Riassunto Psicologia del volontariato Elena Marta, Maura Pozzi PDF

Title Riassunto Psicologia del volontariato Elena Marta, Maura Pozzi
Course Psicologia sociale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Psicologia del volontariato Capitolo 1. Il volontariato: verso una definizione. Per volonariato si intende… Il volontariato è un fenomeno che socialmente e politicamente ricopre un ruolo sempre più rilevante. L’importanza di tale attività sta nel facilitare lo sviluppo di risorse psicologiche che hanno ricadute positive sul benessere individuale e comunitario. La definizione di volontariato non risulta semplice. La rassegna di Cnaan, Handy e Wadsworth individua 4 fattori caratterizzanti l’agire del volontario: 1. Gratuità: il volontariato è un’attività che si presta gratuitamente senza fini di lucro, in modo disinteressato. Alla sua base si pone la logica relazionale, senza la quale il volontariato non esisterebbe e senza la quale non si produrebbero benefici. La logica relazionale, infatti, colloca il volontariato sulla dimensione dello scambio simbolico caratterizzato da:  Dono: il volontariato è dono sia perché si dà liberamente il proprio tempo per beneficiare una persona, un gruppo o una causa, sia perché riesce a creare una rete relazionale significativa. Il donare implica aprirsi agli altri senza che questi siano obbligati a ricambiare. Tuttavia la relazione necessita di una  Reciprocità: chi riceve deve far buon uso di ciò che ha ricevuto. Si instaura così il sistema del dono (dare-ricevere-ricambiare). Si basa sulla necessità di alimentare le relazioni e quindi sulla propensione umana a restituire. Tuttavia Palmonari parla di una gratuità imperfetta perché l’agire volontario, sebbene gratuitio, non è mai del tutto disinteressato. I volontari che sanno riconoscere questa gratuità imperfetta, sono anche quelli più consapevoli del loro impegno, più solidali ecc. 2. Organizzazione: di fondamentale importanza è l’organizzazione nella quale si svolge il volontariato. Collozzi e Bassi definiscono paradossale il fatto che il volontariato è contemporaneamente:  Un lavoro perché richiede lo svolgimento di compiti finalizzati in base alla struttura in cui ci si trova a prestare volontariato;  Un impiego a tempo libero che si sceglie di fare quanto è possibile, in quanto risulta personalmente gratificante. 3. Spontaneità: il volontariato oggi non si caratterizza più per azioni improvvistate, ma è un comportamento d’aiuto programmato (vedi i comportamenti d’aiuto), formalizzato e pubblico, con un ruolo ben preciso rispetto alla società e alla politica. Tuttavia ciò non esclude la spontaneità. Infatti con questo termine ci si riferisce al grado di libertà di scelta da parte del soggetto di impegnarsi nel volontariato. Non c’è obbligo nella scelta di questa attività e il soggetto è anche libero di scegliere i tempi e i modi con cui impegnarsi. 4. Solidarietà: è la componente che definisce l’orientamento stesso dell’azione volontaria. Nasce nel periodo dell’individualismo (‘700): a essere posto al centro infatti non è solo il singolo rispetto al gruppo, ma anche l’individuo come essere relazionale, spinto a cercare il proprio completamento nell’altro. La solidarietà è un’impresa diversa dalle altre perché non fa appello né allo scambio, né all’interesse, né al merito, ma contempla le dimensioni di condivisione e appartenenza. Il volontariato quindi nasce dove si predilige la logica della cooperazione e non della competizione.

