Riassunto diritto del lavoro carinci de luca tamajo tosi treu 2 PDF

Title Riassunto diritto del lavoro carinci de luca tamajo tosi treu 2
Course Diritto Del Lavoro
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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CAPITOLO UNO: IL TIPO “LAVORO SUBORDINATO” 1 La questione della subordinazione. Nell’impianto codicistico il diritto del lavoro si caratterizza essenzialmente come diritto del lavoro subordinato: alla subordinazione è dunque affidata la funzione di contraddistinguere il rapporto tipico oggetto della disciplina speciale di quel diritto. E la subordinazione viene ricostruita come un particolare modo di essere della prestazione lavorativa. È subordinata la prestazione che si svolge nell’organizzazione del datore di lavoro (“nell’impresa”), “alle dipendenze e sotto la direzione” dello stesso (art. 2094 c.c.). La storia del diritto del lavoro dunque si identifica con la storia della subordinazione. Il codice del 1865 ricollegava la distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo a quella tra locatio operarum e locatio operis, e dunque, alla distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. Si ritenne dunque che la locatio operarum (lavoro subordinato) avesse come oggetto un’attività lavorativa in quanto tale, avulsa dal risultato perseguito dal creditore e quindi con estraneità del debitore rispetto al rischio di quel risultato. Mentre la locatio operis (lavoro autonomo) avesse ad oggetto uno specifico risultato di lavoro, consistente nel compimento di un’opera o di un servizio, con conseguente rischio a carico del debitore. Tuttavia la distinzione tra attività e risultato del lavoro è inadeguata a costituire il criterio discriminante tra i due tipi di locazione delle opere. Nessun tipo di obbligazione infatti può prescindere da un risultato idoneo a soddisfare l’interesse del creditore. 2. Le operazioni giurisprudenziali di qualificazione: il metodo tipologico L’impossibilità di costruire una nozione generale ed omnicomprensiva di subordinazione sulla base dell’esile normativa dell’art. 2094, ha spinto la dottrina a prestare maggiore attenzione alle operazioni di qualificazione effettuate dalla giurisprudenza. La giurisprudenza ha di fatto enucleato una serie di indici desunti dalla figura socialmente prevalente di lavoratore subordinato e dalla normale disciplina del relativo rapporto: l’inserzione del lavoratore nell’organizzazione predisposta dal datore di lavoro; la sottoposizione alle direttive, al controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore; l’esclusività della dipendenza da un solo datore; le modalità della retribuzione, generalmente a tempo e indipendente da risultato; il vincolo dell’orario di lavoro; l’assenza del rischio, ecc. Il procedimento di qualificazione si risolve dunque nella riconduzione al tipo legale (e alla sua disciplina) delle fattispecie concrete che presentano una prevalenza degli indici che caratterizzano il modello socialmente prevalente di lavoratore subordinato. In proposito merita di essere riportata questa massima della Corte Costituzionale “l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza del rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva”. Il giudizio di approssimazione comporta dunque stabilire se, malgrado l’assenza di alcuni indici della subordinazione, l’assetto di interesse configurato dal rapporto da qualificare sia da ritenersi più vicino a quello espresso dal tipo lavoro subordinato piuttosto che a altri tipi (contratto d’opera, agenzia, ecc.). 3. La rilevanza della qualificazione operata dalle parti e le presunzioni giurisprudenziali. La procedura di certificazione L’innovazione tecnologica e la progressiva terziariarizzazione del mondo del lavoro hanno determinato un aumento dei casi in limite tra l’area della subordinazione e quella dell’autonomia, andando così a rendere ancor più sfumata la zona di demarcazione tra le due aree. Peraltro, proprio le crescenti difficoltà di qualificazione del rapporto hanno favorito l’assunzione, tra gli indici giurisprudenziali, quale criterio sussidiario, del nomen iuris eventualmente attribuito dalle parti al rapporto stesso. A partire dagli anni ’80 la Suprema Corte si è dimostrata maggiormente aperta sulla questione, giungendo ad affermare che “ai fini della qualificazione non si può prescindere dalla preventiva ricerca della volontà delle parti. A tale indice può farsi ricorso solo in via sussidiaria, ossia quando la volontà delle parti non risulti contraddetta dalle