Riassunto del libro \"Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza\'\' di I. Kant - Filosofia teoretica a.a. 2015/2016 PDF

Title Riassunto del libro \"Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza\'\' di I. Kant - Filosofia teoretica a.a. 2015/2016
Author Pasquale Del Giudice
Course Filosofia teoretica
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Kant Prolegomeni...


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KANT. PROLEGOMENI. PREFAZIONE. Nelle intenzioni kantiane questi prolegomeni non sono scritti ad uso di scolari ma di futuri maestri, i prolegomeni non servono ad inquadrare una scienza già costituita ma proprio a farla trovare. I presenti prolegomeni non sono nemmeno scritti per quei dotti che hanno assunto come propria la storia della filosofia; essi devono attendere chi attinge dalle fonti stesse della ragione. (Qui, c’è da parte di Kant un celato giudizio sulla differenza tra filosofia e filosofare. Si afferma così la trascendenza del pensare filosofico. Le filosofie hanno valore espressivo, esprimono il filosofare. Quindi non c’è una filosofia ma diversi modi di filosofare.) Kant invita, chi intende occuparsi di metafisica, a sospendere provvisoriamente il loro lavoro e a considerare come non avvenuto tutto ciò che fino ad ora si è fatto in metafisica. Bisogna, per così dire, sospendere il giudizio e chiedersi se qualcosa come la metafisica sia, in generale anche soltanto possibile. Cioè dobbiamo cominciare a chiederci: se la metafisica è una scienza per quale ragione non riesce ad ottenere come le altre scienze un universale e durevole consentimento? Se poi non è una scienza, per quale ragione essa continua a grandeggiare sotto le sembianze di una scienza tenendo occupato l’intelletto con delle speranze mai soddisfatte? È quasi ridicolo notare il progresso delle altre scienze a dispetto della metafisica che invece si aggira sempre sullo stesso punto e allo stesso tempo viene considerata saggezza il cui oracolo ogni uomo interroga. In questa scienza, infatti, ciascuno, per quanto ignorante sia, si arroga il diritto di pronunciare il giudizio definitivo e poiché in questo campo non vi è né misura né peso sicuro, è difficile distinguere la profondità dal chiacchiericcio superficiale. Domandare se una scienza sia possibile presuppone mettere in dubbio la realtà. I prolegomeni sono scritti contro chi, con il loro compendio di metafisica tra le mani, legittimano il loro possesso antico con superbia. Ma chi leggerà i Prolegomeni con indipendenza di giudizio non solo dubiterà della propria scienza passata, ma si convincerà successivamente che un tale sapere non può darsi se non attraverso determinate condizioni sulle quali si fonda la possibilità di esso; queste condizioni non si sono ancora avverate e quindi non esiste affatto una metafisica. Decisivo è stato l’attacco di David Hume a questa scienza. Hume non portò luce alcuna in questo campo di conoscenza ma fece scattare la scintilla che accese il lume. Hume partì da un unico ma importante concetto della metafisica: quello della connessione di causa ed effetto, (e quindi anche dai concetti da esso conseguenti come forza, azione etc…) ed invitò la ragione, che in metafisica asserisce di aver generato quel concetto nel suo seno, a rendergli conto con qual diritto essa pensa che qualche cosa possa essere così costituita, che, se essa è posta, perciò anche qualche altra cosa debba necessariamente esser posta; giacché ciò dice il concetto di causa. Per Hume è impossibile che la ragione pensi a priori, si inganna totalmente riguardo questo concetto che a torto ritiene una propria creatura. Questo concetto non è altro che il figlio bastardo dell’immaginazione, che, ingravidato dall’esperienza ha sottoposto alcune rappresentazioni alla legge dell’associazione, e una necessità soggettiva che così ne nasce, cioè un’abitudine, la gabella poi come necessità oggettiva proveniente dall’intelligenza. Di qui egli concluse che la ragione non ha alcun potere di pensare tali connessioni anche soltanto in generale, poiché in questo caso i suoi concetti sarebbero pure finzioni e tutte le sue pretese conoscenze a priori nient’altro che comuni esperienze, il che significa che non vi è metafisica e che non può esservene. Per quanto sconsiderata e inesatta fosse la sua illazione, i buon ingegni del suo tempo dovevano prestare a questa ricerca l’attenzione che meritava… ne sarebbe nata una completa riforma della scienza. Ma per la cattiva sorte che accompagna la metafisica egli non venne inteso da nessuno. Loro non capirono cosa chiedeva Hume. Secondo Kant, Hume chiedeva come fosse possibile che il concetto di causa potesse darsi a priori nella ragione, in che modo questo concetto poteva avere una verità intrinseca indipendente da ogni esperienza e per questo un’applicabilità molto più estesa, non limitata agli oggetti dell’esperienza . A ciò Hume chiedeva risposta, una risposta che non arrivò. Non si intendeva trattare dell’indispensabilità di questo concetto nel suo uso, ma della sua origine, scoperta l’origine se ne sarebbe capito l’uso, l’ambito e la validità. L’avvertimento di Hume è ciò che ha svegliato Kant dal sonno dogmatico, dando tutt’altro indirizzo alle sue ricerche nell’ambito della filosofia speculativa. Kant cercò dapprima di capire se l’obiezione di Hume