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In una società che stabilisce come valori da tutelare la giustizia, la dignità e l’uguaglianza, la solidarietà diventa fondamentale, traducendosi in impegno: sottolinea l’interdipendenza tra le persone cercando di diminuire il loro disagio, fungeno da mediazione tra individui ed istituizioni, promuovendo integrazione. Da quanto detto, la definizione di volontariato, per essere esaustiva, deve contenere tutte e quattro le componenti sottese alle due categorie chiave:  Azione: impostazione più sociologica che sottolinea la natura di azione atta a produrre bene pubblico;  Relazione: visione più psicologica che ritiene fondanti del volontariato gli aspetti relazionali connessi a motivazioni e agli esiti dell’azione. Possiamo quindi definire il volontariato come: un’attività spontanea che si svolge in contesti più o meno organizzati senza renumerazione. È un’azione di solidarietà mossa da motivazioni altruistiche o egoistiche che assolvono a differenti funzioni per chi la svolge. I comportamenti d’aiuto. I comportamenti d’aiuto sono stati classificati in base a due dimensioni:  Obbligatorietà o spontaneità dell’azione;  Programmazione. Ne sono stati individuati tre tipi: a. Comportamenti d’aiuto spontanei e non pianificati: quelli di soccorso in caso di pericolo immediato. Il soggetto devo decidere rapidamente se intervenire o meno, quindi più che agire, reagisce (es. passante che vede una situazione di emergenza); b. Comportamenti d’aiuto obbligati: messi in atto per un lungo tempo verso un parente stretto o un consanguineo gravemente malato. Sono comportamenti dettati da norme familiari, etiche, sociali e legali. Si parla di altruismo prescrittivo e quindi non spontaneo; c. Comportamenti d’aiuto programmati (planned helping behavior): il loro prototipo è il volontariato che è:  Ricerca di opportunità per aiutare persone o per promuovere un miglioramento;  Libera decisione in merito a tempi e modi dell’attività;  Possibilità di un impegno in termini di tempo e costi personali (senza retribuzione);  Funzione di mediazione tra individui ed istituizioni, promozione di cambiamenti sociali, integrazione di subgruppi ecc. Chi è il volontario? Le caratteristiche socio-demografiche. In generale la partecipazione all’attività volontaria sembra essere positivamente correlata a:  Elavato status socio-economico;  Grado di istruzione;  Prestigio lavorativo. Si ricostrano inoltre delle differenze in base a:  Età: le ricerche mostrano un andamento curvilineo. A partire dall’adolescenza si assiste ad un progressivo incremenento dell’impegno sino ai 18 anni, ad un decremento

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nella fase giovanile e ad un nuovo incremento nella mezza età, momento di maggior impegno. Per quanto riguarda l’età anziana, i dati sono discordanti: alcuni studi evidenziano una chiusura degli anziani nei confronti del mondo esterno; altri invece rilevano un aumento dell’impegno nel sociale. Genere: i dati statunitensi e quelli europei sono discordanti:  Statunitensi: prevalenza delle donne;  Europee: alcuni paesi rilevano una prevalenza femminile, altri una prevalenza maschile. La variabile genere sembra essere discriminante in relazione all’ambito di impegno: o Donne: impegnate nella cura, nella relazione faccia a faccia. Le donne tendono a considerare la propria attività di volontariato come un’estensione dei ruoli di madre e moglie, tenderanno quindi a scegliere ambiti in cui possono prendersi cura dei bisogni altrui. Inoltre le donne tendono ad impegnarsi nel volontariato insieme ad amici, con l’obiettivo di mantenere viva la propria vita relazionale, si inseriscono quindi all’interno di un network amicale esistente Infatti come dimostrano Rotolo e Wilson, le donne single sono più impegnate nel volontariato rispetto alle donne sposate; o Uomini: attività politica o pubblica. Gli uomini, a differenza delle donne, volgono l’attenzione verso ambiti in cui possono soddisfare bisogni strumentali. Inoltre sono spinti all’impegno nel volontariato da motivi personali, al fine di costruirsi un network amicale.

La personalità del volontario. Molti studi hanno cercato di comprendere se esiste una connessione tra personalità e comportamento d’aiuto, giungendo a risultati contrastanti. È possibile rispondere a questa domanda solo operando due distinzioni:  Tipo di situazione in cui si trova coinvolto chi offre aiuto. Snyder le distingue in: Situazioni di aiuto forti: in cui solitamente gli stimoli sono molto stressanti e le variabili situazionali (il contesto in cui ci si trova) prevalgono su quelle disposizionali; Situazioni di aiuto deboli: in cui si ha la possiblità di avere tempo e risorse per riflettere sulle proprie azioni e motivazioni (variabili disposizionali).  Fase dell’impegno nel volontariato ossia se il volontario ha appena iniziato la sua attività, o se la sta svolgendo da molto tempo. Davis ha dimostrato che i tratti di personalità associati al volontariato assumo una certa importanza nei primi tempi del processo di impegno; mentre perdono di valore per coloro che mantengono l’impegno per molti anni. Molti studi hanno delineato i tratti di personalità del volontario evidenziando il seguente profilo:  Persone estroverse, dotate di forza dell’Io, con un atteggiamento positivo verso di sé e verso gli altri, con una maggiore self-efficacy e stabilità emotiva;  Posseggono elevate capacità empatiche e collaborative, un orientamento prosociale, una fiducia nella società e un ottimismo verso il futuro. Occorre sottolineare che l’impatto dei tratti di personalità sul volontariato è spesso mediato da pensieri, emozioni e aspettative.

