Razzismo al lavoro di ferrero e perocco PDF

Title Razzismo al lavoro di ferrero e perocco
Author Isabel RF
Course Diritto Dell'Immigrazione Sp.
Institution Università Ca' Foscari Venezia
Pages 15
File Size 212.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 32
Total Views 159

Summary

Download Razzismo al lavoro di ferrero e perocco PDF


Description

RAZZISMO AL LAVORO Di Ferrero e Perocco Settore primario: agricoltura e pesca. Settore secondario: industria, edilizia e artigianato. Settore terziario: commercio, banche, trasporti, istruzione, cultura e sanità. 1. Razzismo, lavoro, discriminazioni, diritto Introduzione Il testo prende in esame le discriminazioni razziali in ambito lavorativo e gli strumenti di tutela legali atte a contrastarli nell’italia di oggi. Quello delle discriminazioni razziali in ambito lavorativo è un fenomeno diffuso e acuto ma scarsamente riconosciuto. La tendenza generale è quella di considerarlo un fenomeno naturale. La sua metodica banalizzazione comporta il rifiuto di concepirlo come un elemento strutturale del funzionamento del mercato del lavoro. Le discriminazioni razziali sono un elemento centrale nel mercato del lavoro perché esse sono la messa in pratica del razzismo, razzismo che è una componente strutturale della società contemporanea. Le discriminazioni razziali sono infatti allacciate ad un sistema di nessi che le connette con il razzismo istituzionale e le disuguaglianze, con le trasformazioni del lavoro e i cambiamenti sociali, con la crisi globale e l’economia sommersa, con le politiche del lavoro e i discorsi pubblici. 1.1 Il razzismo, un rapporto sociale Il razzismo è un rapporto sociale di oppressione e di sfruttamento comprendente un complesso ideologico che naturalizza relazioni diseguali e che giustifica la subordinazione di un gruppo sociale ad un altro. Un rapporto materiale di dominazione da intendersi come un fattore di creazione e di mantenimento delle disparità. Figlio primogenito del colonialismo, il razzismo è un fenomeno congenito, strutturale, pervasivo della società moderna. È vero che nelle società pre-moderne sono esistite delle situazioni simili al razzismo (schiavi, stranieri, servi della gleba), tuttavia queste situazioni non presentavano né un complesso ideologico razzista di carattere sistematico (cioè un’ideologia razzista completa e integralmente combinata con il funzionamento del sistema sociale), né una centralità strutturale dell’elemento “razza” nel sistema dell’organizzazione sociale. Il pensiero razzista di tipo organico sorge nel Cinquecento-Seicento, si sviluppa nel Settecento e raggiunge il suo apice di completamento nell’Ottocento-Novecento, parallelamente alla nascita e allo sviluppo della società moderna. È con l’avvento dell’economia capitalistica, nella sua fase mercantile prima, poi nella sua fase industriale e soprattutto nella fase dell’espansione coloniale e imperialista, che il razzismo assume una sistematizzazione interna quasi definitiva e conquista una posizione centrale all’interno del funzionamento del sistema dei rapporti sociali. Esso è quindi un fenomeno storicamente determinato e non un elemento naturale che fa parte della natura umana in quanto tale e che alberga costituzionalmente nella mente degli uomini. È vero che il razzismo può essere presente nella mente umana, ma è l’esito della sua assimilazione “dall’esterno”, ovvero dal complesso dei rapporti sociali. Il razzismo non è il frutto di meccanismi psicologici naturali, “istintivi”. Se avesse una mera matrice psicologica, fondata sulla paura dell’ignoto, l’incremento dei contatti tra popolazioni diverse dovrebbe farlo scomparire.

