Perche studiare i media silverstone PDF

Title Perche studiare i media silverstone
Author Gioele Fasano
Course Sociologia e Criminologia
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Perché studiare i media Silverstone Teorie e analisi dei media (Università degli Studi di Bergamo)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Gaia Munduleddu ([email protected])

-PREFAZIONECAPITOLO PRIMO Il tessuto dell’esperienza Nel talk show di Jerry Springer (1998) il conduttore parla con uomini che impersonano ruoli femminili, che parlano delle relazioni, lavoro e sull’avere figli. Esempio di come la televisione (e in generale i media) rappresentano l’ordinario e continuo, la quotidianità, e ne fanno parte. Siamo diventati dipendenti dai mezzi di comunicazione, per svago, per informazione ecc. I media vanno studiati perché interessano la vita, sociale, culturale, politica ed economica, e contribuiscono alla nostra capacità di costruire significati. Isaiah Berlin sostiene che i media sono oggi parte del tessuto generale dell’esperienza. Ciò è ancora più vero includendo il linguaggio: vi è continuità tra parola, scrittura, stampa e rappresentazione audiovisiva, ed è importante studiare il linguaggio poiché senza le modalità di comunicazione dei media, non potremmo mai capirli. Secondo Berlin le vicende degli uomini hanno bisogno di una spiegazione legata all’analisi morale ed estetica, che presuppone di concepire gli esseri viventi non solo come organismi nello spazio, ma come esseri attivi, che danno forma alla propria vita e a quella degli altri, che riflettono, creano e sono in costante interazione con gli altri esseri umani. È necessaria un’analisi dell’uomo poiché siamo dentro ai media ma cerchiamo di analizzarli come scienziati esterni. Marshall McLuhan considera i media come estensioni dell’uomo, che lo aiutano ad agire ma che lo rinchiudono in una sfera sociale irreale. Possiamo pensare ai media come surrogati sociali perché essi si sono sostituiti alle comuni casualità dell’interazione quotidiana, creando difese contro lo sgradevole: la paura per i media, soprattutto per i new media, è che creino una dimensione non reale creando dei “drogati dello schermo”. Bisogna individuare i modi in cui i modi partecipano alla vita sociale e culturale, quindi esaminare i media come processo, agenti e oggetti dati ovunque gli esseri umani si aggregano e comunicano. Comprendere i media in quanto processo significa insistere sulla loro specificità storica. I mezzi di comunicazione stanno cambiando in modo radicale (televisione, radio, telefono ecc. si sono sviluppati sempre di più, diventando strumenti essenziali per condurre la vita quotidiana. Con internet c’è stata un’intensificazione della cultura mediale, cercando di creare un mondo interattivo. Il processo dei media è fondamentalmente politico-economico: i significati offerti e costruiti attraverso vari tipi di comunicazione, emergono da istituzioni, che cercando di creare una comunicazione di massa, combattono contro le culture locali. Il potere di queste istituzioni è molto significativo: le istituzioni possono controllare le dimensioni produttive e distributive dei media contemporanei, comportando un progressivo indebolimento dei governi nazionali nel controllare la condivisione di significati in ogni paese. Esiste una tensione continua fra tecnologia, industria e società. Le istituzioni non producono significati: li offrono. Cerchiamo di capire chi opera nei media, pur sapendo che non esiste una singola teoria dei media, per quanto una possa sembrare valida. Vogliamo dare applicazione concreta a ciò che siamo arrivati a capire: lo studio dei media deve essere una scienza attuale e di prospettiva umanistica. La ricerca sui media ha spesso preferito considerare eventi mediali forti, e questa continua attenzione all’eccezionale provoca inevitabili fraintendimenti: i media sono in primo luogo normali, sono una presenza costante della nostra quotidianità. Quindi, l’azione più significativa dei media si svolge nel mondo ordinario: essi descrivono realtà quotidiane e le loro rappresentazioni offrono punti di riferimento per la produzione e il mantenimento del senso comune. I media ci hanno offerto significato non in quanto forze che agiscono contro di noi, ma quanto facenti parte della nostra realtà- Se l’uomo è sospeso su una rete di significati che lui stesso ha tessuto, i media sono filatai del mondo moderno e, utilizzandoli, gli esseri umani tessono reticoli di significati per loro stessi. Il punto dal quale partire è il senso comune, inteso come espressione e precondizione dell’esperienza, come condiviso o condivisibile, come misura delle cose spesso invisibile. I media dipendono dal senso comune, lo riproducono e vi fanno riferimento. È attraverso il senso comune che siamo messi in grado di condividere le nostre vite e di distinguerle da quelle degli altri.

