Silvia Cecchini - riassunto libro PDF

Title Silvia Cecchini - riassunto libro
Course Storia e Tecnica del Restauro
Institution Università degli Studi della Basilicata
Pages 5
File Size 139.6 KB
File Type PDF
Total Downloads 34
Total Views 124

Summary

riassunto libro...


Description

Capitolo.1 – Casi esemplari di manutenzione nel periodo dei lumi Dalle sue radici più antiche la cura di edifici, monumenti e luoghi pubblici ha avuto significativi versi, or auna forma di rispetto devozionale verso un dio, ora immagine dell’organizzazione di una società e strumento attraverso cui principi e governanti sceglievano di comunicare valori e contenuti di ordine civile e culturale. Nel secondo decennio del ‘500 la chiesa da inizio ad un rinnovamento morale e materiale, il degrado dei luoghi di culto ritratto dalle visita pastorali è l’immagine più efficace della degenerazione. Proprio dalla ricostruzione e dalla manutenzione degli spazi del culto inizia il recupero degli spazi dell’anima. All’interno dei palazzi vaticani, nel 1543 Paolo III istituisce la carica del mundator il cui compito è preservare dalle polveri la cappella sistina e la altre cappelle vaticane per una retribuzione mensile egli deve impedire un eccessivo accumolo di polvere e nero fumo prodotto dalle candele e dai bracieri. Quanto la consapevolezza dei vantaggi derivanti da una manutenzione ordinaria fosse radicata nell’amministrazione dello stato pontificio è dimostrato, ancora nel XVIII secolo, anche dalla presenza dei Sanpietrini. Squadre di operai specializzate nella manutenzione di antichi manufatti e superfici architettoniche collocate in posizione di difficile agibilità. La cultura della manutenzione compare sullo sfondo, nella ricostruzione di un universo di maestranze attive tra Napoli, Roma, Firenze e Bologna. Accanto alle operazioni di accomodamento e ammodernamento dei dipinti condotte da telaiuoli e quadrari, o di produzione e vendita di tele a basso costo emergono qua e la note sulla spolveratura, il ricovero e il mantenimento di beni artistici. La manutenzione di un’opera, intesa come prevenzione del danno, si traduce quasi sempre in operazione da eseguire sul contesto in cui l’opera è conservata. Ed è proprio sulla manutenzione degli edifici che si concentra gran parte della attenzioni di due figure chiavi della tutela e conservazione del patrimonio artistico: Pietro Edwards, autore di un progetto di ispezione periodiche alle strutture e dipinti veneziani, e Joseph Marie De Gerando, che organizza un sistema di ispettori per il controllo periodico delle architetture di valore artistico di Roma. Edwards, pittore, restauratore, vive a Firenze le drammatiche vicende della conquista napoleonica. Egli si vede costretto suo malgrado a collaborare con i francesi per la scelta delle opere da requisire. UN MODERATO COMPENSO A Venezia, nel 1686 una commissione composta da pittori tra cui: Celesti, Cassana e Zanchi è chiamata a dirimere le controversie sorte attorno al lavoro di restauro eseguito da Gian Battista Rossi, su 8 dipinti presenti a Palazzo Ducale e a giudicarne lo stato di conservazione. L’intervento di restauro, motivato dai danno dovuti al’umidità proveniente dalle coperture e da polvere e calcine prodotte dai continui lavori di revisione alle strutture, diviene occasione, perla commissione, per affermare la necessità di mantenere periodicamente le pitture “nette et essenti” dal danno. Il Magistrato Del Sal propone al senato di assumere un conservatore dei palazzi “che abbia cura continua a preservare le pitture pubbliche del palazzo”. Il voto favorevole del senato porterà alla nomina di conservatore per Giovanni Battista Rossi. Alla sua morte viene rovinato conservatore Giovan Vincenzo Cecchi, la scelta di affidare l’incarico ad una figura meno qualificata p motivato dalla decisione di limitarne il compito alla costante verifica delle verifiche conservative, evitando qualsiasi intervento di restauro. Non prevede, dunque, che egli esegua sulle opere alcuno intervento, se non le mensili spolverature e le relazioni relative sullo stato di conservazione. Non gli è permesso entrare nel merito di questioni di restauro demandate alle cure esclusive di specialisti. LA MANUTENZIONE CONTESA TRA PITTORI ,MANOVALI E RESTAURATORI Interviene poi, nel 1724 il collegio dei pittori che al momento di designare il successori di Cecchi chiede, ai provveditori del Sal, l’affidamento del’incombenza della visita di controllo mensile ai dipinti. MA la posizione dei provveditori è subito negativa in quanto considerano inopportuno impegnare figure tanto qualificate. IL PIANO PRATICO DI PIETRO EDWARDS Nel 1776, il magistrato del Sal ordina che si esegua un “universal” esame di tutti i quadri e dei relativi telai, per valutarne lo stato di conservazione senza prevedere al momento interventi di restauro vero e proprio. Compiuta la valutazione e individuate le opere sulle quali è necessario intervenire con il restauro, nel 1777 il senato affida l’incarico a Edwards. LA sua attività si

