Diritto del lavoro dell\'Unione Europea Roccella & Treu PDF

Title Diritto del lavoro dell\'Unione Europea Roccella & Treu
Course Diritto del lavoro nell'unione europea
Institution Università degli Studi di Catania
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Diritto del lavoro dell'Unione Europea Roccella & Treu...


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DIRITTO DEL LAVORO DELL’UNIONE EUROPEA Di Roccella, Treu – VI edizione

CAPITOLO 1 – Principi ispiratori ed evoluzione storica delle politiche comunitarie Le motivazioni e le indicazioni fondamentali dei trattati comunitari sono economiche e riguardano solo indirettamente i problemi del lavoro, perché c’era una radicata fiducia nelle capacità spontanee del grande mercato unificato (fondato sulla concorrenza) di promuovere e favorire l’armonizzazione dei sistemi sociali, così come affermato dall’art. 117 del trattato di Roma. Un’impostazione simile era già presente nel Trattato CECA di Parigi, il quale costituisce il primo mercato unificato nei settori del carbone e dell’acciaio, evidenziando agli artt. 2 e 3 affermazioni di rilievo sociale con alcuni obiettivi:  incremento dell’occupazione;  miglioramento del tenore di vita negli stati membri;  attribuzione alle autorità CECA della promozione del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera nelle industrie del settore. Tali enunciazioni non sono avvalorate da strumenti normativi: anzi, il Trattato esclude ogni competenza sovranazionale in materia sociale. Gli interventi sociali più significativi previsti riguardano la riconversione professionale e il riadattamento dei lavoratori investiti dalle crisi aziendali e dalle ristrutturazioni conseguenti al mercato unico. Gli artt. 46 e 45 autorizzano l’elaborazione e il finanziamento di programmi di creazione di nuove attività economicamente sane al fine di reimpiegare la manodopera: questo è un potere non presente nel trattato CEE. Altro principio importante, rafforzato poi dal Trattato di Roma, è quello del libero accesso alle occupazioni nei due settori senza discriminazione di nazionalità per i lavoratori in possesso di una qualificazione professionale confermata. Nel Trattato istitutivo dell’EURATOM si trovano principi analoghi. Anche il Trattato di Roma del 1957 mostra il carattere derivato della dimensione sociale. In ogni caso, rilevano in particolar modo le seguenti norme:  Art. 117: Gli Stati membri convengono sulla necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che consenta la loro parificazione nel progresso. Tale miglioramento discenderà dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l’armonizzazione dei sistemi sociali.

2  Art. 3: L’azione della Comunità comporta il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune.  Art. 100: Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, stabilisce direttive volte al riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune. In questo quadro vanno lette le singole disposizioni del Trattato concernenti gli aspetti sociali, le quali sono gli artt. 48-51 sulla libera circolazione dei lavoratori, l’art. 100 sull’avvicinamento delle normative nazionali, gli artt. 117–122 che sono le disposizioni sociali in senso proprio, l’art. 128 sulla formazione professionale e gli artt. 193–198 sul comitato economico sociale. I contenuti di queste norme possono raccogliersi in 2 filoni:  Politiche di sostegno dell’impiego e di regolazione del mercato del lavoro: questo filone riguarda 3 gruppi di norme, riguardanti:  “libera circolazione della manodopera”: è sostenuta al fine di favorire i flussi migratori dai paesi con disoccupazione strutturale (tra cui l’Italia) verso i paesi che presentavano tensioni sul mercato del lavoro (Belgio, Olanda e Lussemburgo). In questo modo si realizza una politica dell’impiego che riflette l’idea secondo cui l’allargamento dei mercati, tra i quali anche quello del lavoro, favorisce l’espansione e la redistribuzione dell’occupazione utile.  “Fondo sociale”: è stato istituito sulla base dell’idea che la mobilità dei lavoratori richiede politiche di adeguamento formativo alle richieste esistenti nei vari paesi. Per questo motivo, sostiene le iniziative nazionali dirette a far conseguire ai lavoratori in cerca di impiego le professionalità richieste, agevolandone le riconversione professionale e lo spostamento sul territorio.  “formazione professionale”: l’art. 128 ne prevede la sua attuazione al fine di contribuire allo sviluppo sia delle economie nazionali sia del mercato comune.  Armonizzazione delle normative sociali dei Paesi membri: questo filone si pone come obiettivo la parificazione nel progresso delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera e ad esso sono finalizzati sia l’armonizzazione dei sistemi sociali sia il ravvicinamento delle normative nazionali, con la conseguenza che sia l’armonizzazione sia l’avvicinamento delle normative in materia sociale dovrebbe attuarsi verso l’alto, cioè alle condizioni ed alle normative migliori fra quelle esistenti negli stati membri. Sono state molte le difficoltà riscontrate. Tuttavia, appare certo un punto: l’armonizzazione non implica