modalità di effettivo svolgimento del rapporto (che sono sempre destinate a prevalere in sede di qualificazione). Al fine di alleggerire il contenzioso in materia di qualificazione del rapporto, il D. lgs. 276/2003 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della certificazione (come auspicato dal Libro Bianco). Si tratta di una procedura volontaria, mediante la quale una Commissione appositamente istituita (presso gli Enti Bilaterali, le Direzioni provinciali del lavoro, le province e le università) convalida (certifica) la qualificazione che le parti danno al contratto di lavoro tra di esse stipulato (restano invece esclusi i rapporti di lavoro instaurati con le p.a.) Qualora le parti intendano avviare un procedimento di certificazione devono redigere un istanza comune (o comunque sottoscriverla entrambe) e presentarla all’apposita Commissione territorialmente competente. Il D. lgs. 276 non prevede un modello astratto di procedura, ma anzi, lascia ampia autonomia a ciascuna sede di certificazione (ente bilaterale, direzione provinciale del lavoro, università), che dovrà determinare le fasi della procedura all’atto della propria costituzione. Ad ogni modo, il procedimento deve concludersi entro 30 gg. dal ricevimento dell’istanza. L’atto che certifica il contratto deve essere motivato e deve indicare il termine e l’autorità presso la quale eventualmente presentare ricorso. Relativa incontrovertibilità di quanto certificato, si esplica sia nei confronti delle parti stesse, sia nei confronti dei terzi. Gli effetti della certificazione permangono dunque fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi esperibili dalle parti e dai terzi. Il ricorso può essere giurisdizionale o amministrativo. -Il ricorso presso l’autorità giudiziaria è ammesso per erronea qualificazione del contratto, per difformità tra quanto certificato e

la successiva esecuzione del rapporto e per vizi del consenso (errore, dolo, violenza). Se il giudice accerta l’erroneità della qualificazione, gli effetti scaturenti dalla sentenza retroagiscono fino alla data di stipulazione del contratto. Se accerta la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, gli effetti decorrono a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa. -contro la certificazione è ammesso anche il ricorso davanti al TAR nella cui giurisdizione ha sede la Commissione che ha certificato l’atto impugnato, ma solo per violazione del procedimento o eccesso di potere. 4. Subordinazione, fattispecie tipica ed effetti. È opinione consolidata che ogni rapporto che presenti le caratteristiche della subordinazione va necessariamente ricondotto alla fattispecie tipica lavoro subordinato (tassatività del tipo). E una volta qualificato un rapporto come rapporto di lavoro subordinato (ossia una volta ricondottolo alla fattispecie tipica), si producono tutti gli effetti legislativamente correlati a tale fattispecie (tassatività della disciplina tipica. Tuttavia, constatato che il procedimento di qualificazione si basa oggi su un giudizio di approssimazione (e non di identità), occorrerebbe riconoscere che allo specifico rapporto, che pur viene qualificato come rapporto di lavoro subordinato, possano ben difettare alcuni elementi propri della fattispecie tipica; magari elementi che vadano ritenuti presupposti per l’applicazione di determinati profili della disciplina del rapporto. La disciplina tipica andrebbe quindi considerata tendenzialmente (ma non necessariamente integralmente) applicabile al rapporto che viene qualificato come di lavoro subordinato. Ad esempio nel caso del lavoro dirigenziale ci si muove in direzione non già di un improbabile restringimento del tipo legale, bensì dell’applicazione selettiva della disciplina tipica. Questa è d’altronde la direzione segnata dalla proliferazione di norme eccezionali e derogatorie della regolamentazione tipica, fino all’emersione di nuovi rapporti speciali. Al punto che si parla di frammentazione dell’unicità del rapporto di lavoro e di destrutturazione del modello tipico, come risultato dell’operazione di moltiplicazione delle tipologie posta in essere dalla c.d. riforma Biagi. 