distingue per ‘individuazione e la messa a punto di un metodo organico, su cui impostare la custodia delle pubbliche strutture cioè si basa sulla lucida e concreta identificazione di due momenti separati e distinti, ma convergenti verso lo stesso obiettivo: la manutenzione e il restauro vero e proprio. A Edwards si può attribuire la prima vera distinzione tra restauro e manutenzione ordinaria dei dipinti. Mentre l’una consiste nella “preservazione delle pitture stesse dai mali che le minacciano”; l’atra, cioè il restauro vero e proprio, “ne’ confini della ragione e del possibile rimediare deve ai danni riportati da esse”. Il tema centrale della proposta di Edwards è la creazione di un sistema che permetta una efficace e periodica manutenzione. Il progetto, prevede un ispettore che ogni tre mesi garantisca una verifica delle strutture architettoniche da parte di persone competenti e che, provveda a verificare anche le condizioni delle pitture. Gli viene affiancata una squadra di tre persone, di cui due “maestranze da grosso” che possono svolgere lavori di fatica e abbiano un minimo di manualità, e un terzo lavoratore da scegliere tra i “conciatori” ovvero i lavoratori nelle botteghe dei “dipintori”. Dato l’elevato numero di opere pittoriche cui è chiamata a dedicare le sue cure è convinto che nel restauro non esistono rimedi non invasivi, Edwards riconosce quindi alla manutenzione, come azione preveniva, valore prioritario e cruciale. E’ la manutenzione ch e può ritardare il momento della “restaurazione”, da realizzare non appena si noterà il danno. L’argomento cui Edwards dedica la parte conclusiva del “piano pratico”, cioè l’analisi del rapporto tra la spesa necessaria alla manutenzione e la spesa necessaria al restauro, è un punto cruciale. Si tratta del rapporto economico tra manutenzione e restauro, operazione che ritarda il degrado l’una, che interviene in modo inevitabilmente soggettivo e, invasivo l’altra. Le spese necessarie del piano vengono divise dal restauratore in due voci: “spese di preparazione e tenimento dei materiali” da imputare alla pubblica cassa e “spese di andamento o di opera” che rientrerebbero nella voce specifica destinata all’ispettore. MANUTENZIONE DI UN GENERALE DI NAPOLEONE Nel 1796 Napoleone, percorrendo ‘Italia, mete mano alla requisizione delle opere d’arte. A esprimere il suo rifiuto un intellettuale francese, Quan Tremere de Quincy, che diffonde attrverso la stampa la definizione della nozione di contesto come intrinseco legame tra opere e ambiente fisico e culturale in cui esse possono conservare tutto il loro valore. Egli si contrappone fermamente alla cosiddetta teoria del “rimpatrio” delle opere d’arte come bottino di guerra. Un generale dell’esercito Napoleonico, De Gerando, nel presentare alla consulta nel 1809 la proposta di regolamento sull’esportazione di oggetti d’arte e di antichità. La sua nozione richiama come valore determinante sia per l’istruzione artistiche che per lo studio della teoria dell’arte, esprime maggiore attenzione ad un contesto antropizzato, alle relazioni tra monumenti, che non allora inserirsi nella natura. Perorando la causa della difesa del “grand musee” De Gerando espone alla consulta due rapporti in cui motiva le disquisizioni inserite nei regolamenti, l’uno sulle esportazione delle opere d’arte, l’altro sugli scavi per riportare alla luce i monumenti della città di Roma e dei due dipartimenti del Trasimeno e del Tevere. Egli concede a Roma un privilegio unico, escluderla dalla liberarla circolazione delle opere, permettendole di rimanere la capitale delle Belle Arti nel mondo civile. Il suo scopo è ottenere il mantenimento delle opere all’interno del loro contesto, cioè a versare le requisizioni. Nel 1810 dopo l’approvazione dei due regolamenti, De Gernado propone tre fondamentali linee operative che dimostrano un’acuta comprensione dello stretto nesso tra tutela, conservazione fruizione. Indica tra le azioni prioritarie a riapertura al culto delle chiese da conservare, assegnando ad ognuna un cappellano, e indica prioritaria la stesura del’elenco delle chiese di cui si ritiene opportuna la conservazione, completo di un preventivo di spesa annuale necessaria per l’ordinaria manutenzione, nonché l’immediato stanziamento dei fondi necessari alle esecuzione delle operazioni. Sono molti i documenti che, nelle diverse epoche, individuando come cause del degrado delle opere pittoriche problemi conservativi delle strutture che li costituiscono, quali tegole mancanti, finestre non sigillate ecc. Per prevenire simili danni la responsabilità di una buona custodia di grandi edifici, dimore signorili, era un tempo affidata a esperti fattori. Questi attenti custodi redigevano periodicamente relazioni che prevedevano il nome di consegne, riconsegne testimoniali di stato, bilanci dei miglioramenti e peggioramenti sullo stato delle tenute degli edifici. Questi manuali dimostrano come allora, per redigere

