manuale storia delle religioni Giovanni Filoramo PDF

Title manuale storia delle religioni Giovanni Filoramo
Author Luca Rosati
Course History Of Religions
Institution Sapienza - Università di Roma
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G. FILORAMO, M. MASSENZIO, M. RAVERI, P. SCARPI, “MANUALEDI STORIA DELLE RELIGIONI”XXII.Storia delle religioni e antropologia I. Premessa Religione, religioni Un manuale di “storia delle religioni” non può eludere il problema della definizione della religione. A ciò si aggiunga che la Pina comprensi...


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G. FILORAMO, M. MASSENZIO, M. RAVERI, P. SCARPI, “MANUALE DI STORIA DELLE RELIGIONI” XXII. Storia delle religioni e antropologia I. Premessa 1. Religione, religioni ! Un manuale di “storia delle religioni” non può eludere il problema della definizione della religione. A ciò si aggiunga che la Pina comprensione richiede proprio l’assunzione critica del problema, da valutare all’interno di una prospettiva culturale di ampio respiro perchè

; si tratta del momento che vede la genesi dell’etnologia, la scienza dedicata allo studio delle umanità “altre”. Di riflesso ci si interroga, più in generale, sul ruolo dell’Occidente all’interno di uno scenario culturale enormemente dilatato. Quanto alla religione, si pone un quesito di fondo: è sufficiente, è adatto il bagaglio concettuale forgiato prevalentemente in funzione del cristianesimo per venire a capo di altri universi religiosi? La pari dignità delle culture e, quindi, delle religioni costituiscono uno dei punti fermi dell’odierna coscienza umanistica, la quale va consolidata operando in tutte le direzioni possibili. Dal momento ci è sembrato doversoso ripercorrere alcuni momenti salienti della riflessione maturata nei settori confinanti dell’etnoantropologia e della storia delle religioni per portare alla luce le progressive trasformazioni che hanno investito il concetto di religione. 2. Storia delle religioni e antropologia culturale Denomineremo convenzionalmente “antropologia religiosa” tale settore, caratterizzato dall’incontro tra storia delle religioni ed antropologia culturale. Il tratto distintivo dell’”antropologia religiosa” dipende dalla qualità dell’oggetto d’indagine, che rinvia all’orizzonte religioso delle civiltà extra-occidentali, spesso ancora etichettare dall’opinione corrente come “primitive”. Dai rapidi cenni fatti emerge un dato degno di nota: al centro del settore in discussione sta il problema del “diverso culturale”, valutato sub specie religionis. Si può quindi affermare che la correlazione storia delle religioni/etnoantropologia è funzionale all’arricchimento di entrambe le discipline 3. Dalle premesse teoriche al piano operativo

