Riassunto del libro \"Diritto del lavoro\" di M.V. Ballestrero e G. De Simone - Diritto del lavoro a.a. 2016/2017 PDF

Title Riassunto del libro \"Diritto del lavoro\" di M.V. Ballestrero e G. De Simone - Diritto del lavoro a.a. 2016/2017
Course Diritto del lavoro
Institution Università degli Studi di Genova
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RIASSUNTO“DIRITTO DELLAVORO”M. Ballestrero, G. DeSimone (edizione 2015)Riassunti di BALDI RICCARDOIL CONTRATTO COLLETTIVO: INTRODUZIONEIl contratto collettivo è un contratto, ed è così definito sia perché è stipulato da soggetti collettivi, sia perché è destinato ad un numero indeterminato di sogget...


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RIASSUNTO “DIRITTO DEL LAVORO” M.V. Ballestrero, G. De Simone (edizione 2015) Riassunti di

BALDI RICCARDO

IL CONTRATTO COLLETTIVO: INTRODUZIONE Il contratto collettivo è un contratto, ed è così definito sia perché è stipulato da soggetti collettivi, sia perché è destinato ad un numero indeterminato di soggetti; esso è stipulato da parte di soggetti contrapposti (datore di lavoro e lavoratori) ed ha funzione normativa in quanto serve a regolare i rapporti di lavoro fra i datori e i lavoratori rappresentati dai soggetti stipulanti (numero indeterminato).

DALLE ORIGINI AL DIRITTO SINDACALE VIGENTE Nel periodo fascista era ancora in vigore l'ordinamento corporativo, nato in seguito alla legge sindacale fascista del 1926 che prevedeva che per ogni categoria potesse esistere una sola associazione sindacale (una per i datori e una per i lavoratori), dove per categoria si intende il gruppo professionale rappresentato e per cui si perseguono gli interessi; ogni altra associazione, cos come eventuali scioperi, erano illegali. La funzione principale affidata alle associazioni riconosciute era quella di stipulare i contratti collettivi corporativi, che avevano efficacia erga omnes, nel senso che valevano per tutti i datori e tutti i lavoratori della categoria di riferimento (nessuno escluso) ed erano inderogabili, cioè non erano permesse modifiche alle condizioni stabilite dal contratto collettivo; l'unica eccezione a questa regola riguardava l'eventuale presenza di speciali condizioni maggiormente favorevoli presenti nei contratti individuali. L'ordinamento corporativo venne soppresso nel novembre del '44 e le organizzazioni sindacali fasciste furono sciolte, anche se i contratti collettivi furono momentaneamente mantenuti in vita, in modo che i lavoratori non si trovassero privi di ogni tutela; con il crollo del fascismo nasceva, da una trattativa tra gli esponenti sindacali legati ai tre partiti maggioritari (DC, PC e PS) la prima confederazione sindacale unitaria (la CGIL) che si proponeva come una forza autonoma e indipendente rispetto ai partiti politici e portatore degli interessi generali di tutti i lavoratori; questa unità sindacale è però durata pochissimo perché nel 1948 questa confederazione si divide per l'uscita di due componenti, che vanno a formare la CISL (cattolica, legata dalla democrazia cristiana) e la UIL ( laica e repubblicana liberale, moderatamente riformista). Un ulteriore cambiamento si ha negli anni '70 con l'emanazione dello statuto dei lavoratori.

L'ART 39 DELLA COSTITUZIONE L'art. 39 si compone di quattro commi, di cui trova attuazione nel nostro ordinamento solo il primo, in quanto contiene una disposizione la cui applicazione è doverosa e non richiede l'intervento della legge, a differenza dei commi 2, 3 e 4, che per trovare applicazione richiedono l'approvazione del Parlamento. Il primo comma afferma che l'organizzazione sindacale è libera, e questa libertà va intesa anche in senso negativo, cioè nella possibilità di non aderire ad alcuna associazione; tuttavia l'art. 39 non definisce cosa debba intendersi con il termine “organizzazione sindacale”, ma possiamo intenderla come ogni attività diretta all'autotutela degli interessi legati allo svolgimento di un'attività di lavoro tuttavia lo statuto dei lavoratori impone il divieto, per i datori di lavoro, di creare sindacati di comodo, cioè di creare o sostenere associazioni sindacali di lavoratori (in quanto vigerebbe un conflitto di interessi); allo stesso modo sono vietati i sindacati misti. I soli limiti legali alla libertà sindacale riguardano i militari e gli appartenenti alla polizia di stato; i primi non possono costituire o aderire ad associazioni sindacali né esercitare il diritto di sciopero; i secondi possono invece

