Riassunto 1 Penale PDF

Title Riassunto 1 Penale
Course Diritto internazionale
Institution Università degli Studi di Macerata
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Il diritto penale è un diritto punitivo; a differenza del diritto privato nel panale ognuno di noi si sente autorizzato a dire la sua per il fatto che tocca valori a noi molto vicini. Il diritto penale fa paura perché si accompagna allo stigma sociale negativo che colpisce chi viene toccato da una punizione; il diritto penale fino al medioevo era accompagnato dall’idea della punizione, dei supplizi che dovevano colpire coloro che avevano commesso dei reati. Era perciò accompagnato dall’idea che chi sbagliava doveva essere punito, spesso con pena di morte. Lo stato del 900 è invece uno stato in cui si cerca di ricorrere meno al carcere, si cerca di trovare soluzioni alternative. Diffidare dall’idea che i carcerati facciano una vita spassosa in carcere perché non è così, il carcere è un luogo di acute sofferenze. Siamo sicuri poi che il carcere sia lo strumento migliore per abbassare la criminalità? Voglio punire per abbassare la criminalità o posso assegnare alle pene una funzione diversa, rieducativa? Tutta la storia del diritto penale cerca soluzioni alternative al carcere. Da tenere presente che il diritto penale viene manipolato dalla stampa che spesso fa l’associazione in base alla quale ad un inasprimento delle pene segue un abbassamento della criminalità. Non è così, non ci sono prove statistiche o scientifiche. Il diritto penale è uno degli strumenti di controllo sociale. Nell’illuminismo ilo diritto panel viene associato all’immagine del FARMAKON che in greco sta a significare sia cura che veleno; mai immagine fu più appropriata, il diritto penale è infatti cura perché dovrebbe suturare la ferita del reato ma è anche veleno perché lo stato si appropria del reo che si deve difendere dallo stato, in più se abuso del farmaco questo non produce più effetto. Secondo jering, storico del diritto, il diritto penale “ è in continua abolizione”, infatti molte delle disumane pene del passato sono state abolite. La domanda che continua ad avere un eco enorme è la seguente: che cosa legittima il ricorso dello stato all’arma della pena?”. La risposta a questa domanda va ricercata nelle teorie della pena, ad oggi posso ricondursi a tre filoni: -teoria retributiva -teoria della prevenzione generale - teoria della prevenzione speciale Secondo la teoria retributiva la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo stato per compensare il male che un uomo ha inflitto ad un altro uomo o alla società: nella forma più primitiva era la logoica della legge del taglione. Si tratta di una teoria assoluta della pena, svincolata da un qualsivoglia fine da raggiungere. Si punisce perché è giusto punire; il reo va punito per rispondere ad un superiore ideale di giustizia. Kant, seguace di questa teoria, creò l’immagine dell’isola dicendo che “ anche se una società civile dovesse estinguersi, bisognerebbe prima giustiziare l’ultimo assassino che si trovasse in carcere perché ciascuno soffra ciò che meritano i suoi comportamenti, e perché non pesi la colpa del sangue sopra il popolo che ha rinunciato a punirlo”.questa teoria ad oggi rimane viva nell’idea della proporzionalità della pena; siccome kant si appella all’idea di giustizia, questa idea si riscontra in una pena proporzionata al reato.. l’idea cioè che la pena serva a compensare un reato e lo compenso nella misura in cui è proporzionato. Grande limite della teoria retributiva è che non si occupa di coloro che sono incapaci di intendere e di volere. DUNQUE: la pena non ha uno scopo, nesso indissolubile tra reato e pena, poggia sul libero arbitrio, punto debole se il reato è commesso da incapace, ci sono pertanto delle ipotesi in cui il reato rimane senza pena, di vivo rimane l’idea della proporzionalità. Assegnano invece uno scopo alla pena le teorie preventive, designate come relative, che sono incentrate sugli effetti della pena. Teoria generalpreventiva: legittima la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei suoi destinatari: in primo luogo facendo leva sugli effetti intimidatori della pena, alla quale si assegna la funzione di controspinta psicologica atta a neutralizzare le spinte a delinquere dei consociati. Nel lungo periodo l’effetto di orientamento culturale dovrebbe sostituirsi alla obbedienza dettata dal timore

