Tossicità farmaci PDF

Title Tossicità farmaci
Author Simona Mammano
Course Psicofarmacologia
Institution Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
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tesina tossicità farmaci...


Description

Quando si parla di farmaco, si intende, sempre indirettamente, non solo i suoi effetti positivi, ma anche quelli negativi, che vengono indotti nell’organismo dal farmaco stesso. Il farmaco è una sostanza di origine esogena, che va a modificare, possibilmente positivamente, la nostra condizione patologica, ma vi possono essere delle controindicazioni, dovute alla sua assunzione, che può portare a qualche effetto collaterale. Da qui l’importanza che venga prescritta e assunta in casi di certificata necessità. Sono quindi essenziali gli studi sulla tossicità del farmaco, che verrà immesso sul mercato. L’indice terapeutico è il rapporto tra la dose letale mediana, osservata in studi condotti su animali, e la dose efficace mediana, per produrre un determinato effetto nel 50% della popolazione. Il concetto di dose letale mediana, si applica solo su cavie animali, mentre negli studi clinici nell’uomo, viene misurata la dose tossica mediana, ovvero la TD50. Nel 2002, una legge ha vietato i test DL50, per cui l’intervallo terapeutico non viene più utilizzato ed è stato superato da indicatori altrettanto validi, come la finestra terapeutica. Oggi, per lo studio, si utilizza l’Indice Terapeutico, ossia il rapporto tra la dose massima che può essere tollerata e la dose minima efficace. Gli studi di tossicologia possono fornire diverse e determinate informazioni e possono definire la minima dose che produce effetti tossici e la massima che non induce alcun effetto diretto o indiretto. È molto importante questo, perché la dose minima che produrrà effetti è una di quelle annotazioni che servono più tenacemente. Possono definire la relazione tra dose terapeutica e dose tossica, cioè fin quanto si può dare un farmaco e a che dosaggio si può continuare a fornire questo farmaco in terapia, senza andare incontro a effetti tossici che vadano a superare l’effetto terapeutico. Individuano quale struttura cellulare, organo, sistema o apparato sia il bersaglio primario della tossicità del farmaco. Possono inoltre definire le caratteristiche dell’effetto tossico determinato dalla molecola o dai suoi metaboliti e stabilire la reversibilità o meno degli effetti tossici osservati. Per fare tutto questo, occorre fare degli studi, occorre sperimentare. Per quanto riguarda la sperimentazione preclinica, nell’ambito delle prove di tossicità, ritorna un concetto preponderante che è quello della farmacocinetica, ossia l’assorbimento, la distribuzione all’interno dei nostri organi, il metabolismo con il citocromo CYP450 e l’escrezione che avviene attraverso fegato, bile, feci, reni ma anche in parte con il sudore. Inoltre, vi sono i concetti di tossicità, che può essere acuta, subacuta o cronica e di studi tossicologici sulla riproduzione, perché è molto importante andare a capire che tipo di interventi vengono a essere palesati in questa condizione. Per quanto concerne la sperimentazione preclinica, con le prove di tossicità abbiamo una sorta di somministrazioni che servono a dare delle informazioni e possono essere sia somministrazioni ripetute, sia somministrazioni subacute: il termine subacuto equivale a breve termine, ossia qualcosa ancor prima del palesarsi, oppure cronica andando a una prova di tossicità a lungo termine. Queste prove devono mettere in evidenza - la soglia di tossicità - le alterazioni funzionali e/o anatomo-patologiche conseguenti a somministrazioni ripetute del farmaco. Inoltre devono evidenziare le condizioni della comparsa di alterazioni in funzione della posologia e cioè la determinazione della dose e della modalità di somministrazione. La valutazione degli effetti tossici viene effettuata esaminando la mortalità, la fisiologia del comportamento, l’accrescimento, la crasi ematica, le prove funzionali a carico dei diversi organi e dei tessuti come il cuore, il fegato, il rene, la milza ecc., in base ai reperti che si possono