Vasco Pratolini - riassunto PDF

Title Vasco Pratolini - riassunto
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università di Pisa
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Vasco Pratolini - riassunto per esame Letteratura italiana moderna e contemporanea...


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VASCO PRATOLINI VITA Vasco Pratolini nasce a Firenze il 19 ottobre 1913 da una famiglia di derivazione popolare. Il padre era cameriere di caffè, la madre sarta. I nonni erano entrambi contadini. A 5 anni rimase orfano di madre, morta dopo aver dato alla luce il secondo figlio: questo dramma pesò molto sulla coscienza dello scrittore e divenne motivo ricorrente dei suoi primi libri, fino alle pagine di Cronaca familiare (1947). Risposatosi il padre, Vasco va a vivere con la nonna materna. Stringe amicizie con i coetanei, frequenta piccole bande dedite a bravate più o meno incoscienti. Vasco imparò a leggere da solo, attraverso le lapidi delle vecchie case fiorentine e le tabelle delle strade. Il giovane si avvicina poi a letture sempre più impegnative, manifestando una indubbia fame di conoscenza. Aveva preso a scrivere racconti, quasi esclusivamente suggestionato dalle sue letture. Ma poi si accorse di mancare nelle nozioni scolastiche elementari, così, pur continuando a lavorare come vice portiere di albergo, come tipografo e infine come rappresentante di commercio, la sera prese a studiare e si diplomò in lingue francese. Quindi lasciò del tutto il lavoro per dedicarsi allo studio, frequentando l’Università come auditore e mantenendosi con la compilazione di tesi di laurea per conto di studenti pigri. Questa vita di povertà minò la salute del giovanissimo Vasco, che nei primi mesi del 1935 venne ricoverato per una malattia polmonare a Villa Bellaria, ad Arco di Trento. Qui lo scrittore conduce una vita tranquilla e senza affanni, costellata da lunghe passeggiate alla ricerca di documenti per i suoi racconti e di letture ordinate che metterà a frutto nelle prose Taccuino del convalescente, Gli uomini che si voltano, Diario di Villarosa, inseriti poi in Diario sentimentale. Nel 1936 venne dimesso da Villa Bellaria e tornò a Firenze, entrando in contatto con gli ambienti dell’Ermetismo, fondando con il poeta Alfonso Gatto la rivista “Campo di Marte”. Fu anche vicino al cosiddetto “fascismo di sinistra”, cioè a quei giovani che facevano capo alla rivista “Il Bargello” (tra cui Elio Vittorini) che auspicavano il ritorno del regime alla “purezza rivoluzionaria” delle origini e ad una politica sociale e antiborghese. Passò poi all’antifascismo militante, partecipando alla Resistenza, fino ad assumere la responsabilità di caposettore del Partito Comunista Italiano, con lo pseudonimo Rodolfo Casati, fino alla liberazione di Roma. Alcuni anni dopo raccoglierà queste esperienze politiche nel volume Il mio cuore a Ponte Milvio (1954). Nel dopoguerra fu giornalista e insegnante, ma si dedicò soprattutto alla scrittura (e all’attività di sceneggiatore cinematografico, collaborando alle sceneggiature di Paesà di Roberto Rossellini e di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti). Nel 1957 l’Accademia del Lincei (sviluppo delle scienze) gli conferì il Premio Antonio Feltrinelli per l’insieme della sua opera narrativa. OPERE I suoi esordi si collocano nel clima ermetico, con prose autobiografiche e di memoria (Il tappeto verde,1941; Via de’ Magazzini, 1942), in cui però compare anche il motivo populistico negli ambienti proletari. Queste tendenze confluiscono nella prima opera veramente significativa: Il quartiere (1944), in cui viene rappresentata

