Riassunto - Libro \'\'Verso un antidestino: biotecnologie e scelte di vita\'\' - Lorenzo d\'Avack PDF

Title Riassunto - Libro \'\'Verso un antidestino: biotecnologie e scelte di vita\'\' - Lorenzo d\'Avack
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Riassunto - Libro ''Verso un antidestino: biotecnologie e scelte di vita'' - Lorenzo d'Avack...


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Verso un antidestino Capitolo I – Diritti dell’uomo e biotecnologie: un conflitto da arbitrare. (pag.1 – 48) 1. Premessa La maggior parte dei paesi civili ritennero indispensabile inserire nelle loro carte costituzionali un concetto giuridico nuovo: la dignità umana come intangibile; la sua protezione come dovere di tutti i poteri dello Stato. Contestualmente però la ricerca scientifica e tecnica è libera e degna di tutela. La coesistenza di questi due principi testimonia il permanere nel pensiero politico e giuridico del dopoguerra del connubio benefico tra scienza e diritti dell’uomo. Le nuove democrazie sembravano aver dimenticato che la lotta per i diritti dell’uomo è una difesa. E non era impossibile immaginare che in un futuro le minacce alla dignità, alla libertà, all’ambiente sarebbero potute provenire dal potere della scienza e dalle sue applicazioni tecnologiche. Non stupisce allora che gli Stati nazionali siano alla ricerca di una normativa la cui difficile genesi si esplica attraverso la presenza di un conflitto di valori e di diritti, tra le esigenze e gli interessi della ricerca, e le esigenze e gli interesse degli uomini. Così nel rapporto uomo-biotecnologie emerge un’ultima generazione di diritti umani, bioeticamente rilevanti, invocati per le più disparate e opposte conclusioni. Si pensi al diritto ad un patrimonio genetico non manipolato, al diritto al figlio all’unicità. Ma questi diritti evidenziano l’esistenza di un conflitto tanto più difficile da regolamentare se si considera che anche verso il potere scientifico si verifica quella forma di sottomissione data dalla paura, dal desiderio di sicurezza, dalla necessità di benessere. Nel momento in cui il bene comune è ovunque reclamato, è identificabile in una libertà personale suscettibile di pregiudizio a fronte di qualsiasi restrizione. I grandi progetti biotecnologici determinano le utopie biotecnologiche che vedono referenti principali gli scienziati, le industrie, lo Stato e i media. E queste forze si servono di strumenti forniti dalla tecnica, guidati dalla scienza moderna. Emanuele Severino afferma che la tecnica è salvezza, e che la capacità della tecnica è la potenza attiva ed effettiva di realizzare scopi e di soddisfare bisogni. E mentre le altre forme di volontà vogliono realizzare scopi escludenti, la tecnica mira a quello scopo trascendentale, che è l’incremento infinito della capacità di realizzare scopi. Nel momento in cui la tecnica interviene nell’universo per riprodurre ciò che era considerato il segreto della natura, si sta perseguendo un ideale che va oltre l’umanesimo. Engelhardt ci prospetta attraverso l’ingegneria genetica la possibilità di una versione laica e post moderna della grazia divina, in cui l’uomo si eleva allo stadio di vero signore e proprietario della natura, così da sancire l’inizio di una bioecoreligione, finalizzata alla salute perfetta. Coloro che pongono limiti morali alle nuove tecnologie vengono accusati di partire da una visione sbagliata sia della tecnica che della natura. L’intero dibattito sulla legittimità delle biotecnologie riguarda l’emancipazione della schiavitù della natura. Di qui anche la convinzione che non si tratti più di ideologie, bensì di un’utopia in formazione che nella sua totalità ha due facce: la salute del corpo umano e quella del pianeta. Di qui la nascita di quel nuovo modello di biologo post-moderno che si reputa un’artista creativo di ciò che questa generazione di scienziati considera come una seconda genesi ispirata all’immaginazione umana. Oggi le tecniche di ricombinazione del DNA vengono sempre di più considerate come gli strumenti dell’artista, che intraprende un’avventura creativa con immagini preparate sui dati ottenuti grazie anche alla cristallografia a raggi X. L’ingegneria genetica, riassume dunque, il nuovo modo di pensare post-moderno (uno dei pochi a non avere limiti) che si è impossessato della cultura. All’uomo di oggi si ripropone il problema della salvaguardia dalla propria identità, dignità, libertà e dell’uguaglianza formale di se con gli altri uomini. Il problema dell’opportunità e dei limiti di un intervento del legislatore, occupa un posto primario nel dibattito attuale. Ci si interroga sull’idoneità