fare attraverso l’autopsia e in base anche agli esami istologici. Quando si parla di esami citologici ci si riferisce agli esami sulla cellula, mentre se si parla di esami istologici ci si riferisce agli esami sul tessuto. Si vuole non solo scoprire il danno cellulare, ma più globalmente il danno del tessuto. Per quanto riguarda gli studi di tossicità acuta, si ha un’unica somministrazione del principio attivo su due o più specie di animali diverse come il ratto, il topo, il coniglio, oppure due diverse vie di somministrazione come nel caso dei roditori, una delle quali deve essere identica a quella proposta nell’uomo, mentre l’altra deve garantire l’assorbimento sistemico del farmaco. 1

Negli studi di tossicità acuta, si studia attraverso un periodo di osservazione che deve essere una finestra temporale adeguata a mettere in luce se i danni ai tessuti ci sono, se ci sono danni agli organi, oppure se e quando vi è il ritorno alla condizione dell’animale rispetto al periodo precedente, ossia un ritorno alla normalità; dura all’incirca due settimane, con un timing non inferiore ai 7 giorni e può proseguire per tutto il tempo necessario per cui persistono i segni di tossicità, perciò non ci si deve fermare al primo segno, ma si deve andare avanti finché non terminano. Si devono fornire delle prove attraverso dei dati sulla relazione dose/effetto e sulla relazione dose/mortalità perché è fondamentale prima di poterlo mettere in commercio e si deve procedere anche alla valutazione quantitativa della DL50, quindi c’è l’esame finale che è l’esame anatomoistopatalogico dell’organo, pertanto, durante l’autopsia, si fa un prelievo di un tessuto e si studiano i campioni. I bersagli o i soggetti dello studio sono un numero minimo di cinque animali adulti di entrambi i sessi provenienti da specie di animali diverse. Viene fornita una dose pilota, ossia una dose raccomandata inizialmente. L’osservazione avviene in sette giorni e poi si effettua l’esame anatomo-isto-patologico o autoptico studiando sugli animali morti. Saranno gli organi più importanti a essere investiti dai sintomi di tossicità acuta, ovvero a livello respiratorio, cardiovascolare, cutaneo, gastroenterico e nervoso. Per quanto riguarda i sintomi respiratori, ci sarà la difficoltà a respirare, la dispnea, l’apnea, la cianosi, la tachipnea, l’espirazione molto veloce, l’edema polmonare; a livello cardiovascolare, ci saranno delle variazioni come l’aumento della frequenza, una diminuzione della frequenza e cioè ipotensione, ipertensione, variazioni extrasistoliche; oltre a questo ci può essere, a livello vasale delle arterie e delle vene prevalentemente arteriolare, una vasocostrizione o una vasodilatazione; si possono avere anche variazioni dell’ECG. A livello cutaneo solitamente si hanno orticaria, edema, eritema, alterazioni del pelo. Tra i sintomi gastroenterici, troviamo vomito, nausea e diarrea, ma si possono avere anche delle emorragie gastro- intestinali. Tra i sintomi nervosi si hanno convulsioni, variazioni del tono muscolare, variazioni della motilità, sonno, analgesia, piloerezione e variazioni delle funzioni motorie superiori. È un quadro abbastanza completo di quelle che possono essere le sintomatologie ottenibili. Le prove di tossicità subacuta durano dai 30 ai 90 giorni. Le sperimentazioni vengono effettuate somministrando tre dosi a gruppi diversi di animali: nel caso dei roditori sono 20 animali per gruppo, di cui 10 maschi e 10 femmine. Si utilizzano due specie di mammiferi come il ratto, il cane, il maiale di cui una di roditori. Queste sono le indicazioni per lo studio di tossicità subacuta. I tre livelli di dose si basano su una più elevata, su una minore e su una intermedia. La più elevata deve far comparire effetti tossici d’organo o mortalità in non più del 10% degli animali presi in esame, la dose minore deve permettere di fissare un margine di tolleranza, ovvero l’effetto farmacologico, mentre la dose intermedia è la media fra la dose maggiore e la dose minore. Negli studi delle prove di tossicità cronica devono esserci un numero minimo di 10 animali adulti di entrambi i sessi provenienti da