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La personalità prosociale. Dall’inizio degli anni ’80 ci si è domandati dell’esistenza o meno della personalità prosociale. Le posizioni sono due:  Da una parte ricercatori come Dovidio e Piliavin, hanno affermato che la ricerca di questa personalità è inutile;  Altri ricercatori come Penner invece, hanno dedicato programmi di ricerca per individuare i tratti della personalità prosociale. Penner ne ha individuati due che costituiscono il suo Prosocial Personality Battery e che ha messo in relazione con due famose scale di rilevazione dei tratti di personalità: i Big Five e Ia scala della struttura di personalità di Wiggins. I tratti sono:  Empatia: correlata al fattore di amicalità dei Big Five e al fattore di accudimento della scala di Wiggins;  Disposizione all’aiuto: non sono emerse correlazioni significative con le altre due scale.

Capitolo 2. I fondamenti del volontariato. Perché si diventa volontari? La ricerca psico-sociale ha individuato alcune determinanti disposizionali e situazionali cruciali al fine di comprendere perché le persone decidono di impegnarsi nell’ambito del volontariato e perché decidono di mantendere l’impegno nel tempo. Tra queste determinanti troviamo: personalità prosociale, motivazioni, identità, relazioni familiari, contesto organizzativo e relazioni con la comunità di appartenenza. Le motivazioni. Batson e colleghi hanno distinto in due motivazioni, all’interno delle quali troviamo quattro principlai fonti motivazionali:  Motivazioni autocentrate (self-oriented) o strumentali: volte a soddisfare istanze o bisogni personali, spinti dalla motivazione a incrementare il proprio benessere (fonte motivaizonale: egoismo);  Motivazioni eterocentrate (other-oriented) o valoriali: volte a soddisfare istanze o bisogni altruistici, prosociali e solidaristici, spinti ad incrementare il benessere di altre persone, del gruppo o della comunità o a sostenere e diffondere un principio morali (fonti motivazionali: altruismo, collettivismo e riferimento a principi e valori). La necessità a comprendere la dimensione motivazionale dei volontari, ha portato a diverse ricerche volte a comprendere questi due ambiti motivazionali e a verificare la possibilità di una loro compresenza nella pratica di volontariato. → Per quanto riguarda la comprensione degli ambiti motivazionali, Omoto e Snyder propongono l’utilizzo dell’approccio funzionalista per lo studio degli atteggiamenti e quindi delle motivazioni al volontariato. Questo approccio tenta in generale di individuare quali funzioni gli atteggiamenti assolvono per la persona e quindi quali bisogni psicologici soddisfano. In riferimento al volontariato Omoto e Snyder si domandano quali bisogni o obiettivi cerca di soddisfare chi si impegna nel volontariato. Secondo il loro approccio gli

