Qualifiche E Mansioni PDF

Title Qualifiche E Mansioni
Author stefania mura
Course Diritto del lavoro
Institution Università degli Studi di Cagliari
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capitolo qualifiche e mansioni...


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20/11/2018

QUALIFICHE E MANSIONI

Nozione generale

L’uso corrente dei termini "mansioni", "compiti", "qualifiche" e "categorie" evidenzia spesso alcune ambiguità di tipo lessicale, pertanto occorre liberare il campo dalle incertezze, puntualizzandone il significato.

MANSIONI

Le mansioni, nel senso tecnico-giuridico del termine, individuano e specificano il contenuto della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore, essendo costituite dal complesso dei compiti a lui attribuiti concretamente, secondo i profili proposti dall’esperienza organizzativa del lavoro, all’interno delle categorie aziendali. Le mansioni, pertanto, attribuite al prestatore, nel momento dell’assunzione o durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, costituiscono il dato di riferimento nell’interesse del lavoratore, al fine di conservare o eventualmente migliorare, la posizione lavorativa acquisita in servizio; al quale si contrappone l’interesse-potere del datore di lavoro al fine di utilizzarne diversamente l’opera, secondo le sue valutazioni e le esigenze aziendali (jus variandi).

COMPITI

I compiti, pertanto, non sono altro che i singoli segmenti di attività in cui è possibile scomporre la mansione; in pratica sono operazioni, che a seconda del tipo di organizzazione del lavoro, possono assumere un’autonomia funzionale e quindi configurarsi esse stesse come mansioni o essere considerate come operazioni preparatorie e complementari, inscindibili nel loro insieme e funzionalmente collegate ad un’attività principale identificata nella mansione.

QUALIFICHE

Per la qualifica, sarà necessario operare una distinzione tra quella soggettiva e quella oggettiva. La prima, avente scarso rilievo nel nostro ordinamento, rappresenta il patrimonio di conoscenze e le capacità professionali possedute dal lavoratore, preesistenti all’instaurazione del rapporto di lavoro. La seconda invece è semplicemente una variazione, dal punto di vista terminologico, dell’effettiva mansione svolta dal lavoratore. Nell’accezione tecnico-giuridica, quindi, il termine qualifica indica la posizione e/o l’inquadramento che la legge e la contrattazione collettiva attribuiscono ai lavoratori, alle dipendenze di datori di lavoro di diversa natura, in considerazione delle mansioni assegnate, assolvendo al ruolo di parametro di valutazione della prestazione lavorativa. La qualifica convenzionale invece ricorre qualora il datore di lavoro riconosca, solo formalmente, al prestatore una qualifica di livello superiore, al solo scopo di farlo accedere ad un trattamento economico e normativo più

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favorevole rispetto a quello che dovrebbe spettargli in relazione alle mansioni effettivamente svolte (Cassazione 13/6/1991 n.6657, Cassazione 28/10/1997 n.10631). E’ consentito in tal caso derogare alla regola generale (art.96 Codice Civile Disposizioni Attuative) che impone al datore di assegnare al lavoratore la categoria e la qualifica corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte, solo in virtù del principio della prevalenza di trattamenti più favorevoli al prestatore (Cassazione 8/1/1987 n.76). Resta palese che tale deroga è consentita solo se al dipendente verrà riconosciuto un trattamento di miglior favore, valutato alla luce del complessivo trattamento giuridico-economico (Cassazione 5/2/1997 n.1068). Il lavoratore, non può comunque vantare un vero e proprio diritto ad espletare le mansioni corrispondenti alla qualifica riconosciutagli, né può rivendicare ulteriori vantaggi rispetto a quelli economico-normativi connessi alla qualifica, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Ad esempio se consideriamo l’attribuzione convenzionale della qualifica dirigenziale, il prestatore non potrà rivendicare anche l’iscrizione all’INPDAI al pari di colui che effettivamente svolge la predetta mansione, poiché disposta unilateralmente dal datore di lavoro, in deroga (in melius) alla disciplina legale (Cassazione 8/10/1992 n.10964).

Categorie Legali

E’ l’art.2095 del Codice Civile ad individuare le categorie legali, operando una suddivisione tra i prestatori di lavoro in dirigenti, quadri, impiegati ed operai, successivamente modificato dalla Legge 13/5/1985 n. 190, a cui la contrattazione collettiva né aggiunge altre due: quella dei funzionari, tipica del settore del credito e delle assicurazioni e quella degli intermedi, propria del comparto industriale.

GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA

Prima di procedere alla loro singola trattazione, sarà opportuno precisare che la contrattazione collettiva ha avviato un processo di progressivo superamento della distinzione tra gli operai e gli impiegati, introducendo un sistema di inquadramento unico, operando cioè una stessa classificazione per tutti i lavoratori dipendenti di uno stesso comparto, in relazione al contenuto professionale delle loro mansioni. Attualmente, pertanto, il tratto distintivo che individua l’appartenenza ad una delle due categorie, non è più l’impegno manuale o intellettuale richiesto dalle mansioni svolte, ma il modo in cui il dipendente fornisce la sua collaborazione al datore di lavoro, in altre parole la qualità di tale cooperazione, che è semplicemente esecutiva quando è fornita dagli operai, sostitutiva o integrativa, con un certo grado di autonomia e discrezionalità, qualora proveniente dagli impiegati (Cassazione 12/2/1990 n.981). Se il rapporto di lavoro, quindi, è regolato dai contratti collettivi la determinazione delle caratteristiche relative alle diverse categorie, verrà effettuata in base alle disposizioni in essi contenute che nell’organizzazione del sistema di classificazione ed inquadramento dei lavoratori, procedono in via preliminare, identificandone i criteri generali (Sent. Cass.5/5/1999, n. 4520). Con l’evoluzione della realtà socio-economica, l’innovazione tecnologica e la crescente specializzazione delle attività lavorative, risulta difficile, dunque, tracciare una netta linea di demarcazione tra le due categorie poiché si è avuto modo di constatare che anche le mansioni operaie possono richiedere un rilevante impegno intellettuale, con l’attribuzione di poteri di iniziativa e responsabilità, tali da trascendere la semplice materialità della prestazione, così come le mansioni ritenute tradizionalmente impiegatizie, possono richiedere una scarsa partecipazione intellettuale se di natura esecutiva o d’ordine. 2/24

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Inquadramento

La contrattazione collettiva disciplina il sistema di inquadramento o di classificazione dei lavoratori, articolando una serie di indicatori, quali declaratorie generali, profili professionali, mansioni esemplificative, finalizzati ad identificare i requisiti di accesso per ogni livello di inquadramento. Sarà rispecchiato nei C.C.N.L. quanto disposto dalla normativa, la quale stabilisce che le qualifiche dei prestatori di lavoro, nell'ambito di ciascuna delle categorie fondamentali, (art.2095 c.c. e art.96, disposizioni di attuazione. c.c.) possono essere stabilite e raggruppate per gradi, secondo l'importanza, nell'ordinamento dell'impresa. Per determinare, quindi, l'inquadramento del lavoratore subordinato, in relazione alle mansioni da lui svolte, sarà necessario far riferimento, in primo luogo, al contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro. Le indicazioni in esso contenute assumono valore vincolante e decisivo anche per quanto riguarda la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o nell'altra categoria. Il prestatore di lavoro, pertanto assumerà il grado gerarchico corrispondente alla qualifica ed alle mansioni effettivamente svolte, dovendo il giudice attenersi ad un’interpretazione, delle disposizioni contrattuali meramente oggettiva (Cassazione 23/1/1985 n.301).

IL CASO DELLE ASSUNZIONI OBBLIGATORIE

Per quanto riguarda l’assegnazione delle mansioni, all’atto dell’assunzione, va fatto un richiamo alla disciplina del collocamento obbligatorio che, prescrivendo la richiesta numerica (ed eccezionalmente quella nominativa), non prevede particolari specificazioni riguardo alla professionalità del lavoratore che si intende assumere. Nel caso in cui il datore di lavoro effettui la richiesta numerica di avviamento obbligatorio di un lavoratore invalido, avente specifiche attitudini lavorative, l’ufficio competente potrà soltanto individuare in quale delle due fondamentali categorie professionali (impiegatizia o operaia) siano inquadrabili le sue attitudini, provvedendo conformemente a tale generico inquadramento. Il datore, infatti, che ha inoltrato la richiesta numerica, sarà tenuto ad attribuire al lavoratore avviato, mansioni conformi alla categoria di appartenenza, compatibili con lo stato di minorazione ed il lavoratore non potrà vantare, in aggiunta al diritto di svolgere un’attività riguardante l’ampia categoria di appartenenza, alcun diritto di attribuzione di un determinato inquadramento professionale o di mansioni particolari (Cassazione 16/7/1986 n.4608). E’ possibile affermare, pertanto, che il datore di lavoro può solo pretendere, considerando le attitudini professionali del lavoratore da avviare, che vi sia corrispondenza fra la categoria da lui richiesta (operaia o impiegatizia) e quella di appartenenza del prestatore avviato, essendo irrilevante, il divario tra le caratteristiche professionali e le esigenze aziendali (Cassazione 9/6/1990 n.5602); conseguentemente sarebbe illegittimo il suo rifiuto ad assumere un prestatore appartenente alle categorie protette, le cui attitudini rientrino nella generale categoria indicata nella richiesta di avviamento.