specie animali diverse. Si somministrano 3 livelli di dose in cui la dose più alta non deve dare più del 10% di mortalità. Permettono di conoscere l’emivita della sostanza (bioaccumulazione). Nelle prove di tossicità cronica, si fanno degli esami delle urine che servono per valutare la chetonuria, la porfirinuria, l’emoglobinuria, l’ematuria, la glicosuria, la pressione osmotica, i cristalli, le cellule di sfaldamento e il pH. Si fanno degli esami chimici di tipo clinico, dunque si vanno a valutare i livelli plasmatici di bilirubina, la creatina e la creatinina, la colinesterasi, gli acidi grassi, il colesterolo, l’HDLP e l’LDLP, la glicemia, l’azotemia, gli elettroliti, l’acido urico, le proteine totali e frazionate, le immunoglobuline, i marcatori enzimatici di funzionalità epatica, di funzionalità d’organo come la creatin-fosfochinasi, la colinesterasi, il lattico deidrogenasi, la fosfatasi alcaline ed acide, le transaminasi, l’amilasi. Si fa poi una valutazione ematologica dell’ematocrito, con eventuale formula leucocitaria, piastrine e misurazione della coagulazione. 2

Gli studi di tossicità cronica durano dai 3 ai 12 mesi. Prevedono tre livelli di dose: maggiore, minore e intermedia. La maggiore deve dare segni di tossicità e non di morte. La minore ben tollerata se possibile è da 2 a 10 volte superiore a quella giornaliera prevista per l’uso terapeutico, la intermedia è la minima dose in grado di indurre il primo chiaro effetto tossico; dunque quando c’è il manifestarsi del primo effetto tossico si va dalla dose minima alla dose intermedia. La valutazione sulla tossicità riproduttiva prende in esame la fertilità, la morte fetale ed eventuali rischi di malformazioni fetali. In questo caso si fanno esami della funzione riproduttiva che devono mettere in rilievo su due specie animali, cioè ratti e conigli, modifiche della fertilità o procreazione anormale che non viene compiuta in senso fisiologico e naturale dovuta a danni dei gameti maschili e/o gameti femminili; interferenza con le fasi di pre-impianto e impianto del feto e del suo sviluppo, effetti tossici sull’embrione e sul feto. Negli studi di fertilità avviene la somministrazione durante e dopo l’accoppiamento; la valutazione, nel maschio e nella femmina, della funzione riproduttiva ovvero della funzionalità gonadica, del comportamento di accoppiamento, degli indici di fertilità e dell’analisi dei primi stadi di gestazione. Gli studi di teratogenesi sono molto importanti infatti se ne parla molto quando si parla di farmaco e di gravidanza. In essi la somministrazione alla madre avviene durante il periodo dell’organogenesi per determinare l’embriotossicità e la capacità di indurre in seguito delle malformazioni scheletriche, di organi e di apparati. Tutto si basa sulle cellule, che compongono scheletri, organi, tessuti e apparati. Poi ci sono gli studi di tossicità peri- e post-natale per valutare gli effetti durante l’ultima finestra temporale che è l’ultimo trimestre di gravidanza e la lattazione. Inoltre, si svolgono gli studi di sviluppo fetale tardivo, allattamento e svezzamento. La FASE I è la fase di pre-impianto. In questa fase vi sono 14 giorni di somministrazione per coprire l’arco temporale dell’ovulazione e si valuta l’eventuale morte fetale e l’aborto. La FASE II è la fase dell’organogenesi che va dalla 6° al 15° giorno dopo la fecondazione nel topo e dal 6° al 18° giorno dopo la fecondazione nel coniglio e si valutano le malformazioni. La FASE III è la fase embrionale e neonatale in cui si valutano l’ultimo quarto della gravidanza, l’allattamento, il ritardo, la crescita e i deficit funzionali. Nella tossicità in Fase I, è molto importante valutare la pubertà; inizia il trattamento che prosegue per 100 giorni, si verificano l’accoppiamento e la produzione della prima nidiata. Dopo 50 giorni inizia il trattamento degli F1 che prosegue per 120 giorni. Si accoppiano gli F1, producendo gli F2, quindi ci sarà lo svezzamento degli F2, ossia del secondo campione che verrà valutato nella misura del peso e, nell’eventualità di morte, verrà fatta sul campione la necroscopia e l’istopatologia. Ci sono