la vita di un quartiere popolare fiorentino. Questa tendenza prosegue poi con Cronaca familiare (1947), in cui viene evocata la figura del fratello morto giovane. Su una diversa linea si colloca invece Cronache di poveri amanti (1947, Premio Libera Stampa), che affronta la via del realismo, con la ricostruzione dell’ambiente sociale di una strada popolare di Firenze, un piccolo mondo che viene però collocato su uno sfondo storico, quello della prima affermazione del fascismo. Dopo il fallimento del romanzo Un eroe del nostro tempo (1949), Pratolini decise di ampliare gli orizzonti della sua narrativa, passando dal campo limitato del quartiere alla vita nazionale. Concepì una trilogia di romanzi, intitolata Una storia italiana, che doveva abbracciare gli anni tra fine 800 e il secondo dopoguerra. Il primo romanzo, Metello (1955), ricostruisce le lotte e le conquiste operaie negli ultimi decenni del secolo attraverso le vicende di un giovane muratore. È un romanzo che guarda ai modelli del realismo dell’800 e si rifà ad una ideologia di sinistra molto ottimista, fiduciosa nel progresso del proletariato. Il secondo romanzo, Lo scialo (1960), abbandona il mondo operaio e si concentra sulla borghesia, descrivendo lo sfacelo morale di questa classe nel periodo fascista. All’ideologia positiva si sostituisce un atteggiamento critico e negativo, all’impianto narrativo tradizionale una struttura più inquieta, che risente delle esperienze novecentesche. Il ciclo venne interrotto nel 1963 dal romanzo La costanza della ragione, storia di un’educazione attraverso cui il protagonista, un operaio, raggiunge la “costanza della ragione” del titolo. Il ciclo fu ripreso e si compì con Allegoria e derisione (1966), storia di un intellettuale fra gli anni 30-50, delle sue contraddizioni e ambiguità, con una struttura narrativa antinaturalistica. METELLO Il romanzo, attraverso le esperienze del protagonista, un giovane muratore fiorentino, vuole offrire il quadro storico dell’avanzata del movimento operaio negli ultimi decenni dell’800. Metello Salani, figlio di un anarchico, rimasto orfano viene allevato in campagna. A 15 anni fugge e raggiunge Firenze, dove trova lavoro prima come manovale poi come muratore. La sua è innanzitutto la storia di un’educazione politica: Metello di avvicina inizialmente all’anarchia, in seguito al socialismo, e matura nelle esperienze di lavoro e nella lotta di classe. Il momento culminante del romanzo è il lungo sciopero indetto dai muratori fiorentini nel 1902 per ottenere miglioramenti delle loro condizioni di vita. Alle vicende pubbliche si intrecciano quelle private del protagonista. Metello è un giovane dalla forte sensualità: la sua prima educazione sentimentale avviene con Viola, donna più vecchia di lui e di estrazione borghese; poi sposa Ersilia, ragazza serena e forte che lo sostiene nelle difficoltà e nelle lotte. Uno sbandamento è segnato dalla relazione intrecciata con Idina, una vicina di casa, che lo allontana non solo dalla moglie ma anche dallo sciopero, e in un momento cruciale, lo scontro tra scioperanti e crumiri (lavoratori che non aderiscono allo sciopero); ma Metello si ravvede in tempo e prende il suo posto tra gli scioperanti. Lo sciopero ha un epilogo tragico, poiché polizia e soldati sparano sugli operai, uccidendone uno; ma proprio questo episodio segna una conquista storica per il proletariato. Metello tuttavia finisce in carcere; quando esce, riprende più serenamente la sua vita con Ersilia.

