Riassunto Elio Grazioli La collezione come forma d\'arte PDF

Title Riassunto Elio Grazioli La collezione come forma d\'arte
Course Psicologia dell'arte
Institution Università di Bologna
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Riassunto Grazioli, "La collezione come forma d'arte" per l'esame di Psicologia dell'arte e fruizione dell'immagine...


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Elio Grazioli – La collezione come forma d'arte. CAP. 1 I collezionisti sono attratti da ogni tipo di oggetto, spinti da ogni genere di passione o di motivo; soddisfano a un grado più elevato un impulso che accomuna ciascuno di noi, quello che ci spinge a circondarci di oggetti che scegliamo e che diventano importanti nello spazio in cui viviamo, che lo qualificano, lo strutturano o riscrivono. Quantità: elemento fondamentale, che costituisce un salto di qualità. Gli oggetti invadono gli spazi e la raccolta sembra assumere un andamento tendente all'infinito. I pezzi scelti si accumulano e vanno a costituire/completare una visione chiara nella mente del collezionista, che prosegue e si sviluppa in base alla passione che la sottende. L'oggetto prescelto si distingue dagli altri poiché viene caricato di un surplus di senso, viene percepito con occhi diversi, acquisisce un rinnovato statuto. L'io e la mente del collezionista si uniscono in quell'opera/oggetto che diviene diretta espressione del sé. La scelta e la cura relativi a questi oggetti li lega in maniera singolare alla realtà: essi vengono conservati e protetti per la loro unicità, rarità individuali e oggettuale, hanno acquisito valore simbolico e affettivo. Questo tipo di iniziativa individuale, sospinta da una forte passione interna, si costruisce e si materializza attorno ad un'idea precisa volta ad esprimere/realizzare qualcos'altro. Non si tratta di riflessioni circa l'arte, la sua storia e il suo statuto (come accade per musei, gallerie, archivi ecc), ma si tratta di opere, esse sfiorano l'arte stessa. Forma e logica interne differiscono dalla formule più diffuse e sociali, rivolte alla ricerca del successo; piuttosto siamo di fronte ad un proprio statuto di legge, di funzionamento prime e di reale validità poi; la collezione è 'sentita' come un organismo completo, unico, un tutto che non puà-ò essere scisso ed il rapporto fra il collezionista e la collezione è sovente di devozione e preoccupazione per il destino postumo della stessa raccolta. Ciascuna collezione ha sempre rappresentato l'epoca di cui è figlia, non solo testimoniandola o rispecchiandola nel gusto e nella cultura, ma mostrando la varietà delle scelte possibili; motivo per cui nel tempo è mutato il concetto di collezionismo. CAP. 2 Ad ogni epoca corrisponde dunque un modo specifico di collezionare; si pensi alla raccolta di stranezze ed esoticità che muove il collezionismo fin dai suoi inizi. La sorpresa dinnanzi a mondi