della pena. La prevenzione generale punta a porre in rapporto l’autorità ( lo stato) con la collettività, l’idea è che nel momento in cui il legislatore introduce il reato e individua una pertinente comminatoria edittale, in relazione ad un divieto, lancia un messaggio alla collettività; se fai A allora segue B perché come obiettivo ho quello di impaurire, la comminatoria deve suonare come una minaccia alla collettività. Questa minaccia dovebbe trattenere i consociati dal commettere reati. I teorici della prevenzione generale sostengono che quando la comminatoria è irrogata dal giudice, non si può manipolare la pena, la pena deve rimanere fissa perché quello è garanzia della serietà della minaccia. Dunque un EFFETTO NEGATIVO: trattenere i consociati dal commettere reati ma anche EFFETTO POSITIVO: attraverso la minaccia della pena si rafforza la tutela del bene giuridico. Questa teoria pone problemi: - postula libero arbitrio ma qual è l’effetto della minaccia verso un incapace? – limite grave: tende a muoversi con la logica del capro espiatorio soprattutto nella fase di irrogazione della pena, si punisce di più rispetto al giusto perché la collettività apprenda la serietà della minaccia. È un esasperazione della teoria general preventiva. – altro limite: si autoalimenta dei suoi insuccessi; l’idea che all’aumento delle pene segua una diminuzione dei reati. Teoria special preventiva: si rivolge ad una parte della collettività, il REO. È un problema di esecuzione della pena, applico la pena per ridurre i tassi di recidiva, per fare in modo che il reo non commetta più reati. Questa funzione può essere assolta tramite tre forme:- risocializzazione , cioè nell’aiuto del condannato a inserirsi o a reinserirsi nella società.- intimidazione , rispetto alle persone verso le quali la pena non può essere strumento di risocializzazione. – neutralizzazione se il reo non è suscettibile dei primi due strumenti, così l’unica funzione della pena è di renderlo inoffensivo o comunque di rendergli difficile la commissione di nuovi reati. VEDI PAG 16 APPUNTI PRIMO QUAD. Il reato è un entità giuridica storicamente condizionata. La storia del diritto penale è segnata da una svolta epocale: il passaggio dal binomio reato-peccato all’equazione reato-fatto dannoso per la società; cioè dalla repressione di comportamenti puniti in quanto contrastanti con la legge divina, alla repressione che mettono in pericolo o ledono interessi collettivi o individuali. Il diritto penale viene desacralizzato. Il ricorso della pena da parte del legislatore italiano è in chiave di prevenzione generale che però incontra un limite nella funzione di prevenzione speciale, quello di rieducazione, che la Cost. art 27 assegna alla pena. Ciò significa hce l’effetto deterrente nei confronti dei consociati non potrà essere indiscriminato ma volto alla rieducazione. Problematica nel nostro ordinamento è la pena dell’ergastolo, art 22 c.p. , che , come pena detentiva a vita, preclude il ritorno del condannato nella società. Il conflitto di questa misura sanzionatoria con il principio costituzionale della rieducazione è stato attenuato con un serie di istituti che aprono al condannato prospettive di reinserimento nella società. PRINCIPIO DI OFFENSIVITA Secondo questo principio non ci può essere reato senza che vi sia un’offesa ad un bene giuridico, cioè ad una situazione di fatto o giuridica, carica di valore , modificabile e quindi offendibile per effetto del comportamento di un uomo. Il legislatore non può quindi punire nessuno per quello che è o per quello che vuole ma solo i fatti che ledano o pongano in pericolo l’integrità di un bene giuridico. Questo principio è un vincolo sia per il legislatore che per il giudice; per il legislatore in quanto è tenuto a limitare la repressione penale ai solo fatti che ledano o mettano in pericolo un bene giuridico meritevole di protezione, dall’altro per il giudice come criterio interpretativo-applicativo, offensività in concreto. Cioè verificare che la condotta posta al suo esame possa essere ricondotta al paradigma punitivo astratto.( vedi pag 10 appunti primo quad).

