Riassunto Graziani 2 - Lo sviluppo dell\'economia italiana PDF

Title Riassunto Graziani 2 - Lo sviluppo dell\'economia italiana
Course Economia italiana e del mezzogiorno
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA ITALIANA - A. Graziani 1 – IL DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE (1945 - 1955) I. ASPETTI GENERALI Gli anni successivi alla II Guerra Mondiale furono denominati “periodo della ricostruzione” (anche se tale espressione risulta essere impropria perché gli eventi andarono oltre il mero restauro materiale della capacità produttiva distrutta dagli eventi bellici). In questi anni, vennero prese decisioni che avrebbero dovuto essere determinanti per lo sviluppo economico successivo. La complessa natura politica della Resistenza induce molti a ritenere che, nel secondo dopoguerra, l’Italia si trovasse dinanzi alla possibilità di attuare una svolta concreta, nell’ambito delle istituzioni politiche e della struttura economica. La Resistenza era stata espressione del movimento antifascista borghese volto a restaurare le libertà democratiche soppresse dal governo fascista; al tempo stesso, però, era confluito in essa un vasto movimento operaio, espressione di una critica radicale alla struttura dello Stato democratico borghese, sotto la protezione del PCI. La resistenza armata era stata accompagnata da una resistenza in fabbrica, tramite gli scioperi nelle industrie del Nord tra fine 1943 e inizio 1944. Negli anni della ricostruzione, le due forze emerse dalle bande partigiane (movimento democratico borghese e movimento operaio) dovevano dare vita a due linee di politica economica contrapposte. La vicenda si concluse con il prevalere della prima. Non pochi hanno sollevato il quesito se la ricostruzione del dopoguerra, sebbene effettuata sulla base dei valori dell’antifascismo, non vada interpretata come una fase storica in continuità rispetto alla politica economica del fascismo, tanto che è da rilevare che:  sul piano generale, l’Italia antifascista confermò in gran parte le istituzioni economiche fasciste. A tale aspetto, bisogna aggiungere la collocazione internazionale del nostro Paese. Alla fine della guerra, l’Italia era caduta nel blocco occidentale senza dissensi da parte delle grandi potenze, per cui una svolta del sistema economico di tipo socialista era scarsamente concepibile.  sul piano della politica economia, la risposta impone una distinzione tra quanto accadeva al Nord (venne rafforzato l’apparato produttivo in continuità con il passato) e al Sud (dove vi era una forte disoccupazione, decade l’agricoltura estensiva, si ha la riforma fondiaria pertanto i vecchi ceti della proprietà terriera persero peso politico- sociale, mentre emergeva una classe di burocrati con potere (borghesia di Stato); elementi d’innovazione prevalgono sulla continuità) I tentativi delle sinistre di imporre un indirizzo diverso alla politica economica del paese naufragarono, a causa di:  carenza di idee e azione delle sinistre;  lunga assenza delle sinistre dalla politica attiva;  scarso sostegno del PCI alla linea innovativa pertanto il padronato impose il “ricatto della congiuntura” e le riforme strutturali di lungo periodo vennero abbandonate. II. I PROBLEMI IMMEDIATI E QUELLI DI FONDO I problemi immediati che caratterizzarono il dopoguerra furono:  Ricostruzione delle attrezzature produttive distrutte dagli eventi bellici: case, strade, ferrovie furono distrutte; invece i danni all’apparato produttivo erano minori del previsto: i settori più colpiti furono la siderurgia (aveva perso un quarto degli impianti), industria meccanica, marina mercantile (aveva perso il 90 % del naviglio). Si riscontrarono più danni al Sud, perché qui la guerra si era combattuta per lunghi mesi, che al Nord, dove l’industria era rimasta indenne.  Inflazione: negli anni della guerra, il governo fascista aveva cercato di reprimere la pressione inflazionistica. Al fine di compensare le immissioni di liquidità connesse alle spese militari, le autorità economiche avevano emesso titoli di stato collocati forzosamente presso banche e privati. Le autorità vantavano un circuito di capitali che avrebbe evitato l’aumento dei prezzi, sottraendo alla circolazione la liquidità in eccesso. Il sistema funzionava in parte, ma l’inflazione veniva evitata. Essa esplose invece nell’Italia liberata: prima al Sud poi anche al Nord. Nel 1947 dilagò galoppante.  