anche altre prove che sono quelle della mutagenesi e della cancerogenicità. Queste ultime sono molto importanti in quanto registrano l’incidenza di tumori in tessuti specifici e/o maligni e un periodo di latenza prima della manifestazione. Si effettuano su due specie animali anche se viene preferito il ratto; si ha una somministrazione per la stessa via proposta poi per l’uomo; si deve fare una documentazione dell’assorbimento e delle somministrazioni giornaliere. Per quanto riguarda i gruppi sperimentali devono essere presi in esame almeno 100 animali di cui 50 maschi e 50 femmine, uno per ogni livello di dose e ci devono essere almeno tre tipi di dosaggi: la dose massima, la dose minima e la dose intermedia. In questo caso la dose massima deve esercitare almeno un minimo effetto tossico oppure una tossicità minima a livello di organo bersaglio, la dose minima deve essere pari al doppio o al triplo della dose terapeutica massima per l’uomo o della dose che produce un effetto farmacologico nell’animale, mentre la dose intermedia è la media geometrica fra la dose massima e la dose minima. Il periodo va da 18 mesi, nel caso del topo e del criceto, ai 24 mesi nel caso in cui il campione fosse il ratto. Gli obiettivi sono logicamente: studiare ed identificare la capacità di questa sostanza di indurre un tumore nell’animale e un possibile rischio per l’uomo. Sono richieste per nuove molecole ma particolarmente, per quelle appartenenti a determinate categorie molto importanti per cui devono essere valutate con attenzione perché il rischio di produrre tumori non deve esistere o 3

quanto meno deve essere un rischio talmente basso da non preoccupare durante lo studio. Devono esserci, anche in questo caso, molecole di una classe chimica che ha già dimostrato effetti cancerogeni rilevanti anche per l’uomo, la relazione struttura- attività che suggerisce un rischio cancerogeno, l’evidenza di lesioni neoplastiche negli studi di tossicità ripetuta, evidenze di positività nei test di mutagenesi, la ritenzione a lungo termine della molecola o dei suoi metaboliti in determinati organi. Le prove di mutagenesi sono test in vitro e in vivo e servono per valutare: l’induzione di mutazioni geniche, di danni cromosomici e/o genomici, di danni primari al DNA. Completano studi di cancerogenesi e di teratogenesi. L’ICH (International Council of Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use) fissa i termini delle prove di mutagenesi, garantendo che ogni composto sia esaminato in accordo con gli specifici razionali scientifici. La CEE (GU NC 238 del 5 novembre 1984) stabilisce che i test comprendano: un test di mutazione genica sui batteri, un test di mutazione genica in un sistema eucariotico in presenza o meno di induttori del metabolismo, un test di aberrazioni cromosomiche in colture di cellule di mammifero, un test in vivo di danno genetico di cui i più convalidati sono quelli a livello cromosomico, come il Mouse Spot Test. Ci sono anche altre prove che devono essere effettuate se si prevede l’utilizzo nei bambini e si chiamano prove di pediatria. Può essere necessario doverli eseguire nei ratti neonati. Normalmente, si preferisce avviare studi pediatrici, solo se in possesso di risultati abbastanza consistenti nell’adulto e in presenza di test completi di tossicità della riproduzione, della mutagenesi e della tossicità ripetuta. Esistono anche delle prove molto interessanti e importanti che sono le prove di immunogenicità che sono effettuate per valutare la capacità immunogenica e immunogenetica, ma anche la capacità allergizzante di un, oltre alla sua eventuale interferenza con il sistema immunitario. Dunque bisogna creare una risposta immunitaria non normale, non fisiologica, non coerente con quello che dovrebbe essere quel farmaco a un principio attivo oppure a molecole contenute all’interno del farmaco stesso. Studi di tollerabilità locale sono richiesti prima della sperimentazione clinica, se la via di somministrazione topica è rilevante per l’impiego nell’uomo o se si ritiene che la via endovenosa possa determinare lesioni. Da un punto di vista epidemiologico, la possibilità