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individui possono compiere le stesse azioni e comportarsi nello stesso modo, spinti da differenti funzioni psicologiche, con processi motivazionali differenti. Infatti l’approccio funzionalista considera le persone come soggetti attivi, orientati al raggiungimento di obiettivi e mossi da agende (forze motivazionali integrate) personali e sociali. Ogni persona ha diverse agende e ciascuna di esse influenza importanti decisioni rispetto al volontariato. Con questo approccio gli autori individuano sei principali funzioni che vengono soddisfatte mediante l’azione di volontariato e che diventano esse stesse motivazioni all’azione: 1. Funzione valoriale: permette al volontario di esprimere istanze e valori connessi al proprio investimento altruistico. Il volontariato contemporaneamente è influenzato da valori che riguardano il benessere dell’altro e aiuta i volontari a confermare la propria immagine di sé dando loro la possibilità di rinnovare i propri valori mettendoli in atto; 2. Funzione di conoscenza: il volontario, attraverso il volontariato, può apprendere nuove competenze o mettere a frutto le conoscenze e le abilità che non utilizza abitualmente; 3. Funzione sociale: il volontario si impegna in un’attività ritenuta importante dagli altri che ritiene significativi per la propria crescita e che gli permette di instaurare nuovi rapporti di amicizia. Il gruppo è quindi fondamentale sia perché consente di vivere i rapporti di amicizia e affetto consolidati, ma anche perché consente di espandere il network relazionale; 4. Funzione utilitaristica, orientata alla carriera: il volontario ha la possibilità di aumentare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro e di sviluppo professionale; 5. Funzione ego-protettiva: centrata sulla difesa dell’Io, dagli aspetti negativi del proprio sé, permettendo sia la riduzione del senso di colpa provocato dalla consapevolezza di essere più fortunati di altri, dia di risolvere problemi personali mediante lo spostamento dell’attenzione su persone che beneficiano del proprio servizio; 6. Funzione self-enhancement: processo motivazionale che si focalizza sulla crescita e sviluppo positivo del Sé, rafforzando autostima e autoaccettazione. Omoto e Snyder hanno costruito uno strumento per misurare e rilevare la presenza delle 6 motivazioni: il Voluntary Function Inventory (VFI). Diverse ricerche che hanno utilizzato tale strumento, hanno evidenziato che:  La motivazione valoriale permette di distinguere tra volontari e non volontari ed è strettamente connessa all’orientamento religioso;  La motivazione di conoscenza è diffusa soprattutto tra i volontari dell’ambito sanitario;  La motivazione sociale è diffusa tra attivisti e politici;  La motivazione orientata alla carriera è diffusa soprattutto tra i giovani;  La motivazione ego-protettiva è quella che caratterizza volontari di organizzazioni che si occupano della cura di persone in situazioni di emergenza (Croce Rossa);  La motivazione self-enhancement è quella che rappresenta la matura consapevolezza del reciproco vantaggio insito nell’impegno in attività di volontariato. In merito alla “graduatoria” di queste motivazioni, da una ricerca è emerso che la motivazione più importante era considerata quella valoriale, seguita da quella selfenhancement, seguita da quella sociale, di conoscenza, ego-protettiva e infine orientata alla carriera.

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Per quanto riguarda la variabile età sono emersi i seguenti dati:  La motivazione valoriale è la principale spinta motivazionale al volontariato, in tutte le fasce d’età;  I giovani, più degli anziani, si accostano al volontariato spinti anche da una motivazione sociale, responsabile dell’ampliamento della rete sociale, e dalla motivazione orientata alla carriera;  Alcune motivazioni acquistano importanza o la perdono in relazione alla fase del ciclo di vita: motivazione alla carriera influente per i giovani, ininfluente per gli anziani. → Per quanto riguarda invece la possibilità di una compresenza di molteplici motivazioni nella pratica di volontariato, in uno studio condotto sulle motivazioni e l’impegno prestato nell’assistenza sanitaria gratuita alle donne da parte di studenti di medicina, è emersa la presenza contemporanea di motivazioni diverse: motivazioni strumentali (per l’acquisizione di competenze professionali) e motivazioni prosociali\valoriali (solidarietà verso categorie più svantaggiate). Snyder e Omoto affermano che bisogna considerare il volontariato come un’azione mossa da motivazioni multiple, che spinge quindi gli individui a soddisfare molteplici bisogni attraverso una singola azione. Ciò, sempre secondo gli autori, può essere un forte ostacolo all’impregno. A tale riguardo in letteratura sono presenti due posizioni distinte: o Più motivazioni possono rafforzarsi reciprocamente e incrementare la soddisfazione del volontario; o Più motivazioni possono confliggere l’una con l’altra e spingere il volontario ad orientamenti diversi inconciliabili. Da una ricerca di Marta e Pozzi emerge che: I volontari sono spinti da motivazioni multiple che si modificano in base all’età; La presenza di motivazioni multiple è funzionale al mantenimento dell’impegno nel temp...


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