creare o aderire ad associazioni sindacali, ma solo a quelle rappresentate esclusivamente da appartenenti alla polizia, ma non hanno comunque diritto di sciopero.

Il secondo comma dell'art. 39 dice che l'unico obbligo imposto ai sindacati, affinché possano esistere, è quello di registrarsi presso gli uffici locali o centrali e che (III comma), per poterlo fare, devono sancire un ordinamento interno a base democratica; una volta iscritti (IV comma) assumono personalità giuridica e possono stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria.

I MODELLI DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE La struttura organizzativa delle maggiori confederazioni sindacali dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL) è complessa, e può essere schematizzata distinguendo la linea di organizzazione orizzontale (intercategoriale) da quella verticale (di categoria); nell'ambito di ciascuna di queste linee occorre distinguere i diversi livelli territoriali. L'organizzazione orizzontale si articola su tre livelli: - la struttura territoriale (per la CGIL sono le Camere del Lavoro, per la CISL le Unioni Provinciali, per la UIL le Camere Sindacali) - la struttura regionale; - la struttura nazionale. L'organizzazione verticale si articola invece su quattro livelli: - la struttura al livello del luogo di lavoro; - la struttura territoriale di categoria; - la struttura regionale di categoria; - la struttura nazionale di categoria (Federazione). Per quanto riguarda invece le organizzazioni sindacali dei datori, non abbiamo divisioni su base ideologica o politica, ma in relazione al settore economico; le principali organizzazioni imprenditoriali sono: la Confindustria (settore industriale), la Confcommercio (settore commerciale), Confagricoltura e Coldiretti (agricoltura), ABI e ANIA (settore bancario), Confservizi (servizi pubblici locali), etc...

NATURA GIURIDICA, RAPPRESENTANZA E RAPPRESENTATIVITÀ La mancata attuazione dei commi dell'art 39, ha portato la dottrina ad attribuire ai sindacati la natura giuridica di associazioni non riconosciute, comportando una distinzione tra l'associazione (che possiede una propria soggettività giuridica) e i singoli associati; un'altra caratteristica è che, a differenza delle organizzazioni riconosciute, i sindacati hanno autonomia patrimoniale imperfetta, quindi, se il patrimonio della società non riesce a coprire i debiti, può essere intaccato quello dei membri che agiscono in suo nome e per suo conto. Il contratto stipulato tra l'associazione ed i destinatari della sua attività negoziale viene considerato come un mandato con rappresentanza sindacale: il singolo lavoratore, nell'iscriversi ad un sindacato, gli conferisce in modo volontario il proprio mandato di rappresentanza, ed esso in cambio si fa portatore dell'interesse collettivo. Importante è ache il concetto di rappresentatività. Mentre la rappresentanza indica il concetto per cui la volontà contrattuale è espressa da un soggetto diverso (il sindacato) rispetto a quello su cui sono imputati i relativi effetti, la rappresentatività indica la capacità di rappresentare interessi, basata sulla capacità del soggetto collettivo di riscuotere consenso per quello che fa; un sindacato è più o meno rappresentativo in base a due elementi: la consistenza numerica (numero di iscritti) e il consenso che riscuotono (rilevabile ad esempio guardando in quanti aderiscono ad uno sciopero).