1

Invece vedi il fatto che per esempio il razzismo verso i neri negli States non è affatto scomparso, nonostante anni e anni di convivenza. Il razzismo ha radici storico-sociali e le cause della sua esistenza sono da individuare nel piano storico e nel piano collettivo (non in quello intra-psichico per così dire). Il razzismo è stato ed è lo strumento ideologico utilizzato dal colonialismo e dal neo-colonialismo. Interiorizzando intere popolazioni, esso ha permanentemente messo a disposizione dell’economia di mercato una massa ingente di manodopera a basso costo. È stato ed è una componente essenziale dell’organizzazione della società moderna, basata strutturalmente sulle disuguaglianze sociali, sullo sviluppo diseguale e combinato alla scala mondiale, sulla concorrenza e sulla gerarchizzazione tra popoli, stati e nazioni. Il razzismo oltre ad essere un mezzo è però anche un effetto che ha formato attitudini ed abitudini innervatesi nei meccanismi di produzione sociale sfociati in pratiche e simbologie razziste. Pensare di sconfiggere il razzismo senza mettere in discussione i rapporti diseguali del mondo contemporaneo, è un’illusione per i bianchi di buon cuore e un insulto per i popoli dominati. Esso costituisce un elemento di sistema che ha a che fare con la struttura generale dei rapporti sociali. 1.2 L’acutizzazione del razzismo nell’Europa infelix L’intensificazione del razzismo avvenuta in Europa e in Italia negli ultimi anni si inscrive nel processo di svalorizzazione e compressione del lavoro in corso da almeno vent’anni a scala mondiale. In questo processo, metodo comune è stata la messa in concorrenza e la divisione dei lavoratori, dei popoli, dei generi, delle generazioni, attraverso l’efficacissima arma del razzismo e del sessismo. Il peggioramento generalizzato delle condizioni di lavoro ha trovato nel razzismo un mezzo molto utile, specialmente nei processi di produzione di manodopera ultraprecaria e di costruzione di un nemico pubblico verso cui convogliare le ansie sociali. Nel caso dell’Italia l’acutizzazione del razzismo ha visto l’intreccio di elementi globali e nazionali. I primi consistono nella mondializzazione delle politiche neo-liberiste, nell’onda lunga della guerra infinita e nella crisi economica globale che come via d’uscita esige grandi sforzi dai lavoratori; mentre i secondo riguardano problematiche economiche, politiche, sociali specifiche italiane. Sistematica stigmatizzazione degli immigrati. Quella italiana è da considerarsi l’avanguardia del razzismo europeo del XXI secolo e anche l’anticipazione dell’Europa ultrapolarizzata nelle posizioni sociali. Questa guerra agli immigrati ha prefigurato e anticipato l’attacco al lavoro e ai diritti, ai salari e all’istruzione. Ma quello che è stato socializzato in Italia è un razzismo arcigno, n grado di tenere gli immigrati in una condizioni di costante precarietà e inferiorità. Un razzismo capace di dare il proprio contributo alla penetrazione diffusa delle politiche neoliberiste e alla mistificazione delle cause del peggioramento delle condizioni di vita della popolazione prodotto da queste politiche. 1.3 Razzismo e disuguaglianze Nel contesto italiano, dopo la discriminazione sulla base di sesso, generazione e classe si è formata la discriminazione sulla base della nazionalità. Questa disuguaglianza nazionalrazziale è il risultato del sistema discriminatorio e l’esito dell’azione combinata di almeno tre strutture di stratificazione sociale – il mercato del lavoro, l’ordinamento giuridico, i mass media. Dal lavoro, alla salute, alla casa, alla scuola, questa disuguaglianza interessa tutti gli ambiti della vita di un immigrato. Essa si è formata sulla base dell’azione di specifici meccanismi generativi come la selezione dei movimenti migratori, la discriminazione eretta 2