Bilancia dei pagamenti: per pagare le importazioni si dovevano logicamente sviluppare le esportazioni, ma per fare questo bisognava ricostruire la capacità produttiva, importando macchinari e materie prime. Il problema poteva essere affrontato con finanziamenti esterni da ripagare una volta ottenuti guadagni. Invece il problema delle importazioni fu riconosciuto prioritario rispetto alla ricostruzione e gli aiuti esteri furono destinati a rafforzare le riserve valutarie. I problemi di lungo periodo che interessarono il dopoguerra furono:  Agricoltura arretrata: la politica autarchica fascista aveva esasperato alla coltivazione di cereali, al fine di ridurre al minimo le importazioni, a danno dell’allevamento zootecnico e delle altre colture; l’agricoltura era in crisi.  Problemi alla struttura produttiva: l’industria, che col fascismo aveva sviluppato i settori moderni (auto, prodotti petroliferi, fibre sintetiche), restava basata su settori poco dinamici e tecnologicamente arretrati. Quanto a manodopera occupata, erano importanti l’industria alimentare, tessile, costruzioni ed energia elettrica; mentre siderurgia (impianto di Cornigliano), l’industria dell’automobile e chimica, destinati a diventare settori importanti, erano ancora fortemente limitati. Il resto vantava impianti modesti. I settori chimico e automobilistico, avanzati tecnologicamente, non contribuivano in modo sostanziale al reddito nazionale, ma fungevano da pionieri del progresso tecnico, introducendo i metodi più

avanzati di produzione: svolgevano un ruolo preparatorio. Le conseguenze di tale struttura produttiva inadeguata si manifestavano in una estesa disoccupazione strutturale.  Disoccupazione strutturale: in Italia vi erano circa 2 milioni di disoccupati. La CGIL nel congresso di Genova (1949) propose un insieme di misure, dette “Piano del Lavoro”, in cui non proponeva una gestione pianificata dell’economia nazionale, ma indicava un complesso di interventi coordinati in tre settori chiave (energia elettrica, edilizia, trasformazione fondiaria) e procedeva a un primo calcolo della spesa necessaria. Il Piano proponeva la nazionalizzazione delle industrie produttrici di energia elettrica, una politica agraria basata su investimenti produttivi per l’irrigazione e la trasformazione di colture e sull’espropriazione (oltre alla politica della casa). Per alcuni elementi anticipò il Piano Vanoni del 1956. III. IL DIBATTITO SUI GRANDI TEMI. La soluzione dei grandi problemi aperti veniva ad essere strettamente connessa alla questione di fondo dell’assetto complessivo del sistema economico italiano. L’economia fascista era stata un esperimento di economia controllata. Collassato il fascismo, tutto poteva essere rimesso in discussione. Gli esempi forniti dagli altri paesi europei non indicavano affatto una linea decisa di restaurazione liberista. In Francia, il Piano Monnet prevedeva: programmazione, nazionalizzazione di ferrovie, energia elettrica, gas, Renault. La Gran Bretagna nazionalizzava l’industria pesante. Questioni importanti di politica economica erano:  Conservazione del sistema di razionamento dei generi alimentari: sì = far fronte alla scarsità di generi essenziali distribuendoli egualmente fra tutti; no (abolirlo) = affidare la distribuzione alle forze del mercato, favorendo i più abbienti.  