Contesti educativi inclusivi PDF

Title Contesti educativi inclusivi
Author Giulia Bardasi
Course Pedagogia speciale per l'inclusione
Institution Università di Bologna
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Contesti educativi inclusivi, Teorie e pratiche per la prima infanzia di Elena Malaguti...


Description

Contesti educativi inclusivi Teorie e pratiche per la prima infanzia Introduzione •

Maria Montessori → Percorso sensomotorio basato sull’educazione, che è l’inizio dei processi moderni di inclusione educativa (che intrecciano dimensioni cliniche con quelle educative, didattiche e pedagogiche). Crea spazi a misura di bambino/a dove quest’ultimo si possa muovere.



Pedagogia speciale moderna si fonda sull’intreccio fra: - Caratteristiche peculiari del bambino/a - Funzione educativa che, al tempo stesso, emerge dai contesti ed è praticata nei contesti e viene, dunque, parzialmente determinata da essi.



Dall’ineducabilità di alcuni all’educabilità per tutti e per ciascuno: traiettoria dell’evoluzione della pedagogia speciale.



L’organizzazione e l’assetto dei contesti e le relazioni che si instaurano in essi, le modalità educative e le caratteristiche peculiari di ogni bambino/a non sono indipendenti, ma correlate; questa correlazione è la base del corpus teorico che guida le direzioni sottese all’educazione e alla didattica dell’inclusione.



Il processo evolutivo dell’essere umano è culturale, basato sulla comunicazione e quindi sul linguaggio.



In campo educativo, le relazioni che si instaurano e i mediatori (persone, dispositivi didattici e ausili) che vengono utilizzati corrispondono ai segnali che i bambini ricevono. Essi, se orientati e finalizzati, possono stimolare l’apparato percettivo e sostenere lo sviluppo dell’identità. → Ruolo attivo ed innovativo delle scienze dell’educazione



Le modalità in cui possono migliorare i processi di apprendimento e le relazioni dipendono dal profilo di funzionamento di ciascun bambino/a . Questo profilo di funzionamento può essere analizzato attraverso un attento percorso di osservazione, abilitazione ed educazione mirata che, se praticato fin dalla primissima infanzia, può migliorare in grande misura la qualità di vita della persona e della sua famiglia. → Se si vuole intraprendere azioni educative di tipo inclusivo sono indispensabili percorsi di formazione mirata, la definizione di modelli e assetti specifici che non coincidono con la riabilitazione.



L’ottica dell’educazione inclusiva nasce in relazione ai fondamenti democratici dell’educazione e, quindi, è legata a contesti eterogenei uniti da principi comuni. E’ importante, quindi, trovare le modalità più opportune per rispondere anche a specifiche necessità di apprendimento ponendo attenzione ai contesti, alle metodologie, agli strumenti e alle relazioni. La qualità di esse è legata anche ai processi di socializzazione. Queste considerazioni assumono particolare importanza alla luce dell’osservazione e della conoscenza globale intese come obiettivi legati anche ai moderni studi sulle neuroscienze che permettono di migliorare i modi finora utilizzati per comprendere i molteplici funzionamenti umani e per intervenire in caso di compromissioni, limiti, disabilità.



E’ necessario anche trovare modi per alzare il livello culturale fin dalla prima infanzia attribuendo nuovi significati ai mediatori didattici (letteratura, arte, danza, musica, teatro) ponendo particolare attenzione alle loro radici storiche.

➢ L’educazione inclusiva, in questo senso, è un progetto che mira a costruire appartenenze e comunità educative e sociali accoglienti. Questo processo si scontra con istinti e abitudini e richiede, quindi, lo sforzo di innescare curiosità e motivazioni nuove capaci di incoraggiare ad attuare delle trasformazioni trasmettendo un senso del proprio essere e agire nel mondo basato sulla speranza.

1.

Inclusione e contesti educativi inclusivi



L’educazione comporta la capacità di intessere relazioni di fiducia, con l’obiettivo di promuovere competenze, autonomie, legami di prossimità e accettazione delle differenze. Prendersi cura di un bambino o di una bambina piccola in primo luogo significa acquisire la capacità di accogliere, di conoscere e interagire con i suoi sistemi di riferimento: affettivi, relazionali, sociali, culturali, economici. In secondo luogo, richiede la predisposizione di pratiche che siano coerenti con i valori dell’intervento educativo finalizzato all’inclusione e che riconoscano la pluralità delle infanzie e delle famiglie.