fosse generalizzabile e capì cosi che il concetto di connessione tra causa ed effetto non è l’unico con cui l’intelletto pensa a priori i nessi tra le cose. Ne dedusse degli altri che non hanno la loro origine nell’esperienza ma nell’intelletto puro. Tale deduzione stabiliva le condizioni di possibilità della metafisica, determinò a passi lenti ma sicuri le facoltà della ragione pura, stabilendone secondo principi generali tutta l’estensione nei suoi limiti come nei suoi contenuti. Questo era ciò di cui aveva bisogno la metafisica per costruire il suo sistema secondo un piano sicuro. Ma Kant è consapevole che questa soluzione non verrà subito compresa, la si giudicherà male perché un libro si ha piacere di scorrerlo e non di rifletterlo, inoltre è un’opera arida, oscura, che richiede una certa fatica, ed è anche ampia. C’è chi ha lamentato la mancanza di popolarità e di divertente agevolezza, ma a questi Kant risponde che quando si ha a che fare con una celebrata conoscenza indispensabile all’umanità questa per essere trovata ha bisogno di regole strette e di un esattezza metodica; la popolarità può essere solo successiva ma non può certamente costituirne l’inizio. Per quanto riguarda la vastità del piano, il lamento è giusto, e Kant pensa di rimediare con i Prolegomeni che rispetto alla critica sono definiti come degli esercizi propedeutici. La critica deve stare lì come scienza, nella sua sistematicità e nella sua pienezza, fino alle minime parti, prima che si possa permettere alla metafisica di farsi avanti e di avere qualche speranza. I lettori, attraverso questi prolegomeni, saranno portati a riconoscere che si tratta di una scienza nuova, di cui nessuno prima ha avuto idea e pensiero e di cui si poteva avvertire il presagio solo nei dubbi di Hume. Hume però non ne ebbe consapevolezza, cioè non ebbe il presentimento che una scienza siffatta potesse essere possibile: per mettere al sicuro il suo legno ( scetticismo ) lo trasse in spiaggia dove lo lasciò a marcire. Ma a Kant ciò che importa è dargli un pilota che munito di una complessa carta nautica e di bussola possa con sicurezza guidarlo dove gli pare secondo i principi sicuri dell’arte nautica. Kant afferma che avrebbe potuto rendere la sua opera più popolare nell’esposizione, avrebbe potuto usare un linguaggio più attraente come faceva Hume o poteva usare l’eleganza espositiva e la profondità tipica di Mendelssohn; avrebbe potuto se si fosse fermato a tracciare un semplice piano a cui agli altri sarebbe spettato il compito di eseguire. Ma il bene della scienza gli si piantò nel cuore e lo tenne a lungo occupato. Si trattava di un lavoro che chiedeva costanza e non poca abnegazione, il tutto per posporre l’attrattiva di una celere accoglienza favorevole alla speranza di una approvazione, certo tardiva, ma duratura. Fare dei piani il più delle volte è una sontuosa e vanagloriosa occupazione dello spirito. Ma la ragione pura è una sfera così isolata e così connessa in tutto e per tutto che non si può toccare una parte senza toccare tutte le altre. Ogni parte ha una validità nel suo uso che dipende dalla relazione con un'altra parte nella stessa ragione. La ragione con le sue parti è come un corpo e le sue membra. La critica non sarà mai intera se non vaglierà i minimi elementi della ragione pura, in questa facoltà o si determina tutto o non si determina nulla. I prolegomeni allora, sono il piano che viene dopo l’opera compiuta. Questo piano è tracciato secondo un metodo analitico, mentre la critica viene composta secondo un metodo sintetico. La critica contiene la metafisica della metafisica, cioè i principi della critica sono da considerarsi in qualche modo come principi di principi e appartengono a quella parte della metafisica che si occupa della possibilità stessa della metafisica. Quindi diremo che dal punto di vista dottrinale la critica è completa perché contiene l’idea del sistema della metafisica, ma allo stesso tempo è incompleta perché, appunto, ne è soltanto l’idea.