L’”antropologia religiosa” richiede uno sforzo, vale a dire la capacità di mettere temporaneamente tra parentesi le categorie interpretative alle quali siamo soliti far ricorso. La novità, la rottura con la tradizione sta essenzialmente nel fatto di considerare i nostri sistemi di valutazione validi non in assoluto, ma soltanto in relazione al mondo che li ha prodotti nel corso della sua storia: il mondo occidentale. Una tale consapevolezza critica dei limiti inerenti all’applicazione dei nostri criteri interpretativi non basta a promuovere la conoscenza del culturalmente alieno: essa deve essere accompagnata dall’elaborazione di strumenti conoscitivi adeguati all’oggetto che si vuole indagare. Per quanto riguarda lo specifico religioso, è necessario concentrare l’attenzione su un’altra condizione a priori dell’analisi. Si tratta non solo di guardarsi dall’assumere quale immediato polo di riferimento e di giudizio la categoria occidentale di religione, ma i sottoporre ad una radicale revisione critica tutta una serie di nozioni basilari onde poterle applicare con cautela e discernimento a contesti religiosi “altri”. 4. Problemi epistemiologici: un modello di riferimento La polemica religione/magia, la svalutazione del magico e la sua conseguente emarginazione rappresentano alcuni dei momenti più significativi del suddetto processo. Di conseguenza, un qualsiasi prodotto culturale, una qualsiasi nozione non sono esportabili al di fuori del contesto che ha contribuito in maniera decisiva a conferire loro una fisionomia ben determinata. In concreto, analizzare le culture “altre”, per mezzo del concetto di magia rappresenta un’incongruenza epistemiologica. L’operazione intellettuale quindi non mira a mettere in discussione la validità di tale visione, ma tende a fare assoluta chiarezza sui limiti all’interno dei quali essa possiede un senso preciso, radicato nella storia. Dopo questo momento propedeutico si pone il compito di stabilire nuovi presupposti teorici in grado di mediare l’accesso ad una diversa visione del magico. Un modello operativo del tipo appena descritto può vale anche in rapporto alla dimensione del mito. Il mito risente del condizionamento esercitato dall’opposizione del logos, nei confronti del mythos. In estrema sintesi tale contrasto ha fortemente contribuito a modellare l’immagine del mito che ci appartiene, ma che non esaurisce di certo tutte le potenzialità del fenomeno. Le present riflessioni si riallacciano al pensiero di uno studioso italiano che ha compreso la vastità delle implicazioni teoriche connesse al problema della comprensione del “diverso culturale”. Si tratta di Ernesto De Martino che afferma che la scoperta dell’alterità è mediata dalla continua riscoperta di noi stessi. L’obiettivo di partenza è stato quello di motivare le ragioni dell’incontro tra storia delle religioni e antropologia. Da qui è scaturito il rimando a De Martino, il quale è riuscito a dare a tale problemi una sistemazione teorica rigorosa, ancora oggi in grado di orientare il lettore.

II. Evoluzionismo e funzionalismo: cultura, magia e religione 1. I presupposti dell’antropologia religiosa Le origini dell’antropologia religiosa sono inseparabili da quelle dell’etnologia; è consegue partire dall’esame dei tratti salienti dell’evoluzionismo culturale inglese, assumendo come punto di riferimento il fondamentale testo di E. B. Tylor, Primitive Culture. Secondo Tylor, i popoli considerati selvaggi esprimono cultura, una cultura qualificata come primitiva, che rappresenta la forma embrionale della cultura in quanto tale. Per indagine scientifica, poi, si deve intendere un modello di analisi, mutato dall’evoluzionismo biologico di Darwin, in grado di delineare il processo di evoluzione graduale di un certo fenomeno, dai primordi fino al raggiungimento della compiutezza passando attraverso tutte le tappe intermedie. L’idea di casualità risulta completamente posta al bando in questo tipo di impostazione che tende a far luce sulle leggi universali che presiedono allo sviluppo della cultura. Va ribadita l’importanza che assume il momento dei primordi della cultura, testimoniato attualmente dallo stile di vita proprio di quei popoli che, nell’ottica dell’evoluzionismo culturale, sono da denominare “primitivi” piuttosto che “selvaggi”. In conclusione, i primitivi finiscono per essere caratterizzati in modo ambivalente: per un verso si situano alla massima distanza rispetto ai popoli considerati più evoluti; al tempo stesso, però, la distanza si attenua, se si considera che essi ci rimandano l’immagine viva di un passato appartenuto anche ai popoli più civili. È possibile quindi prendere coscienza del salto di qualità compiuto da Tylor nel caratterizzare lo stadio primitivo-originario: Tylor individua in quest’ultimo tanto le forme elementari dell’organizzazione sociale, quanto quelle della produzione cultuale. Per Tylor i primitivi sono inclusi nel circuito della cultura: ne consegue che la differenza tra “loro” e “noi” non corrisponde più all’antinomia natura/cultura, dal momento che essa si stabilisce all’interno di una dimensione comune, quella della cultura. Il fattore di novità più rilevante consiste nel vedere nel fenomeno della convivenza sociale una delle cause fondamentali che determinano la produzione di cultura. 2. La dottrina dell’anima: valori e limiti La ricerca del dominio della religione primitiva, tende conseguentemente al recupero dello stadio originario della religione in quanto tale. In sintesi, l’anima è concepita come la causa stessa della vita; essa, inoltre, è valutata come una sorta di “doppio” dell’individuo in cui alberga. Un “doppio” dotato anche di un proprio grado di autonomia, in quanto può staccarsi temporaneamente dal corpo dell’individuo cui è legato per insinuarsi nella dimensione dei sogni.