La disabilità è una condizione che interessa circa il 15% della popolazione mondiale, la cui maggior parte è concentrata nei Paesi a reddito più basso. Circa 1/5 di questa percentuale è costretto ad affrontare difficoltà spesso molto significative nella vita di tutti i giorni. Tra i problemi più in evidenza, al primo posto vi è la discriminazione, unitamente alla mancata assistenza sanitaria, riabilitativa, alla presenza di molteplici barriere architettoniche (trasporti pubblici, edifici e tecnologia informativa inaccessibile). La vita di una persona con disabilità si caratterizza per una salute generalmente più precaria rispetto alla media, scarse possibilità formative e professionali, povertà e un livello di istruzione minore proprio per le difficoltà di accesso agli studi superiori e, in generale, ai servizi educativi.



Dati complessivi dimostrano, inoltre, che le percentuali di lavoro sono più basse per uomini e donne disabili a fronte di uomini e donne non disabili.



La natura stessa della disabilità fa sì che il mondo legato ad essa, si sia modificato sostanzialmente in rapporto con le profonde trasformazioni che hanno coinvolto il mondo. Le direzioni in cui gli organismi internazionali si muovono rispetto alla disabilità sono sostanzialmente due: una è l’accessibilità lavorativa, abitativa, sanitaria, sociale, relazionale e culturale; la seconda è l’avvio di programmi di natura inclusiva fin dalla primissima infanzia. L’intreccio tra le due dimensioni favorisce l’acquisizione di una visione globale ed evolutiva rispetto all’intero arco del ciclo di vita della persona con disabilità.

1.2. – L’ottica dell’educazione inclusiva •

L’inclusione fonda le sue radici su un presupposto epistemologico (che riguarda la logica della conoscenza) che: - mira a eliminare ogni forma di segregazione, di illegalità, di violenza, di esclusione sociale, istituzionale ed educativa; - sposta l’attenzione non solo sul singolo, ma sulla trasformazione dei contesti; - richiama l’attenzione su una riflessione rispetto a quale ruolo si attribuisce alla cultura e alla strutturazione dei diversi sistemi (contesti sociali, scuola, servizi, istituzioni, ecc.) nel loro rapporto con la vita delle persone.



La prospettiva inclusiva vuole superare l’impostazione adattiva e quella compensativa e di fare piuttosto corrispondere i sistemi alle differenze di tutti.



Il riconoscimento reale del valore positivo delle differenze si deve riflettere nell’organizzazione concreta dei contesti, dei contenuti pedagogici, delle metodologie e degli strumenti, anche di quelli di verifica e valutazione. E’ importante anche ripensare la concretezza delle organizzazioni affinchè i gruppi, storicamente a rischio di marginalità e discriminazione, possano partecipare e rappresentarsi nei processi decisionali.

1.2.1. – Inclusione o integrazione •

La disomogeneità tuttora presente nell’approccio alle problematiche educative inerenti la disabilità e la prevalenza di modalità, ancora presenti, di esclusione, inserimento, integrazione potrebbero far pensare che il confronto fra i presupposti teorici di inclusione e integrazione sia un esercizio retorico e ideologico.



La messa in atto del processo inclusivo comporta: - l’utilizzo di strumenti di verifica e valutazione multidimensionali che mettano al centro dell’analisi la struttura delle organizzazioni (enunciati, spazi, tempi, metodologie, materiali, linguaggi); - la natura delle pratiche educative, di insegnamento/apprendimento; - il loro svolgersi nelle interazioni con le differenze presenti nei contesti e che investono la vita dei cittadini.



L’attenzione è posta sulla trasformazione dei contesti per creare le condizioni che permettano di promuovere partecipazione, diritto all’educazione, cittadinanza attiva e processi di autodeterminazione.



L’integrazione, secondo i Disability Studies, fa riferimento alla categoria abilista (punto di vista delle persone non disabili) legata alla norma ed è praticata in riferimento al singolo attribuendo alla persona (non al contesto) la causa della disabilità. L’inclusione, invece, fonda la sua strutturazione sulla partecipazione di tutti in una chiave che non è né adattativa né compensatoria riflettendo, invece, sul ruolo disabilitante dei contesti e delle relazioni che li caratterizzano mettendo in discussione i costrutti del modello medico quali adattamento, compensazione e normalizzazione. Anche il principio dell’uguaglianza di opportunità,

qualora venga interpretato come semplice possibilità di accesso alle esperienze, va considerato criticamente secondo una prospettiva inclusiva. 1.2.2. – Integrazione, inclusione in Italia: prospettive evolutive •

Il processo di integrazione in Italia, fin dalla sua origine, ha assunto uno sguardo prevalentemente sociale veicolando un concetto di disabilità che definisce le cause non solo in determinanti biologiche e/o di natura personale, ma anche contestuali e sociali.