Individuazione della qualifica 3/24

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Secondo quanto disposto dal nostro ordinamento (art.2103 Codice Civile), il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle successivamente acquisite, ma in realtà tale previsione è stata spesso disattesa dalla prassi non essendo infrequente il caso in cui la qualifica e la categoria indicate nella richiesta di avviamento risultavano diverse da quelle effettivamente assegnate al lavoratore.

Ci si pose, pertanto, il problema di stabilire se esistesse un vero e proprio obbligo da parte del datore di lavoro di indicare le mansioni da assegnare al prestatore.

Il dubbio è stato sciolto da una disposizione legislativa (art.25, comma 4 L.223/1991) che ha stabilito l’obbligo per datore di non poter adibire il lavoratore a mansioni non equivalenti rispetto a quelle risultanti dalla richiesta di avviamento; così come successivi interventi normativi hanno previsto l’obbligo da parte del datore di indicare la qualifica attribuita al lavoratore nella comunicazione fatta al Centro per l’impiego, entro 5 giorni dalla sua avvenuta assunzione (art.9-bis D.L.510/1996).

Le stesse disposizioni attuative del codice civile (art.96) prevedono che l'imprenditore debba far conoscere al prestatore di lavoro, la categoria e la qualifica assegnategli, in relazione alle mansioni per cui è stato assunto; sarà pertanto indispensabile la determinazione delle mansioni al fine di identificarne la corrispondente qualifica e categoria.

MANSIONI EFFETTIVAMENTE SVOLTE

Ai fini dell’individuazione della qualifica sarà importante comprendere come avviene la delimitazione dell’ambito complessivo della prestazione di lavorativa, legittimamente esigibile, da parte del datore di lavoro.

L’art.2103 del Codice Civile, rinnovato dall’art.13 della Legge 300/1970, delinea un duplice parametro al fine di individuare concretamente il contenuto dell’obbligazione di lavoro gravante sul prestatore, di cui il primo è costituito dalle mansioni definite all’atto dell’assunzione ed il secondo, da quelle corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

E’ superata in tal modo la vecchia formulazione contenuta nel codice civile, secondo la quale il contenuto della prestazione richiesta dal datore di lavoro era solo quello stabilito dalle parti, ritenendo possibile una modificazione dei termini di pattuizione solo rispettando vincoli ben precisi.

La norma attualmente in vigore, pertanto, non si esaurisce in un semplice rinvio alla volontà delle parti, ma concorre a delimitare l’ambito complessivo della prestazione dovuta, che nasce dall’intenzione delle parti, ma viene definita dalla forza vincolante della legge.

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GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA

Per l’individuazione della qualifica, si dovrà considerare che il lavoratore non è tenuto a svolgere esclusivamente le mansioni convenute tra le parti, al momento dell’assunzione, in quanto grava su di esso un compito ben più articolato che si estende non solo alle mansioni equivalenti, così come disposto dalla legge (art.13 Legge n.300/70), ma anche a quell’insieme di compiti che il datore di lavoro può stabilire durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

E’ concessa, infatti, al datore la facoltà di esigere dal dipendente ulteriori compiti rispetto alle mansioni specificate dalla contrattazione collettiva, comunque collocati nell’area professionale di appartenenza. Tale potere viene definito di conformazione e rappresenta una caratteristica della subordinazione, poiché risponde alla necessità dell’imprenditore di adattare l’attività lavorativa alle esigenze aziendali che di volta in volta possono proporsi.

Il problema sarà delimitare il confine entro il quale può spingersi tale potere del datore, in modo da definire esattamente la prestazione esigibile da parte del lavoratore.

