Riassunto Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali Tonino Griffero PDF

Title Riassunto Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali Tonino Griffero
Course Aesthetics
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto del libro "Atmosferologia" del Prof. Griffero...


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Atmosferologia Estetica degli spazi emozionali Introduzione: Non uscire dal vago (ma starci nella maniera giusta) Probabilmente non esiste una situazione che sia totalmente priva di carica atmosferica e, pure nella sua indubbia intermittenza, l’atmosfera è qualcosa che tutti conosciamo. E di atmosfere parliamo continuamente, né ci stupiamo di riuscire a descriverle e di verificarne l’influenza sull’agire. Si dice che c’è “qualcosa nell’aria”, o che “qualcosa bolle in pentola”, che ci si sente, va’ a sapere perché, “un pesce fuor d’acqua” o “a casa propria”. Si sa che l’atmosfera del pranzo è diversa da quella della cena, che i vecchi mobili hanno più atmosfera di quelli moderni, che perfino l’appetito può essere stimolato da un’atmosfera di calore e di fiducia. È scontato inoltre che “una certa musica” possa modificare l’atmosfera in uno spazio, un certo abito l’impressione che suscitiamo nelle persone, una certa architettura il gestus di una città. Eppure, nonostante quest’indubbia familiarità con l’atmosfera e con il fatto che essa possa anche essere in contrasto con i dati cognitivamente attestabili, la domanda “che cos’è un’atmosfera?” è ancora priva di una risposta soddisfacente. Certo, come le emozioni, anche le atmosfere sono “situazioni curiose che perdono significato quando si cerca di raccontarle: bisogna esserci dentro per capirle”. L’atmosfera può, quindi, essere tutto o niente. Il termine atmosfera, attestato come traslato già dal XVIII secolo, ha fatto recentemente carriera, specie in ambito psicologico, est etologico e (neo)fenomenologico. Quello che ci interessa in campo estetico non è solo la produzione di atmosfere, ma anche la loro pertinente ricezione nell’ambito della così detta estetizzazione diffusa. Filosoficamente interessante non nonostante ma proprio per questa sua vaghezza, l’atmosfera non coincide con una nuance esclusivamente soggettiva. Chi parla dell’atmosfera proprio-corporea di un’intera epoca, intende ovviamente riferirsi ad atmosfere extrasoggettive. È vero che di dice “io sono triste” e non “io sento la tristezza attorno a me”, ma ciò solo perché impedisco la collocazione esterna della tristezza e il pregiudizio introiezionistico privilegia il senso personale del pronome possessivo. Al centro del nostro interesse (estetico e fenomenologico) sta dunque l’atmosfera che, in una prima e approssimata definizione potremmo descrivere come: un prius qualitativo-sentimentale, spazialmente effuso, del nostro incontro sensibile col mondo. Storicamente l’atmosfera era già stata definita con un “di più” o “un non so che” sentiti nel corpo-proprio in un certo spazio, ma mai riconducibili al corredo oggettuale di tale spazio, donde il ricorso a formulazioni assai precise pur nella loro natura ossimorica. Un sentimento spazializzato, un di-più in senso affettivo e propriocorporeo non astrattamente semantico: ”in tutti gli ambiti di senso l’atmosfera è nell’oggetto percepito ciò che non è oggetto ma significato. Il modo in cui il mondo è per noi, ossia quale tipo di relazione abbiamo col mondo in ogni singolo momento e come ci sentiamo in esso, è cosa che esperiamo non oggettivamente ma atmosfericamente”. Una vaghezza che avrebbe irritato l’ontologia tradizionale ma che è invece di casa in un approccio ontologico rinnovato. Anche se ci si chiederà quali siano i criteri di identità e di identificabilità delle atmosfere, se esse esistano indipendentemente dal soggetto o quanto meno dalla sua consapevolezza, se e quanto siano sopravviventi rispetto a determinati caratteri o materiali, ecc., una cosa va in ogni caso ribadita: la chiarezza non è “un valore assoluto. Essa rappresenta solo una forma di vita fra le tante. Per nulla al mondo, in nome della chiarezza, rinunceremmo all’oscurità, alla notte, al mistero, alla vita intensa che palpita in questi fenomeni, offrendosi a noi”. 1