Controllo assegnazioni di valuta estera: sì = concentrare le importazioni nei settori di interesse più importanti per la ricostruzione; no = liberalizzare il mercato delle valute, cioè assegnare la capacità di importare ai settori che avevano più possibilità;  Imposta straordinaria sul patrimonio: aveva lo scopo di eliminare i sovrapprofitti extra degli speculatori e attenuare la concentrazione di ricchezza in mano a pochi, nelle regioni meno sviluppate. Gli operatori economici e i funzionari pubblici erano a favore dei controlli. Sul piano di principi generali, i liberisti erano a favore dell’abolizione dei controlli e difendevano la superiorità del libero mercato, l’utilizzazione efficiente delle risorse produttive che sarebbe scaturita dalla libertà delle contrattazioni (esperti di industria, Einaudi, Corbino, Dal vecchio), le distorsioni e la corruzione che ogni controllo amministrativo degli scambi avrebbe portato con sé. Tali studiosi identificavano i controlli, protezionismo e autarchia con i principi autoritari dello Stato fascista e vedevano il ritorno al principio della libertà degli scambi come coronamento della restaurazione democratica. Molti di costoro influirono nelle scelte pubbliche in virtù dei ruoli che rivestivano. IV. LA GRANDE SCELTA: VERSO UN’ECONOMIA APERTA. Si affermò gradualmente la decisione di abbandonare la politica di protezionismo per orientare l’economia italiana all’apertura commerciale e all’intensificazione di scambi esteri. La via della liberalizzazione, per certi versi, rappresentava una via obbligata, tanto che si scelse la via dello smantellamento di ogni controllo esistente e della restaurazione del potere padronale in nome dell’efficienza e della iniziativa privata. L’Italia era povera di materie prime pertanto sviluppo industriale significava sviluppo delle importazioni, il quale esigeva uno sviluppo parallelo delle esportazioni e quindi un’apertura commerciale crescente. L’apertura degli scambi con l’estero non doveva essere per forza verso l’Europa, ma di fatto lo era, in quanto le scelte erano assai limitate: i paesi balcanici erano entrati nella zona di influenza della Unione Sovietica; i rimanenti Paesi mediterranei erano sotto l’influsso economico e politico britannico e francese; l’America Latina era legata sempre più strettamente agli Stati Uniti. Le alternative effettive erano assai scarse. L’Italia, al termine del conflitto, si era venuta a trovare nella sfera di influenza degli Stati Uniti, i quali, nella prospettiva della creazione di un blocco europeo saldamente integrato sotto il profilo economico e politico, incoraggiavano il riavviarsi degli scambi commerciali tra Paesi europei e vedevano con favore l’inserimento italiano nel blocco europeo. Ragione economiche e politiche spingevano il governo italiano verso una liberalizzazione nei confronti dei mercati europei, la quale fu eseguita con prontezza e continuità. Si pensi che nel 1946 le importazioni dai paesi Oece (Organizzazione Europea per la cooperazione economica) non sottoposte a vincolo di licenza erano il 3,5% del totale, nel 1954 erano salite al 99%. Nel 1949, in seguito all’accordo di Annecy, venne approvata una nuova tariffa doganale che comportava una revisione delle tariffe in senso liberista; la vecchia tariffa del 1921 era ormai vanificata dall’inflazione. Nel 1948 l’Italia cominciò a stipulare accordi con altri paesi europei. Nel 1946, l’Italia venne ammessa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale; nel 1949 aderì all’Oece, nel 1950 all’Unione europea pagamenti, nel 1953 alla Ceca e infine nel 1957 stipulò il Trattato di Roma che dava vita al Mercato comune europeo. V. LA LOTTA CONTRO L’INFLAZIONE Le nuove linee di fondo del capitalismo italiano erano fissate con chiarezza nei dibattiti che si svolgevano sia sul piano politico (svuotamento progressivo degli embrioni di controllo operaio sulla gestione dell’economia e riconduzione delle organizzazioni dei lavoratori entro i binari tradizionale dell’attività sindacale, confinata al piano meramente salariale) sia