di un farmaco di esplicare manifestazioni avverse non è un evento raro: si calcola che le reazioni avverse siano dallo 0.1% sino al 3% la causa di ricoveri ospedalieri e che la tossicità severa epatica possa essere gravata da una mortalità pari al 10%. Ogni organo può essere bersaglio della reazione avversa da farmaco, con particolare riguardo al fegato, l’organo principale della metabolizzazione, e al rene. Per quanto riguarda il fegato, va ricordato che i farmaci subiscono un complesso meccanismo di catabolismo a livello degli epatociti che comprende i seguenti passaggi di biotrasformazione: l’ossidazione della sostanza, la coniugazione con diverse sostanze, il trasporto e l’eliminazione. Lo scopo di questi meccanismi è di rendere idrosolubili le sostanze chimiche, in modo tale da favorirne la loro eliminazione attraverso il rene. Se divenissero, invece, idrofobiche o lipofiliche sarebbe più complesso. La capacità del fegato di compiere queste biotrasformazioni è strettamente individuale; pertanto le caratteristiche genetiche, il peso corporeo, il sesso, l’assunzione contemporanea di altri farmaci, di droghe o anche di alimenti alterati, malattie epatiche croniche sono tutte delle variabili che vanno prese in considerazione quando si parla di effetti di tossicità. La più nota e potenzialmente severa manifestazione di tossicità si può verificare a livello epatico ed è nota con l’acronimo inglese di DILI (drug induced liver injury, cioè danno epatico indotto dai farmaci). La DILI è un tipo di danno che varia a seconda delle manifestazioni cliniche, per esempio possiamo avere: un danno citotossico diretto alle cellule epatiche, con aumento delle transaminasi, perciò a seguito di un esame di emocromo completo andremo a valutare le transaminasi; un danno colestatico, cioè che interessa la bile con conseguente aumento della 4

bilirubina e delle fosfatasi alcaline; la bile prodotta dal fegato viene riversata poi nella colecisti, che verrà poi riversata all’interno del duodeno in modo tale da partecipare alla digestione degli alimenti che devono essere digeriti nel tratto intestinale del tenue; oppure ci possono essere forme miste, sia da danno citotossico diretto che da danno colestatico. Il danno epatico può essere di entità diversa e manifestarsi con un incremento più o meno lieve degli enzimi ematici nel sangue, possono essere eventi leggermente più gravi fino a diventare eventi talmente gravi, che portano a una mortalità che può raggiungere anche il 10% dei casi. I sintomi a volte possono essere anche aspecifici che vuol dire che non sono specifici del danno d’organo epatico. Il danno epatico acuto può presentarsi con nausea, vomito, debolezza che sono sintomi abbastanza generici per quanto riguarda il nostro corpo perché non è che alla prima nausea o vomito dobbiamo pensare subito a un danno epatico, possono essere mille cause, però quando si parla di ittero e dolore addominale con emissione di urine scure già dovrebbe farci intuire qualcosa e se le feci sono chiare, ossia è poco presente la bile dovremmo avere già qualche indicazione. Il danno cronico a sua volta può giungere sino a quadri estremi di cirrosi epatica che è una condizione molto temibile o di scompenso epatico. Tra i farmaci più diffusi, e al tempo stesso spesso implicati nella genesi della DILI, possiamo annoverare il paracetamolo, che è una delle sostanze più utilizzate come antipiretico e antidolorifico. Un altro farmaco spesso implicato nella DILI è l’amoxicillina con acido clavulanico (meglio noto come Augmentin). Poiché Amoxicillina e acido clavulanico vengono spesso associati nel trattamento delle forme febbrili anche banali, il rischio di comparsa di DILI può essere elevato. Anche il rene è coinvolto nelle forme di danno d’organo dalla tossicità dei farmaci perché la biotrasformazione, che avviene sì nel fegato, aiuta a rendere più idrosolubili le sostanze chimiche affinché possano essere escrete anche attraverso il rene. Pertanto anche il rene in questo caso gode di un rischio di tossicità diretta o indiretta, ma anche più raramente imm...


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