Nel settore della pedagogia e didattica speciale, il processo di integrazione ha fondato i suoi presupposti su un modello pedagogico e didattico, che teneva in considerazione sia la persona sia i contesti di apprendimento, oltre che le metodologie e gli strumenti atti a migliorare i processi di apprendimento del singolo, in interazione dinamica con i coetanei. In questo senso, Dominique Mautuit ha sottolineato l’importanza di considerare nelle situazioni di handicap:

1) la persona e il suo deficit; 2) il contesto e gli ostacoli che pone; 3) le relazioni d’aiuto necessarie per superarle. Mautuit parte dalla scoperta delle capacità della persona disabile per focalizzare l’attenzione non sui sintomi, ma sulla valorizzazione delle sue risorse e potenzialità (saper fare) attraverso ausili appropriati (saper fare se) al fine di favorire un processo educativo integrato tra persone disabili e non disabili. •

L’integrazione intesa secondo il modello italiano è stata riferita ad un processo attivo che, per realizzarsi, avrebbe dovuto coinvolgere tutti i componenti di un gruppo e tutti gli elementi di un dato contesto. Al bambino con disabilità, secondo la prospettiva coevolutiva, non era richiesto un adeguamento a un modello di normalità prestabilito, ma di costruirsi attraverso soluzioni personali la propria autonomia, la propria identità in relazione all’ambiente biologico e sociale: il bambino, cioè, non struttura la sua identità nonostante l’handicap, ma in relazione ad esso (handicap).



Lo sfondo costante delle attività del singolo è il gruppo e, quindi, la possibilità di partecipare al gruppo, inteso come contesto di mediazione dei conflitti, è un obiettivo fondamentale da raggiungere.



Secondo l’orientamento italiano il modello medico e quello sociale interagiscono per ridurre le situazioni di handicap e promuovere autonomia (visione positiva della disabilità).



Nonostante gli ingenti sforzi compiuti in Italia nel sottolineare che la disabilità è l’esito di una interazione dinamica, pluridirezionale e complessa. La normativa (legge 5 febbraio 1992 n. 104) organizza in modo organico un quadro legale disomogeneo, ma si fonda su un modello medico in cui la definizione di disabilità promuove una visione di essa che è lineare e causale, come nella biomedicina. Questo paradigma ha fondato le certificazioni e la progettazione educativa sottoponendosi, però, a due rischi: a) alimentare, utilizzando uno sguardo biomedico individuale rappresentazioni sociali e culturali dei disabili come persone solo diminuite e incapaci (stereotipi);

b) relativo a un’impostazione metodologica fondata sulla patologia che pone l’attenzione solo su ciò che non funziona e non sulle potenzialità della persona e del contesto e, non facendolo, mette in campo approcci solo compensativi. •

La pedagogia e didattica speciale aderisce a una prospettiva che sottolinea la suscettibilità educativo-trasformativa dell’individuo, pur in presenza di limitazioni, nell’arco dell’intera vita (percorso aperto finchè si è vivi). In questo senso, il passaggio dal termine integrazione al termine inclusione costituisce un segnale indicatore del fatto che si tratta di due approcci differenti non reciprocamente esclusivi, ma che hanno radici diverse.



L’educazione inclusiva propone un modello che prevede l’utilizzo di metodologie e strumenti di didattica capaci di rispondere, di base, alle istanze di tutti i singoli studenti, anche di quelli con disabilità. Da questo punto di vista, si dovrebbe prefigurare anche un’evoluzione del profilo professionale dell’insegnante specializzato per il sostegno. Esso non si riferirà più e solo al singolo, ma dovrà anche predisporre, in collaborazione con i colleghi, ambienti di apprendimento che utilizzino metodologie e strumenti capaci di rispondere ai molteplici profili di apprendimento del gruppo all’interno del quale si opera. La sfida che dovrà essere colta è quella di accompagnare i nuovi costrutti emergenti attraverso efficaci pratiche didattiche e formative, basate su evidenze, trasformative dei contesti e generative di evoluzioni.

1.3. – L’ottica del diritto •

L’approvazione della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006) è un evento storico che impegna gli Stati sui diritti delle persone con disabilità, abbandonando definitivamente la visione della non abilità come malattia. La Convezione riconosce che le persone con disabilità sono discriminate e hanno mancanza di pari opportunità a causa dei pregiudizi, delle barriere che la società oppone, limitando o impedendo la piena partecipazione attiva alla società. Un altro documento fondante è la Carta europea dei diritti fondamentali nella quale l’Unione Europea riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.



Con l’approvazione delle Legge 3 marzo 2009 n. 18 → l’Italia si è assunta l’impegno di adottare tutti gli atti, le azioni, e le politiche necessari per un deciso cambio di strategia nell’affrontare le tematiche della disabilità nel segno della Convezione ONU che procede attraverso la valorizzazione delle differenze e del pluralismo superando il concetto di soggetto normodotato come riferimento per quanto riguarda i diritti umani.