una consegna o un testimoniale, fossero richieste specifiche conoscenze tecniche necessarie per analizzare e definire lo stato di conservazione. Capitolo.2- La chiesa e il palazzo dalla manutenzione al restauro Attraverso lo spoglio di circolari, leggi e decreti ed altri testi normativi emanati dal ministero in un arco cronologico che va dal 1863 al 1909, è possibile seguire il filo della cultura della manutenzione ordinaria, delle sue trasformazioni e resistenze. Dallo studio dei testi normativi è possibile individuare 4 aspetti utili all’analisi della cultura della manutenzione ordinaria e i suoi mutamenti dell’italia post unitaria. Aspetto rilevante è il “ rapporto di affezione” al patrimonio che allude sia a quell’antico legame tra cittadini e monumenti, sia a nuovo e diverso significato che una cultura di matrice idealista attribuisce a quell’affezione ai monumenti. La definizione di manutenzione ordinaria di Guido Baccelli, esprime la necessità di chiarire, nel 1881, la distanza che separa la manutenzione dal restauro. La circolare stabilisce che: le commissione vedano se i monumenti si trovano in buone condizioni o se lascino qualcosa a desiderare per riparazioni o manutenzione; in questo caso dovranno indicare sommariamente, tanto per le riparazione quando per la manutenzione, i lavori che occorrono. Tenendo presente che le riparazioni devono essere limitate a quelle che si richiedono per mettere i monumenti in buone condizioni di stabilità, senza effettuare restauri non necessari, e che la manutenzione deve corrispondere ai lavori annuali che occorrono per conservare i monumenti nello stato in cui sono portate dalle riparazioni. Oggi l’amministrazione dell’Italia unita pur consapevole della necessità della manutenzione non riesce a garantirne la realizzazione. Nel periodo di intense riforme attuare tra il 1889 e il 1896 si inserisce il tentativo di riorganizzare le funzioni del ministero della pubblica funzione e specificare le sue attribuzioni di compiti in materia di conservazione e tutela. Obiettivo primario è sottrarre la competenza tecnica in materia di restauro al ministero dei lavori pubblici e quindi agli uffici del Genio Civile, accusati di curare più gli aspetti amministrativi che quelli estetici e tecnici, connessi al restauro dei monumenti. Tra il 90 e il 96 si susseguono prima le riforme proposte da Pasquale Villari, espressione di una concezione dei monumenti come documenti di storia e di arte, cui le riforme di Ferdinando martini fondate sulla scelta di legare la conservazione all’istruzione artistica; scelta annullata poi dalle riforme introdotte da Guido Baccelli che ripropone la struttura da lui stesso varata nel 1881 e impostata sui principi condivisi anche da Villari. Nella posizione di Villari emergono con forza due temi centrali, le competenze in tema di restauro e il decentramento. LA direzione indicata da lui raggiungerò l’importante risultato con la creazione degli uffici regionali competenti in materia di conservazione dei monumenti, cui seguirà l’istituzione del 1897, della prima soprintendenza in via sperimentale, la sovraintendenza ai monumenti di Ravenna. La strategia intrapresa da Villari, volta alla creazione di una rete di uffici, attivi a livello regionale, trova ampio consenso. Egli prende una serie di provvedimenti e fra questi il tentativo di attivare i comuni assegnando loro l’incarico di provvedere la manutenzione e tutela dei monumenti. Il provvedimento contiene un richiamo indiretto ad operare periodiche di manutenzione legate alla conservazione al decoro della città e al vantaggio collettivo derivante dall’abbellimento dello spazio pubblico; deve stare a cuore la conservazione dei monumenti, perché essi abbelliscano la città ove sono e danno alla popolazione fama di civiltà. Di fatto l’unico modo per porre riparo alle carenze strutturali è, quello di affidarsi all’azione dei comuni, di sollecitarne l’attenzione e la cura al patrimonio, procedendo ad un effettivo decentramento. La scelta di Guido Baccelli, succeduto a Villari, è di affidare nuovamente la redazione del catalogo dei monumenti agli uffici regionali. Ed è un segno di apertura verso un decentramento morbido, annullando i cambiamenti attuati da Martini. Baccelli apre la strada ad una differenziazione amministrativa tra amministrazione e restauro. Per la manutenzione, come anche per la custodia e catalogazione, si propone una gestione da vicino, mentre per il restauro si sostiene la necessità di controllo da parte di un organo centrale. Cultura del restauro che anziché orientarsi a mettere i monumenti in buone condizioni di stabilità, si impegna nel tentativo di riportarli ad un ipotetico stato originario. Le sorti del Real Fabricato di Genova tra il 1842 e 1889 rappresentano uno dei numerosi casi di vicissitudini relativi alla manutenzione nel passaggio da un’amministrazione ordinaria ad una gestione nazionale, complicata da ristrettezze economiche. Costruito nel XVII il palazzo reale era un significativo esempio della suntuosità