Insomma, alla vaghezza, in quanto caso atmosferica, dalla quale non si deve pertanto affatto uscire. Si tratta, semmai, di imparare a starvi dentro nella maniera giusta, non da ultimo preferendo al sentimentalismo ingenuo “un rapporto riflessivo ed emancipato con la propria percezione”, nel quale cioè il vissuto affettivo sia integrato da una riflessione non priva di potenzialità critiche. Se “l’imparare come rapportarsi alle atmosfere fa del singolo uomo un membro e interprete critico del mondo in cui oggi viviamo”, è perché solo un’adeguata competenza atmosferica (produttiva e ricettiva) potrebbe immunizzarci dalla manipolazione mediatico-emozionale in cui sfocia l’estetizzazione della politica e della vita sociale nell’economia scenica tardocapitalista. I.

La percezione atmosferica

1.1 Segmentazione atmosferica? Con i loro facilitanti fattori di unificazione, gli oggetti garantiscono indubbiamente dei vantaggi rappresentazionali e quindi ontologici, sulla base di dualismi (in primis quello tra mente e corpo). E tuttavia, non appena si ridimensiona la distanza cognitiva, non appena ci si lascia alle spalle il cosalismo tipico del fisicalismo ingenuo e l’ossessivo cosalismo epistemico, le cose cambiano, e a imporcisi per una loro indiscutibile originalità estetica sono non tanto i dualismi quanto delle situazioni emozionali che coinvolgono il piano affettivo-corporeo. La cui originarietà ontologica, anzi, suggerisce l’ipotesi, opposta a quella della psicologia evolutiva, che la separazione tra cose e significati sia solo un fenomeno tardivo dell’evoluzione biofisica (ed esclusivamente umano tra l’altro) rispetto alla più originaria simbioticità. Perché mai, infatti, i corpi solidi e contornati dovrebbero essere più reali di entità vaghe che esperiamo senza ricondurre al solido, dei fluidi, dei processi gassosi ma anche delle semi-cose come le atmosfere? Tanto più che le atmosfere, niente affatto delle astrazioni o delle mere possibilità, conservano la loro identità nella nostra memoria. Si pensi a come ogni buon romanzo esemplifichi tratti della nostra esperienza vissuta anche in termini atmosferici. Non si segmenta, anzitutto, in oggetti discreti, ma in sentimenti insediati nello spazio circostante, sentiti nel corpo-proprio prima di qualsivoglia distinzione analitica. Si tratta, in breve, di stati affettivi e proprio-corporei suscitati nel soggetto da situazioni esterne, predualistici e in linea di principio opachi ai così detti saperi esperti, eppure pur sempre ordinabili in un repertorio familiare e sufficientemente sistematico di tipi affettivo-emozionali (topica atmosferica). Un repertorio fenomenologicamente “vero”, in quanto lo si percepisce passivamente, quasi fosse il punto di vista delle cose. 1.2 Percepire atmosfere Si potrebbe dire che i filosofi, finora, hanno solo diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di percepirlo. E allora converrà cominciare a precisare, pur senza pretese di esaustività e sistematicità, di che tipo sia la percezione atmosferica, prendendo le mosse anche da ciò che essa non è.  Intanto, come la percezione ordinaria, non si tratta mai solo di un credere di percepire. La percezione atmosferica non è però mai la percezione anaffettiva e anestetica di cui si occupano i manuali di psicologia, ma piuttosto il fare esperienza di qualcosa. Se non è vero “che smettiamo di guardarci quando chiudiamo gli occhi”, è proprio perché la riduzione ottica del percettivo è assai più rara del percepire affettivamente e sinestesicamente coinvolgente che qui ci interessa.  La percezione atmosferica, come si è anticipato, non concerne oggetti coesi, solidi, continui, mobili solo per contatto, forme e movimenti discreti, piuttosto situazioni caotico2