a sistema, la precarizzazione totale dell’immigrato, lo sfruttamento differenziale e la segmentazione razziale del mercato del lavoro, la creazione di un diritto speciale, la stigmatizzazione sistematica nei discorsi pubblici, il ritorno alla retorica assimilazionista. La sua formazione è stata agevolata dal razzismo ordinario presente nella società italiana, ma in particolar modo dall’intensificazione del razzismo e dalla razzializzazione delle relazioni sociali avvenuta negli ultimi anni. Nel processo di formazione di questa disuguaglianza, la discriminazione nel lavoro ha svolto un ruolo centrale. Negli anni Ottanta, gli immigrati erano impiegati quasi esclusivamente nei lavori e nelle mansioni peggiori della fascia secondaria e marginale del mercato del lavoro, specialmente nei settori ad alta intensità lavorativa e a forte presenza di sommerso. Erano occupati in agricoltura come braccianti stagionali nelle regioni meridionali, nella pesca in altre regioni, nei servizi a bassa qualifica nelle grandi città (servizi domestici, pulizie, ristoranti e facchinaggio), nell’edilizia e nella vendita ambulante. Nonostante la scarsa rilevanza all’interno della vita economica del Paese, per questi comparti i lavoratori stranieri hanno costituito una presenza molto importante poiché sono stati utilizzati come fattore di mantenimento di elementi di acuto sfruttamento presenti in dati segmenti dell’economia. In questo senso, l’impiego di lavoratori senza contratto, mal alloggiati, con poche pretese, invisibili ha agevolato la conservazioni di cattive condizioni di lavoro o ha determinato il loro peggioramento, comportando anche la sostituzioni di lavoratori autoctoni che si sono visti imporre condizioni di remunerazione peggiori a fronte di un lavoro più duro. Per esempio nell’agricoltura meridionale, il ricorso a lavoratori immigrati ha consolidato un modello occupazionale basato sull’impiego sistematico di manodopera precaria, irregolare, malpagata e poco tutelata. Il caporalato infatti si è consolidato come uno dei metodi principali di arruolamento di lavoratori nell’agricoltura, nell’edilizia, nella pesca e nel lavoro domestico meridionali e non. Tanto che negli anni novanta e duemila con l’impiego di lavoratori costretti a passare attraverso la tappa obbligata del lavoro nero e della clandestinità, si è rinforzata ed espansa la vasta e radicata economia sommersa già presente nel Paese. Negli anni Ottanta sono state gettate le basi del lavoro immigrato come lo conosciamo oggi, caratterizzato dall’impiego in lavori pesanti e poco qualificati, nocivi e mal pagati. Nei decenni successivi l’inserimento lavorativo è diventato molto più esteso e ha interessato via via i settori centrali del sistema produttivo, mantenendo però i caratteri su descritti. Questo processo è avvenuto sotto le forche caudine dell’irregolarità lavorativa e della clandestinità amministrativa: prima di raggiungere una situazione di minima stabilità lavorativa, abitativa, sociale, esistenziale, questi lavoratori sono stati costretti – e lo sono tutt’oggi – a percorrere una lunga strasa irta di ostacoli, discriminazioni, incertezze e disagi. Il primo è un periodo di acclimatamento, di socializzazione con la situazione che li aspetta. Questo periodo li riguarda tutti e li prepara al futuro di manovali precari a vita che li aspetta. È un tirocinio forzato di preparazione alla precarietà permanente. È un percorso obbligato contraddistinto da sfruttamento intensivo, ostacoli burocratici, attesa continua. Questa pedagogia della precarietà è parte integrante del modello di asservimento formatosi negli anni Ottanta, irrobustitosi negli anni Novanta e istituzionalizzato negli anni Duemila. Negli anni novanta si è registrato un incremento del numero degli immigrati nel mercato del lavoro ordinario, specialmente nel settore industriale. Contemporaneamente è avvenuto un loro progressivo spostamento dalle regioni meridionali, principalmente di primo arrivo, alle regioni settentrionali, più industrializzate. Questo spostamento ha corrisposto al passaggio dall’ambulantato al lavoro in fabbrica, dal lavoro agricolo al lavoro industriale, passaggio da cui è nato un primo nucleo di proletariato urbano d’origine straniera.