dell’arte 600. Dimora nobile e poi reggia, l’edificio attraversa periodi di estremo abbandono seguendo le sorti dei suoi proprietari, a documentarne un primo degrado nel 1821 è una visitatrice. Affidato alla cura dell’azienda della Real Casa, il palazzo si riscatta dallo stato di decadenza con il ritorno della vita di corte, quando nel 1823, Carlo Felice ne fa la propria residenza. Tra il 1842 e il 1845 in occasione delle nozze tra l’erede al trono Vittorio Emanuele e Maria D’Asbrugo Lorena, mentre su tutto l’edificio viene realizzata un’attenta opera di manutenzione, alcune sale cambiano funzione e decorazione e in altre si procede a riparazioni e raccomodi di tutti gli ornati in stucco. Con l’unità di Italia, Genova perde il ruolo di seconda città del regno, inizia così una nuova decadenza e il palazzo viene presto spogliato e a causa della ridotta disponibilità finanziaria si limitano gli interventi ai casi di assoluta necessità. Nel 1881 quando il degrado dei paramenti esterni al palazzo di Genova si è aggravato fino a costituire un degrado per la sicurezza pubblica, un ingegnere Pietro Resasco redige una perizia, attribuendo le decorazioni dei paramenti esterni ad un’epoca successiva a quella dei muri principali, ne decreta quindi la rimozione, il suo progetto prevede di rimuovere tutte le parti pericolanti degli intonaci, delle lesene e delle decorazioni, per poi ricrearle ad imitazione delle preesistenti. Per uniformare le parti reintegrate, Resasco, decide di ricorrere ad un preparato a basa di silice, il silicato di soda, in modo da avere materiali nuovi per riprodurre un aspetto antico. A guardarlo da lontano, il duomo di Orvieto appare come un caso esemplare di buona manutenzione, avvicinandosi e scrutando nel dettaglio, si scoprono i tratti di stuccature rifinite a riempire le fessure in cui l’insinuarsi dell’acqua provocherebbe nuove lesioni e perdite. Nel 1280 si avvia la progettazione del duomo e 10 anni dopo viene posta la prima pietra. Tra il 1294-95 i signori Sette Consoli delle arti, prendono il potere ad Orvieto, l’inclinatura del potere del vescovo e del papato sulla città ha immediati riflessi sul cantiere del duomo. Il Duomo diviene simbolo del buon governo delle arti. La pestilenza del 1346 consacra il duomo quale unico rifugio dal pericolo di nuove e epidemie e diviene quindi una via per l’espiazione. Dallo spoglio di giornali, libri grossi e quinternucci longhi, emerge che operazioni di ordinaria manutenzione delle coperture del duomo hanno inizio già a metà del XV secolo. Nel 1866 l’intervento che la commissione artistica propone è di recuperare i volto di un epoca passata. Il restauro del duomo di orvieto, caso emblematico di ripristino in stile, inizia sotto la direzione di Paolo Zampi. Nel 1876, grazie ad un finanziamento di ministero, comune e capitolo. Assieme alla riapertura