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molteplici dotate di una loro significatività interna e il cui rendimento fenomenico va rigorosamente disgiunto dallo stimolo fisico. Potremmo dunque identificare i percetti atmosferici con le “significatività”, nella fattispecie con salienze emozionali almeno in parte cognitivamente penetrabili nel loro derivare più da un “notare” che non da un vedere puramente ottico, e comunque tanto immediate da non aver bisogno di una decifrazione (senza passare per la mediazione ottica). La situazione è intensamente percepita sotto il profilo atmosferico soprattutto quando si sottrae all’ordinario rapporto pragmatico, come quando un inatteso evento climatico, ostacolando le nostre attività, attira inaspettatamente l’attenzione sul proprio autonomo valore emozionale. Ma, lungi dall’essere un evento eccezionale, la percezione atmosferica non è per lo più una delle varianti della percezione ordinaria. Una variante talvolta sufficientemente eversiva rispetto alla letale familiarità da consentire uno sguardo rinnovato su cose e luoghi che ha qualcosa del rapimento. Una precisazione: non è necessario identificare la percezione con la pulsione. Il fenomeno stesso è portatore di significato ed è errato intendere la cosa come se avessi qui la cosa e lì l’idea, perché invece si percepisce la cosa nella sua idea. Davanti a me non vedo due cose, ma ho davanti agli occhi la cosa nella sua idea. Ragion per cui non posso affatto immaginarmi che cos’altro potrebbe essere la cosa senza la sua idea. Percepire atmosfericamente non è cogliere (presunti) dati sensibili elementari, ma essere coinvolti in cose e, meglio ancora, in situazioni. Anche quando il significato resta oscuro non si regredisce affatto ai presunti dati sensibili (anaffettivi), poiché ci si riferisce pure sempre, fisiognomicamente, ad un’unita di significato entro uno sfondo situazionale. È impossibile percepire un volto in quanto oggetto anziché “il suo sguardo e la sua espressione”, oppure Parigi con somma di percezioni anziché come “lo stile” delle percezioni suggerite dalla città. La percezione atmosferica è pertanto un essere-nel-mondo olistico ed emozionale. Non ci si trova mai nel vuoto, ma sempre con le cose; in breve, con ciò che è-ora-qui-per-me, affettivamente e proprio-corporalmente. Si è coinvolti affettivamente e nel corpo-proprio da una situazione. Sebbene esistano senz’altro atmosfere, soprattutto di ordine sociale, il cui effetto propriocorporeo è scarso e comunque non facilmente rilevabile, percepire atmosfere significa per lo più esserne toccati nel corpo-proprio. La percezione atmosferica si basa sul “rendere presente qualcosa con l’aiuto del corpo”, meglio del corpo-proprio inteso come dimensione extra-organica e il luogo assoluto a cui si accede solo in prima persona. Inteso come ciò che l’uomo può sentire di sé nei dintorni del corpo fisico, senza fondarsi sulla testimonianza dei cinque sensi e dello schema corporeo percettivo (esperienze visive e tattili). Il corpo vivente è popolato da impulsi corporei quali angoscia, dolore, fame, sete, respiro, piacere, coinvolgimento affettivo da parte di sentimenti. Esso è indivisibilmente esteso senza superfici nella forma di un volume predimensionale (ossia senza una dimensione numerabile, ad esempio non tridimensionale) che ha nella contrazione e nell’espansione della propria dinamica. La percezione che stiamo cercando di chiarire non è un processo di elaborazione interiore di segnali che dall’esterno, tramite stimoli fisici, giungono al cervello attraverso i diversi canali sensoriali, piuttosto una “comunicazione del corpo-proprio con impressioni polivalenti. La percezione atmosferica, in sintesi, è un “settimo senso”. Una percezione intuitiva delle situazioni.









