Storia della moda XVIII-XXI secolo di Enrica Morini PDF

Title Storia della moda XVIII-XXI secolo di Enrica Morini
Author Alessia Spino
Course Cultura della moda - Moda Contemporanea
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
Pages 158
File Size 1.1 MB
File Type PDF
Total Downloads 28
Total Views 719

Summary

STORIA DELLA MODAXVIII-XXI SECOLOIL LUSSO, LA MODA, LA BORGHESIALUSSOIl lusso è una delle chiavi interpretative per comprendere la moda. Quando si parla di moda si intende qualcosa di diverso rispetto all’abbigliamento, che nella civiltà nasce come conseguenza del rifiuto della nudità. L’abbigliamen...


Description

STORIA DELLA MODA XVIII-XXI SECOLO IL LUSSO, LA MODA, LA BORGHESIA LUSSO Il lusso è una delle chiavi interpretative per comprendere la moda. Quando si parla di moda si intende qualcosa di diverso rispetto all’abbigliamento, che nella civiltà nasce come conseguenza del rifiuto della nudità. L’abbigliamento riguarda quindi tutta la società, mentre la moda è stata, a partire dal Medioevo, prerogativa di un piccolo gruppo della società, che proprio attraverso l’abito manifesta la preminenza del proprio ruolo gerarchico. L’abito diventa quindi manifestazione del proprio ruolo sociale, secondo regole rigide che appartengono alla sfera della tradizione. Il collegamento fra la foggia dell’abito e il ruolo sociale è stato messo in crisi nell’Europa occidentale fra il XIII e il XIV. Da questo momento l’abito non ha più regole rigide, svolge lo stesso ruolo ma secondo l’inventiva, il gusto, le risorse dei singoli individui. Principalmente il ruolo della moda era mettere in evidenza i segni della ricchezza e del potere. “Far vedere ed essere visti” era la regola che durante l’Ancient Régime rimane indiscussa. La struttura gerarchica europea rimase per secoli invariata, mantenendo fissa la distribuzione dei compiti istituzionali e il controllo commerciale. Alcuni avevano il compito di produrre, altri di consumare. Signori e re erano considerati tanto magnifici quanto era il fasto di cui si circondavano. Il lusso della corte era anche immagine dello Stato e della sua concezione economica. L’accumulo di denaro era stigmatizzato come forma di avarizia, soltanto lo sperpero e la prodigalità potevano essere considerati virtù. Anche questo è stato un forte motore economico, dal momento che trasformava la ricchezza che la nazione forniva al signore, o alla Chiesa, in committenza di lavoro e, contemporaneamente, eliminava l’eccesso di produzione. Con Luigi XIV lo sperpero fastoso esplicitò la propria fondamentale funzione sociale ed economica, ma al prezzo del superamento del modello precedente: la nobiltà, costretta dall’esempio del re e dall’appartenenza alla sua corte, portò la propria prodigalità alle

estreme conseguenze della rovina, mentre lo Stato, organizzando in forma produttiva lo sfruttamento del lusso, favorì la crescita della classe dei fornitori e dei finanziatori. La rottura operata dalla riforma protestante portò ad una nuova concezione del lusso, della ricchezza e del loro significato etico. La ricchezza, dono divino, non doveva essere sperperata, ma gestita in nome della comunità. Si arriva alla conclusione che l’aspetto esteriore non ha conclusione diretta con l’importanza sociale della persona. Modestia e moderazione diventarono le doti da comunicare attraverso l’abito. L'abito non comunica più una rarità legata allo sfarzo, bensì una rarità morale e ideologica.