PRINCIPIO RIMPROVERABILITA o colpevolezza

Il ricorso della pena da parte del legislatore si legittima in relazione non ad ogni offesa ma soltanto in relazione ad offese recate colpevolmente: ad offese cioè che siano rimproverabili al loro autore. Il principio di colpevolezza è dotato di rango costituzionale , attraverso il principio della personalità della responsabilità penale enunciato dall’art. 27 cost., ed è anche strettamente connesso con le teorie della funzione della pena. A quella generalpreventiva perché essendo il fine della comminatoria delle pene quello di orientare le scelte di comportamento dei consociati, gli effetti possono essere conseguiti solo se il fatto vietato è frutto di una libera scelta dell’egente o almeno da lui evitabile con la dovuta diligenza. Alla funzione socialpreventiva perché la rieducazione del condannato postula almeno la colpa dell’agente. Non avrebbe senso la rieducazione di chi non essendo in colpa non ha bisogno di essere rieducato. Il principio di colpevolezza ha avuto riconoscimento costituzionale con una sentenza della corte cost, la sentenza 364\1988. Il pretore di cingoli aveva sollevato una questione di legittimità cost riguardante il TU in materia di edilizia sostenendo che l’imputato senza sua colpa aveva ignorato alcune norme. la corte cost di fronte a questo caso ha emanato sentenza in cui ha dichiarato illegittimo art 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della non conoscenza della legge penale l’ignoranza inevitabile, cioè nella parte in cui non accorda rilievo all’errore scusabile, cioè quando non è dovuto a colpa. Il legislatore non può creare norme improntate sulla responsabilità oggettiva.

PRINCIPIO PROPORZIONE Esprime una logica costi-benefici, piuè precisamente esprime l’esigenza che i vantaggi p’er la società che si possono attendere da una comminatoria di oena siano idealmente messi a confronto con i costi immanenti alla previsione di quella pena: costi sociali e individuali, in termini di sacrificio per i beni della libertà personale, del patrimonio, dell’onore. -

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In primo luogo i costi della pena devono essere quanto meno controbilanciati dalla dannosità sociale di quella classe di fatti. Perché un fatto sia reato è necessario che si collochi al di sopra di una soglia di gravità: solo offese giuridicamente gravi arrecate ad un bene giuridico sufficientemente importante meritano il ricorso alla pene. Inoltre perché la pena sia fonte di un complessivo vantaggio per la società occorre che la pena, in relazione ad una certa classe di fatti, sia in grado di produrre un reale effetto di prevenzione generale. Il legislatore deve astenersi di sottoporre a pena classi di fatti per i quali la pena risulta inidonea a produrre effetto generalpreventivo, o addirittura produce l’effetto opposto, risulta cioè criminogena. È ciò che è accaduto in passato con l’aborto, erano più frequenti quelli clandestini poiché non era una pratica ritenuta lecita nel nostro ordinamento.