L'ORGANIZZAZIONE SINDACALE NEI LUOGHI DI LAVORO, RSA E RSU Nel primo periodo post-corporativo, una prima forma di organo sindacale a livello aziendale era quello Commissioni Interne, organo con funzioni propositive, consultive e conciliative, ma che era escluso dalla competenza contrattuale a livello aziendale, riservata alle organizzazioni sindacali; dopo la scissione della CGIL, CISL decise di costituire un sistema di Sezioni Sindacali Aziendali (SAS), che fungessero da unione tra movimento sindacale e vita aziendale (pur restando il potere contrattuale in azienda affidato al sindacato provinciale di categoria); negli anni '70 nacquero nuove forme di rappresentanza dei lavoratori, ovvero i consigli di fabbrica, a cui erano finalmente riconosciuti poteri di contrattazione nei luoghi di lavoro. Oggi, l'art. 19 dello Statuto dei Lavoratori riguarda un soggetto sindacale specifico che è la rappresentanza sindacale aziendale (RSA); l'articolo in questione è cambiato molto nel corso degli anni, ma il testo originario prevedeva che le RSA potessero essere costituite in ogni attività lavorativa nell'ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentate sul piano nazionale e b) delle associazioni non affiliate a quelle del punto a), ma solo se firmatarie di contratti collettivi di lavoro nazionali o provinciali applicati nell'unità produttiva; in questo modo rimanevano esclusi dalla disciplina i sindacati solo aziendali, sempre sospettabili di essere sindacati di comodo (anche detti “gialli”). Il testo cambia nuovamente nel 1995 quando, tramite un referendum, si applica una nuova disciplina secondo cui le RSA possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nell'ambito delle associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva; praticamente, rispetto a prima, è stato eliminato il punto a), mentre il b) è stato modificato cancellando il riferimento al carattere nazionale o provinciale del contratto collettivo; in questo modo il privilegio delle Confederazioni è stato eliminato, mantenendo comunque la stipulazione del contratto collettivo come criterio di selezione. Parallelamente a questa disciplina legale ve ne è una contrattuale, contenuto in una serie di accordi stipulati tra il governo e le grandi confederazioni dei lavoratori, noto come Protocollo del 1993; esso prevedeva una struttura sindacale aziendale unitaria, detta RSU, a composizione mista (in parte elettiva e in parte associativa): due terzi dei componenti erano infatti eletti dai lavoratori dell'unità produttiva, mentre il restante terzo era eletto dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dell'unità produttiva; il protocollo del 2013 ha poi modificato questo punto sancendo così una composizione totalmente elettiva. L'iniziativa per la costituzione di una RSU è presa dalla RSU stessa (devo esserci almeno 15 dipendenti) e i suoi componenti restano in carica per 3 anni, al termine dei quali decadono automaticamente; secondo la clausola di salvaguardia, coloro che aderiscono alla disciplina delle RSU rinunciano formalmente a costituire una RSA. E per quanto riguarda le competenze? Mentre prima aveva competenza contrattuale insieme alle altre strutture sindacali firmatarie del contratto collettivo, dal 2011 la RSU ha competenza contrattuale esclusiva, quindi i contratti collettivi aziendali hanno efficacia per tutto il personale dell'azienda se approvati dalla maggioranza dei membri della RSU.

IL CONTRATTO COLLETTIVO I contratti collettivi stipulati dopo la caduta del fascismo sono detti di diritto comune per segnalare che, a causa della mancata attuazione dei commi dell'art. 39, manca una legge che li riguarda e che quindi vengono considerati come un normale contratto di diritto privato; per quanto riguarda la forma, vige il principio di libertà di forma, e quindi sarebbe ammissibile anche quella verbale. Per l'interpretazione valgono le leggi degli altri contratti, con una prevalenza però per quella

oggettiva: il contratto si interpreta andando oltre l'interpretazione letterale e considerare il testo del contratto nel suo complesso, al fine di ricostruire la volontà delle parti al di là di quello che