Come è possibile la matematica pura? Nei Prolegomeni Kant tratta della matematica, di cui non ha una concezione di tipo metodica, ma di tipo costruttivista, dove costruire significa rappresentare un concetto nell’intuizione. La matematica pura non è noumenica, ma fenomenica, quindi non segue la tradizione delle verità eterne, ed in questo senso potremmo dire che l’idea di triangolo non è posta nella mia mente. La matematica richiede il molteplice fenomenico o sensibile e le forme pure dello spazio e del tempo, ma non basta; sono necessarie anche le categorie. Le categorie della quantità, cioè unità, molteplicità, totalità, che hanno come abito comune l’omogeneità, quindi la quantità fa leva sull’omogeneità. La matematica si fonda sull’a priori che costruisce, dove per costruire, si intende, ribadisco, costruire un concetto nell’intuizione.

Ora far luce sull’a priori significa volgere lo sguardo alla sfera del giudizio per cogliere dove possono darsi forme a priori e capire il senso che loro compete. Di qui l’importanza della distinzione tra giudizi analitici e giudizi sintetici. Per Kant parliamo di GIUDIZI ANALITICI tutte le volte che il predicato è racchiuso nel concetto del soggetto e quindi non aggiunge nulla di nuovo al soggetto stesso. Quando diciamo “tutti i corpi sono estesi” non predichiamo nulla che non è già noto a chi sa cosa significa corpo. Dai giudizi analitici devono poi essere distinti i GIUDIZI SINTETICI dove il predicato non è contenuto nella nozione del soggetto, ma vi è aggiunto sinteticamente. Quando noi diciamo “tutti i corpi sono pesanti” predichiamo del corpo un accidente che non gli appartiene necessariamente, ma solo in ragione della costruzione particolare del nostro mondo. In un mondo privo di forza di gravità i corpi non sarebbero pesanti ma sarebbero ugualmente estesi: possiamo immaginare un corpo senza peso, ma non possiamo immaginare un corpo inesteso. Per mettere capo ad una predicazione sintetica è necessario uscire dal concetto del soggetto, e l’esperienza in questo caso è capace di farci abbandonare la rete concettuale in cui restiamo imbrigliati fino a quando ci muoviamo su di un piano analitico. Tuttavia non tutti i giudizi sintetici son tratti dall’esperienza, e quindi non tutti i giudizi sintetici sono a posteriori. Prendiamo ad esempio il principio metafisico di causalità “tutti gli enti hanno una causa” questo principio non è di natura analitica perché nel concetto di ente non è racchiuso implicitamente il concetto di causalità. Ma non è nemmeno un giudizio a posteriori, l’esperienza non ci autorizza ad asserire apoditticamente una simile tesi. Se noi ci affidiamo semplicemente all’esperienza del concetto di causa non resta altro che una funzione immaginativa sorretta dall’abitudine e non un principio che pretende di avere una validità razionale indubitabile. Dunque alla domanda su cosa debba fondarsi la metafisica si risponde “su giudizi sintetici a priori” che determinano la possibilità di una metafisica intesa come l’insieme delle possibilità a priori che rendono possibile la conoscenza della natura; una metafisica siffatta si contrappone ad una metafisica intesa come una disciplina che pretende di farci conoscere indipendentemente dall’esperienza sensibile un mondo trans-fenomenico. I giudizi sintetici a priori sono problematici: da una parte il momento della sintesi parla in nome della composizione del diverso e allude al momento dell’esperienza che, solo sembra legittimare l’aggiunta sintetica che ha luogo nel giudizio; dall’altro lato tuttavia questa sintesi deve avvenire prima di ogni possibile esperienza: i giudizi sintetici a priori sono allora giudizi conoscitivi dati prima di ogni conoscenza. Riflettere sulla possibilità di giudizi sintetici a priori sposta il discorso sulla possibilità della matematica come conoscenza pura a priori. Kant