Sociologia della cultura (De Benedittis) - Riassunto completo PDF

Title Sociologia della cultura (De Benedittis) - Riassunto completo
Author Marcus Pingitore
Course Sociologia della cultura
Institution Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
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Summary

Sociologia della cultura Spazio, tempo, (Mario De Benedittis) Capitolo 1 Un concetto operativo di cultura 1. Un termine, tre processi Come molti concetti elaborati nei secoli dalle scienze sociali ed entrati nel linguaggio ordinario, il termine cultura vive oggi una schizofrenia: da un lato, ormai p...


Description

Sociologia della cultura Spazio, tempo, corporeità (Mario De Benedittis) Capitolo 1 Un concetto operativo di cultura 1.1. Un termine, tre processi Come molti concetti elaborati nei secoli dalle scienze sociali ed entrati nel linguaggio ordinario, il termine cultura vive oggi una schizofrenia: da un lato, è ormai così pervasivo e usato nella quotidianità che chiederne una definizione a chiunque non sia uno specialista delle scienze umane e sociali, suonerebbe come una domanda retorica, dato che ognuno di noi utilizza questo termine in espressioni di senso comune, finendo per ritenere auto evidente il suo significato e superflua qualsiasi spiegazione. Dall’altro, tuttavia, le scienze sociali, all’interno delle quali il termine è oggi altrettanto abusato, stanno profondendo da decenni sforzi di definizione, rielaborazione, abiura: la disciplina che più di ogni altra ha costruito le sue fortune sul termine, l’antropologia, è arrivata negli ultimi anni a teorizzare la necessità di abbandonare la parola. Allo stesso tempo proliferano cattedre e manuali di studi culturali, e la sezione di Sociologia della cultura diventa nel breve corso di due anni la più numerosa delle facenti parte della European Sociological Association. Cosa succede? Si potrebbero inferire un paio di cose: da un lato, la varietà di modi e di espressioni con le quali è utilizzato il termine nella quotidianità fa sorgere il sospetto che probabilmente non sempre si stia parlando della stessa cosa. Secondariamente, se le persone della strada fanno così spesso uso del termine nella loro quotidianità e se ricercatori di sociologia e antropologia continuano a non poterne fare a meno, dietro il termine si celano delle questioni che necessitano, per essere espresse, del termine stesso. Negli ultimi decenni il termine cultura è stato decostruito, criticato, smontato nel suo essenzialismo, così come altri concetti-chiave delle scienze sociali. Tali concetti, perciò, non sono più utilizzabili nella loro forma originaria e non ristrutturata. Ma dato che non sono stati sostituiti dialetticamente, e non ci sono altri concetti diversi con cui rimpiazzarli, non si può far altro che continuare a usarli per pensare, anche se ora sono detotalizzati o decostruiti e non funzionano più entro il paradigma che li ha generati (Hall). Cultura è un concetto che opera “sotto cancellatura”, come una parola sempre più sbiadita dall’azione di tante gomme concettuali che negli anni le sono passate sopra, lasciandone però sempre una traccia visibile sulla pagina delle scienze sociali: un’idea che non può essere pensata come in passato, ma senza la quale alcune questioni-chiave non possono essere pensate. Occorre ripercorrere quali siano tali questioni-chiave e come attorno a esse si sia riarticolato il concetto di cultura, esplorandone alcune delle principali definizioni. Un aiuto nel ricomporre queste definizioni ce lo dà il saggio di Bauman, Cultura come prassi, in cui il sociologo polacco raggruppa gli usi correnti del concetto di cultura in tre grandi filoni, originati da problematiche storicamente differenti e chiamanti in causa differenti processi sociali. Il termine cultura è stato incorporato in tre diversi universi di discorso (un termine, tre concetti). 