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Bisogna però aggiungere che la percezione olistica di sentimenti atmosferici nello spazio predimensionale ha molto in comune con quelle esperienze vitali involontarie che mettono capo ad adeguate reazioni quasi automatiche. Come chi guida ed evita un pericolo utilizzando proprio-corporalmente il canale ottico e quello tattile-vibratorio. Chi vive un sentimento sa subito come comportarsi. Se “ogni cosa ci dice con un solo sguardo come essa è al tatto oppure come la si deve maneggiare”, si può senza dubbio pensare alla percezione atmosferica anche come comprensione dell’espressione dei nostri “intorni”. Ma così come nel ‘fa caldo’ il caldo non è l’attributo di una sostanza, così la qualità atmosferica non è tanto la proprietà di una cosa, quanto una semi-cosa, comunque non meno autonoma rispetto alle cose. Ma una precisazione è d’obbligo: che le si avvicini alle qualità espressive o ai modi-di-essere, ai caratteri fisiognomici o alle qualità terziarie, le atmosfere non sono per nulla un’integrazione estrinseca di qualità anteriori, ad esempio qualità tettoniche (rotondo, angoloso, discontinuo, ecc) e qualità globali del materiale (ruvido, duro, striedente, ecc). Il festoso e l’amichevole, l’orgoglioso e l’oscuro, il femmineo, il mascolino e il fanciullesco, sono piuttosto il vero prius del nostro incontro col mondo e non semplicemente una tonalità pratico-emotiva gregaria rispetto alla preliminare costituzione percettiva di formazioni oggettive. Coinvolgendo affettivamente il corpo-proprio nella sua qualità di percezione incarnata, la percezione atmosferica si perfeziona non tanto con il sapere, quanto con un esercizio, anche mimetico, che non si fonda semioticamente sul rinvio segnico. L’impulso allo sviluppo e all’espansione vitale urta qualcosa di esterno in cui la vita trova i propri confini, una resistenza che la ostacola e la limita. Solo tramite l’esperienza di questa resistenza l’iniziale e ancora indistinta unità dell’uomo col suo mondo si scindono i poli opposti del sé e del mondo oggettuale. D’altronde, come ogni percepire, anche il percepire atmosferico ha inevitabilmente un proprio punto cieco, che implica necessariamente anche un non percepire. Ci riferiamo qui a quanto, pur essendo presente sulla retina, risulta estraneo, indesiderato e tabuizzato. Un’obliterazione involontaria che, tuttavia, talvolta si perfeziona un una sorta di arte della non-percezione, dettata dall’evitare quell’eccessivo coinvolgimento emotivo che ci indurrebbe alla paralisi. Abbiamo così arruolato anche la percezione atmosferica nel catalogo delle passività, di ciò che quindi, è più un essere percepiti che un percepire. E tuttavia, pur diffidando della tesi relativistica secondo cui “nella natura vediamo in generale solo ciò che abbiamo imparato a vedere, e vediamo così come richiesto dallo stile del tempo”, pare francamente impossibile destoricizzare del tutto la percezione atmosferica. Si pensi, soprattutto, a ciò che si percepisce nel viaggio, a una percezione cioè sensorialmente ridotta (né odori, né suono, né tatto) e priva di profondità spaziale, declassata a quinta teatrale mutevole quanto maggiore è la velocità e implicante, per un verso, uno spazio degradato a non-luogo, per l’altro un tempo standardizzato antitetico a quello vissuto. Ebbene, si vorrà sostenere che una percezione siffatta sia a priori incapace di suscitare autentiche atmosfere specifiche? La risposta non può che essere negativa. La percezione in movimento che abbiamo dal finestrino, incorniciando in modo quasi pittorico i propri oggetti, genere infatti delle atmosfere. Di solito occasionali, ma talvolta anche così ricorrenti che vi ci si affeziona. Una sorta di punteggiatura quotidiana rinviabile all’esperienza dell’avvistamento dei primi caseggiati familiari che ci segnalano che siamo ormai a casa. E non è forse una particolare