muove da un esempio divenuto famoso, mi riferisco al famoso giudizio sintetico a priori che ci informa del fatto che 7 + 5 fa 12. Questo è un esempio che ci lascia perplessi perché potremmo pensare che si tratti di un giudizio analitico. Ma in realtà è un giudizio sintetico a priori, poiché la nozione del predicato 12 non è contenuta nel concetto del soggetto 7+5. Il numero 12 risulterebbe dalla sintesi progressiva che il soggetto opera intuitivamente aggiungendo al numero 7 una ad una le unità che compongono il numero 5. Kant ci sta dicendo che per condurre in porto un’operazione aritmetica siamo costretti a contare, ed è proprio il contare che rappresenta quella costruzione intuitiva che sta alla base della matematica. I numeri non sono oggettualità ideali, ma sono REGOLE INTELLETTUALI di unificazione delle successioni sensibili. Per le operazioni aritmetiche, è necessario affidarsi alla prassi intellettuale e insieme intuitiva del contare. Una matematica pura si distingue da ogni altra conoscenza a priori per il fatto che essa non procede dai concetti, ma dalla costruzione dei concetti. E ciò è quanto dire che la matematica non ha a che fare con i giudizi analitici, che si limitano ad esplicitare la natura del concetto ma con giudizi sintetici che chiedono che dal concetto si muova verso l’esperienza sensibile. COME è POSSIBILE LA MATEMATICA PURA? O MEGLIO, COME è POSSIBILE ALLA RAGIONE UMANA EFFETTUARE UNA CONOSCENZA DEL TUTTO A PRIORI? Ogni conoscenza matematica ha questa caratteristica: esibisce i suoi concetti prima nell’intuizione a priori, in un’intuizione che non è empirica, ma pura. Per questa ragione i suoi giudizi sono sempre intuitivi, mentre la filosofia deve accontentarsi di giudizi discorsivi tratti da semplici concetti. Quindi somma condizione della matematica è che a suo fondamento vi sia una qualche intuizione pura nella quale poter esibire i suoi concetti in concreto e nondimeno a priori, cioè li costruisce nell’intuizione. La possibilità di un’intuizione

pura apre alla possibilità di spiegare come siano possibili in matematica proposizioni sintetiche a priori. Noi infatti abbiamo giudizi sintetici che si fondano su intuizioni empiriche e contingenti e quindi sono empiricamente certi, e giudizi sintetici che si fondano sull’intuizione pura e sono a priori e apodittici, perché l’intuizione a priori sarà legata al concetto prima di ogni esperienza o singola percezione. MA COME è POSSIBILE INTUIRE A PRIORI? Infatti se l’intuizione è rappresentazione e dipende dalla presenza immediata dell’oggetto, intuire a priori originariamente, senza che l’oggetto a cui essa si riferisce sia presente né prima né al momento stesso, sembra impossibile. Sebbene ci siano alcuni concetti che per loro natura possono darsi senza trovarsi in rapporto immediato con l’oggetto, questi sono il concetto di causa, di quantità. Si tratta di quei concetti che in generale contengono solo il pensiero di un oggetto. Ma questi concetti a ben guardare, per avere significato e senso hanno bisogno comunque di un uso in concreto, cioè questi concetti devono essere legati ad un’intuizione dalla quale ricavare il loro oggetto. QUINDI, COME Può L’INTUIZIONE PRECEDERE L’OGGETTO? L’intuizione può precedere la realtà dell’oggetto determinandosi a priori quando non contiene altro che la forma della sensibilità. Questa forma della sensibilità contenuta nel mio soggetto (in me) precede tutte le reali impressioni che ricevo dagli oggetti. Gli oggetti dei sensi potranno essere intuiti in conformità a questa forma della sensibilità, ma non verranno conosciuti come essi sono in sé ma verranno conosciuti per come appaiono a me, per come appaiono ai sensi. Ora spazio e tempo sono quelle intuizioni che la matematica pura pone a fondamento di tutte le sue conoscenze e giudizi che sono apodittici e necessari. La geometria