del diritto vigente a risolvere contrapposizioni e conflitti d’interesse; ci si domanda quali possano essere i modelli di riferimento; quale siano le fonti del diritto a cui fare ricorso: le leggi nella forma di regole generali e astratte, o una legislazione di garanzia al limite. D’altronde è difficile pensare che problemi di tale natura possano essere risolti attraverso un vasto e generale consenso. Diventa allora essenziale che la collettività riesca ad arbitrare le proprie esigenze nel rispetto di imprescindibili valori e diritti, al fine di creare il consenso e non d’imporlo. La gestione dei conflitti in una società organizzata è generalmente al centro della riflessione giuridica. In altri termini, se la scienza, unita alla tecnica è incremento indefinito della capacità di raggiungere scopi, la decisione sui concreti e determinati scopi, a cui quella capacità può dare soddisfazione, non può che spettare al diritto. È in questa sede che si ripropone forte il problema delle risposte date in chiave morale o in quella giuridica. Il postulato proprio dell’illuminismo e poi del liberalismo, spinge verso l’idea che il legislatore non debba utilizzare il diritto come uno strumento di rafforzamento della morale. Diritto e morale devono restare sistemi deontici separati. Paolo Zatti ricorda che sarebbe grave che un giudizio di fattibilità o di non fattibilità giuridica fosse dettato da una personale opinione favorevole o dissenziente sul piano morale, quando il legislatore sa che sarà sterile o addirittura produrrà comportamenti contrari. 2. Le tesi ostative all’intervento legislativo 2.1 premessa Inizialmente la risposte della medicina contemporanea occidentale verso quelle sperimentazioni che suscitavano riflessioni inquietanti, fu rimessa all’etica dello scienziato o del medico. Al Codice di Norimberga fecero seguito poi numerosi documenti di organizzazioni e comitati nazionali e internazionali con il compito di dettare modelli comportamentali agli addetti ai lavori e di ricordare che la dignità umana, nelle sue diverse letture, va salvaguardata. Tali comitati hanno svolto e svolgono un ruolo determinante nel tracciare le grandi linee di quell’etica che ha assunto il neologismo di bioetica o etica biologica. Forse anche questi interventi, insieme a scelte ideologiche ben precise, spingono filosofi, giuristi e uomini di scienza a raccomandare una legislazione contenuta. Le tesi portate avanti verso una nuova normativizzazione possono essere dettate tanto da un atteggiamento positivo verso lo sviluppo della scienza mortificata e limitata da categorie giuridiche, quanto da una preoccupazione maggiore o minore verso il fenomeno biotecnologico e le sue applicazioni che spinge o a tenere ferma la legislazione esistente come tecnica del divieto, o ad interventi settoriali con finalità prevalentemente proibizioniste. 2.2 Autonomia, privacy e responsabilità La tendenza astensionista nei confronti della regola giuridica è quella che pone l’accento sul rispetto delle scelte private dei singoli individui. Questa prospettiva tende a sostituire al principio della sacralità della vita quello della qualità della vita, e pone l’accento sull’autonomia e sulla responsabilità individuale che deve subire nel minor modo possibile l’intervento dello Stato. Peter Singer scrive che l’etica tradizionale dell’occidente è andata in contro ad una crisi, ne consegue che le società si trovano a fare i conti con un diffuso pluralismo etico rendendo improponibile un’etica sola e assoluta. Così in merito ai problemi sollevati dalle biotecnologie le famiglie filosofiche e spirituali si mostrano di diverso avviso: alcune sono contrarie a determinate pratiche biogenetiche e bioriproduttive, altre le ammettono liberamente. Così si sostiene anche il valore delle diverse soggettività, ognuna delle quali concorre ad accedere alle nuove scoperte della biotecnologia nelle sue più svariate utilizzazioni. Quando si rivendica il principio di auto-determinazione delle proprie azioni il modello ideologico di riferimento appare quello indicato come del non cognitivismo etico. Per questo orientamento la morale non si può fondare su fatti né su valori trascendenti o oggettivi,