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I media hanno anche carattere riflessivo, non solo per quanto riguarda le soap, i talk show ma anche nei notiziari, nei programmi di attualità, nella pubblicità, dal momento che il mondo che ci circonda viene costantemente scoperto e reso visibile attraverso testi scritti, orali e audiovisivi. All’esperienza va attribuito anche il carattere del tempo, profondamente diverso da ciò che era: non è più delimitato da distinzioni di passato, presente e futuro. Noi sappiamo di vivere nel tempo e sappiamo che la vita è destinata a finire, che la sequenza è ancora centrale, che il tempo non è reversibile. I media, soprattutto l’ultima generazione dei media basati sui computer, sono fortemente responsabili, poiché mentre la programmazione televisiva, anche se non il suo contenuto, è sempre stata basata sul tempo, il gioco a computer è senza fine e Internet è istantaneo. Analizziamo l’aspetto dello spazio, inteso come tempo simultaneo. Noi ci muoviamo fra spazi privati e pubblici, fra locali e globali, fra sacri e profani ecc. e in ognuno di questi spazi ci muoviamo accompagnati dai media, e questi ci collegano ad altri, anche sconosciuti, che fanno il nostro stesso gesto. Condividere uno spazio non significa necessariamente possederlo. Le nostre esperienze dei media sono individuabili, ma lasciano raramente una traccia. Il nostro movimento quotidiano implica un passaggio attraverso differenti spazi mediali e un passaggio dentro e fuori di essi. I media costituiscono il quotidiano e, al tempo stesso, forniscono alternative ad esso. Secondo Manuel Castells, esiste uno spazio di flussi, che designa la rete elettronica ma anche fisica. La nuova società si costruisce attraverso i suoi movimenti, attraverso il suo costante fluire: lo spazio diventa labile, distaccato dalle vite condotte in luoghi reali, vite che pur ancora in qualche modo ne dipendono. Secondo Roger Silverstone, il senso di flusso è legato agli spostamenti che si verificano all’interno dell’esperienza e attraverso di essa, dal momento che è lì che hanno luogo. Ci muoviamo anche in spazi mediali, nella realtà e nell’immaginazione. Studiare i media significa studiare anche questi movimenti nel tempo e nello spazio e le relazioni tra di essi. Questo da luogo ad alcune considerazioni, la prima delle quali ci dice che è necessario riconoscere la realtà dell’esperienza: facciamo esperienze concrete, anche quelle mediali. Siamo capaci di distinguere fantasia e realtà proposta, mantenendo una distanza critica fra noi e i media. Inoltre le nostre risposte ai media, variano da individuo a individuo. Bisogna tener conto dell’esperienza poiché i media danno forma all’esperienza e l’esperienza dà forma ai media. L’esperienza è inquadrata (da precedenti esperienze), ordinata (in base alle norme) e interrotta (dall’inaspettato). L’esperienza è tradotta in pratica: la comunanza dell’esperienza corporea (il corpo immerso nella vita) nelle diverse culture che dà luogo alla comprensione reciproca. I media sono inseriti nell’esperienza corporea e lo fanno di continuo attraverso la tecnologia. Martin Heidegger conia il termine “techne”: la nostra capacità di entrare in contatto con i media è precondizionata dalla capacità di usare la macchina. L’esperienza non si ferma qui: arriva negli strati dell’inconscio, studiato dalla psicoanalisi che disturba la facile razionalità di gran parte delle teorie contemporanee sui media. Se però dobbiamo studiare i media, dobbiamo confrontarci con il ruolo che l’inconscio svolge nel costruire e sottoporre al dubbio l’esperienza. L’esperienza dei media emerge nell’interfaccia tra corpo e psiche e viene espressa nei discorsi. Le nostre storie sono presenti sia nelle narrazioni formalizzate dei media, sia nelle storie quotidiane (pettegolezzi, dicerie). Il contenuto delle narrazioni mediali e le narrazioni dei discorsi quotidiani sono interdipendenti, e insieme ci consentono di inquadrare e misurare l’esperienza (pubblico e privato si intrecciano). Per concludere quindi, dal momento che i media sono cruciali in questo processo di produzione di distinzioni e giudizi, dal momento che essi hanno un ruolo importante nella dialettica, dobbiamo indagare sulle conseguenze di questa mediazione.