nuovi e il suo aspetto più privato (che si rivolge a intenditori) sono elementi alla base del collezionismo. Il XX secolo ha permesso a queste forme di deviazione di fiorire, esperienze individuali ma diffuse che rompono l'idea riduttiva e schematica, forse impersonale, di una cultura e di un sentire tipici dei musei ordinati per categorie o cronologia. È fondamentale ricordare le Wunderkammer, stanze delle meraviglie e del meraviglioso, ove venivano raccolti oggetti da ammirare per l'appunto, ordinati però da un esoterismo precodificato; nonostante questo erano estremamente ricche di spunti poiché composte da oggetti con statuto 'ambiguo', dalla difficile riconoscibilità, misto di artificiale e naturale. Materiali, tecniche e forme sono diverse all'interno di questi luoghi, eppure sono in grado di dialogare fra loro. Adalgisa Lugli riscontra alcuni meccanismi che hanno presieduto alla formazione delle Wunderkammer, ad esempio la proiezione di forme antropomorfe su oggetti di vario tipo. Tale culto della trasfigurazione, la stessa permeabilità delle cose, sono da intendersi come una sorta di verifica di esistenza e di interpretabilità, di costruzione di un altro mondo da salvare. E si ricordi la particolare attenzione – non solo all'oggetto – allo spazio, all'ambiente, all'esposizione degli oggetti e ad un loro allestimento – precursore delle contemporanee installazioni. La bellezza della scoperta abbinata allo stupore e la ricerca intesa come libertà sono celebrate da Lawrence Weschler ne Il Museo della Tecnologia del Giurassico. Si fa riferimento in particolare al suo “Gabinetto delle meraviglie di Mr. Wilson”, in cui il protagonista tramite due interventi sintetizza il senso della collezione: il primo racconta come la vocazione alla raccolta sia nata da una folgorazione improvvisa, una sensazione con contenuto mistico, che gli rivelò il compito della sua vita, cioè “un servizio reso, che consiste nel fornire alla gente le condizioni... nel propiziare un ambiente nel quale possa cambiare”; il secondo intervento rivela che “una volta rimossi i semplici strati superficiali, la realtà sottostante è ancora più sorprendente […]. I primi strati sono solo un filtro”. Strati e filtri sono proprio la struttura del collezionare; Mr. Wilson prosegue però dicendo che la natura p più incredibile dei prodotti dell'immaginazione, ma al museo hanno il motto 'Ut translatio natura', cioè la natura come metafora. Nello specifico si tratta di un esercizio della metafora che prende la natura come oggetto, le sue manifestazioni e stratificazioni come dispositivi di traslazione (più sorprendenti per questo di qualsiasi sforzo fantasioso); traslazione che giustifica anche il “servizio” di cui W. Parla nel primo intervento (ambiente nel quale cambiare). “In quel contesto è esaltato l'aspetto cognitivo e sublime del fare artistico e si apprezza la genialità fuori dal comune, l'eccellenza e i volti della fantasia anziché il rispetto di canoni artistici”. Con queste parole Paolo Thea indica che non si tratta di ricerca della vaghezza come esaltazione della

confusione degli ambiti e della rottura dei confini tra discipline; piuttosto ci si interessa all'arte che c'è in ogni disciplina, dei nodi che si creano tra i vari ambiti (Collegamenti inter e intradisciplinari). Il XVII secolo offre un altro esempio: il cabinet d'amateur, quadro che ha come soggetto proprio la raccolta del collezionista. L'intento pare essere quello di fare ordine e di catalogare, piuttosto che di esporre liberamente e cercare nessi imprevisiti. Ecco il motivo per cui prevalgono le Allegorie (dei sensi, delle virtù, dei vizi, dei generi ecc) o i quadri 'mnemonici' (secondo la retorica). Ma c'è un cabinet d'amateur più libero, esente dalle tentazioni classificatorie: si parla della Quadreria o Galleria dipinta (=moderno montaggio), risultato della contestualizzazione di immagini che differiscono per provenienza, stile e messaggio (Victor Stoichita). La “parete di quadri” viene rinnovata dalla tela come supporto, maneggevole, trasportabile e dalla cornice dal formato ridotto (dimentichiamoci delle ingombranti pale d'altare o degli inamovibili affreschi). L'operazione introdotta da questa nuova estetica è intertestuale, non si tratta più di un'unica immagine, ma di una composizione di immagini diverse la quale comporta una combinazione fatta di giustapposizioni e incastonature. La serie dunque si 'apre' e si realizza in un montaggio di accostamenti e rimandi – la caoticità è solo apparente. Nelle Conversazioni tutto ciò è ancor più evidente, la collezione diviene discorso e non semplice descrizione. Si tratta di un entretien che invita ad immaginare un colloquium non solo tra i presenti ma anche fra i quadri e gli oggetti esposti. Approcciandoci in questo modo al quadro riconosciamo un insieme ed il quadro medesimo, “che in un primo momento appare come un mosaico di citazione, si raggruppa e si riorganizza”. Ora, non dobbiamo fare riferimento al museo in scatola di Duchamp (boite-en-valise) o al quadrocatalogo/museo di Stoichita, ma dobbiamo rifarci a Georges Perec nel suo Storia di un quadro (tit originale: Un Cabinet damateur. Histoire d'un tableau). Perec aggiunge alle pareti dello Studiolo dipinto da Heinrich Kurz una copia dello Studiolo stesso, innescando una mise en abime vertiginosa – finché lo stesso romanzo diviene a sua volta una mise en abime. Il gioco è articolato e complesso poiché – fra il gioco, il simbolico e l'anticipazione – nel quadro si trova la versione finita di un dipinto che il pittore nella realtà ha solo abbozzato. Gioco che si riflette anche fra gli sguardi del collezionista e dell'artista, ove l'uno si riconosce nell'altro e viceversa, così la collezione diviene opera a sua volta. Hermann Raffke – collezionista – lascia disposizione per essere imbalsamato e conservato in una stanza che ricostruisce la disposizione dello Studiolo e sulla cui pareti di fondo figura lo Studiolo stesso. Il libro racconta tutta la storia della collezione sino a che interviene l'erede, il quale agisce in maniera attiva e imprevista: i quadri vendute alle aste in seguito alla morte di Raffke sono quasi