ma su una scelta autonoma e individuale del soggetto. Secondo Scarpelli l’etica è senza verità. Così data la pluralità delle etiche e considerato che non vi è ragione definitiva, bisogna accettare che ogni cittadino abbia in proposito le sue idee e scelte etiche. Unico limite è dato dal’assenza di un danno rilevante per altro soggetti che deve essere individuato con criteri di responsabilità. Tale criterio è incentrato sul processo decisionale della persona che agendo può toccare interessi di altri. Ne consegue che la teoria della responsabilità supera la mera possibilità della scelta, per mirare al modo in cui la scelta viene esercitata. Gli autori favorevoli a questo orientamento sono generalmente consapevoli che i principi di autonomia tracciano un valido sistema entro il quale ogni difficoltà si esprime e viene prudentemente affrontata, la regola che assegna il potere decisionale dovrebbe investire di tale potere uno dei soggetti coinvolti, il più toccato dagli effetti dell’azione. Si ha così una norma capace di determinare la prevalenza degli interessi in gioco. Il principio d’autonomia costituisce dunque una chiave per l’accesso alla bioetica e risulta decisivo su molte questioni. In linea con la tradizione milliana, viene affermato che se c’è un ruolo dello Stato rispetto alla responsabilità morale del cittadini, esso è quello di mettere gli agenti nelle migliori condizioni di sviluppare comportamenti moralmente responsabili. Il diritto dunque non si porrebbe in sintonia con i progressi tecnologici, ma si potrebbe ipotizzare una flessibilità dello strumento legislativo, l’utilizzo di regole di compatibilità e non di supremazia. Nella prospettiva governata dal principio di autonomia la valutazione di quelli che possono definirsi gli interessi primari in gioco nell’ambito delle biotecnologie non è in realtà così semplice da compiersi. Lo stesso concetto di danno costituisce elemento di difficoltà. Si pensi all’ampio uso che viene fatto dell’argomento relativo al nascituro per giustificare la proibizione di tecniche innovative di riproduzione assistita. Riguardo agli altri si consiglia di non sottovalutare il peso dei condizionamenti economici sociali e culturali che vengono esercitati sull’autonomia individuale anche in società liberaldemocratiche. L’autodeterminazione presuppone il diritto di dire di si o di no, ma potrebbe rivelarsi insufficiente come garanzia di autonomia quando la persona in questione si trovi in una situazione di dipendenza o di incapacità. Infine anche il principio di responsabilità è considerato insufficiente perché muove da un alogica individualistica-economistica che trascura il momento solidaristico che di contro dovrebbe stimolare il cittadino alla presa di coscienza di un’etica collettiva. Battaglia scrive che le nostre responsabilità nascono dal nostro potere e ogni progresso della scienza e della tecnologia aumenta questo potere, sta a noi tenere presente tutte le conseguenze possibili del nostro agire. Si richiede, a tal fine, uno sforzo anticipatorio che include la previsione degli effetti a lungo termine delle operazioni sull’uomo e sull’intero ecosistema. Tale principio va dunque oltre il riconoscimento e la valutazione di specifici diritti individuali, diventa necessario prendere coscienza dei pericoli ai quali ci espone il potere tecno scientifico e l’esigenza etica di valutare il rischio delle conseguenze delle azioni umane nei confronti dei nascituri. È facile concludere che nell’applicazione delle biotecnologie non sia possibile parlare di una scelta autentica e che al principio di autonomia debba essere congiunto il principio di giustizia che si traduce negli interessi sottesi ricondotti allo specifico giuridico. 