3 unificazione, né identità delle norme e degli istituti giuridici, per cui la diversità resta una realtà radicata in Europa ed è parte della sua ricchezza. In pratica, si tratta di far convergere verso obiettivi ritenuti più avanzati i sistemi sociali sottostanti alle norme, unico modo per “armonizzare” le condizioni effettive di vita e di lavoro. L’art. 118 affida alla Commissione il compito di promuovere una stretta collaborazione fra gli stati membri nel campo sociale, con riferimento ad alcune materie come occupazione, diritto al lavoro, formazione e perfezionamento professionale, sicurezza sociale, diritto sindacale o contrattazione collettiva. Di fatto, però, la Corte di Giustizia precisa che da tutto ciò deriva solo un vincolo di consultazione reciproca fra stati e Commissione senza condizionamento alla libertà delle scelte nazionali. L’incidenza normativa diretta si ha solo nell’art. 119 sulla parità retributiva fra lavoratori e lavoratrici e nell’art. 120 sull’equivalenza dei trattamenti in materia di ferie. Infine, da ricordare è l’art. 235 del Trattato, il quale riconosce agli organi comunitari la possibilità di prendere ogni iniziativa che sia necessaria per raggiungere uno dei suoi obiettivi salvo che il Trattato non abbia previsto poteri specifici al riguardo. La storia conseguente alla firma del Trattato di Roma conferma le difficoltà applicative dei principi sociali ma presenta elementi di dinamismo imprevisti. Ecco perché può essere fatto un excursus storico delle politiche sociali europee. In tal senso possono essere individuate diverse fasi. 1a FASE – decennio dal ’50 al ’60: l’azione sociale si concentra in modo prevalentemente sull’attuazione della libera circolazione della manodopera. Tale azione è sostenuta dal Fondo Sociale Europeo (FES) e si inserisce in un periodo di crescita economica che fanno prospettare un riassorbimento della disoccupazione. Inoltre, si comincia a sviluppare il principio in base al quale si prevede che le politiche sociali debbano risultare dalla consultazione tra i sindacati e le associazioni imprenditoriali, sia a livello nazionale sia a livello europeo. 2a FASE – fine anni ’60: in questa fase si ha un clima di forte tensione sociale. Il primo programma d’azione in materia sociale è approvato dal Consiglio nel 1974 e l’innovazione più netta risiede proprio nella formula utilizzata di “politica sociale comunitaria”, che è legata all’obiettivo di realizzare un’unione economica e monetaria. Nel programma del ’74 si enfatizza l’interdipendenza tra l’azione sociale e quella economica, affermando, inoltre, che l’espansione economica non è un fine in sé ma deve tradursi in un miglioramento delle qualità e del livello di vita. I 3 obiettivi prioritari sono la realizzazione del pieno e migliore impiego nella Comunità, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e la partecipazione crescente delle parti sociali alle decisioni economiche e sociali della Comunità e dei lavoratori alla vita delle imprese. Lo strumento principale sono le direttive, tra le quali possiamo ricordare quelle