1) Esiste una nozione di cultura, che dà conto della preoccupazione, dai Greci in avanti, per il raggiungimento dell’ideale dell’essere umano: cultura rimanda alla sua radice etimologica legata alla metafora rurale, in quanto significa lo sforzo continuo e consapevole per portare in linea con tale ideale l’effettivo procedere della vita. La cultura si oppone alla barbarie. È il di cultura, quello riassunto nell’idea di “ciò che di meglio è stato pensato, creato” in letteratura, arte, ecc. Tale concetto è legato a questioni di potere e di legittimazione che nella società contemporanea si intrecciano a doppio filo con la legittimazione della classe intellettuale e con la sua crisi. Grazie a questo concetto possiamo pensare a importanti temi di sociologia dei processi culturali quali l’apparire all’interno di una società di modelli di comportamento come la kalokagathia greca, o come quello di eccellenza scientifica e competenza specialistica o il mutamento nel tempo di quella che in una società viene ritenuta la cultura legittima. Il concetto gerarchico di cultura non ammette un plurale: esiste la cultura, i cui contenuti cambiano solo attraverso lotte, simboliche e materiali. 2) Il secondo concetto racchiuso nel termine cultura è un concetto differenziale, volto a dare conto delle evidenti diversità che sussistono o possono sussistere fra persone collocate in contesti temporali, geografici o sociali differenti. È il concetto che ritroviamo in espressioni comuni dalle quali siamo circondati. Tale concetto parte dalla premessa che gli esseri umani non sono interamente determinati dal loro patrimonio genetico, e che a uno stesso quadro di condizioni biologiche e sociali possono corrispondere diverse forme socioculturali. È il concetto noto come , che in molti datano a partire dal dibattito Zivilization/Kultur, ma che si può far risalire agli scritti di Locke. L’antropologia filosofica che fa da sfondo a tale discorso è quella che rimanda alla costitutiva incompletezza dell’essere umano, sviscerata da Gehlen col concetto di . Questo concetto non ha senso inteso al singolare e si accompagna a una posizione relativistica: si parla di culture, e non più di una cultura unica. Tuttavia, il concetto 1

differenziale di cultura non è implicito nella realtà immediatamente data, indipendentemente dall’attività dei ricercatori. È complicato delimitare i dove inizia o dove finisce una cultura, e individuare a priori chi ne faccia parte. Le conseguenze di questo tipo di concetto sono quelle di condurre da un lato il senso comune a ritenere come ovvie le categorie di o di culture, dall’altro alimentare la tendenza del pensiero contemporaneo a trattare tanto le norme morali quanto i nostri trasporti estetici come questioni di pura convenzionalità. Questo comporta che i discorsi di senso comune e i loro usi politici si alimentino, nelle situazioni di tensione fra i gruppi o di manifestazioni palesi di usanze differenti, del concetto differenziale, relativistico e neutro , ma traggono conclusioni muovendo da un’idea gerarchica che si esplicita in affermazioni come . 3) Una terza modalità di trattare il termine permette di pensare la cultura come modalità accomunante il genere umano. Bauman parla di una concezione di cultura. Occorre comprendere quale sia il meccanismo specie-specifico dell’uomo che gli consente di produrre culture nell’accezione differenziale del termine, al di là del loro contenuto particolare. Qui la questione consiste nel chiedersi cosa renda il modo umano di stare al mondo. Se le culture intese in senso differenziale frammentano il mondo umano in tanti piccoli universi, il fatto di essere una , in grado di produrre culture, è l’elemento che accomuna gli esseri umani. Se è vero che anche gli animali usano , quelli umani sono allo stesso tempo arbitrari, possiedono dei referenti obiettivati e sono integrati in un sistema-codice. È il potere unico di riprodurre e produrre strutture nuove, e non la capacità di introdurre degli intermediari simbolici nello spazio che divide la coscienza del fatto dal fatto, che conferisce al linguaggio umano il suo potenziale generatore di cultura, facendone il fondamento della cultura come fenomeno generico. L’essere strutturato e l’essere capace di strutturare sono i due elementi centrali del modo umano di vivere, noto come cultura. La cultura, in quanto attributo universale dell’umanità nella sua differenza da ogni altra specie animale, è la capacità di imporre nuove strutture al mondo (Bauman). 