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CAPITOLO SECONDO Mediazione Come già ribadito, dovremmo pensare ai media come ad un processo di mediazione: la mediazione coinvolge produttori e consumatori dei media in un’attività di impegno e disimpegno nei confronti di significati. La mediazione comporta il movimento del significato da un testo a un altro, da un discorso a un altro, da un evento a un altro, comportando una costante trasformazione dei significati. I significati mediali circolano attraverso testi primari e secondari, e nei discorsi senza fine che hanno luogo dentro e fuori lo schermo, discorsi in cui agiamo e interagiamo come produttori e consumatori tentando di dare un senso al mondo e allo stesso tempo di allontanarci da esso. Per i ricercatori risulta difficile uscire dalla cultura mediale, quindi sono come linguisti che cercano di analizzare il proprio linguaggio. Vi è una difficoltà epistemologica che riguarda i modi in cui affermiamo di comprendere la mediazione, ed una etica, dal momento che ci richiede di esprimere giudizi sul potere del processo di mediazione. In entrambi i casi studiare i media è un rischio, poiché implica un processo di defamiliarizzazione, sfidando ciò che è dato per scontato. La mediazione, in questo senso, è simile alla traduzione, nel modo in cui la concepisce George Steiner: non è mai completa, è sempre un processo di trasformazione, mai completamente soddisfacente. È anche sempre contestabile. Steiner descrive la traduzione in termini di: fiducia (perché traducendo ci focalizziamo su un valore che vogliamo comprendere), aggressione (perché cercando di comprendere, attribuiamo un significato escludendo tutti gli altri), incorporazione (perché ci appropriamo del significato, interiorizzandolo) e restituzione (una rivalutazione, ovvero ne restituisco il senso e magari ne aggiungo di nuovi). Secondo Steiner la traduzione p un processo diadico, ovvero un movimento da un testo a un altro, un movimento nel tempo, nello spazio e attraverso gli spazi. La mediazione sembra essere, rispetto alla traduzione, qualcosa di più (perché oltre a spiegare il testo, spiega anche la realtà: i significati mediali si muovono fra i testi dello spazio e del tempo) e qualcosa di meno (perché il mediatore non si trova necessariamente legato al suo testo, quindi a differenza della traduzione, che viene riconosciuta come lavoro d’autore, la mediazione implica lavoro di istituzioni, gruppi e tecnologie. Inoltre la mediazione è senza fine, non è limitata al testo come la traduzione. Il resoconto della traduzione di Steiner non contempla il lettore, quello di Silverstone sì, poiché processo di mediazione coinvolge tutti, quindi anche noi che ci impegniamo continuamente con i significati mediali. Siamo tutti mediatori, e i significati che creiamo sono instabili ma anche potenti. Nello studio dei media, non teniamo conto solo dei media in quanto fonti di informazioni, ma anche come trasmettitori di significati; bisogna capire come questo processo di emersione dei significati avviene.