4 sulla parità tra uomo e donna in materia di retribuzione, di condizioni di lavoro e di trattamenti previdenziali; quella sulla protezione dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi o quella sulla tutela della salute. Nello stesso periodo è creato il Centro Europeo per lo sviluppo della formazione professionale. Tuttavia, non si riesce a perseguire l’obiettivo del pieno impiego. 3a FASE - anni ’80: la politica sociale europea risente dello shock petrolifero e dell’indebolimento delle forze sindacali. Come rimedio si propugna l’introduzione di forme diffuse di “deregulation” e di “flessibilità” nei sistemi nazionali e nel mercato europeo. Tuttavia, si ha l’opposizione di molti governi nazionali, tra cui in particolare la Gran Bretagna, che è riuscita per diversi anni a bloccare le iniziative delle autorità comunitarie. Il vuoto di iniziativa è solo in parte colmato dagli interventi della Corte di Giustizia e delle giurisprudenze nazionali. Inoltre, l’armonizzazione è resa ancor più complicata per via dell’adesione di paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, che sono caratterizzati da condizioni retributive e di lavoro di molto inferiori a quelle degli altri stati membri, nonché da alti tassi di disoccupazione. 4a FASE – 1 luglio 1987: in questa data entra in vigore l’Atto Unico, con lo scopo di superare la situazione di impasse in cui ci si trovava. Sembrava un clima economico migliorato da una lieve crescita produttiva, anche se era ancora presente il problema della disoccupazione. Il centro d’interesse dell’atto è ancora di tipo economico e punta ad andare oltre il mercato unificato per arrivare entro il 31 dicembre 1992 ad una vera e propria unità economica e monetaria. Le innovazioni dell’Atto Unico, rilevanti in materia sociale, possono essere individuate in 4 norme fondamentali:  Art. 118 A: munito di effetti giuridici ampi, ribadisce l’importante obiettivo dell’armonizzazione nel progresso delle condizioni di sicurezza e salute dei lavoratori e impegna gli Stati membri al miglioramento dell’ambiente di lavoro come strumento per proteggere sicurezza e salute. Stabilisce, inoltre, che le direttive in materia possono essere adottate a maggioranza, superando la regola dell’unanimità.  Art. 100 A: sancisce che la regola dell’unanimità continua a valere per le disposizioni relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti.  Art. 118 B: impegna la Commissione a sviluppare il dialogo fra le parti sociali a livello europeo, con l’instaurazione di possibili relazioni convenzionali.  Art. 130: esprime il concetto di coesione economica e sociale fra gli stati membri, il quale ha l’obiettivo di ridurre il divario fra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite.