ABITI BORGHESI La borghesia inventò la propria moda, conquistando un proprio linguaggio. La borghesia riaprì la questione del lusso: il lusso era anche un modello di consumo, un modo per far girare merci e produrre ricchezza. Si arrivò alla specificazione dei concetti di lusso e di fasto nelle voci dell’Encyclopédie: se il secondo era strettamente collegato al principio economico dello spreco, il primo veniva considerato un semplice effetto della legittima pulsione all’emulazione sociale e poteva, quindi, essere utilizzato all’interno di un’organizzazione economica. Nel corso del Settecento si assistette alla lente crescita di un modello di consumo borghese. Riguardo all’abbigliamento maschile veniva proposto un modello semplificato: rimane invariato il completo composto da marsina, sottomarsina, camicia e calzoni, ma invece dei tessuti costosi e colorati, venivano usati tessuti di lana in tinta unita o neri. Gli elaborati, sfarzosi ricami vennero sostituiti, nei completi più lussuosi, da galloni applicati. Negli altri scomparvero del tutto. L’ostentazione diretta dell’abito fu diretta a comunicare valori astratti quali l’intelligenza e la lungimiranza negli investimenti o valori quali il benessere, la salute, la comodità. La cultura borghese cominciò a proporre un ideale di donna estremamente lontano da quello delle cortigiane settecentesche. Gli scopi delle borghesi erano il matrimonio e la cura dei figli: una funzione privata e familiare che eliminava la possibilità di un qualsiasi ruolo pubblico. Il suo abito quindi si privò di tutti gli elementi più teatrali che identificavano la moda rococò e il rigore

del costume calvinista e puritano. Non più solo il nero, ma colori chiari, nastri, merletti. Non più le forme rigide e sostenute, ma indumenti leggeri e comodi. La grande novità della medicina e della filosofia settecentesche stava nell’attenzione dedicata al corpo e alla sua salute. Si iniziava ad usare la camicia di sotto promossa a vestito, semplicemente legata in vita con un nastro e decorata alla scollatura con uno scialle. Anche in questo caso, come in quello maschile, si sottolineavano sia un dato astratto, la morigeratezza e l’adesione alla cultura illuminista, sia un dato concreto, la comodità e il rispetto del corpo. Questa prima moda borghese si sviluppò nei secoli seguenti in due modi antitetici: quella maschile s’istituzionalizzò, mentre quella femminile mutò nel tempo. L’accostamento al potere e la sua assunzione da parte dell’uomo borghese portarono a una codificazione del suo modo di vestire che corrispose alla codificazione del suo ruolo. L’abito divenne una divisa, che non poteva essere soggetta alla moda perché avrebbe messo in discussione il patto sociale o l’appartenenza ad esso. La moda maschile si concentrò così su: tessuti, cravatte, gilet, ma anche la perfezione del taglio degli indumenti, il candore e la pulizia, la sapienza di annodatura di una cravatta ecc. L’abbigliamento femminile ebbe una storia diversa. Le donne erano private di ogni compito pubblico. La loro vita era condotta tra le pareti domestiche e dipendevano dallo status sociale ed economico dell’uomo al quale appartenevano. La donna diventava oggetto si spese lussuose. Tutto quello che l’uomo sottraeva al proprio aspetto lo sommava a quello della sua donna. Dalla fine del Settecento la moda si occupò sempre meno dell’uomo e sempre più della donna. LE PROFESSIONI DELLA MODA Le mode dovevano essere ritenute tali dal gruppo di riferimento cui il soggetto apparteneva. Per tutto l’Ancient Régime, la loro invenzione e la loro adozione erano state un appannaggio delle corti e delle gerarchie aristocratiche. In generale era in questi luoghi che discendevano le novità, senza che fosse pensabile che esse fossero destinate, anche in seconda istanza, a una circolazione diffusa. La messa in crisi settecentesca e la negazione ottocentesca del ruolo direttivo della corte in campo culturale, l’affermazione della centralità della borghesia, rendevano inattuale la possibilità di