1-Occorre precisare quale sia la particolarità dell’universo simbolico in cui vive l’uomo. Il nodo centrale del simbolismo umano non è il semplice impiego di simboli, ma il fatto che il loro significato ha senso solo in un sistema unico di rimandi incrociati e di opposizioni. L’unico elemento comune ai simboli e ai loro significati è quello dell’ordine: e questo non può essere colto con lo studio isolato di simboli particolari, ma soltanto nei termini delle loro relazioni in sistemi. Per esempio le figure stilizzate dell’uomo e della donna all’esterno di un bagno hanno significato solo l’una in relazione all’altra, ed è in questo modo che i simboli orientano i nostri comportamenti, rappresentando l’ambiente per mezzo di categorie relazionali la cui comprensione è ciò che differenzia cognitivamente i primati umani dagli altri mammiferi. Gli animali non sono in grado di rappresentarsi il mondo in termini di forze sottostanti, di intenzioni e di conseguenze, cosa che invece fanno gli esseri umani. Pensiamo all’uso di simboli religiosi, politici, calcistici e alla loro opposizione o messa in relazione (i colori di una maglia di calcio possono al contempo denotare il riferimento all’essere tifosi di un certo club, ma connotarsi anche come simbolo religioso, o nazional/regionalistico, o politico. 2-Occorre chiarire cosa significhi strutturare e come avvenga questo processo. Strutturare, da Bauman, è inteso come . Dal punto di vista culturale, ciò significa organizzare l’ambiente, selezionare la complessità, dargli significato, o senso (orientamento). Attraverso la costruzione di un mondo di senso, l’uomo ritaglia possibilità nella sua esistenza, attraverso le pratiche e i simboli creati e riprodotti nell’esperienza. La prassi umana, considerata nei suoi tratti più universali e generali, consiste nel trasformare un caos in ordine o nel sostituire un ordine a un altro, dove l’ordine è sinonimo di intellegibile e significativo. Nella prospettiva semiologica ‘significato’ vuol dire ordine. Il conferire ordine comporta la trasformazione di un flusso percettivo continuo e informe in un insieme di entità discrete. Il mondo non ci è dato come ordinato nella sua realtà preumana; l’immagine e la conseguente pratica dell’ordine gli vengono sovrapposti dalla cultura (Bauman). Questa operazione di conferimento di ordine, struttura, avviene tramite operazioni di limitazione delle possibilità, trasformando l’indistinto e l’ugualmente probabile in elementi differenziati e verso i quali si possono nutrire aspettative di prevedibilità. La prassi umana è mutamento nella regolarità, attraverso la selezione di elementi possibili, in una continua tensione fra la costitutiva apertura dell’essere umano e la messa in opera di confini all’interno di questo spettro di possibilità: selezione, nell’etimo latino, è parola composta dal prefisso , che indica la separazione, e dal verbo , cioè scegliere; l’intera prassi umana è opera di scelta attuata tramite separazione. Lèvi-Strauss concepiva la cultura come un’azione separatrice, e Remotti ha sostenuto che . Nel libro ci occuperemo di operazioni di tracciamento di confini, simbolici e materiali, sia nelle pratiche spaziali, sia in quelle temporali, sia in quelle che riguardano la corporeità. La strutturazione dell’ambiente può seguire varie logiche; essa si compie attraverso: a. la differenziazione dei significati attribuiti a diverse parti dell’ambiente (come quando si traccia una separazione fra gli esseri umani appartenenti alla propria tribù e quelli che non ne fanno parte), b. attraverso l’introduzione di regolarità all’interno dell’ambiente (come quando si tracciano confini fra ciò che è casa e ciò che non lo è, attribuendo valenze e pratiche differenti a ciò che sta fuori e ciò che sta dentro i confini), c. attraverso la manipolazione della distribuzione delle probabilità, orientando la situazione verso una risoluzione differente da quella che ci sarebbe stata senza alcun intervento (approntando trappole per difendersi dagli assalti delle bestie). 2