tutti falsi e l'erede ne è l'autore. Il collezionista diviene anche pittore, ma si rivela un accordo fra zio e nipote, poiché questi scoprirono che i quadri della collezione sono falsi o copie di scarso valore e dunque la produzione di ulteriori falsi ne è la vendetta. Il nipote, Humbert Raffke non è altri che Heinrich Kurz, il pittore dello Studiolo, così la mise en abime si chiude. Il XVIII sec, oltre a sistematizzare, ordinare, commercializzare e normalizzare l'idea di collezione (medesimo periodo in cui emergono storici e critici d'arte) propone un tipo speciale di collezionista, quello di amori. Il Don Giovanni di interpretazione mozartiana: “Madamina, il catalogo è questo / delle belle che amò il padron mio” → questo don Giovanni è il libertino che sta storicamente per trasformarsi in libertario, l'amante della liberà, colui che ama la e per la libertà, che colleziona “conquiste” per non fissarsi in una e rimanere libero; per perseguire la libertà, costruirla man mano secondo “la passione dell'illimitato”. Il piacere diviene una sfida al disordine dell'universo. Giovanni Macchia segnalò la differenza del don Giovanni di Mozart da quelli precedenti; in questo caso si parla di energia “naturale” sprigionata in modo elementare e istintivo, una “forza tutta terrena che non cede dinanzi al sovrannaturale, chiusa com'è entro il centro, la materia, il credibile, il senso”. Il collezionista più vicino alla nostra contemporaneità è quello ottocentesco, ben descritto in diversi romanzi, come la figura del cugino Pons di Honoré de Balzac, o il Gardilanne di Champfleury: sono collezionisti a caccia di 'occasioni', appassionati di un ambito specifico, concentrati nel trovare informazioni per scoprire ciò che può sfuggire agli altri; egli però cambia quando è in azione, mostrando lati che non trapelano nella vita quotidiana. Per Champfleury si trasforma addirittura nel suo opposto, da uomo senza passione a collezionista ricco di passione. Strategia o scoperte inaspettate caratterizzano la ricerca di questi appassionati collezionisti; anche Pons è governato da una pulsione artistica. Permane (insita già nell'Ottocento) la contrapposizione artista-collezionista, ove quest'ultimo, svalutato, risulti artista mancato; le schematizzazioni delle due figure hanno condotto proprio a questa contraddizione/opposizione, eppure il collezionista comincia ad assumere rilievo e questo forse può spaventare l'osservatore incapace di spiegarsi tale fenomeno. Addirittura avviene l'identificazione collezionista/autore, in modo che lo stesso personaggio acquisisca a tutti gli effetti le peculiarità di artista. La consapevolezza si afferma con il Decadentismo: Des Esseintes (“A ritroso”, di Huysmans) è il protagonista/autore che racconta e commenta la selezione effettuata in ogni ambito del sapere e del piacere umano.