lasciare alla sapienza aristocratica il compito di continuare a proporre una moda cortigiana separata da quella borghese. Questo, però, richiedeva la costituzione di luoghi nuovi per la creazione. Nei secoli dell’Ancient Régime, nella moda si era praticata una netta distinzione tra momento ideativo e fase di realizzazione: il primo era appannaggio del cortigiano, la seconda di artigiani che, seguendo specifici statuti corporativi, mettevano in opera l’oggetto d’abbigliamento. L’unica fase autonoma era quella della fabbricazione dei tessuti, che richiedeva tali competenze professionali e capitali da investire. Inoltre, il tessuto era così costoso da costituire spesso il segno più lussuoso di un abito. Tutti gli altri artigiani che intervenivano nella realizzazione dell’indumento erano semplicemente degli esecutori che lavoravano su commessa diretta, spesso a domicilio e in base a indicazioni precise, e venivano pagati in ragione del lavoro svolto. Non a caso non conosciamo nomi di sarti prima della fine del Settecento. La borghesia avrebbe capovolto questa logica. Nel corso del XVIII secolo le corporazioni della moda allentarono le loro restrizioni di fronte a una serie di mutamenti che richiedevano un’elasticità organizzativa diversa da quella precedente. Cominciò ad essere possibile una commistione delle diverse fasi dalla realizzazione al commercio degli indumenti. La conseguenza fu offrire al compratore la possibilità di essere aiutato da un professionista, che gli metteva a disposizione più di un servizio. Fu questo il momento delle marchandes de modes che, per prime, uscirono dalla logica corporativa della specializzazione unica e si posero in una situazione trasversale. Mentre in precedenza anche quello della moda era un mondo maschile, che lasciava alle donne i lavori più nascosti e meno pagati, in questa fase in cui nascevano nuove esigenze esse intravidero spazi per la loro creatività e professionalità. Apparentemente si trattava di un commercio marginale. In realtà era il vero mercato della moda e del gusto. Le mode del Settecento prevedevano un numero di fogge estremamente limitato, variabili all’infinito attraverso i tessuti, gli ornamenti, le acconciature, gli oggetti da mano. Quindi era fondamentale, per essere alla moda o per crearne una propria, avere a disposizione una vasta scelta di decorazioni con cui scatenate fantasie e gusto individuale. Le trasformazioni delle professioni della moda avvennero sul fronte culturale e su quello economico. Da un lato, l’Encyclopédie colse l’importanza del sistema del tessile e dell’abbigliamento nello sviluppo di una società moderna e pose l’attenzione sulla sua

struttura produttiva e sulle sue implicazioni. Sottolineò la relatività storica e culturale dei consumi e t4entò di definire il nuovo metro di giustizio estetico: il gusto. La necessità dell’apparire non era stata cancellata, ma doveva assumere nuove forme e non essere più demandata a una corte, ma al gusto e all’etica del “giusto” lusso. L’Encyclopédie disegna una mappa delle professioni della moda, elencando quelle antiche di secoli, ma anche quelle nate di recente o addirittura non ancora codificate. Avere sottratto all’anonimato e al silenzio di secoli gli artigiani della moda aveva un significato preciso: da quel momento la loro qualità era riconosciuta o, quanto meno, era suscettibile di riconoscimento. L’Encyclopédie considerava gli artigiani della moda, al pari dei rappresentanti delle altre scienze, arti liberali e arti meccaniche. Questo quadro corrispondeva alla realtà quotidiana del sistema della moda parigino, quello cui tutte le corti europee guardavano. Si trattava di un’industria che occupava migliaia di persone che già cominciava a servire un pubblico più allargato rispetto a quello della nobiltà di corte. Le corporazioni Il sistema delle Arti e dei Mestieri e i Corps mercantili francesi avevano cominciato a subire trasformazioni già alla fine del Seicento. I sarti (i tailleurs) avevano prima aggregato una serie di lavorazioni inerenti alla confezione e poi, nel 1675, avevano visto riconoscere l’esistenza giuridica della corporazione delle couturières, cui era stato riconosciuto il diritto di vestire donne e bambini. Dalla fine del XVIII la moda interessò, di fatto, solo l’abbigliamento femminile. Nel 1595 era nata la corporazione delle lingères. Era una corporazione femminile che si collocava a mezzo tra la realizzazione e la vendita, così da poter intervenire sia sulle modalità e il gusto di quanto veniva prodotto direttamente, sia sulla scelta delle merci da acquistare e mettere in commercio, sia delle richieste delle clienti cui offrire entrambe le possibilità. Tutto questo era destinato ad avere un grande sviluppo in un secolo in cui il consumo di biancheria ebbe un enorme aumento, anche in ragione delle nuove norme igieniche che l’Illuminismo cominciò a diffondere. Ma i veri padroni della moda parigina erano stati fino a quel momento i merciers. Nei loro magazzini si commerciavano tutti gli oggetti e i manufatti di lusso legati alle più diverse mode (mobili, cineserie, gioielli ecc.) e quindi anche a quelle vestimentarie.