di alcune finestre tamponate e alla ricostruzione delle vetrate (ad occhi bianchi) secondo una antica tecnica di cui si sono trovati i resti nelle murature delle antiche aperture, si procede anche alla demolizione degli stucchi 500 della controfacciata e dei coevi stucchi e dipinti aggiunti nelle cappelle laterali. Zampi scrive: il restauro secondo lo stile antico si deve riferire non alla qualità dei materiali ma all’effetto artistico” proponendo così un ripristino dell’immagine, non curante dell’autenticità della materia. Capitolo.3 – Comunicare. La manutenzione del significato. Storie come quelle del palazzo reale di Genova e del duomo di Orvieto ci ostrano come l’alternanza tra manutenzione e abbandono, o viceversa la continuità di cura, siano saldamente connesse all’uso, alla conoscenza del significato di un bene storico e artistico e dei valori da esso generati. Tra fino 800 e inizio 900 in un contesto culturale nazionale in cui è ancora dominante l’analfabetismo, si inseriscono al contempo alcune esperienze rivolte alla divulgazione della cultura artistica e della conoscenza del patrimonio e territorio. Storici dell’arte, archeologia, architetti, sono impegnati nella costruzione della prima legge nazionale di tutela delle antichità e belle arti. Roma è divenuta la capitale ed è una città scissa tra scoperte archeologiche e analfabetismo; alcuni studiosi e funzionari si adoperano perchè diminuisca il divario tra studi specialistici e fruizione collettiva e la tutela del patrimonio produca il miglior laterizio per la costruzione di un’identità nazionale. Emergono le proposte di Giulio Emanuele Rizzo e Giuseppe Gatteschi di creare e collocare accanto ai frammenti e lacune, ricostruzioni grafiche e scenografiche che rendano accessibile ad un pubblico più vasto la conoscenza della propria storia, un modo per mantenere la percezione e trasmettere il senso. Rizzo, archeologo siciliano, nei primi del 900 svolte la sua attività tra i musi di Roma e Napoli. Come direttore del museo nazionale romano segue, dal 1905, l’allestimento della collezione Ludovisi, nella nuova sede di palazzo Arthems. Dai magazini riemerge il sarcofago con la

rappresentazione giudizio di Paride, di età adrianea, reintegrato della parti mancanti nel XVII secolo, forse ad opera del Al Gardi. Lo spostamento dell’opera nella vecchia sede, dove si trovata morata, alla nuova, provoca il distacco delle parti di restauro realizzate in stucco, da quelle autentiche Rizze, si trova a dover scegliere tra le diverse personalità: ricomporre parti autentiche e restauri, commissionare un nuovo restauro, oppure ricomporre ed esporre unicamente frammenti antichi. I frammenti superstiti vengono inseriti in una struttura delle superfici lisce, che ne permette il sostegno e riproduce la forma del sarcofago. Inoltre prevede una campagn...


Similar Free PDFs