sul piano della struttura economica (accantonamento dell’idea della pianificazione, abolizione progressiva dei controlli e ritorno ad un’economia di mercato) sia sul piano della politica economica (integrazione europea, attenzione primaria alla ristrutturazione industriale e rammodernamento produttivo, politica di contenimento salariale). Sinistra riformatrice: avevano una visione coerente che legava in una manovra unitaria il controllo della moneta, dei cambi,dei salari e delle imposte.  Riguardo il finanziamento della ricostruzione: chiedevano l’applicazione di una rigorosa politica fiscale, l’introduzione dell’imposta straordinaria sul patrimonio, la tutela dei salari contro l’inflazione, il razionamento dei generi di consumo (per assicurare un reddito reale minimo distribuito in natura all’intera popolazione) ed effettuare il cambio della moneta (per ridurre la circolazione e quindi l’inflazione, ma anche per applicare l’imposta sulle giacenze liquide,di cui si sarebbe dovuta trattenere una quota alla conversione dei biglietti di banca).  Riguardo l’utilizzazione dei fondi disponibili per la ricostruzione: propongono la nazionalizzazione dei colossi industriali, il controllo dei cambi (che avrebbe consentito di amministrare risorse importate dall’estero che in quella fase rappresentavano un elemento chiave), il convoglio di valuta estera, scarsa e quindi necessitante di essere amministrata con parsimonia, verso settori più bisognosi e rilevanti per la ripresa dell’attività produttiva. Destra liberista: avevano una visione basata sul principio dell’economia di mercato.  Riguardo il finanziamento della ricostruzione: idea che l’inflazione dipendesse solo da un eccesso di spesa pubblica (Einaudi convintissimo su tale aspetto, lottava per una politica di riassestamento delle finanze statali), si raccomandava massimo rigore nello stanziamento fondi pubblici, proponevano una politica di espansione delle entrate tramite prestiti pubblici e l’imposta sul patrimonio (unico punto in comune con la sinistra). Erano contrati al cambio moneta che, oltre che essere inefficace, avrebbe ridotto la fiducia del pubblico nella moneta e reso ancora più instabile l’equilibrio monetario. Una volta arrestata l’inflazione, le destre sostenevano che si sarebbe potuto porre il problema di reperire le risorse per la ricostruzione appellandosi alle classi lavoratrici e chiedendo una linea di contenimenti salariali e di sacrifici.  Riguardo l’utilizzazione dei fondi disponibili: Smantellare i residui controlli amministrativi sul mercato perché se questo fosse stato libero avrebbe assicurato un uso migliore delle risorse produttive. Erano contrarie al controllo dei cambi, in quanto convinti che lasciando le valute libere queste sarebbero state automaticamente assegnate a chi sapeva farne un uso più produttivo e le importazioni possibili sarebbero state utilizzate in modo efficiente per la ricostruzione. Inflazione e cambio della moneta Prevalse la linea liberista. L’inflazione contenuta durante la guerra, aumentava fortemente dopo la guerra, a causa di:  immissione di moneta cartacea da parte delle autorità militari alleate (sulle quali le autorità italiane non avevano controllo) per pagare stipendi ai militari e comprare beni e servizi nei territori occupati (“amlire”). Solo nel 1945 gli Stati Uniti ed il Canada concessero al governo italiano aiuti supplementari (140 milioni di dollari) intesi come controvalore delle emissioni di amlire. Così, parte delle emissioni venne recuperata sotto forma di importazioni.  cambio fra lira e dollaro fissato a 100 lire per 1 dollaro, svalutando la lira di 5 volte; mentre il cambio prebellico era 19 lire per un dollaro. Un cambio più basso avrebbe significato un minore poter d’acquisto per le truppe occupanti, e quindi avrebbe comportato un’inflazione più tenue. Il governo Parri decise di effettuare un cambio della moneta per contrastare l’inflazione e i profitti speculativi, con l’appoggio di esperti anglo-americani. Gradualmente le autorità militari alleate si distaccarono da tale politica. Il piano per il cambio fu approntato dalla Banca d’Italia nel 1946 lentamente, a causa l’avversione di Corbino. L’unico provvedimento rilevante del governo Parri fu estendere al Nord liberato il Prestito della Liberazione lanciato dal precedente governo Bonomi. Nel 1945, salì De Gasperi al governo, affidando il Ministero del Tesoro a Corbino, dando così a intendere la propria avversità all’operazione del cambio di moneta. Cambi esteri e aiuti internazionali Nel 1946, comincio la politica di liberalizzazione progressiva e di abolizione graduale dei controlli , a cominciare dal controllo del corso dei cambi. Fino a quel momento, il cambio ufficiale era rimasto