La scelta consapevole e affermata del protagonista si evince anche dal cambiamento dello stile di vita: dall'esperienza mondana offerta dalla capitale ad una casa di campagna isolata, sistemata per il proprio piacere e non per stupire gli altri. La nuova esigenza risponde alla volontà di ricostruire la collezione in maniera assoluta, completa. Seconda metà del secolo: collezionismo e borghesia. La collezione è allora percepita come “una confessione pubblica di un uomo che non è e non può essere come gli altri” (Langui). Di conseguenza, il collezionista è possessivo e ama rischio e competizione; rivalità e difficoltà stimolano ancora di più il suo appetito; essere asociale e sicuro solo quando circondato dalle sue conquiste. Cure particolari sono riservate alle collezioni: Edmond de Goncourt nel testamento dichiara la volontà di mettere all'asta la sua collezione, in modo da procurare piacere ad altri; molti negheranno la propria collezione agli eredi; oppure, come Albert Barnes, c'è chi negherà completamente l'accesso a qualsiasi visitatore. Dal pv letterario nasce quindi un vero e proprio prototipo di personaggio protagonista e dalle cui esperienze/vicende si struttura l'intero romanzo. La figura del collezionista è però ambigua e Pierre Cabanne conclude il nuovo corso:

L'invenzione e l'introduzione della fotografia avranno una ripercussione nella definizione di collezionismo. Essa è immagine fedele della realtà e ciò che viene documentato viene percepito come diverso e raro, emozionante, dunque qualcosa che merita attenzione e che ha tutto il diritto di essere collezionato. A tal proposito Susan Sontag dichiara:

La modalità dell'esperienza del reale subisce un'alterazione tramite la fotografia; viene introdotta l'idea di un tempo che consuma le cose e le vite le quali, per queste stesse ragione, vanno fermate e fissate almeno in un'immagine.

Le parole di Baudelaire nel suo ammonimento alla fotografia intendono essere non una condanna alla sussidiarietà (la fotografia non sarebbe arte, ma strumento al servizio di), ma un richiamo alla sua specificità altra, cioè quella che la lega alla testimonianza, alla documentazione e all'archivio in modo e risvolti differenti. Ci si domanda inoltre quanto possa essere definita “artistica” la fotografia nata senza intenzioni artistiche; in quale contesto si inseriscono Timothy O'Sullivan, Samuel Bourne o Felice Beato? A quale spazio discorsivo si fa riferimento? Le fotografie sono opere? E secondo quale accezione? Si conviene allora che la bellezza ha vita e pensiero propri e diversi (come varie e differenti risultano le risposte alle domande sopra indicate); così collezionare è un esercizio estetico e la collezione è assimilabile ad un tipo di “opera”. CAP. 3 Nuovo secolo e modernità: il collezionismo è rivolto al presente. Lo sguardo retrospettivo è concesso al fine di ricostruire il percorso che ha portato a quella visione del presente e quindi legittimarla. Es: se ami l'Impressionismo devi avere i coloristi veneti del Rinascimento, nature morte fiamminghe e spagnole, Chardin, paesaggismo olandese e inglese (Constable, Turner, Scuola di Barbizon ecc); se ami l'Espressionismo sono necessari i primitivi medievali meno noti, come Cosmé Tura, i manieristi, Rembrandt, Hals, arte popolare e primitiva ecc. nascono i primi musei moderni organizzati, come ad es il MoMA di NY (direzione di Alfred H. Barr): rigorosa visione della storia dell'arte come via che porta all'astrattismo; tutto ciò che esula da questa visione è inteso come equivoco. Ne consegue la nascita dell'arte per le collezioni (o per i musei), eseguita appositamente per inserirsi nel percorso stabilito: deduttiva, evolutiva, formalista, calcolata per “stare bene” nella tal collezione. È un sistema capace di autoalimentarsi e che sviluppa una linea dell'arte. Le avanguardie conducono ad ulteriori cambiamenti decisivi: il collezionista proiettato sul presente ha la possibilità di vivere direttamente i vari movimenti artistici e così di alimentarli partecipando al loro successo (condivisione assunti ed eventi). Al contempo il collezionista può “scommettere” su un certo movimento, e da qui nasce l'ininterrotta ricerca del nuovo, l'anticipazione sul futuro. Il rinnovamento è rapido, cambiano l'idea di collezionista (sovente sfiora la figura del mercante) e quella di collezione, che diviene più simile al museo, dunque rispecchia una visione generale, sociale e pubblica più che privata. Surrealismo: affermazione di due caratteri e modi collezionistici interessanti e precisi. 1. La ricostruzione retrospettiva assume un'accezione più nobile; la legittimazione della collezione,