PRINCIPIO SUSSIDIARIETA Postula che la pena venga utilizzata soltanto quando nessun altro strumento, sanzionatorio o non, sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione. La oena, oltre che meritata, cioè proporzionata alla gravità del fatto, deve essere necessaria , ad essa si può far ricorso come ultima ratio. Sia il principio di sussidiarietà che il principio di proporzione sono ancorati alla cost. il principio di proporzione rappresenta un prius logico del principio di rieducazione del condannato, enunciato nell’art 27 cost. il principio di sussidiarietà è ricollegabile all’art enunciato nell art 13 cost. dove si riconosce il carattere inviolabile alla libertà personale. La cost dice la legislatore di fare ricorso alla pena limitatamente alle ipotesi in cui manchino idonei strumenti alternativi. 4. il giudice condanna e infligge la pena scegliendola all’interno dei tipi di pena e dei limiti minimi e massimi previsti dal legislatore. Quali sono gli scopi che legittimano l’inflizione della pena e che devono orientare le scelte del giudice nella commisurazione della pena? È la costituzione che individua il

fondamento e la legittimazione della pena anche in questo stadio. Affermando che “ le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” l’art. 27 cost impone al giudice di orientare le sue scelte in funzione di tale finalità: tra i più tipi di pena eventualmente comminati in via alternativa per una certa figura di reato, il giudice dovrà scegliere la più idonea a prevenire il rischio che egli delinque nuovamente, intimidendolo o promuovendone il reinserimento nella società: secondo la stessa logica il giudice dovrà poi operare l’ulteriore scelta del quantum di pena, entro i limiti minimo e massimo fissati dalla norma incriminatrice. Qualsiasi prospettiva di rieducazione verrebbe meno se il condannato avvertisse la pena come un’incomprensibile vessazione: ciò accadrebbe se gli venisse applicata una pena sproporzionata per eccesso rispetto alla colpevolezza individuale. Ciò è vietato dal principio costituzionale di colpevolezza che vincola non soltanto il legislatore nella costruzione dei tipi di reato ma anche il giudice nella commisurazione della pena. Nella commisurazione della pena le considerazioni di prevenzione speciale incontrano dunque il limite invalicabile segnato dalla colpevolezza per il singolo fatto. L’inflizione della pena da parte del giudice trova un ulteriore fondamento giustificativo nelle esigenze di prevenzione generale dei reati: attraverso la concreta applicazione della pena si conferma la serietà della minaccia contenuta nella norma incriminatrice, mostrando ai potenziali trasgressori che non potranno violarla impunemente. Infatti che le pene minacciate si traducano in concreto in sede di condanna è funzionale alla prevenzione generale non solo come intimidazione-deterrenza ma anche come orientamento culturale: non ci si può attendere una spontanea adesione ai modelli di comportamento delineati nella norma penale se quella norma perde ogni giorno credibilità. La prevenzione generale mentre concorre a legittimare l’inflizione della pena da parte del giudice, non può però svolgere nessun ruolo nella commisurazione della pena. Il giudice non può cioè quantificare la pena allo scopo di statuire un esempio nei confronti di terzi, nel tentativo di distoglierli dal commettere in futuro reati del tipo di quello oggetto della condanna. Pene esemplari si porrebbero infatti in contrasto con due principi costituzionali: - principio di personalità della responsabilità penale, art 27 cost. infatti una parte della pena applicata al singolo si fonderebbe non su ciò che ha fatto ma su ciò che potranno fare in futuro altre persona. - principio della dignità dell’uomo, art. 3 cost. in base al quale l’uomo non può essere degradato a mezzo per il conseguimento di scopi estranei alla sua persona. Una volta che il giudice abbia commisurato la pena nel rispetto dei criteri sopra enunciati, si apre un ulteriore fase in cui lo stesso giudice può disporre che la pena non venga eseguita ovvero può sostituirla con peno diverse e meno gravose di quelle inflitte. Questa possibilità abbraccia una limitata fascia di reati, di gravità medio-bassa, i cui autori possono essere ammessi alla sospensione condizionale della pena, ovvero alla sostituzione della pena detentiva breve. In questa fase i criteri per orientare la scelta discrezionale del giudice sono orientati alla prevenzione speciale: il giudice che abbia di fronte l’occasionale autore di un reato non grave può decidere di evitargli gli effetti de socializzanti del carcere, sospendendo l’esecuzione della pena, qualora abbia ragione di prevedere che quel soggetto non commetterà in futuro nuovi reati. Al di fuori dei casi in cui la pena sia stata sospesa, la pena inflitta dal giudice deve essere eseguita questo compito, anche sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, è affidato a diversi organi del potere esecutivo come la polizia penitenziaria, le cancellerie presso il giudice dell’esecuzione, organi del ministero della giustizia. Che le pene minacciate dal legislatore e inflitte dal giudice debbano trovare esecuzione è imposto da un’esigenza di prevenzione generale: macherebbe infatti di qualsiasi credibilità un sistema nel quale il legislatore minacci le pene, il giudice le applichi, ma le pene non vengano eseguite. Per quanto riguarda la pena detentiva la sua esecuzione deve essere orientata verso finalità di prevenzione speciale: più precisamente deve essere orientata allo scopo di renedere possibile la rieducazione del condannato, proponendosi di aumentarne le chances di reinserirsi nella società libera nel rispetto delle sue regole. Nella fase di esecuzione la ricerca di rieducazione del condannato incontra una serie di LIMITI; in primo luogo l’opera di rieducazione non