2.3 Responsabilità e deontologia dello scienziato A metà strada tra l’atteggiamento estensivo e quello ostativo si colloca chi consiglia il legislatore di astenersi rinviando ad altre fonti. Il ricercatore ha il dovere di fare uso della propria immaginazione etica nella stessa misura in cui usa la sua immaginazione scientifica. All’interno di specifici limiti, essi sono e dovrebbero essere più adatti a proporre delle valide raccomandazioni nella scelta tra certe alternative. L’etica medica tradizionale è stata costretta ad ampliare il proprio orizzonte individualistico, ricoprendo anche un’etica istituzionale e interistituzionale. Ma resta pur sempre

che le regole di condotta suggerite o applicate dal medico, non hanno una forza coercitiva, né creano dei diritti a favore di coloro che si sottopongono alla ricerca. I medici si sono autoregolamentati e, la loro appartenenza ad un corpo sociale determinato, implica il rispetto di comportamenti espressamente indicati. Resta la distinzione tra il sistema delle norme deontologiche e quello delle norme giuridiche. Diversità ricollegabile alle loro condizioni di applicazione che si possono sintetizzare soprattutto in due principi: a) rispetto da parte di tutti i destinatari della regola giuridica, da fare valere con forza, a fronte della regola deontologica non tutelata da un potere coattivo statuale; b) applicazione della regola giuridica solo attraverso la sentenza del magistrato, a fronte della regola deontologica. La frequente enunciazione di Carte dei diritti del malato, sembra confermare la convinzione che il medico non agisca sempre nell’interesse del paziente, ma che si serva di un’etica di ruolo. Chi auspica la possibilità di attingere da ordinamenti non statuali precisa anche che affidare ad una corporazione e al suo ordinamento i problemi di fondo sarebbe eccessivo. Ne consegue che il compito di prendere decisioni, ricade prevalentemente su medici, biologi e scienziati. Questi decisionisti sarebbero destinati ad essere giudici e parte in causa. Inoltre la stessa comunità degli scienziati, sembra auspicare una regolamentazione che la esoneri dal dover far ricorso prevalente e continuo alla propria discrezionalità. 2.4 Le ricadute nel diritto e l’intervento del giudice Coloro che nei paesi di coltura continentale si richiamano all’approccio inter-individuale o alla responsabilità dei medici e degli scienziati non mancano di evidenziare come il principio di autonomia ricada pur sempre sotto il controllo giuridico. E ciò avverrebbe attraverso l’operato del giudice che può avvalersi di una cornice legislativa di riferimento. Ai problemi suscitati dalle biotecnologie si tratta di dare mere risposte piuttosto che offrire soluzioni. Si tratterebbe cioè, di interpretare in modo ragionevole una situazione, rinunciando a stabilire per sempre chi abbia torto o ragione. Nel nostro paese la dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto riscoprire l’art. 32 Cost. per affrontare i problemi della sperimentazione umana. Strettamente connessa ai principi costituzionali è la recente interpretazione dell’art. 5 c.c. che tiene conto della tutela incondizionata della persona. Inoltre l’uomo come possessore di un patrimonio biologico è stato preso in considerazione prima dalla Cassazione e poi dalla Corte Costituzionale attraverso il riconoscimento del danno biologico. Questi precedenti ed altri confermano la potenziale capacità della fonte giurisprudenziale nel riconoscere il bisogno di nuovo. Tuttavia si ricava l’impressione che il discorso che privilegia la resa sociale del modello giudiziario, tiene conto di una visione prevalentemente teorica e poco pratica del quotidiano intervento del giudice. È allora legittimo chiederci: a) cosa potrebbe avvenire in materie dove le spinte di natura etica hanno un peso rilevante in ogni decisione; b) se l’estensione del potere attribuito al giudice non sia eccessivo e se nell’arbitraggio tra gli interessi privati e quelli collettivi e sociali, la bilancia non pesi esageratamente a favore del potere giudiziario. Il rischio è di dare vita ad un diritto fatto dai giudici. Tuttavia la