Metello è un importante romanzo poiché riassume in sé la poetica del Neorealismo e l’ideologia del populismo, dominante in quel periodo. Nel 1955, data di uscita, si accese un dibattito tra chi vi scorgeva la realizzazione più significativa di un nuovo realismo e chi vi individuava forti residui di intimismo e sentimentalismo. Il suo impianto mira a costruire un quadro storico attraverso figure e vicende “tipiche”: i personaggi vogliono essere compiutamente delineati nella loro fisionomia individuale, ma, attraverso un preciso collocamento storico, puntano a divenire rappresentanti di tutta una classe, a fornire il quadro completo di una società. Lo scrittore vuole rispondere alle esigenze di una letteratura nazional-popolare; in realtà, restano in Metello residui di populismo e sentimentalismo. Riproduce moduli di narrazione molto tradizionali: il racconto in terza persona, un narratore eterodiegetico ed onnisciente che guarda i fatti dall’esterno e interviene sul narrato con riflessioni, giudizi, spiegazioni, anticipazioni del futuro, analisi degli stati d’animo dei personaggi. Vasco Pratolini è iscrivibile su indicazione critica di Gianfranco Contini ad un filone toscano della nostra letteratura contemporanea che affonda le radici in Federico Tozzi, lo scrittore regionale toscano per antonomasia. Ovviamente nel regionalismo tozziano c’era molto l’eco del regionalismo verghiano e in qualche modo Verga attraverso Tozzi passa nella scrittura di Pratolini come maestro di questa nuova forma di adesione al reale. Se Verga predicava l’ideale dell’attaccamento allo scoglio, del non allontanarsi da Trezza perché chi si allontana da Trezza finiva male, Pratolini rideclina questo ideale con un radicamento o nella realtà campagnola che già Tozzi aveva narrato o nel radicamento nel quartiere. Dal quartiere non ci si deve muovere. Ovviamente di Verga cosa è venuto meno nel Neorealismo? L’impersonalità. Perché sarebbe in contraddizione con l’impegno politico dello scrittore, con l’engagement che invece caratterizza il Neorealismo. La regressione, il ritorno indietro, sono sicuramente retaggi decadenti più che parte di una cultura progressista quale è quella neorealista. Ma del resto ci dobbiamo abituare a leggere l’interno Neorealismo non come una corrente pura, rispondente in assoluto ai dettami che i Neorealisti si erano dati, ma una corrente costantemente contaminata da influssi e ascendenze altre. In Pratolini perché possiamo parlare di un Neorealismo contaminato? Qui è contaminato da una forte componente autobiografica. L’ambiente culturale fiorentino di inizio secolo era quello delle riviste, de La Voce, dell’intimismo lirico. Ed era anche il periodo della contaminazione tra prosa e poesia, le “prose brevi di ispirazione lirica”. Pratolini risente fortemente di questo ambiente rivistaiolo che anima il mondo toscano e infatti a propria volta sarà animatore culturale, animatore di riviste. Dagli ermetici desume la vocazione al lirismo e all’intimismo. Al centro della sua ispirazione dunque la vocazione autobiografica, una vocazione intimista che sembra molto poco neorealista, perché intimismo e Neorealismo non suonano bene insieme. Che tipo di autobiografia frequenta Vasco Pratolini? Un’ampia gamma, dall’autobiografia privata in un testo come Cronaca familiare (già dal titolo: cronaca =racconto quotidiano e familiare), un suo dialogo ideale con un suo fratello che poi muore. Tappe della sua carriera:  Una prima fase: il romanzo Il quartiere del 1944; è un romanzo di stampo

verghiano, già si vede dal titolo: l’ostrica, lo scoglio, il quartiere. Un luogo chiuso e un mondo ristretto proprio come quello di Verga, i Malavoglia non potevano neanche arrivare ad Ognina, Ognina sembrava il superamento delle colonne d’Ercole. Anche nel Quartiere di Pratolini ci sono dei protagonisti in negativi che si perdono esattamente come ‘Ntoni e Lia, cioè coloro che escono fuori dal sistema dell’ostrica. C’è infatti uno dei personaggi che finisce per commettere un omicidio durante una rapina: immaginiamo ‘Ntoni che si dà al contrabbando, entra poi nella malavita e si perde. C’è anche un altro personaggio che sente la propaganda del regime e si arruola per andare in Abissinia e lì muore, così com’era morto in battaglia ne I Malavoglia Luca, che se n’era andato ma chi si allontana il mondo se lo mangia e Luca muore in battaglia. Eppure non siamo più nel tardo Ottocento verghiano: qui siamo nell’ambito di una cultura progressista, non ci può essere più l’immobilismo predicato da Verga e infatti abbiamo un cambiamento interno al quartiere (l’ottimismo neorealista). Nell’epigrafe del romanzo infatti noi troviamo dei versi che conosciamo benissimo: “codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Un’epigrafe di Pratolini tratta dagli Ossi di seppia di Eugenio Montale. Nel riuso dei versi montaliani cosa sta dicendo Pratolini? Stiamo cambiando nel quartiere, quello che possiamo dirti è ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. In quest’epigrafe è insita una metamorfosi di coloro che vivono all’interno del quartiere.  Subito dopo la guerra per Pratolini viene il periodo delle cronache: Cronaca familiare e Cronache di poveri amanti, testo più vicino al Neorealismo propriamente inteso perché c’è anche una vena esplicita di antifascismo. Ma per Pratolini comincia a profilarsi una svolta di poetica tesa a sovvertire le istanze di base del Neorealismo.  In tutti i testi neorealisti, semineorealisti, neorealisti a posteriori, ecc, in tutta questa galassia neorealista c’è una costante: sono testi che raccontano del presente. Il Neorealismo denuncia la situazione presente. Vasco Pratolini si comincia a chiedere tuttavia, siamo già nel dopoguerra, il fascismo è finito… ha senso continuare a raccontare l’epopea della resistenza e dell’antifascismo come un disco rotto? Senza chiedersi come la nazione sia arrivata a quello? Detto in parole povere: continuando a pestare sempre nello stesso mortaio, a raccontare che era bello essere antifascisti e che cosa è avvenuto negli anni della Resistenza, in fondo non avviene una reale elaborazione di quello che era avvenuto. Perché dice Pratolini non si va alle radici di quello che era avvenuto. Allora immagina che continuare a raccontare il presente come faceva la poetica neorealista possa diventare un limite dello stesso Neorealismo: un confinarsi del Neorealismo nel cronachismo, in una lettura superficiale del reale. Del resto lui stesso aveva intitolato due suoi romanzi con la parola “cronaca”. Il tentativo di far sì che questa nuova scrittura del reale potesse passare dalla cronaca alla storia. Pratolini mette dunque in cantiere il suo più articolato progetto romanzesco, intitolato Una storia italiana: storia, appunto. Abbandona quindi anche lessicalmente l’intitolazione alla cronaca e passa a scrivere una storia italiana. Ritornare indietro e fare storia, che è una forma di memorialismo ma di un memorialismo non più nostalgico ma costruttivo, un ritornare indietro con la memoria che serva a capire meglio il presente. Una storia italiana non è un romanzo, è una trilogia di romanzi, perché per fare storia ci vuole l’estensione narrativa. Questi romanzi sono Metello, Lo scialo e Allegoria e derisione.