Secondo una parte della giurisprudenza andranno considerate le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore all’interno dell’impresa in modo stabile e continuativo (Cassazione 6/4/1992 n. 4200; Pretura di Milano 19/2/1999), pertanto qualora l’attribuzione di una determinata qualifica al prestatore di lavoro, avvenga in sede giudiziale sarà necessario attenersi ad un procedimento (Cassazione 10/6/1999 n.5728 e Cass.4/4/2000, n.4118) logico - giuridico che consenta di:

- accertare quali siano le attività lavorative in concreto svolte;

- individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;

- inquadrare il lavoratore subordinato;

- procedere al raffronto fra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.

E’ doveroso precisare che nel caso in cui i CCNL, nel disciplinare la classificazione dei lavoratori, prevedano, sia una suddivisione secondo categorie o livelli, mediante declaratorie astratte e generali, sia secondo profili professionali distinti e specifici, la qualifica spettante al lavoratore dovrà essere determinata verificando la corrispondenza delle mansioni concretamente svolte a quelle contenute in un determinato profilo professionale indicato dalla stessa contrattazione collettiva, che a sua volta rientra in una particolare categoria (Cassazione 30/7/1997, n. 7129).

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Qualora la contrattazione collettiva preveda il possesso di un titolo di studio, per l’attribuzione di una determinata qualifica, non esclude che questa debba essere riconosciuta al lavoratore, che, sebbene sfornito del titolo richiesto, di fatto svolge le mansioni ad essa corrispondenti.

Solo nel caso in cui sia la legge a stabilire che determinate mansioni (come quella di medico, ingegnere, vigilatore d’infanzia), richiedano una determinata abilitazione professionale, il titolo di studio diviene requisito indispensabile (Cassazione 14/2/1983 n.1137).

Di converso avrà diritto ad essere assunto con una qualifica inferiore, colui il quale avrebbe diritto ad una qualifica superiore, in base al titolo di studio posseduto, poiché si intendono nulle le clausole contrattuali o quelle previste dai bandi di concorso che escludono coloro che siano in possesso di un titolo di studio superiore a quello richiesto (Cassazione 26/1/1983 n. 735).

Nel caso in cui al lavoratore vengano assegnate mansioni promiscue (polivalenti e varie), l’individuazione della qualifica posseduta, avverrà facendo riferimento a quella esercitata con carattere di prevalenza, laddove la determinazione della mansione principale, sarà intesa come mansione primaria e caratterizzante l’attività del prestatore.

L’accertamento da parte del giudice di merito, in tal caso, sarà fondato su un criterio quantitativo, non potendo limitarsi a considerare la mansione che ha una maggiore rilevanza dal punto di vista qualitativo (Sent.Cass.22/4/1995 n.4561).

Secondo più recente e contrario orientamento della giurisprudenza, in caso di mansioni promiscue - ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l'individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore -, ai fini di un corretto inquadramento, la mansione prevalente non va individuata esclusivamente sulla base di una contrapposizione quantitativa tra le mansioni svolte, ma anche secondo un confronto di tipo qualitativo, considerando quella mansione maggiormente significativa sul piano professionale, a patto che non sia espletata in via sporadica od occasionale (Cassazione 23/6/1998 n. 6230; Cassazione 23/3/1999 n. 2744; Cassazione 8/8/2017, n. 19725).

Anche la prassi aziendale, infine, costituisce fondamento per l’inquadramento dei lavoratori addetti a determinate mansioni, in deroga a quanto previsto dalla contrattazione collettiva (Cassazione 16/10/1998 n. 10285).

Mutamento

La legge prevede (art. 2103 Codice Civile) che il lavoratore dovrà essere adibito alle mansioni attribuitegli all’atto dell’assunzione, a quelle superiori acquisite successivamente o a quelle 6/24

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equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza che il datore di lavoro proceda ad una riduzione della retribuzione. A decorrere dal 25 giugno 2015, a seguito delle modifiche apportate dal decreto attuativo del Jobs act (D.Lgs. n. 81/2015), il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale (art. 2103 codice civile, sost. dall’art. 3, co. 1, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81). Tuttavia, i contratti di lavoro possono prevedere ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni va comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Il datore di lavoro e il lavoratore possno, inoltre, sottoscrivere accordi individuali, "in sede protetta", che possono prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.

Le disposizioni codicistiche del resto contemplano unicamente le ipotesi di mutamento di mansioni derivanti dall’esercizio dello jus variandi, in virtù del quale il datore di lavoro ha il potere di determinare la struttura organizzativa aziendale ed attribuire mansioni differenti durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Nonostante tale potere sia giustificato da esigenze aziendali, il datore sarà tenuto a garantire, l’equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni assegn...


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