5 5a FASE – 8-9 dicembre 1989 : in questa data viene approvata la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali (Carta Sociale), che può essere considerata il risultato del riattivarsi dei propositi comunitari in materia sociale. Il proposito originario era quello di fissare una base sociale per tutti i lavoratori comunitari, cercando di impedire la concorrenza verso il basso delle condizioni di lavoro (c.d. dumping sociale). L’ottica è quella della protezione di alcuni diritti ritenuti essenziali per tutti i lavoratori. Ci sono stati diversi oppositori a questa linea, tant’è vero che, nel tentativo di calmare gli animi, i contenuti della carta si sono identificati con il minimo comune denominatore dei diritti già riconosciuti nei vari sistemi nazionali, già presenti in altri documenti internazioni come le Convenzioni OIL. Inoltre, bisogna ricordare che questa Carta non è vincolante ma ha un importante rilievo in sede interpretativa. Gli anni successivi confermano le difficoltà del processo di integrazione sociale europea, le quali sono dovute principalmente all’intrinseca debolezza della strategia di armonizzazione, che non si è concentrata su basi giuridiche specifiche e perché è stata avulsa da azioni coerenti di politica economica. Mancando quindi un sostegno allo sviluppo dei diritti sociali fondamentali debolmente sanciti dalla carta sociale. Questo metodo è il meno adatto a tener conto delle diversità dei sistemi nazionali e delle esigenze di flessibilità espresse dalle imprese. Dunque, si invoca come rimedio il principio del mutuo riconoscimento fra le legislazioni nazionali, anche se, applicato al diritto del lavoro, potrebbe diventare uno strumento di deregolazione e di abbassamento degli standard sociali. D’altra parte anche l’efficacia del metodo contrattuale si dimostra scarsa per l’assenza di attori collettivi e di relazioni industriali capaci di estendersi oltre i confini nazionali. In questo quadro le differenze sembrano mantenersi o addirittura accentuarsi, soprattutto dopo il dilagare della crisi economica. 6a FASE – dicembre 1991: è il periodo in cui si ha il vertice che porterà alla conclusione del Trattato di Maastricht, il quale se da un lato segna un forte progresso verso l’U.E. (indicando le tappe e le condizioni per l’unione economica e monetaria e sancendo il mutamento di nome a Comunità europea), dall’altro evidenzia la persistenza di forti contrasti tra gli stati membri. Il trattato di Maastricht conferma quanto fino ad allora era stato acquisito in materia sociale ed introduce 3 innovazioni, le quali sono contenute in un Protocollo separato che impegna 11 stati membri esclusa la Gran Bretagna: 1. L’Accordo sulla politica sociale (APS), allegato al Protocollo, amplia i compiti comunitari nella sfera sociale e assegna tale iniziativa alla comunità e agli stati membri congiuntamente. Quindi, l’art. 1 dell’APS, riformulando l’art. 117 del Trattato, assegna a questi soggetti diversi obiettivi come la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il dialogo fra imprese e lavoratori e lo

6 sviluppo delle risorse umane con l’intento di realizzare alti livelli di occupazione stabile e combattere l’esclusione. Le misure di attuazione devono tenere conto delle diversità delle pratiche nazionali e della necessità di mantenere la competitività dell’economia comunitaria. 2. L’art. 2 dell’APS rimedia all’evidente debolezza del processo di adozione degli interventi comunitari in materia sociale, ossia alla regola che imponeva che la generalità delle decisioni fosse assunta all’unanimità con la sola eccezione di quelle in tema di ambiente di lavoro. Il rimedio è attuato attraverso l’ampliamento delle materie le cui decisioni possono essere prese a maggioranza qualificata. Quindi, oltre all’ambiente di lavoro, oggi questa possibilità si ha anche per le decisioni sulle condizioni di lavoro, sull’informazione e la consultazione dei lavoratori, sull’eguaglianza fra donne e uomini rispetto all’opportunità nel mercato del lavoro e al trattamento sul lavoro. Si può ritenere che restino escluse solo materie per cui lo stesso art. 2 riconferma la regola dell’unanimità, come la sicurezza sociale e la protezione sociale dei lavoratori in caso di cessazione del rapporto di lavoro, difesa degli interessi sia di lavoratori che dei datori o le condizioni di impiego dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti nella comunità. Questa norma non si applica ai temi del diritto di associazione sindacale, del diritto di sciopero e della serrata, in quanto esclusi dalla competenza comunitaria. 3. Il terzo gruppo di innovazioni è inserito negli artt. 3 e 4 dell’APS e propone una forte accentuazione del metodo negoziale per ottenere diverse forme e gradi di intensità. Ex art. 3 la Commissione ha il compito di promuovere il dialogo sociale fra le parti (cioè il sostegno all’attività diretta di negoziazione fra le parti) e la consultazione delle stesse a livello comunitario, in modo tale che tutto il processo di elaborazione delle iniziative comunitarie diventi formalmente triangolare, cioè preveda la partecipazione, consultiva ma necessaria, delle parti sociali. Le parti possono informare la Commissione, in occasione della consultazione, che esse intendono iniziare la procedura prevista dall’art. 4, che prevede l’utilizzo dell’accordo contrattuale per regolare la materia. Ex art. 4 gli accordi conclusi a livello comunitario tra le parti possono essere applicati secondo le procedure e le pratiche in atto nei singoli stati membri (strada tradizionale) oppure nelle materie di competenza comunitaria attraverso la decisione del consiglio su richiesta congiunta delle parti e su proposta della commissione (in questo caso è lo stesso contratto collettivo a diventare direttamente operante negli ordinamenti nazionali anche in sostituzione di eventuali proposte della Commissione). Tali innovazioni procedurali non cancellano le difficoltà di costruire un consenso sostanziale sui contenuti