della sua nascita e della relativa struttura è un punto di arrivo. La ricerca è al centro dell'attenzione e ad essa si accompagnano valutazioni critiche. Si aprono nuove vie: Breton è l'incarnazione di una concezione più dialettica, ove il presente rilegge il passato in una chiave nuova (si parla di circuito temporale contro la linearità storicista), anticipando un futuro ancora da venire. Si parla di tempo-collezione. 2. Il secondo aspetto da considerarsi, legato al precedente, è quello che Breton ha chiamato “caso oggettivo”, derivando da Freud un'interpretazione di come la scoperta di un oggetto di affezione, una scelta di gusto ecc siano regolate da un movimento in due direzioni: quello del collezionista verso l'oggetto e quello dell'oggetto verso il collezionista. Dunque una sorta di “appuntamento”, per citare Duchamp. L'influenza freudiana e le teorie di Breton sottolineano l'oggettività del caso, e dunque la relativa realtà e significanza. Breton nell'Amour fou:

Ne segue il noto racconto della visita fatta assieme a Giacometti al mercato delle pulci dove ebbe luogo quell'incontro per l'appunto casuale-oggettivo con la maschera di metallo e il cucchiaio con la scarpetta all'estremità del manico. A posteriori si scopre un significato nuovo, non immaginato a priori: è l'effetto del desiderio, che svela poi ciò che stava prima; gli oggetti acquisiscono vita in ragione dell'oggetto primario. Dunque: Il collezionismo si fa ora creativo e passionale, non più utilitarista; si analizza la pulsione metaforica che spinge continuamente l'essere umano al soddisfacimento mai definitivo; si parla di tempi rovesciati e di risvolti misteriosi e perturbanti poiché intrecciati con la pulsione di morte. L'oggetto diviene incontro fra pulsione e cosa, fra sé e altro, emblema capace di identificarsi o sostituirsi al meraviglioso come la parte al tutto (Lino Gabellone). Esso è investito di proiezioni e suggestioni, è lo scenario prediletto di un complesso gioco di spostamenti e sostituzioni, fonte di polisemie e sovradeterminazioni.

Aby Warburg propone invece l'idea di montaggio (in senso meno spaziale e più temporale). Ricordiamo qui a biblioteca e l'atlante Mnemosyne, varianti della stessa idea. Lo storico dell'arte antica organizza la biblioteca per materie di studio, ma secondo il principio di contiguità, affinità di argomento. Mnemosyne è simile e in parte diverso. È detto atlante poiché è un insieme di tavole a tema, composte di immagini disparate disposte su un fondo nero a loro volta vicine o più lontane per affinità, per disegnare una rete di rimandi, analogie e differenze, passaggi e ritorni, contiguità spaziali e di contenuto, salti temporali. L'organizzazione è topografica, trattasi di una rete aperta e non di una sintesi gerarchica o forzata. Si palesa così un pensiero visivo, senza parole. Michaud suggerisce di “comprendere al tempo stesso in in termini di introspezione e di montaggio” il lavoro di Warburg. Il fattore soggettivo si intreccia a quella della ricerca e dello studio (il tutto è ricondotto alla propria esperienza); il collezionista vuole comprendere ciò che colleziona, non semplicemente “riempire” dei tasselli. La forma compositiva derivante è esattamente quella del montaggio: è una mappa del pensiero, una mappa spaziale di un tempo che non è lineare e progressivo. Warburg evidenzia le forme di espressione del pathos e del sentire (pathosformeln) che si modificano e si sviluppano secondo una temporalità complessa. È utile analizzare ora la figura e ancor più il lavoro di W. Benjamin, in particolare Passagenwerk. Egli denuncia “la noia leggera dell'ordine” dei libri sugli scaffali, affermando di lasciarsi cullare dalla “marea massima dei ricordi che travolge ogni collezionista che si occupa del suo patrimonio”, perché “se è vero che ogni passione confina col caos, quella del collezionista confina col caso dei ricordi”. La forma di disordine richiamata da Benjamin è legata a molte questioni. Essa può essere una forma d'ordine nella mente del collezionista, può connettersi al possesso o all'idea di teatro del destino; nello specifico egli definisce i collezionisti come fisiognomisti delle cose, capaci di guardar...


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