Un altro elemento costitutivo dell’animismo: il possesso dell’anima non rappresenta una prerogativa esclusivamente umana, ma una qualità che si estende agli animali, alle piante, agli oggetti. L’anima, inoltre, sopravvive alla morte. A partire da questo presupposto si compie un passo ulteriore che porta alla credenza negli spiriti: ciò accade, in concreto, allorché le anime di determinati antenati sono concepite come entità sovrumane, elevate al rango di spiriti personali. La ricostruzione di Tylor si fonda su ipotesi astratte più che su ricostruzioni storicamente attendibili. In breve, Tylor opera sulla base della nozione di anima maturata all’interno della cultura occidentale e che, viene intesta implicitamente come un universale umano, posseduto in principio in forma rozza e ingenua e da ultimo nei modi più colti e consapevoli. In questo atteggiamento si palesa con evidenza il limite più rilevante dell’evoluzionismo culturale, che si concretizza nell’etnocentrismo, il quale si fonda sul riconoscimento esplicito della superiorità assoluta della propria civiltà. Proprio per questi caratteri l’immagine del primitivo che ci trasmette l’evoluzionismo è quella di un individuo che ha bisogno di essere guidato dall’esterno, da chi si è portato al vertice del processo evolutivo. Tylor ha saputo scorgere la valenza culturale delle credenze religiose dell’umanità primitiva contro chi le riteneva soltanto “un mucchio di spazzatura di svariate follie”. 3. “Il Ramo d’oro”: magia, religione e scienza Il Ramo d’oro di Frazer rappresenta non solo il prodotto probabilmente più alto dell’evoluzionismo culturale, ma anche uno dei testi-chiave della cultura del Novecento. Si presta ad essere letto da varie angolazioni, tra le quali prevale la ricerca del tipo di religione proprio delle origini dell’umanità. La religione fa la sua comparsa in uno stadio più progredito dello sviluppo evolutivo, raccogliendo per certi versi l’eredità della magia e staccandosi, da quest’ultima. Il termine di riferimento che condiziona il giudizio di Frazer è costituito dalla scienza moderna, la sola in grado di spiegare compiutamente la realtà. La magia tenta di fare altrettanto, ma non è in grado di tradurre le sue aspirazioni in risultati solidamente fondati. In questa prospettiva la magia finisce per essere considerata per ciò che non è, piuttosto che per ciò che è; il massimo riconoscimento che le si può fare, in quanto “scienza” sia pure “falsa”, è di attribuirle dei principi generali in grado di orientare le operazioni. L’accento quindi è posto sull’aspetto “positivo” della magia, di cui è messa in risalto, non senza finezza, la coerenza interna. Per Frazer, al centro degli interessi dell’umanità primordiale vi è la cura per la vegetazione arborea, dalla quale dipende la sopravvivenza dell’umanità. La magia nel suo insieme tende a favorire la crescita e la permanenza della vegetazione: in questa ottica un ruolo determinante spetta al re-mago, un sovrano assai peculiare, il cui significato trascende la sfera del politico. In definitiva, la prerogativa essenziale del re-mago è quella di esercitare, a