discrezionalità non è arbitrio, e ulteriori garanzie possono venire da una maggiore autocritica da parte dei giudici, e dalla consapevolezza che il loro ruolo non è quello di fare la legge per tutto. Ma gli addetti ai lavori sanno che i giudici fanno uso prevalente e continuo della loro discrezionalità, e allora si è costretti a temere che questi possano mal assimilare e maturare quei concetti culturali che implicano le vicende biotecnologiche. Le preferenze intellettuali dei nostri giuristi negli ultimi decenni erano apparse lontane dalla legge, ma la montante disorganizzazione dei nostri apparati giudiziari hanno fatto si che si riscontri nuovo interesse per l’arte legislativa. La verità è che uno spazio libero del diritto non esiste o esiste di rado. Nelle società fondate sul diritto vi è sempre una disciplina legislativa vigente, tutto ciò è più facile che si traduca in una tendenza conservatrice che vuole riassorbire il nuovo nelle regole

esistenti e che conduce inevitabilmente alla tecnica del divieto. Il non ricorso a nuove categorie giuridiche si traduce nella concreta possibilità di opporre resistenza attraverso principi generali dell’ordinamento, medianti i quali il diritto è già in grado di rispondere “no”. 3. La posizione della Chiesa cattolica Pio XII dichiarava che la morale e il diritto hanno un carattere proprio che bisogna salvaguardare. Il primo esprime l’ordine della coscienza, il secondo quello della legge. l’Arcivescovo di Melbourne, ricordava a proposito dell’utilizzazione degli embrioni umani a fini scientifici che tutte le obbligazioni morali non hanno bisogno di essere regolamentate dalla legge civile e non dovrebbero esserlo. Tuttavia, l’ordine etico e l’ordine giuridico non possono e non debbono per la Chiesa venire contrapposti e totalmente separati. Tale principio appare chiaro nella riflessione sulla sacralità della vita. La flessibilità del rapporto legge morale-legge civile trova limiti nella necessità di proteggere quelle regole morali che sono ritenute fondanti e irrinunciabili. Come a dire che lo Stato da un lato se non vuole negare la sua natura secolare e laica, non può divenire religione ed etica; ma dall’altro ha bisogno di valori etero fondanti che possono orientare e guidare la sua azione. Nell’ambito dello sviluppo delle nuove biotecnologie, sono coinvolti valori quali il diritto inviolabile alla vita e i diritti della famiglia e dell’istituzione matrimoniale. Né lecito ora domandarsi se nella situazione attuale queste pratiche mettano a rischio la protezione già riconosciuta a tali valori e sia quindi necessario un ulteriore intervento del legislatore. La Chiesa rifiuta che la polarità umana del corpo dello spirito si trasformata in dualità, in modo da autorizzare la separazione tra l’ordine spirituale quello corporale. Dimenticare questo legame significa far correre all’umanità un rischio etico. Giovanni Paolo II temeva che lo sviluppo tecnologico andasse oltre i limiti di un ragionevole dominio della natura. I divieti nascono pertanto anche in nome di un pensiero filosofico che la Chiesa intende tenere fermo: che esista in natura un ordinamento ed un limite assoluto ed immutabile che non può essere messo a repentaglio e violato. Così se fino alla fine degli anni ’70 la Chiesa ancora scoraggia l’intervento legislativo, successivamente viene avanzata una vera e propria domanda di intervento. Si precisa che lo Stato ha una responsabilità propria nel ricercare il bene comune della società. L’uomo può disporre di efficaci risorse terapeutiche, ma può anche acquisire poteri nuovi sulla vita umana, così da prendere in mano il proprio destino esponendolo alle tentazioni di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura. L’esercizio della responsabilità di ciascuno, e la presenza di regole etiche o deontologiche non potrebbero essere sufficienti ad impedire la violazione dei diritti fondamentali. La Chiesa non parla di vuoto giuridico, tuttavia si rende perfettamente conto che certe pratiche possono svilupparsi senza un reale controllo dato che esse superano il quadro del diritto giuridico esistente, r...


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