può essere condotta coattivamente, perché sia fatta salva la dignità dell’uomo e perché la pena risutli rispettosa del principio di umanità, art 27 cost., (le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità) la rieducazione deve assumere la forma dell’offerta di aiuto, non quella della trasformazione coattiva della personalità. In secondo luogo, inoltre, la rieducazione deve cedere il passo, almeno in parte, alla neutralizzazione del condannato, qualora questi non appaia suscettibile né di essere reinserito nella società, né appaia sensibile agli effetti di intimidazione-ammonimento. Es. criminalità organizzata: nei loro confronti l’esecuzione della pena si legittimerà in primo luogo in funzione della difesa della società dal rischio che il detenuto, mantenendo dal carcere contatti e collegamenti con le organizzazioni criminali, continui a delinquere durante la stessa esecuzione della pena. Logica che trova espressione deli art. 4 bis e 41 bis della disciplina dell’ordinamento penitenziario, che designano un particolare tipo di regime di esecuzione della pena per coloro che hanno commesso particolari reati gravi. 6. rapporti tra diritto penale e gli altri rami dell’ordinamento. È possibile che una data classe di fatti sanzionati penalmente attiri anche altre sanzioni, e che perciò sia illecita a diversi titoli. Dall’azione coordinata e convergente di questa molteplicità di interventi ci si potrebbe ripromettere un controllo più penetrante, che consentirebbe di relegare la sanzione penale, nei fatti, al suo ruolo di ultima ratio. Es. assiduo controllo in sede amministrativa della correttezza dei pubblici funzionari sembra in grado di ridurre i rischi di corruzione, evitando il distruttivo intervento ex post della giustizia penale. Va chiarito che se l’inflizione della sanzione penale vincoli o meno gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni extrapenali. La disciplina apprestata dal nostro ordinamento è nel senso di un’articolata e differenziata efficacia del giudicato penale di condanna nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari. Nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato, la condanna con sentenza penale, irrevocabile pronunciata in seguito al dibattimento ha efficacia di giudicato.( pag 20) I rapporti tra il diritto penale e gli altri rami dell’ordinamento: accessorietà ovvero autonomia della norma penale rispetto alla disciplina extra-penale della classe di fatti costitutivi delle figure di reato. Due classi di ipotesi: -

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Vi sono norme incriminatrici in rapporto di accessorietà con altri rami dell’ordinamento: disciplinano materie in parte già giuridicamente preformate dal diritto civile o amministrativo, alle cui regole il giudice penale dovrà fare riferimento; il giudice dovrà constatare i fatti e applicare le regole giuridiche extra-penali; è il campo occupato dagli ELEMENTI NORMATIV...


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