Avevano in comune con i drappieri, ai quali saranno aggregati nel 1776, il monopolio della vendita delle stoffe ricche (quelle tessute con oro e argento). Svolgevano una funzione fondamentale ai fini della diffusione delle mode: quella di intermediari fra la corte, cui fornivano le novità desiderate, e il resto della società, cui offrivano, al momento opportuno, quanto era stato precedentemente scelto dai cortigiani. Soprattutto la loro intermediazione aveva un ruolo nei confronti dei fabbricanti, cui trasmettevano i gusti del pubblico affinché fosse possibile indirizzare la produzione. Da questa corporazione prese forma, alla fine del Seicento, una specializzazione che divenne appannaggio delle donne: quella delle marchandes de mode.

LE “MARCHANDES DE MODE” Il loro deriva dall’oggetto del loro commercio: vendono solo articoli di moda. In realtà quella delle marchandes de mode diventò una vera corporazione solo con la riforma del 1776. Rose Bertin ne fu il primo sindaco. Esse “inventano”. In questa parola stava tutto il futuro della moda borghese: l’invenzione della novità cominciava a passare dalla corte a un professionista, che prima lavorò in stretto contatto con la corte o con la nobiltà e poi, gradualmente, se ne affrancò. LA MODA E I MODELLI VESTIMENTARI SETTECENTESCHI La funzione delle marchandes de mode era soprattutto quella di creare le garnitures per un sistema vestimentario fatto di pochissime fogge. Due erano le fogge base fra cui potevano scegliere le dame della seconda metà del secolo: - robe à la française, il modello più diffuso in Francia  si indossava con il panier ed era composta dalla sopravveste, una sottana e una pettorina. La sopravveste, aperta davanti e allacciata in vita, aveva dietro due gruppi di pieghe, montate all’altezza delle spalle e del collo, che ricadevano per tutta la lunghezza dell’abito. L’apertura del davanti mostrava la sottana e la pettorina, un accessorio di forma trinagolare che copriva il busto ed era solitamente ricco di decorazioni;

- robe à l’anglaise, diffusosi in Francia negli anni Settanta  corpetto attillato e una gonna, montata a piccole pieghe in modo da essere più abbondante sui fianchi e sul dietro, aperta sul davanti per lasciar vedere la sottana. Lo scopo era dare ampiezza all’indumento senza ricorrere al panier, che fu sostituito con imbottiture e rigonfiamenti a tournure. Per ottenere un risultato ancora più vaporoso la gonna poteva venire sollevata, utilizzando nastri, lacci o bottoni, fino a creare un effetto a festoni rigonfi: questa moda fu definita à la polonaise. C’erano poi tipologie che avevano un uso più ristretto e preciso. L’ultima esclusiva dell’Ancient Régime fu l’abito di corte con lo strascico, il grand habit, irrigidito da corsetti steccati e paniers monumentali, arricchito con sontuose decorazioni. Nel corso del Settecento le stoffe con cui confezionarlo passarono dai pesanti tessuti operati a complessi motivi alle leggere sete in tinta unita su cui le marchandes de modes potevano aggiungere fantasiose decorazioni. Dalla fine del secolo l’abito di corte divenne un indumento di rappresentanza, più legato a schemi simbolici tradizionali che alla moda. All’estremo opposto si trovava il cosiddetto casaquin, una versione accorciata della robe à la française con pieghe sul dosso, da indossare come corpetto con una gonna, destinato a un uso più privato che casalingo. Sarte e marchandes de modes si dividevano il compito di realizzare questi indumenti, intervenendo su parti diverse dello stesso capo. Il lavoro della sarta riguardava la perfetta costruzione degli elementi base del vestito, quello della modista era finalizzato a ottenere un’infinita quantità di variazioni partendo da questa struttura immutabile. Alla logica della decorazione sfrenata corrispondeva quella della semplificazione e della ricerca della comodità, favorita dalla struttura aderente della robe à l’anglaise. La rielaborazione più diffusa di questa linea fu, dagli anni Settanta, la redingote, derivata dal costume da equitazione normalmente indossato delle signore inglesi, che introduceva nell’abbigliamento femminile alcuni elementi maschili, come il doppio petto, il colletto rivoltato, il gilet, i grandi bottoni. Se le inglesi avevano adottato il riding coat in ragione del loro stile di vita campagnolo e dell’abitudine all’uso del cavallo, le francesi utilizzarono la redingote come abito da passeggio e da città, attratte soprattutto dalla possibilità di movimento che offriva. Da tutt’altra fonte, l’abbigliamento delle classi lavoratrici, proveniva una moda che ebbe una diffusione analoga, se non superiore: il