effettivamente hanno detto (inscindibilità del contratto, cioè non vanno analizzate la clausole singolarmente ma nel loro insieme). Un'importante caratteristica del contratto collettivo, oltre l'efficacia erga omnes, è la cosiddetta inderogabilità in pejus, in base a cui il rapporto tra il contratto collettivo e quello individuale consiste nel fatto che il secondo deve obbligatoriamente uniformarsi a quanto previsto dal primo: qualora una clausola del contratto individuale non sia conforma a quella corrispondente nel contratto collettivo, essa viene sostituita da quella più favorevole contenuta in quest'ultimo. Per quanto riguarda la struttura, il contratto collettivo si divide in due parti: obbligatoria e normativa. La parte normativa, più corposa, disciplina i rapporti tra datore e lavoratori e comprende quindi argomenti come la retribuzione, l'orario di lavoro, le ferie, le festività, le norme disciplinari, etc... ; la parte obbligatoria invece riguarda i rapporti tra le opposte organizzazioni sindacali stipulanti e comprende, per esempio, clausole come quelle di tregua sindacale e di raffreddamento del conflitto (con cui si impone ai sindacati stipulanti di astenersi dallo sciopero nel periodo previsto dalla clausola), o quelle relativi all'istituzione di organismi paritetici per la risoluzione di controversie. Se il contratto collettivo di diritto comune è stipulato da soggetti in rappresentanza di altri, come prima conseguenza si avrà che tale contratto sarà vincolante solo per il datore di lavoro iscritto all'organizzazione dei datori di lavoro stipulante; se poi egli decidesse di recedere dalla propria organizzazione sindacale si libererebbe dall'obbligo di applicare tutti contratti collettivi successivi a momento del proprio recesso; per risolvere questo problema ed evitare situazioni spiacevoli di datori che impongono ai propri dipendenti condizioni sfavorevoli e salari più bassi, si sono fatti diversi tentativi per estendere erga omnes l'efficacia di questi contratti. Il caso più importante è la legge Vigorelli (1959): emanata da un governo in condizioni di emergenza a causa di gravissimi problemi di disoccupazione e sfruttamento dei lavoratori, prevedeva l'estensione erga omnes dei contratti collettivi che erano stati stipulati fino alla data della sua entrata in vigore; essa si presentava come una legge-delega con cui si delegava il Governo ad emanare decreti legislativi che assicurassero livelli minimi di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti alla stessa categoria: praticamente i contratti collettivi, dopo essere stati depositati presso il ministero del lavoro, erano presi dal governo che ne estendeva erga omnes l'efficacia. Si trattava comunque di una situazione eccezionale e che sarebbe durata solo un anno; alla scadenza di questo periodo il Parlamento cercò una proroga, ma la corte costituzionale la ritenne inammissibile; col passare degli anni quindi, i contratti resi erga omnes dalla Vigorelli vennero pian piano sostituiti da altri contratti tuttavia la stessa legge prevedeva che la sostituzione poteva avvenire solo se quelli nuovi fossero stati più favorevoli ai lavoratori . La giurisprudenza ha comunque fatto sì che potessero esistere modi per estendere l'efficacia del contratto collettivo sia ai datori che ai lavoratori non iscritti. Nel caso di datori non iscritti l'efficacia del contratto può estendersi in due casi principali: – quando le parti, in un contratto individuale, nella determinazione dei contenuti di un contratto individuale abbiano fatto rinvio esplicito al contratto collettivo; in questo caso dimostrerebbero infatti di aver “recepito” tale contratto collettivo, ed il datore di lavoro non potrebbe unilateralmente liberarsi dall'obbligo di applicarlo; – quando il datore di lavoro, pur non essendo iscritto, applichi spontaneamente il contratto collettivo, o un sufficiente numero di clausole di esso, si potrà ritenere che abbia voluto

recepire per intero tale contratto collettivo e sarà quindi obbligato ad applicarlo. Ulteriore criterio interpretativo elaborato dalla giurisprudenza per estendere l'applicazione del contratto collettivo fa leva sull'applicazione dell'art. 36 della Costituzione (riguardo ai criteri di