1.4. – L’ottica della salute •

Anche nell’ambito della riabilitazione e della salute sono presenti notevoli cambiamenti che spostano l’asse da una prospettiva biomedica a individuale e una biopsicosociale. Secondo questa ottica la disabilità viene descritta come una condizione generale che può risultare dalla relazione complessa tra la condizione di salute della persona e i fattori contestuali che rappresentano le circostanze in cui si vive.

La disabilità come categoria assume maggiore chiarezza se la si definisce attraverso la prospettiva di conoscenza del funzionamento umano, l’organizzazione dei contesti e dei servizi e il ruolo svolto dai sostegni. L’attenzione viene posta sul ruolo che i sostegni individualizzati possono giocare per migliorare il funzionamento della persona, sugli esiti della ricerca scientifica e sulla comprensione dei presupposti che animano i principali movimenti in favore delle persone con disabilità. 1.5. – L’ottica del Design for All •

Si tratta del design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. Essa rappresenta un orientamento di pensiero e, in parte, una risposta concreta e specialistica alla realizzazione di ambienti accessibili. La progettazione universale non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità, ove siano necessari, ma propone un paradigma che deriva dall’incrocio tra un design accessibile, l’abbattimento delle barriere e l’utilizzo di tecnologie assistive.



Il concetto di progettazione accessibile che ha caratterizzato il secolo scorso e in molti luoghi lo caratterizza ancora oggi, si è basato sul concetto di integrazione e sul diritto di accessibilità per le persone con disabilità. Oggi, invece, dovrebbe orientarsi a una progettazione estesa non adattata solo ad alcuni soggetti, ma concepita per essere accessibile a tutti comprese le persone con disabilità.

1.6 - Conclusioni •

A partire da un’intervista sul Design for All, la madre di un ragazzo autistico parla dell’inclusione mettendo in evidenza come, chiedere inclusione, non significhi accontentarsi della buona volontà o del buon cuore, ma pretendere competenze e capacità con l’obiettivo di ottenere pari diritti e pari dignità (cosa che, a suo giudizio, è ancora oggi problematica). L’intervistata sostiene che oggi è ancora un’utopia l’idea che qualsiasi professionista che abbia a che fare con il pubblico sia in grado di interagire correttamente con tutti. Al centro, infatti, dovrebbero esserci le persone, le loro identità plurali, ma purtroppo al centro invece ci sono, spesso, delle rappresentazioni stereotipate elaborate dall’esterno. La relazione tra persona autistica e non autistica dovrebbe essere caratterizzata da ruoli interscambiabili in cui entrambi imparano, danno e ricevono, ma spesso manca la reciprocità.



La prospettiva inclusiva indica una direzione che sposta l’asse da un paradigma di riferimento sotteso alla disabilità, di matrice assistenziale e sanitaria, a uno fondato sui diritti e l’educazione. Significa rovesciare i termini rispetto ai contesti: non più come contenitori che difendono la normalità dalle intrusioni delle anomalie, ma quali luoghi per costruire nuove reti (o verificare quelle esistenti) per capirne i vincoli e comprendere quanto possa essere costruttivo ricercare forme di comunicazione. L’educazione inclusiva non riguarda il singolo bambino e il suo limite, ma contempla una visione globale e anche la sua piena partecipazione nei contesti di vita reale.

2. Educazione inclusiva nella prima infanzia e prospettive evolutive 2.1. – Orientare gli sguardi Ci sono due processi (che riguardano il modo di guardare i bambini) che spesso si confondono e sono: -

Il processo di umanizzazione ritiene che l’intelligenza sia in continuo adattamento e avvia pratiche coevolutive; Il processo di disumanizzazione riduce l’individuo a un dato, non suscettibile di cambiamenti, perdendo di vista la specifica originalità e peculiarità della persona e del contesto culturale, sociale e familiare che lo caratterizza.

Secondo le indicazioni contemporanee, i principi sottesi alla prospettiva dell’educazione inclusiva nella prima infanzia, definita Inclusive Early Childhood Education (IECE), intrecciano il piano desunto da esiti delle ricerche, il piano della pratica educativa degli operatori (cosa gli operatori hanno imparato a fare al di là di ciò che c’è scritto nei libri), con il piano dell’expertise (risorse e abilità) dei bambini e delle famiglie. 2.2. – Il dibattito intorno all’Evidence Based Practice •

L’espressione early childhood indica il periodo di vita incluso tra il concepimento e il compimento dell’ottavo anno di vita che viene considerato il periodo maggiormente intenso dello sviluppo cerebrale e delicato dello sviluppo umano. Questa idea è un po’ messa in discussione dalla logica secondo la quale l’apprendimento può proseguire con metodologie e ausili specifici durante tutta la vita ...


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