3

L’agricoltura del Mezzogiorno si è confermata settore di transito per migliaia di lavoratori che dopo qualche stagione si sono trasferiti al Nord. Essa ha eretto la rotazione continua di lavoratori stranieri sottoposti s condizioni infernali, a pilastro del proprio funzionamento, mettendo con le spalle al muro la manodopera locale (specialmente femminile) e diventando uno dei principali ambiti in cui è avvenuto il transito dall’economia sommersa all’economia formale, dall’irregolarità alla regolarità amministrativa. Se negli anni Novanta per molti stranieri il primo impatto con l’Italia è stato di sfruttamento e isolamento, è da sottolineare l’importanza di tale dinamica nel settore primario, ma esso ha anche avuto una funzione fondamentale nell’incanalamento di manodopera da preparare ad uno sfruttamento più ordinato, più scientifico nel settore secondario. Il trasferimento verso il lavoro industriale ha comportato diversi miglioramenti delle condizioni dei lavoratori immigrati. Molti sono entrati in possesso di un contratto di lavoro, di un salario migliore e di un sistema di garanzie. Ciò ne ha migliorato nell’immediato la posizione amministrativa e abitativa, mentre nel medio periodo ne ha agevolato il radicamento sociale. L’inserimento nel settore industriale li ha fatti uscire dall’isolamento e li ha messi in più stretta relazione con gli altri lavoratori, autoctoni o di altre nazionalità. L’occupazione nelle industrie ha generato contatti e favorito l’instaurarsi di rapporti con i sindacati, le associazioni, con il volontariato, ma anche ha fatto prendere coscienza della propria condizione di salariati di origine straniera. Questi elementi ne hanno sostenuto l’attivazione e l’auto organizzazione, dapprima in forme embrionali e poi in forme più significative. L’inserimento nel settore industriale e nel terziario è avvenuto tuttavia attraverso l’incanalamento nelle mansioni meno qualificate e meno retribuite, più pericolose e più nocive, dando vita alle prime forme di razzializzazione del mercato del lavoro. Questo tipo di inserimento lavorativo è stato accompagnato da una serie di messaggi provenienti da una parte del sistema delle imprese, delle istituzioni e delle società locali, volti a sostenere dentro e fuori i luoghi di lavoro tale inferiorizzazione. Questo passaggio ha inesorabilmente comportato tuttavia un progressivo radicamento sociale dei lavoratori immigrati, una maggiore socialità dentro e fuori i luoghi di lavoro, una più forte presenza pubblica, una più intensa partecipazione ai diversi ambiti della vita sociale e la costituzione di legami di collaborazione e solidarietà con i lavoratori autoctoni e di altre nazionalità. Questi processi hanno reso la manodopera immigrata meno ricattabile e meno disponibile. Così negli anni Novanta è affiorato un confronto più nitido e più aspro tra le forze di mercato, impegnate in un attento utilizzo utilitaristico della forza lavoro immigrata, e i lavoratori immigrati, impegnati a conquistare e allargare spazi di cittadinanza sociale. Questo tipo di trattamento del lavoro immigrato hanno avuto diversi effetti, di breve e lungo termine. Per quanto riguarda le imprese, esse hanno potuto disporre di una riserva permanente di manodopera a buon mercato. Il lavoro degli immigrati è entrato strutturalmente nel sistema dei meccanismi di svalorizzazione generale del lavoro. Questi processi sono avvenuti in un contesto nazionale caratterizzato da una grave crisi politico-istituzionale e anche da importanti fenomeni di riorganizzazione degli assetti produttivi, di iniziale destrutturazione del diritto del lavoro, di introduzione del lavoro atipico e della precarizzazione del lavoro. In questo quadro l’immigrazione è entrato con un ruolo di apripista nel processo di sostituzione di lavoro sicuro e dignitoso con lavoro precario, una delle più profonde trasformazioni dell’Italia contemporanea. La politica migratoria adottata negli anni Novanta è stata parte integrante dei processi di ristrutturazione del mercato del lavoro, in cui sono state somministrate le prime dosi di flessibilità e di riorganizzazione del sistema produttivo, e in cui è stato portato avanti lo smantellamento della grande industria. Le ristrutturazioni industriali hanno previsto da un lato il pre-pensionamento dei dipendenti ritenuti anziani, la riduzione degli organici e l’assunzione di manodopera meno costosa: giovani, donne e migranti.