sufficienza e proporzionalità della retribuzione in relazione alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato), al quale è riconosciuta la precedenza: il giudice, se ritiene che la retribuzione prevista dal contratto individuale di lavoro (inferiore a quella garantita da quello collettivo di categoria) sia contraria ai principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, dichiarerà nulla la clausola del contratto individuale e, facendo ricorso all'art. 2099 del codice civile (secondo cui “in mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice”), determinerà egli stesso la retribuzione del lavoratore. Concentriamoci ora sull'ambito di applicazione del contratto collettivo. La dottrina attuale esclude l'applicabilità dell'art. 2070 del codice civile, secondo cui la categoria de contratto collettivo da applicare doveva coinciderà con l'attività svolta dal datore; oggi infatti, se il datore di lavoro esercita una certa attività che rientri nella categoria a cui si riferisce un particolare contratto collettivo, e se egli non è iscritto all'organizzazione stipulante, non sarà obbligato ad adottarlo e potrà dunque applicarne uno a sua discrezione, anche se relativo ad un'altra categoria; al massimo, il contratto collettivo della categoria corrispondente all'attività esercitata dal datore, potrà essere presa come riferimento per determinare la retribuzione se quella attuale è ritenuta non sufficiente. Esiste però un caso in cui si può fare un’eccezione, cioè quando un contratto individuale fa un rinvio generico a quello collettivo di categoria, e si deve quindi stabilire a quale contratto le parti abbiano voluto riferirsi. La giurisprudenza comunque considera ancora applicabile il comma 2 dell'art. 2070 secondo cui, se l'imprenditore esercita diverse attività autonome, si applicano a ciascuna di esse le norme dei relativi contratti collettivi, ma solo se egli è iscritto alle relative associazioni sindacali.

IL CONTRATTO COLLETTIVO: INDEROGABILITA', DEROGABILTA' ED EFFICACIA NEL TEMPO

Nel periodo fascista il contratto corporativo era, oltre che efficace erga omnes, anche inderogabile. La caratteristica di inderogabilità nel contratto collettivo di diritto comune rimase inapplicata fino al '73 quando il legislatore, la la riforma del processo del lavoro stabilì l'invalidità di tutte le rinunce e transazioni dei lavoratori sui diritti derivanti dalle norme inderogabili della legge e dei contratti collettivi; questo comporta che i contratti individuali si dovranno uniformare alle clausole di quello collettivo, anche se successivamente stipulato. L'unica eccezione ha questa regola si ha nel caso di derogabilità in melius, ovvero quando nel contratto individuale siano presenti condizioni più favorevoli rispetto a quello collettivo. Concentriamoci ora sull'efficacia nel tempo del contratto collettivo. I contratti collettivi prevedono una durata che può essere decisa dalle parti (solitamente è 3 anni sia per quelli nazionali che quelli aziendali) e, solitamente, dopo la scadenza è prevista una proroga o un rinnovo tacito di anno in anno; nel caso una delle due parti non voglia questo rinnovo può fare una disdetta (atto unilaterale), che deve essere comunicata con 3 mesi di anticipo dalla scadenza (o altra data prevista), al termine di cui il contratto cesserà di produrre effetti; se nel contratto è presente una clausola di ultrattività, esso continuerà a produrre i suoi effetti anche una volta scaduto, fino a quando non sarà sostituito da un nuovo contratto; la clausola di ultrattività deve però essere espressamente indicata e non è mai implicita. Secondo un'opinione largamente diffusa e accolta da buona parte della giurisprudenza, alla scadenza del contratto viene meno anche il principio dell'irriducibilità del trattamento economico: alla scadenza del contratto collettivo potrà infatti essere pattuita - a livello individuale – un'inferiore retribuzione sia con i nuovi assunti che con i lavoratori già in servizio, ferma restando la tutela offerta dall'art. 36 della costituzione (salario

minimo). Diversa sorte tocca invece alle “clausole più favorevoli” presenti nel contratto individuale, che possono sopravvivere alla scadenza del contratto collettivo.

L'EVOLUZIONE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA La contrattazione collettiva in Italia è stata centralizzata per lungo tempo, e solo negli anni '60 si è cominciato a parlare di articolazione contrattuale, cioè di un'apertura di uno spazio contrattuale anche a livello aziendale, e non sol...


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