vantaggio della collettività umana, potere sulla pioggia, potere sul sole, potere sul vento. L’integrità fisica del sovrano diventa, conseguentemente, una delle maggiori preoccupazioni sociali. La forma più insidiosa di morte è costituita dal rapimento dell’anime; per tenere lontana un’eventualità del genere è necessario separare l’anima del sovrano dal suo possessore e nasconderla nella parte più inaccessibile del bosco legandola al ramo di un albero dove essa vivrà come “anima esterna”. L’anima esterna si presta ad essere intesa come una sorta di “doppio” del possessore. La morte del re rappresenta una minaccia talmente drammatica da richiedere contromisure in grado di fugarla. Perciò, prima che si prestino i sintomi della decadenza, egli viene sottoposto ad uccisione rituale: quest’ultima lo pone drasticamente al riparo della realtà dell’invecchiamento e della morte naturale, che è propria dei soli uomini “normali”. L’elemento comune alla magia e alla religione è lo sforzo di orientare a favore dell’uomo i fenomeni naturali. La religione, rispetto alla magia, fa la sua comparsa in una fase più avanzata dello sviluppo umano, il cui culmine è rappresentato dall’avvento del pensiero scientifico. La presa di coscienza di questa contraddizione avrebbe potuto indurre Frazer a rivedere lo schema teorico che è a fondamento della sua opera, al fine di renderlo meno meccanico. Frazer tra religione e magia riscontra un legame di continuità, il quale risulta particolarmente evidente in relazione ai tentativi dell’una e dell’altra di sottrarre alla pura casualità il fondamentale dominio della vegetazione. Il modo più diretto d’intervenire sugli dei è costituito dalle procedure rituali: nel caso considerato, la massima attenzione è riservata a quei riti che sono in grado di allontanare dalle divinità il rischio della morte. 4. “Il Ramo d’oro”: metodo e bilancio critico Merita un cenno a parte il metodo adottato da Frazer: si tratta di una forma particolare di comparazione che non può essere compresa adeguatamente senza tener presenti due postulati propri dell’evoluzionismo culturale. A questa modalità della comparazione si sovrappone un’altra tendenza comparativa che trae impulso dal concetto di sopravvivenza, che rende più mosso ed articolato il quadro dell’evoluzione delle culture. Il Ramo d’oro si apre con un episodio spiegato in chiave di sopravvivenza: mi riferisco alla regola che disciplinava l’accesso di Rex Nemorensis nella religione politeistica dell’antica Roma. In tema di sopravvivenze occorre terre presente, in particolare, che nella civiltà europea industriale, la cultura delle classi popolari è intrisa di elementi arcaici, alcuni dei quali rimandano addirittura alla fase magica, della quale possono essere considerati, per l’appunto sopravvivenze. Sulla base di tali premesse si apre la possibilità di praticare un tipo di comparazione che segue un

itinerario diverso rispetto a quello considerato precedentemente, in quanto permette di istituire una serie di nessi che attraversano i diversi stadi dell’evoluzione culturale. Occorre rilevare innanzitutto che Il Ramo d’oro, in virtù della sistematicità dell’analisi congiunta alla fluidità della scrittura, ha contribuito fortemente a plasmare l’opinione comune occidentale per quanto concerne tanto il modo di concettualizzare l’alterità culturale extra-occidentale e premoderna, quanto il modo di prospettare i rapporti tra l’Occidente “progredito” e l’alterità. Tra gli elementi positivi può ben figurare il modo di Frazer di porsi di fronte al rito, di cui risulta valorizzata l’efficacia creativa, come è dimostrato dall’analisi dell’uccisione rituale. Va considerata, infine, un’ulteriore prospettiva che rende stimolante la lettura del Ramo d’oro: il contrasto riguarda un punto carine, in quanto il principio evoluzionistico di progresso viene abolito, per far posto ad una visione della storia culturale dominata, in prevalenza, dall’idea di “involuzione”. La tesi sostenuta da Schmidt è quella dell’Urmonotheismus: in sintesi, la fase più antica dell’umanità sarebbe stata contrassegnata dal monoteismo, vale a dire dalla formazione religiosa più “alta” e compiuta. Ma una traccia dell’ideale del dio in senso monoteistico è riscontrabile nella figura dell’”Essere Supremo” che occupa una posizione di rilievo nell’orizzonte religioso di numerose culture primitive. 5. Dall’evoluzionismo al funzionalismo: B. Malinowski È certo che con Frazer si chiude la fase fondante dell’antropologia culturale, mentre una nuova fase si prospetta all’orizzonte. Nel saggio citato c’è un passaggio che da il senso pieno della svolta impressa alla ricerca antropologica. Nella prospettiva di Malinowski l’ordine di successione frazeriano non viene invertito o comunque alterato: ciò che conta è che, in luogo dello scarto temporale tra i tre termini viene affermato il principio della loro contemporaneità. In tal modo viene liquidata l’idea della fase primitiva interamente posta sotto il segno del magico e per nulla rischiarata dalla scienza. A questo punto, occorre risalire alle radici del pensiero teorico di Malinowski, al fine di comprendere il complesso delle innovazioni enunciate. 6. B. Malinowski: cultura e bisogni umani Al fine di avviare la riflessione su Malinowski può essere utile assumere come primo oggetto d’esame le due tesi esposte di seguito: la prima si sofferma sul rapporto società e cultura; la seconda affronta il problema basilare concernente il nesso che lega la cultura al piano dei bisogni umani. 7. Religione e magia: la sistemazione teorica in B. Malinowski