I processi di strutturazione sono due, interconnessi fra loro: quello dell’ambiente umano e quello del comportamento umano; gli strumenti che l’uomo ha a disposizione per condurre questa esistenza attiva sono il fare e il rappresentare, la tecnica e il linguaggio, la cultura materiale e i sistemi di rappresentazione, le pratiche e i discorsi (teuchein e leghein). L’integrazione di questi piani costituisce la prassi umana. Per rispondere a un quesito antropologico come occorre tener conto che . Andare in un bagno pubblico significa accedere a uno spazio che ha tracciato a) una differenziazione nell’ambiente attraverso la costruzione di artefatti specifici (teuchein); b) ha introdotto regolarità al suo interno, attraverso un sistema di rappresentazione simbolica (leghein); c) orientando le probabilità che le cose succedano in un certo modo. Il tutto contando sull’apprendimento di condotte motrici specifiche. Trattare la cultura come parte di un più ampio processo di adattamento all'ambiente permette di inserirla in un contesto non avulso dal dibattito più ampio sulla vita umana e sui processi cognitivi. Possiamo concepire il processo culturale come parte di una più ampia relazione di adattamento nella quale intervengono tutti gli organismi viventi e i meccanismi di autoregolazione fabbricati dall'uomo. Questo adattamento non è né un fatto corporeo né un fatto mentale, e pertanto la nozione generica di cultura è fatta per superare il contrasto fra pensiero e materia. È importante collocare la prospettiva esperienziale non ignorando né altre scienze umane né altri campi come le neuroscienze e le scienze cognitive. Per rispondere a questa esigenza occorre collocare il tema della cultura in senso generico nel quadro della riflessione sullo sviluppo della mente umana e dell'evoluzione. In campo antropologico, Geertz, sulla scia di Gehlen, affermava che la cultura non è un'aggiunta alla vita organica, ma il contesto stesso in cui il cervello si sviluppa, in un processo di coevoluzione. L'ottimizzazione delle condizioni di vita di una specie di elevata sensibilità, semiologicamente ricca e capace di comportamenti diversificati, può essere ottenuta solo mediante la creazione attiva di un ambiente artificialmente stabilizzato. Si richiede una prassi ordinatrice. La prassi umana, con le sue regole generative, sembra essere una condizione di possibilità della società umana, anziché semplicemente essere una realtà artificiale motivata mediante simboli (Bauman). Esiste un complesso di regole generative, storicamente selezionate dalla specie umana, che governano l'attività mentale e pratica dell'individuo umano considerato come essere epistemico, e lo spettro delle possibilità nel quale può operare tale attività. La prassi culturale svolgerebbe un'operazione di , tracciando confini, distinzioni, differenze, sfoltendo e organizzando. Sia a livello collettivo, costruendo una in senso differenziale e tracciandone le gerarchizzazioni al suo interno, sia a livello del singolo agente, la prassi ordinatrice è ciò che permette di passare da un'incompletezza del , come quella del neonato o dell'uomo pre-ominazione, al suo stadio pre-culturale, a un'incompletezza del , costituita dai singoli ordinamenti culturali o dalla costruzione degli habitus individuali. 1.2. Percezione, rappresentazione, pratiche: le dimensioni dell’ordine culturale in azione Chiarito il meccanismo generico di strutturazione culturale, la messa in opera di confini e differenziazioni per creare ordine (stabilizzazione e comprensibilità), ci interessa capire il funzionamento delle culture in senso differenziale, partendo 1) da in cosa consista uno specifico ordine culturale, come funzionino le categorie relazionali tramite il quale le culture , e cosa permettono di fare; 2) capirne l’estensione, la differenziazione interna, i meccanismi gerarchizzanti, le contraddizioni; 3) tracciare i processi tramite i quali una cultura specifica viene prodotta da e si riproduce attraverso i suoi membri, nel mentre ne informa le pratiche. Per Canguilhem una cultura è un codice di ordinamento dell’esperienza umana sotto un triplice rapporto, linguistico, percettivo, pratico, quindi non possiamo comprendere una cultura solo come semplice stabilizzazione delle rappresentazioni condivise da un determinato gruppo di persone (come definiscono le cose), né come stabilizzazione condivisa di come percepiscano le cose (cosa le persone vedono quando osservano