Metello Racconta la storia di un operaio al tempo dei primi scioperi, delle prime organizzazioni di coscienza collettiva di classe da parte degli operai, l’ambientazione è dunque tra il 1875 e i primissimi anni del 1900. Quindi ci troviamo davanti ad un romanzo neorealista che racconta una storia del tardo Ottocento: un inedito assoluto per la letteratura neorealista. Ma perché è neorealista? Perché guarda a quella realtà in modo impegnato, quindi secondo i dettami della poetica neorealista. Lo scialo Secondo romanzo, ha per protagonista un giovane che si chiama Giovanni Corsini (quindi si chiama in un altro modo, non è lo stesso Metello del primo romanzo) ed è ambientato tra il 1910 e l’ascesa del fascismo. Chi è Giovanni Corsini? Un piccolo borghese che si adegua all’ascesa del fascismo perché lo ritiene una forza progressista. Quindi: lui perché voleva fare storia e non più cronaca? Perché non aveva senso parlare sempre dell’antifascismo ma piuttosto cercare di capire come si era arrivati alla scelta del fascismo. Come ci si era arrivati? Dalla volontà di protesta dei giovani operai che desiderano un rinnovamento di classe socialista e che si erano illusi che si potesse attuare con la marcia su Roma che in origine aveva delle scaturigini socialiste: Mussolini da là veniva. Quindi c’è una voglia di rinnovamento che porta al terzo romanzo. Allegoria e derisione Protagonista si chiama Valerio abbiamo detto, come i protagonisti dei primi romanzi di Pratolini. Chi è Valerio? Valerio è un giovane fascista di sinistra che a poco a poco ha capito che il fascismo non era la strada e dal fascismo di sinistra passa al comunismo, partecipa alla Resistenza, viene poi sospeso dal Partito per un legame amoroso con una certa Francesca, sospettata di avere fatto il doppio gioco tra repubblichini e partigiani (un po’ come quella Santina che si racconta venne poi uccisa e bruciata alla fine de La luna e i falò di Cesare Pavese). Valerio Marsini, protagonista di Allegoria e derisione, è dunque un borghese, un intellettuale che proprio perché intellettuale ha attraversato con una consapevolezza politica tutto questo percorso intellettuale che lo ha portato da Mussolini a Karl Marx, salvo poi a subire l’espulsione da quel Partito Comunista nel quale aveva creduto. È raccontato da un’epoca in cui tutti questi fatti sono già avvenuti: quindi ha un impianto memorialistico! Valerio Marsini ricorda ad episodi tutte queste tappe della sua esistenza. Dal 1935 cioè immediatamente prima dell’inizio della guerra civile spagnola, quando lui ancora si crogiola nell’idea del fascismo di sinistra, poi la disillusione, l’iscrizione al Partito Comunista....


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