggetto istituzionale viene assunto rappresentare l'interesse generale nei confronti degli interessi particolari. Questo è ciò che legittima il monopolio della forza: se non ci fosse questa premessa generalistica, tutti gli interessi particolari continuerebbero ad acquisire mezzi bellici o comunque violenti per affermarsi nelle innumerevoli situazioni conflittuali. La storia del pensiero distingue tra filoni che vedono il potere politico e l'autorità politica come espressione di un qualche contratto sociale, la cui stipulazione fa passare gli uomini da uno stato di natura a uno stato di società, e filoni che assumono la originarietà dello stato di società, per cui quest'ultimo stato è l'unica e sola condizione dell'uomo. All'interno del campo contrattualistico, c'è chi considera il passaggio dallo stato di 3

natura allo stato di società come un evento storico realmente accaduto; chi vede nel contratto un mezzo giuridico-politico per imporre limiti a chi detiene il potere. In virtù del contratto gli uomini rinunciano definitivamente a favore del potere a tutte le loro libertà naturali, per averne in cambio sicurezza, oppure rinunciano solo nei limiti necessari a garantire la vita comune. Sui contenuti dell'interesse generale c'è controversia, e ne consegue che occorre grande cautela nell'uso di tale espressione, anche perché storicamente essa è servita non di rado a giustificare prevaricazioni. Un quesito è: è il monopolio che produce legittimità o viceversa? La prima tesi è sostenuta rilevando che solo chi ha il monopolio della forza (cioè il più forte) vede la sua forza diventare legittima. L'altra tesi individua invece nell'idea di bene comune il principio costitutivo della politica. In questo contesto, il potere ha un carattere secondario, nel senso che non è l'elemento fondante della politica: esso non è un bene comune ma una necessità comune. La nozione di potere ha una duplice valenza. Esistono un concetto relazionale di potere e un concetto istituzionale. Sotto il primo profilo, il potere è una relazione tra unità sociali tale che il comportamenti dell'unità sociale R dipende dal comportamento dell'unità sociale P. se distinguiamo tra esercizio del potere e possesso del potere, diremo che: P esercita potere su R affinché non faccia per se e solamente se P influenza R a non fare per o impedisce a R di fare per o punisce R per aver fatto per; P ha potere su R affinché non faccia per se e solamente se P ha influenza su R affinché non faccia per o preclude a R la possibilità di fare per o rende punibile per R il fare per. Concetto istituzionale di potere: il potere ha potere ed esercita potere. Il potere qui diventa un processo (una successione d’ interazioni) e un sistema (un complesso di interazioni tra strutture e funzioni). L'esperienza potestativa fa riferimento e si applica a una molteplicità di livello, politici e non politici. Il potere politico è quella specifica realtà istituzionale alla quale pertiene in forma esplicita il ricordo di ultima istanza alla coazione per il mantenimento dell'ordine civile e della pace interna, monopolizzando a tal fine la forza. Accanto al concetto di potere è importante individuare il concetto di autorità. Essa ha due elementi costitutivi: il1° è l'elemento consensuale (l'autorità è la facoltà di stimolare e attrarre l'altrui consenso); il 2° elemento è quello assiologico (sottolinea che l'autorità è l'ascendente di qualcuno su qualcun altro come risultato della conformità al sistema di valori della comunità alla quale entrambi appartengono).La legittimità è la proprietà del potere politico di essere visto e accettato come il più idoneo e conveniente per la sintesi politica, i cui membri in conseguenza gli accordano sostegno. La legittimità riguarda il giusto titolo a detenere il potere, mentre la legalità riguarda l'esercizio del potere secondo leggi stabilite. Tornando al dilemma se è il monopolio della forza che genera legittimità, secondo qualche autore, il problema della legittimità non sembra essere esistito presso i greci. L'idea di legittimità sembra apparire più tardivamente, inseguito alla convergenza di più preoccupazioni: ricerca da parte dei giuristi romani di una fonte ultima dell'autorità; apparizione tra i cristiani di una teoria del diritto divino; costumi germanici tra i quali l'usanza della successione ereditaria si fonde con l'elezione da parte dei notabili e del popolo. C'è invece chi sostiene che da Platone e Aristotele, l'idea se non il termine legittimità ha sempre avuto un'importanza di primo piano nella riflessione politica. Che un esplicito dibattito dottrinale e politico in tema di legittimità emerga solo in una fase relativamente avanzata della storia umana, si può convenire. Ciò però non toglie che le credenze e i comportamenti connessi a una visione del potere come autorità risalgono molto indietro nel tempo. Nel corso complessivo della storia abbiamo conosciuto una molteplicità di fonti della legittimità (la divinità, la durata storica, il carisma, il popolo, la ragione come capacità di cogliere l'interesse generale), a volte allo stato puro e più spesso in reciproca combinazione. Quando le aggregazioni politiche hanno avviato e poi realizzato la monopolizzazione della forza, esse non hanno percepito la possibilità di un monopolio della forza da parte di un potere non legittimato a 4

ciò. Il monopolio della forza nasce come monopolio legittimo, affidato non al potere ma all'autorità. Solo in un tempo relativamente recente, come prodotto della progressiva desacralizzazione del potere, si tende a realizzare la scissione tra potere e autorità, tra potere e legittimità, tra legalità e legittimità. Dire che il monopolio produce la legittimità significa separare due elementi che originariamente non erano avvertiti come separabili. Ma è comunque evidente che ci sono casi nei quali la forza e il relativo monopolio esistono indipendentemente da una qualche forma di legittimità. Il potere riproduce il carattere ambivalente della politica, e si pone perciò sia come strumento di pace sia come fattore di conquista e di dominio fine a se stesso. Il potere in quanto concetto ha una generalità di diametro superiore rispetto all'autorità, che è solo un tipo di potere. Il monopolio della forza ha bisogno di essere legittimato in quanto monopolio, perché se no la forza del più forte è solo il prepotere di un soggetto su altri soggetti, i quali non rinunciano alla loro forza e alla possibilità di usarla e accrescerla nella dinamica conflittuale. Un potere politico ha bisogno di legittimarsi perché la legittimità, coinvolgendo e attivando i meccanismi del consenso, riduce i costi di gestione del potere, facilita il controllo sociale, rende meno necessario il ricorso alla coazione e alla coercizione. Primato e generalità della politica La politia è “la struttura che dà ordine alla città stabilendo il funzionamento di tutte le cariche e soprattutto dell’autorità sovrana”. Dunque, è la politica che dà ordine, dà ordinamento, fissa le regole dell’organizzazione delle sintesi e si occupa del rispetto delle regole stesse. La politica rappresenta la dimensione generalistica nella vita interpersonale, e più esattamente essa si pone al top della generalià. Prima precisazione: È sempre la politica che ordina le comunità (democrazia, monarchia tradizionale e totalitarismo) ma non le ordina nello stesso modo. È sempre alla politica che rinviano il monopolio della forza e la coazione, ma non sono ordinati nello stesso modo in un regime tradizionale, in un regime democratico, in un regime totalitario. Seconda precisazione: L’idea della politica come livello più alto di generalità nella divisione del lavoro sociale include e comporta l’idea del primato della politica. Ci sono due significati del concetto di primato della politica: 1. ordinatore o regolatore: si vuole intendere che è appunto la politica a fissare le regole di organizzazione della sintesi, e in particolare le regole per l’impiego della forza e della coazione. Ques...


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