4

Per quanto concerne la vita degli immigrati, questo sistema di trattamento ha costituito un meccanismo di socializzazione all’inferiorità sociale e alla precarietà permanente: “Per i primi anni devi vivere come le bestie, ti fanno vivere come gli animali”. Ciò nonostante, la globalizzazione economica ha fatto diventare quelli del lavoro dei luoghi multirazziali, multiculturali. Sono così nate le prime forme di associazionismo nazionale e multinazionale degli immigrati e in tal modo i lavoratori immigrati sono usciti dall’invisibilità. Negli anni Duemila si è fortemente accentuata la partecipazione degli immigrati al mercato del lavoro e sono divenuti elemento strutturale dell’economia nazionale e della vita sociale. Secondo i dati ISTAT nel 2009 gli occupati stranieri ammontavano a 1.898.000. Se tuttavia si prendono in considerazione i dati dell’INAIL – che registrano l’assicurazione dei lavoratori regolarmente assunti che hanno lavorato almeno un giorno nel corso dell’anno – al 31 dicembre 2009 su 20.000 circa occupati presso l’INAIL sono stati rilevati 3.000.000 circa di occupati di origine straniera (di cui circa il 43% donne). La distribuzione territoriale della forza lavoro straniera, come per quella demografica, ricalca sostanzialmente la geografia produttiva del paese. La ripartizione di occupati per paese di provenienza vede prevalere gli europei, seguiti dagli africani, asiatici e americani. Quasi metà della forza lavoro straniera proviene da sei paesi: Romania, Albania, Marocco, Ucraina, Cina Popolare e Polonia. Il 55% lavora nell’ambito dei servizi, il 31% nell’industria e l’8% nell’agricoltura e nella pesca. I comparti dove la forza lavoro immigrata è più numerosa sono l’edilizia, il settore domestico e di cura, i servizi di manutenzione e pulizie per le imprese, il settore ristorativo e alberghiero, il commercio, i trasporti, l’industria metalmeccanica e quella alimentare. Le dimensioni delle aziende in cui questi lavoratori sono impiegati sono per lo più molto piccole. Inoltre nonostante i livelli di istruzione e formazione siano medio-alti, le qualifiche degli occupati dipendenti registrano una marcata prevalenza di occupazioni di tipo manuale richiedenti una bassa specializzazione. Si sono registrati miglioramenti nella condizione lavorativa e una certa diversificazione dei settori di impiego, ciò nonostante si è acutizzata la segmentazione del mercato lavoro su base nazionale che ha generato diverse situazioni di segregazione lavorativa combinatesi con processi di gerarchizzazione razziali del mercato del lavoro e con fenomeni di etnicizzazione dei processi produttivi. Risultato dell’intreccio di diversi elementi, tra cui la selezione nazional-razziale, l’anzianità migratoria, il grado di organizzazione delle popolazioni immigrate. Sul gradino più basso di questa scala gerarchica si trovano i sans papiers. Un esercito industriale di riserva costretto ad accettare l’inaccettabile e a vivere nella paura. Una riserva di lavoratori che, nonostante le leggi draconiane (dure e severe) negli anni Duemila è sempre risultata comporta da diverse centinaia di migliaia di lavoratori (mai sotto il mezzo milione). Sul gradino più alto – di fa per dire – c’è un piccolo ceto medio composto da lavoratori autonomi, piccoli imprenditori, ma anche operai specializzati. In mezzo a questa scala troviamo il folto gruppo di salariati, impiegati nell’industria e nel terziario, stratificati a loro volta sulla base della tipologia e della durata del permesso di soggiorno, della situazione abitativa e familiare. Parallelamente all’incremento della presenza di lavoratori immigrati, si sono accentuate le discriminazioni istituzionali, che sono state erette a sistema. 1.4 Il sistema della discriminazione Anche l’ordinamento giuridico ha contribuito alla formazione di un sistema discriminatorio nei confronti del lavoro immigrato. In Italia gli immigrati sono sottoposti ad un regime legale speciale caratterizzato da mezzi diritti e provvedimenti penalizzanti ad hoc. Negli anni Settanta e Ottanta il riferimento principale resta il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 che equiparava lo straniero al nemico pubblico trattandolo in un’ottica di controllo. Questo vuoto normativo in parte è stato colmato da circolari amministrative. 5

Fino al 1990, anno di emanazione della legge 39, sono stati quindi in vigore due regimi paralleli di applicazione del diritto: le leggi per gli italiani e le circolari amministrative per gli stranieri. Negli anni Novanta, la legge 39 ha delineato un modello di polit...


Similar Free PDFs