7 delle convergenze da raggiungere, sia sul piano negoziale sia in sede di Consiglio. 7a FASE – dall’armonizzazione normativa al coordinamento per obiettivi: si ritiene che la portata delle innovazioni istituzionali del vertice di Maastricht sul processo d’integrazione sociale europea ha avuto un’incidenza diseguale. Infatti, si ritiene che esso abbia inciso poco o nulla nell’area del welfare e dei rapporti collettivi, mentre si rileva maggiormente nelle forme della coesione giuridica in quanto si è ridotto il peso dell’armonizzazione dall’alto mentre sono cresciute quelle dal basso (promosse dagli attori sociali) e di tipo orizzontale (introdotte dalla interdipendenza e dalla competizione fra sistemi nazionali). L’indebolimento dell’attività normativa europea si manifesta progressivamente nella riduzione del contenuto materiale e dell’effetto diretto della direttiva, che è lo strumento principe dell’armonizzazione: infatti, essa molto spesso ha un contenuto leggero e si limita a recepire accordi collettivi quadro (anch’essi a maglie larghe). In questo cambiamento, il coordinamento per obiettivi è realizzato nelle forme del soft law, cioè mediante strumenti regolativi non vincolanti, nonché attraverso sanzioni dissuasive per gli stati che si discostino dagli orientamenti comunitari. Gli strumenti del soft law tipici sono:  “Guidelines”: si tratta dell’adozione di linee guida comuni  “Benchmarks”: si tratta di parametri di riferimento per la misurazione delle performance nazionali, al fine di promuovere e trasferire i buoni esempi  “Peer review”: si tratta della sorveglianza multilaterale dei governi nazionali. Il metodo del coordinamento per obiettivi è avviato già al vertice di Essen del 1994 con le prime linee guida sull’occupazione, sancite formalmente dal Trattato di Amsterdam del 1997. Il suo oggetto di intervento viene allargato dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 e viene riferito a tutte le aree principali di politica sociale (esclusione sociale, povertà, sicurezza sociale, istruzione, sanità ed immigrazione). Al metodo viene assegnato in nome di Metodo Aperto di Coordinamento (MAC) e la sua importanza sta nel fatto che attraverso di esso si è cercato di superare la situazione di impasse politico-istituzionale dell’hard law, sfruttando le potenzialità dei processi virtuosi di mutual learning provenienti dal basso. Tuttavia, presenta una debolezza intrinseca: esso affronta le resistenze degli ordinamenti, su cui dovrebbe influire, senza il sostegno di procedure di verifica vincolanti, per cui il rischio dell’adozione di tale metodo possa configurarsi come una vera propria rinuncia a sostenere l’europeizzazione delle politiche sociali, portando a derive deregolative. Valutazioni conclusive sono premature, soprattutto perché il principio di sussidiarietà, sancito a Maastricht, avvalora un atteggiamento di self-restraint e può essere inteso:

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a) in senso verticale, in quanto tende a rafforzare le forme di decentramento e punta a contenere interventi sopranazionali di tipo diretto; b) in senso orizzontale, in quanto favorisce forme di deregolazione contratta e restituisce fiducia all’azione del mercato. Ciò non implica l’azione comunitaria si riduca a una mera enunciazione di linee guida, visto che molti interventi possono avvalersi di strumenti di enforcement indiretti, come gli incentivi finanziari. Le politiche dell’occupazione, pur essendo presenti tra gli obiettivi d...


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