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CAPITOLO TERZO Tecnologia Nell’indagine sui media bisogna considerare anche la tecnologia, che costituisce il mezzo con cui ci confrontiamo con la realtà. Le tecnologie dei media sono diversi e ci stanno spingendo verso l’era dell’informazione. Non è semplice lo studio sulle tecnologie mediali, non solo per la loro velocità di cambiamento, ma anche per la loro influenza sul nostro modo di affrontare la vita di tutti i giorni. Grazie alla digitalizzazione, vi sono sempre più nuove tecnologie, nuovi media che stanno trasformando il tempo e lo spazio, culturale e sociale, creando un mondo sempre connesso al World Wide Web (commercio interattivo e comunità virtuale). La tecnologia non arriva su di noi senza un intervento umano e i media si costruiscono sulle fondamenta di quelli vecchi, non nascono completamente formati e autonomi. Le certezze di un mondo tecnologico non producono un’equivalente reale nell’esperienza (?). Il cambiamento tecnologico produce delle conseguenze notevoli, che hanno cambiato il mondo in cui viviamo (scrittura, stampa ecc.). Internet, televisioni e telefonia hanno offerto nuovi modi di gestire l’informazione e comunicarla, nuovi modi di produrre, trasmettere e fissare il significato. La tecnologia non è dunque un’entità univoca. McLuhan vorrebbe che si considerasse la tecnologia come fisica, quindi un’estensione della nostra capacità umana di agire nel mondo, garantendoci un infinito potere. La fortuna del suo approccio sta che negli anni Sessanta e ancora oggi è un approccio innovativo. La sua idea di sostituire il medium al messaggio come agente di influenza è simile all’idea di chi pensa che Internet sia un modello di come siamo: noi utilizzatori della tecnologia veniamo trasformati dall’uso che ne facciamo e il significato dell’essere umani muta di conseguenza. Questa idea focalizza l’attenzione sulle dinamiche del cambiamento, ma non sulle sfumature dell’azione e del significato, dell’esercizio umano del potere e della resistenza ad esso. Inoltre non coglie anche fattori che i fluiscono sulla stessa creazione di tecnologie, e fattori che mediano la nostra risposta a queste ultime, come la società, l’economia, la politica, la cultura. Tuttavia il fascino di questo approccio sta nel fatto che McLuhan vede la tecnologia come incantamento, come magia e mistero: non si sa come funzionano le macchine, di conseguenza ne fraintendiamo l’origine e il significato. In questo contesto, si può iniziare a considerare la tecnologia come cultura, quindi a considerare cioè che le tecnologie sono tanto simboliche quanto materiali, considerando il cosa, ma anche il come e perché della macchina. Walter Benjamin ha riconosciuto nell’invenzione della fotografia e del cinema momenti decisivi nella storia della cultura occidentale, che ha mal interpretato come disincantamento. La riproduzione meccanica, con la stampa, rappresenta la rottura della sacralità dell’opera d’arte, per sostituire con immagine e suoni della cultura di massa. Questo implica la possibilità di nuove politiche, dal momento che gli spettatori di massa del cinema si confrontano con una realtà in sintonia con le loro esperienze. Le tecnologie mediali, quindi, sono qualcosa che nasce in relazione a bisogni sociali più che individuali. Raymond Williams afferma che la maturazione delle tecnologie, e quindi il loro cambiamento, riflettono le dinamiche culturali, che cambiano continuamente anch’esse. Max Weber l’avrebbe chiamata affinità elettiva tra cambiamento tecnologico e cambiamento sociale. Le tecnologie mediali possono essere considerate cultura anche come prodotti di un’industria culturale, oggetto di una cultura, che entra nel rapporto delle tecnologie con le strutture del tardo capitalismo. Come affermano Theodor Adorno e Max Horkheimer, la tecnologia non è fuori dalle strutture politiche ed economiche, le tecnologie mediali scatenano delle forze culturali. La tecnologia fa scomparire originalità e valore e offre al loro posto banalità e monotonia. La critica è rivolta ai media, non ai loro prodotti: questi ultimi rappresentano l’industrializzazione della cultura, l’uniformità. Si può tuttavia considerare la tecnologia come fatto economico, non in riferimento a un’economia dei media che dipende dal libero mercato, ma in riferimento a un tipo di economia che applichi teoria e pratica economica allo sviluppo dei media: il mercato dell’informazione è differente dal mercato delle merci (meno costi), cosa più vera nell’economia di Internet, poiché l’informazione è sia la merce che il principio di gestione