Le considerazioni sulla religione costituiscono un aspetto rilevante della visione teorica di Malinowski, anche se non è sempre agevole ricondurle a un denominatore comune. In tale prospettiva la linea interpretativa più fertile, tra le molteplici prospettive dell’Autore, è quella che riconduce la religione al bisogno umano di fronteggiare le numerose situazioni di crisi sparse lungo l’arco dell’esistenza umana, individuale e collettiva. Tra le crisi, la più inquietante è quella connessa alla morte, l’evento che sconvolge e vanifica i calcoli e progetti umani. All’interno della relazione religione-crisi, vi è un tema particolarmente fecondo che Malinowski lascia in eredità alle future generazioni di studiosi: quello della “standardizzazione tradizionale dell’aspetto positivo” del conflitto. La forza del concetto di Malinowski dipende dalla ricchezza dei contenuti che lo sostanziano: per limitarci alle componenti più importanti, da un lato troviamo espressa l’idea della religione come parte viva ed essenziale del patrimonio culturale di una società. Malinowski prospetta una sostanziale rivalutazione del magico, la quale scaturisce dal rifiuto teorico di accettare due imperativi dell’evoluzionismo culturale. Per Malinowski non c’è società primitiva o progredita, che non abbia a un suo fondamento, per lo svolgimento delle attività umane, la scienza e la conoscenza razionale. La magia è considerata dunque non come un sostituto della scienza ma come una realtà sui generis che trae la sua ragion d’essere culturale dal fatto che le è socialmente riconosciuta la facoltà di sottoporre a disciplina umana tutto quanto rientra nella sfera dell’imponderabile e del non controllabile per vie normali. In questo approccio al problema del magismo non vi è spazio per soluzioni ibride, in quanto la magia esplica la sua funzione senza invadere territori che non le appartengono e senza sostituirsi ad altro. Malinowski si sofferma anche a riflettere sulla differenza tra i due ambiti; differenza dovuta al fatto che la magia si risolve unicamente in atti dotati di utilità pratica, laddove la religione si segnala anche per la prerogativa di creare valori. 8. B. Malinowski: un esempio di indagine etnografica Malinowski ne La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale, riferisce di un materiale etnografico che tratta del sistema di vita degli indigeni delle isole Trobriand, la cui economia fa leva essenzialmente sulla coltura dei uteri e sull’allevamento dei suini. Ci limiteremo a considerare un aspetto particolarmente significativo della cultura trobriandese concerne il piano religioso, con la consapevolezza di dover poi leggere il frammento in rapporto all’insieme. Merita un’attenzione a parte il sistema di idee relativo alla procreazione e alla gravidanza, questi, che risultano accettati non per quello che sono sul piano natura, ma in quanto risultato di una profonda manipolazione culturale.

Quando un uomo muore, il suo spirito lascia il corpo e si trasferisce a Tuma, l’Isola dei Morti, dove conduce un tipo di esistenza non dissimile da quello dei vivi. Quindi deve sottostare anche all’invecchiamento; tuttavia il baloma non subisce fino in fonda tale processo, perchè periodicamente ringiovanisce. Quando è stanco di ringiovanire, egli diventa un embrione umano e, via mare, torna nel mondo dei vivi per iniziare un'altra esistenza. L’embrione viene poggiato sulla testati una donna appartenente alla stessa linea di discendenza della persona morta, il cui baloma ha subito la metamorfosi qui descritta per sommi capi. La peculiarità più sorprendente dell’edificio culturale appena esaminato consiste nella totale negazione della paternità fisiologica. Ci si chiede quale possa...


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