un fenomeno, un oggetto, un simbolo, né come stabilizzazione condivisa di un certo comportamento pratico (come le persone agiscono di fronte a un evento o in un determinato contesto). Le tre dimensioni sono interrelate: rappresentarsi qualcosa in un certo modo induce mutamenti nella percezione e nelle pratiche. Pensiamo a quei casi nei quali a livello di rappresentazione l’esistenza di parole differenti per stati della neve o della pioggia permette e costruisce una maggior a livello di percezione nel cogliere questi differenti stati e nello sviluppare pratiche che li coinvolgano. Tenere intrecciate nella concezione operativa del termine cultura la dimensione della rappresentazione (condividere una comunità semiotica, riconoscere uno stesso set di opposizioni simboliche) e quella delle pratiche, vuol dire che compiere una pratica culturale significa fare uso di un codice semiotico per fare qualcosa nel mondo, collegare simboli astratti a cose concrete e a circostanze, e porsi attivamente nei loro confronti. Il legame fra l’elemento semiotico e quello pratico è indissolubile, in quanto ogni linguaggio ha una dimensione pratica, e ogni pratica ha una dimensione discorsiva. Ciò significa tanto che un linguaggio (atti di istituzione), quanto che le pratiche parlano. La consapevolezza è sempre mediata dai segni, che non danno solo forma agli artefatti culturali, ma anche a qualsiasi pensiero che entri nella vita sociale, nella produzione materiale e nelle pratiche culturali. La semiosi è un processo 3

continuo di significazione che orienta tanto la conoscenza quanto l’azione umana. Le rappresentazioni sociali sono uno dei più potenti mezzi culturali per dare significato al mondo che ci circonda e per renderlo prevedibile. Per ‘rappresentazione sociale’ si intende una forma di conoscenza, una elaborazione cognitiva che i soggetti sociali, definiti per la loro appartenenza di gruppo, effettuano sotto l’influenza di quadri sociali di pensiero e di norme di comportamento collettive, integrando i dati della propria pratica ed esperienza. Le rappresentazioni hanno il duplice ruolo di rendere convenzionali gli oggetti, gli eventi, le persone che incontriamo nella quotidianità e di essere prescrittive, di imporsi a noi con la forza della struttura precedente alla nostra attività cognitiva e della tradizione che stabilisce in anticipo cosa dobbiamo pensare. Lo scopo delle rappresentazioni sociali è quello di rendere familiare ciò che non lo è. La dinamica delle relazioni è una dinamica di familiarizzazione dove oggetti, individui ed eventi sono percepiti ed intesi in relazione a incontri o paradigmi precedenti. Questo avviene perché il timore di perdere i punti di riferimento consueti, di perdere il contatto con ciò che fornisce un senso di continuità, di reciproca comprensione è insopportabile. Quando la diversità si impone a noi sotto forma di qualcosa di ‘non abbastanza’ come dovrebbe essere, noi istintivamente la rifiutiamo perché minaccia l’ordine prestabilito. Ritorna l’esigenza di mettere ordine in ogni livello dell’evoluzione umana, biologico, culturale, psicologico. La psicologia cognitiva dimostra che la necessità di risparmiare risorse cognitive fa sì che si ricorra alla categorizzazione e a euristiche (scorciatoie di pensiero) per formulare giudizi partendo da informazioni limitate. La categorizzazione semplifica l’ambiente e compie inferenze velocemente, che tuttavia spingono a esagerare l’assimilazione intracategoriale e la differenziazione intercategoriale. Le categorie considerate sono quelle rese sensibili/accessibili dalla società e dalla situazione concreta. Alle etichette categoriali si associano schemata, insieme organizzato di credenze e pensieri basato sulle precedenti esperienze. Essi costituiscono dei contenuti mentali che guidano l’esplorazione dell’ambiente, influenzano l’elaborazione, la codifica in memoria delle informazioni raccolte e la loro interpretazione. L’atto di categorizzazione è una conditio sine qua non per la sopravvivenza. Nel mondo naturale gli oggetti si presentano come organizzati secondo pattern coerenti, formando categorie oggettuali . Però le categorie sono c...


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