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Ad un workshop tenuto in California su queste tematiche è emerso che in questo mondo il futuro è sconosciuto, il passato è appena ricordato e il presente è l’unica preoccupazione. Secondo le teorie evoluzioniste, gli individui lottano per la sopravvivenza economica e Internet sta diventando un prodotto di consumo. Il consumatore ha rappresentato un enigma. Le nostre decisioni di acquisto sono potenziate da un’economia apparentemente libera, con infinite possibilità di scelta fra i prodotti, informazioni chiare e accessibili sulle merci, così che sembra che le decisioni di acquisto dipendano solo dalla possibilità di pagare. Tuttavia questo viene compromesso da strategie che le imprese globali o locali sviluppano per indirizzare e delimitare le nostre scelte, ad esempio registrare i nostri acquisti. Si discute sul potere del nome, la divinità della marca, che esiste soltanto nella sua riproduzione di massa. Microsoft è l’asse attorno al quale Internet orbita: fornitore di un’infrastruttura di programmi a livello globale, sulle cui piattaforme minori stanno sviluppando i propri programmi. Nel mondo di Internet, la tecnologia può essere vista come politica in due sensi: politica che emerge intorno ai media (che riguarda l’accesso e la regolamentazione) e politica che emerge all’interno dei media (che riguarda la partecipazione e la rappresentazione in cui possono svilupparsi nuove forme di democrazia o tirannia). In entrambi i casi la tecnologia è condizione necessaria ma non sufficiente per il cambiamento, dal momento che essa agisce in uno specifico contesto. Le tecnologie dei media e dell’informazione sono sempre più ubique e invisibili. La tecnologia diventa simile all’informazione, si rende accessibile attraverso la rete. Noi lasciamo che la tecnologia lavori per noi. La cultura consiste nell’addomesticare e, come lo si faceva con animali e raccolti, oggi lo si fa (in bilico fra fiducia e paura) con l’informazione. Le tecnologie sono oggetti sociali, ricchi di significato e vulnerabili rispetto ai paradossi e le contraddizioni della vita sociale, sia nella loro creazione, che nel loro uso.

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-PARTE PRIMARichieste testuali e strategie di analisi Il nostro mondo mediato è traboccante di messaggi e tutto si affolla per conquistare spazio, tempo e visibilità, per cogliere il momento, suscitare il pensiero ecc. Cerchiamo di spiegare i meccanismi della mediazione, sulle tecniche e sulle tecnologie che portano i media nelle nostre vite. Occorre capire come lavorano i media. Si può affrontare questa indagine in diversi modi, attraverso i dettagli dei cambiamenti di qualità o attraverso le coerenze e le incoerenze di struttura e di forma (?). Infatti nell’analisi dei media, non ci si concentra sul dettaglio ma sulla produzione dell’incantamento. Ci concentriamo sulla retorica, sulla poetica e sull’erotismo, ciascuno dei quali consente di sottolineare una particolare qualità dei media e che tutte sono strategie testuali, ma anche strategie di analisi: tutti i testi le utilizzano, ma in quantità differenti. Tuttavia, se si vuole comprendere il potere dei media, occorre ragionare in maniera analitica, dal momento che i testi ci coinvolgono e richiamano la nostra sensibilità in maniera differente: le emozioni sono importanti tanto quanto la mente, il superficiale tanto quanto il profondo. Inoltre esistono diversi livelli di coinvolgimento, siccome utilizziamo i media in modi diversi CAPITOLO QUARTO Retorica La retorica permette di parla...


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