atmosfera (malinconica) quella che offre lo sguardo indiscreto dal treno sul retro delle cose? Sulla miseria estetico-edilizia di periferie ignote, su miseri orti strappati ai binari, su soglie più o meno simboliche tra città e campagna, su filamenti urbani tanto estesi da annullare ogni traccia di campagna e sul più umile retro di pretenziosi edifici monumentali e soprattutto di case comuni (balconi e cortili poco curati, panni stesi e tristi, ecc.), sulla cui intimità quasi ci si vergogna a gettare lo sguardo? Il carattere disinteressato e casuale di queste percezioni sradicate suscita infatti un’atmosfera sui generis e impossibile nel contatto diretto, formata dall’imprevedibile combinazione fra realtà esterna e realtà interiore, tra non luoghi della surmodernità del viaggio e i luoghi della tradizione che i primi costeggiano. Scopriamo così, in ultima analisi, che anche la percezione derealizzante e sensorialmente deprivata non è priva di una propria atmosfericità. Dimostrato con l’esempio del viaggio come la storicità delle condizioni percettive non ne escluda affatto una qualche (magari anche mutevole) atmosfericità, è giunto il momento di interrogarsi sui presupposti fenomenologici della percezione atmosferica. 1.3 Come ci si sente qui ed ora nel copro-proprio A noi preme, qui, portare fuori i sentimenti atmosferici. A influenzare questo approccio, più che la fenomenologia classica, è l’eterodossa scienza del fenomeno abbozzata da Ludwig Klages, una scienza cioè di “anime elementari”, “che appaiono fenomenicamente” come immagini reali delle cose. A patto, però, di limitare di tale scienza il primato dell’ottico a scapito del corpo-proprio, per valorizzare, invece, una capacità di “restare in contatto con la realtà” che sfugge alla reificazione materialistica e/o logistica. La fenomenologia klagesiana si rivela indubbiamente preziosa per il nostro approccio. Caratteri (o essenze) come notte e giorno, luce e oscurità, suono e silenzio, ecc. sono infatti proprio come le atmosfere, “situazioni, semi-cose, orientamenti del corpo-proprio”, animicamente percepibili solo quando si prescinde da quel riduzionismo scientista che ha disincantato il mondo, e che, cancellandone il “contenuto di lontananza” e procedendo a una reificazione pragmaticamente orientata, ne ha lacerato il nimbus, preservato invece dall’eros della distanza. Proprio la distanza (contemplativa ma anche emozionale) può allora essere una condizione privilegiata dell’irradiazione atmosferica, soprattutto sotto il profilo visivo. È ben noto infatti che “più facilmente si ami qualcuno da cui si prende il commiato”. Infine, va sottolineato quanto l’esperienza dell’atmosferico possa talvolta essere unica ed irripetibile. Infatti, se la realtà delle impressioni sensoriali è realtà dell’accadere, allora è anche qualcosa di unico ed irripetibile. Nel giallo vissuto di una rosa rientra non solo il suo profumo, il calore estivo, l’azzurro del cielo, ma anche quel periodo della vita che non torna una seconda volta e che era occupato dall’impressione di cui parliamo: nel giallo vissuto di una pianta che appassisce rientra non solo l’autunno nel suo insieme, ma anche l’unicità del luogo e dell’ora che nessuno autunno a venire mi ripresenterà. È in questo giallo come Gestalt trans modale, vissuto in una mutevolezza sensazionale sia soggettiva sia oggettiva, è a immagini, impressioni preconcettuali o “unità di significato quali cielo, notte, terra, ecc.”, che possiamo, entro certi limiti, accostare le atmosfere. Ma questa tematizzazione dell’atmosferico presuppone anche una ridefinizione (neo)fenomenologica della filosofia in termini di una “autoriflessione dell’uomo circa il modo in cui egli si orienta nel proprio ambiente”. Essa rivendica quindi il diritto di esprimere, appunto, “come ci si sente”, ossia esaminare l’esperienza per rilevarne, senza ipoteche fisicalistiche ed

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epistemiche, la carica atmosferica sulla scorta di una sensibilità estesiologica, ma anche ermeneutica nel duplice senso di fiuto atmosferico e irradiazione atmosferica. Ciò che qui ci interessa capire è come e non perché si senta nel copro-proprio quello che si sente, che cosa significhi per una soggettività essere toccata e coinvolta da forma paticamente e assiologicamente qualificate, grazie alle quali essa è ancora un tutt’uno col mondo. In pratica come si possa essere tristi o allegri (atmosfericamente) prima di qualsiasi attribuzione linguisticoriflessiva. Soggetta a un’inesorabile marginalizzazione in quando filosofia dell’arte, estetica potrebbe quindi trovare qui nuova linfa. Se proprio nel non trascurare il lavoro estetico e l’ubiquità del design, di cui siamo quanto meno tutti corresponsabili, tematizzasse l’effetto emozionale (atmosferico), volendo perfino persuasivo, esercitato dal corpo-proprio da ambienti ed opere, paesaggi e pubblicità, cose e semi-cose (naturali e artificiali), eventualmente anche per apprendere come vivere più intensamente ciò che è presente. Al centro di questa estetica (neo...


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