al livello iniziale di 100 lire per un dollaro, con un regime di rigorosa assegnazione delle valute agli importatori. Le pressioni degli esportatori si esercitavano in direzione opposta. In prima linea si trovavano i tessili, che godevano di una posizione favorevole sui mercati internazionali e che, riuscendo a sviluppare le proprie esportazioni con particolare successo, desideravano disporre liberamente sui mercati di importazioni della valuta estera di cui venivano in possesso. Nella primavera del 1946, con due decreti, vennero prese misure che servivano in parte a soddisfare le esigenze degli esportatori. In primo luogo venne concesso agli esportatori un premio di esportazione di 125 lire per ogni dollaro. Questo equivaleva a portare il cambio per gli esportatori da 100 a 225 lire. Si trattava di una misura ragionevole, in quanto la svalutazione facilitava le esportazioni. La lira si svalutò in modo considerevole (anche sul mercato interno). In secondo luogo, con un provvedimento assai criticabile, si concesse agli esportatori la libera disponibilità del 50% della valuta ricavata dalle esportazioni. Metà della valuta poteva quindi essere commerciata su un libero mercato che venne detto “mercato parallelo”, mentre l'altra metà doveva essere ceduta all'ufficio italiano dei cambi al prezzo ufficiale. Il mercato parallelo registrava automaticamente la

svalutazione progressiva della lira e, altrettanto automaticamente, le aspettative di inflazione degli operatori, con tutte le caratteristiche speculative accennate in precedenza. Il corso su tale mercato era inoltre necessariamente più elevato del cambio di equilibrio, in quanto il cambio di equilibrio doveva risultare da una media fra cambio libera e cambio ufficiale vista da 225 lire. Il regime dei cambi diveniva così piuttosto complesso, come tutti i sistemi basati sui cambi multipli. Esistevano simultaneamente fino a 4 prezzi sui cambi del dollaro: il cambio ufficiale di cento lire, per spese dei turisti e rimesse degli emigranti; il cambio commerciale di 225 lire, che si applicava alla metà dei proventi delle esportazioni; il cambio libero, che si applicava rimanente 50% e che fluttuava giorno per giorno; il cambio stipulato volta per volta negli accordi commerciali con i singoli paesi. Dopo l'espletamento del referendum istituzionale e le elezioni per l'assemblea costituente, si formò un secondo governo De Gasperi. In quei mesi sembrava che l'inflazione avesse subito una battuta d'arresto. Punto le autorità economiche continuarono tuttavia nella politica di contenimento della spesa pubblica e di limitazione delle opere pubbliche, indipendentemente dall’utilità che queste potessero avere per il processo di ricostruzione e al tempo stesso, nella convinzione che, contrariamente alla spesa pubblica, l'investimento privato non esercitasse alcun influsso inflazionistico, lasciavano cresce il flusso di liquidità a favore del settore privato e consentivano l'espansione incontrollata del credito bancario. A loro modo di vedere, la spesa pubblica era mera creazione di biglietti, mentre il credito al settore privato avrebbe alimentato la produzione e ridotto la scarsità di prodotti sul mercato. Coerentemente con questa visione, la politica governativa continuava nella abolizione progressiva dei controlli, sostenuta in questo modo da Corbino che, come Ministro del Tesoro, attuava gradualmente il suo programma di liberalizzazione dell'economia. Nel mercato della produzione soltanto il carbone e pochissime altre materie prime rimasero soggette ad assegnazione, senza peraltro che vi fosse ulteriori controlli sulle utilizzazioni successive, il che favoriva il fiorire del mercato nero e della speculazione. Con la motivazione di coprire la spesa pubblica, allora venne lanciato un nuovo prestito pubblico, detto “della ricostruzione”. Al fine di assicurarne la sottoscrizione, fu però necessario incoraggiare l'intervento delle banche, le quali ottennero ammontari cospicui di liquidità dalla Banca d'Italia. Accade così che il prestito invece di raccogliere liquidità giace...


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