pone a fondamento delle sue proposizioni l’intuizione pura dello spazio, l’aritmetica costruisce i suoi concetti di numero secondo una successiva addizione di unità nel tempo. La meccanica pura costruisce i suoi concetti di movimento per mezzo della rappresentazione del tempo. Se noi però togliamo dalle intuizioni empiriche dei corpi e dei loro mutamenti l’elemento empirico, cioè ciò che è dato dalla sensazione, avremo ancora il tempo e lo spazio che sono da considerarsi come intuizioni pure che a priori stanno a fondamento delle intuizioni empiriche e che per tale ragione non possono essere mai soppresse. SPAZIO E TEMPO non sono qualità reali delle cose in sé, ed è importante precisare che non vengono percepiti direttamente, noi non percepiamo il tempo nel suo fluire, ma abbiamo esperienza del trascorrere delle cose nel tempo, proprio come del resto non abbiamo esperienza dello spazio in se stesso, ma dell’ordinamento spaziale delle determinazioni fenomeniche che si danno come contenuti della percezione esterna. Spazio e tempo appartengono all’intuizione COME MODI attraverso cui i fenomeni si manifestano e affiancano i concetti dell’esperienza in quanto ne sono forma. Lo spazio è la forma dei fenomeni del senso esterno, il tempo è la forma dei fenomeni del senso interno. Ma non solo, lo spazio e il tempo costituiscono anche quell’unità conoscitiva che chiamiamo oggetti: se l’esperienza sensibile non si organizzasse spazialmente e temporalmente i materiali intuitivi sarebbero privi di un qualsiasi ordine interno, le forme della concettualità non potrebbero essere applicate e quindi non porterebbero a nessun contributo conoscitivo. Non è possibile fare astrazione dallo spazio e dal tempo, un colore privo di estensione spaziale o una sinfonia priva di un estensione temporale sono oggettualità impossibili. L’aritmetica, la geometria, si fondano rispettivamente sulle forme pure del tempo e dello spazio e sulla loro composizione. Lo spazio e il tempo sono forme necessariamente date in ogni esperienza, sussistono prima di ogni possibile contenuto che le riempia, sono determinazioni interne della sensibilità umana e sono a priori. PROBLEMA RISOLTO! La matematica pura come conoscenza sintetica a priori è possibile e riguarda tutti gli oggetti sensibili che hanno a fondamento della loro intuizione empirica l’intuizione pura dello spazio e del tempo; forme che vengono prima dell’apparizione reale degli oggetti in quanto proprio spazio e tempo rendono possibile l’apparizione stessa. Diremo quindi che la facoltà di intuire a priori non riguarda la materia del fenomeno, non riguarda l’elemento empirico, ciò che in essa è sensazione, ma soltanto la forma, e cioè spazio e tempo che sono condizioni formali della nostra sensitività. Esempi di proposizioni sintetiche fondate su un’intuizione pura a priori sono rinvenibili nel procedimento abituale e

assolutamente necessario dei geometri quando questi affermano a partire dalle prove della completa uguaglianza di due figure date, cioè a partire dal fatto che una può essere messa al posto dell’altra in tutte le sue parti, concludono la completa coincidenza dell’una con l’altra. Ancora, la proposizione che afferma che l’intero spazio abbia tre dimensioni e che lo spazio in generale non possa averne di più si costruisce sulla proposizione che in un dato punto non possono tagliarsi ad angolo retto più di tre rette; anche questa proposizione è apoditticamente certa e quindi sicuramente a priori. Quando due cose sono perfettamente identiche in tutte le loro parti, cioè quando sono identiche in tutte le determinazioni che riguardano la quantità e la qualità, deve necessariamente seguire che l’una possa essere messa al posto dell’altra, senza che questa sostituzione causi un difetto di conoscenza. E infa...


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