completo composto da un corpetto, il caraco, e una gonna, adottato nella vita quotidiana prima della borghesia e poi anche alle classi elevate. Se tradizionalmente esso era realizzato di lana o di un misto di lana e lino, la nuova moda lo prevedeva di cotone o seta. Con questi tessuti più leggeri si rispondeva a necessità e a stili di vita non più legati ai rituali di corte, ma alle città. Tutto ciò favorì il sorgere di nuove mode, più o meno passeggere, che prendevano spunto da fonti d’ispirazione diverse: le opere teatrali di successo, gli esotismi, gli eventi politici. LA “CHEMISE à LA REINE” La vera rottura con il sistema vestimentario ereditato dal passato avvenne negli anni Ottanta. Nel 1783 fu esposto al Salon un ritratto di Maria Antonietta (realizzato da Elizabeth Vigée-Lebrun), in cui la regina indossava un abito bianco di mussolina dalla foggia semplicissima. L’origine di quella che fu chiamata chemise à la Reine è da ricercare in diversi modelli vestimentari: se l’abito derivava dalla robe à la créole, usata dalle signore francesi nelle Indie Occidentali, e la sua adozione si collocava nel generale gusto per l’esotismo di questo periodo, la scelta della regina s’ispirò certamente alla moda che si andava diffondendo fra le ragazze più giovani: quella appunto degli abiti di lino o mussolina, con la cintura in vita. Di fatto, il nuovo vestito della sovrana era una semplice camicia diritta con le maniche lunghe e una fascia in vita. L’ampiezza era trattenuta alla scollatura da una coulisse, ricoperta da una specie di colletto a due balze, e lungo le maniche da arricciature parallele, che formavano sbuffi di tessuto: indumento semplicissimo che esprimeva un significato culturale. La mussolina, di cotone leggera, trasparente e preziosa, proveniente dall’India, rispondeva perfettamente alle teorie illuministe: era igienica, comoda, giovane. E poi il colore, un’adesione ideale a quel gusto neoclassico che stava trovando nei reperti del mondo antico la chiave moderna della bellezza: le statue greche e romane, con i loro indumenti drappeggianti a mostrare le forme di corpi perfetti, stavano emergendo e indicavano all’Europa il modello estetico da perseguire. Il bianco stava diventando il colore della fine del secolo. ROSE BERTIN

Gran parte delle novità che fecero la moda di questo periodo furono pensate o scelte negli appartamenti di Maria Antonietta e presero forma nelle mani di Rose Bertin. La regina non amava l’etichetta che regolava la vita di Versailles. Le sue scelte furono motivate dal fascino dello stile di vita inglese, ormai diventato una moda. Maria Antonietta amava la moda e soprattutto le mille novità con cui variava l’abbigliamento. Rose Bertin fu la risposta a questo continuo desiderio di rinnovare il proprio aspetto e, insieme, il modo di vestire delle dame di corte: per una quindicina di anni le scelte e le creazioni delle due donne furono “la moda” Fino al 1781 la regina di Francia fu quasi il simbolo di una maniera di vestire ricca di decorazioni, completata dalle monumentali acconciature di cui Léonard, il suo coiffeur, era maestro. Dopo la nascita dell’erede al trono, nel 1781, Maria Antonietta lanciò la moda dei capelli corti e adotto un abbigliamento più semplice. Fu la volta della chemise à la Reine e della moda all’inglese. Infine, dalle mani di Rose Bertin uscì anche l’abito viola con la gonna bianca decorata di paillettes argento che la regina indossò alla cerimonia ufficiale di apertura degli Stati generali, l’ultima della storia dell’Ancient Régime. MARCHANDE DE MODE DE LA REINE era l’insegna del magasin Au Grand Mogol della Bertin. Naturalmente insegna con un ruolo pubblicitario. Si trovava in Rue Saint-Honoré, il...


Similar Free PDFs