5. Para-subordinazione, lavoro autonomo, lavoro a progetto occasionale. Speculare all’art. 2094 è l’art. 2222 c.d. civ, in base al quale si è in presenza di un contratto d’opera (lavoro autonomo) quando “una persona si obbliga a compiere dietro corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente con perfetta parità dei soggetti del rapporto”. L’elemento della durata della prestazione può dare luogo a figure ibride, ovvero di prestatori di lavoro formalmente autonomi, ma di fatto ed in diversa misura dipendenti dal committente. Tra la subordinazione e l’autonomia la dottrina ha così collocato la para-subordinazione, categoria sorta dalla valorizzazione dal dato della debolezza o soggezione economica del prestatore di lavoro nei cfr. del committente. Solo negli anni ’70 la para-subordinazione ha potuto vantare l’appoggio di alcuni fondamenti normativi. La legge di riforma del processo del lavoro del ’73 (l. n. 533/1973) ha ricompreso tra le proprie destinatarie anche le controversie relative a “rapporti d’agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. Da questa definizione è poi sorta la fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa, dotata di autonoma fisionomia e caratteri: il requisito della continuità rinvia ad una collaborazione durevole nel tempo, anche attraverso un unico incarico di durata apprezzabile,prevalenza dell’attività del lavoratore sugli altri fattori impiegati (anche sul capitale). Il requisito della coordinazione implica un collegamento funzionale del collaboratore con l’attività economica del committente . Tale tipo di collaborazione è diverso da quello richiesto dall’art. 2094 (lavoro subordinato), poiché deve esserci una certa libertà nelle modalità di esecuzione della prestazione. Un momento di svolta nell’evoluzione della disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si ha poi con il D. lgs. 276/03, che tenta di fare chiarezza sui confusi rapporti tra le aree della subordinazione e dell’autonomia, introducendo per la prima volta il lavoro a progetto, che va a sostituire i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. La ratio è quella di porre una linea di demarcazione quanto più netta possibile tra autonomia e subordinazione, in modo tale da evitare l’abuso delle collaborazioni coordinate e continuative al fine di eludere la legislazione posta a tutela del lavoro subordinato. Il D.lgs. 276 dunque introduce la fattispecie lavoro a progetto attraverso una modifica\specificazione inerente alla figura delle collaborazioni coordinate e continuative. Stabilisce infatti che tali “collaborazioni coordinate e continuative, prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione” devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. In assenza di tale progetto o il rapporto si considera subordinato a tempo indeterminato. Dalle disposizioni sul lavoro a progetto restano esclusi, p. a. ed alcuni specifici rapporti (come agenzia e rappresentanza commerciale), i rapporti occasionali. Per prestazione occasionale si intende il rapporto di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito sia superiore a 5000 euro, nel quale caso trovano applicazione le disposizioni sul lavoro a progetto. Una particolare fattispecie di prestazione occasionale è poi quella del c.d. lavoro accessorio i cui soggetti possono essere adibiti a determinate mansioni per riceverne in cambio un pagamento in buoni che potranno essere convertiti in denaro presso centri autorizzati (concessionari). Il contratto a progetto deve essere stipulato per iscritto ai fini della prova e deve contenere l’indicazione del progetto, della durata, del corrispettivo, delle forme di coordinamento. La stesura per iscritto del contratto estremamente importanti onde evitare che scatti la presunzione di subordinazione

Tuttavia a favore del collaboratore a progetto sono comunque previste alcune garanzie: criterio della proporzionalità nella determinazione del corrispettivo, che dovrà tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione, la previsione che la gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore non comportano l’estinzione del rapporto, ma solo la sua sospensione, senza erogazione del corrispettivo. Il contratto si risolve al momento della realizzazione del progetto, o comunque al raggiungimento del risultato. Tuttavia è stabilito che le parti possano recedere prima della scadenza per giusta causa ed altresì secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale. Ciò significa che le parti possono delineare un regime di libera recedibilità o fissare penali per l'esercizio unilaterale del potere di recesso. 6. Lavoro associato e subordinazione (associazione in partecipazione e lavoro in cooperativa. Nel rapporto di lavoro subordinato delineato dall’art. 2094 è un rapporto di scambio articolato attorno a 2 obbligazioni principali; l’attività lavorativa e la retribuzione. Si tratta di una fattispecie tipica in cui l’onerosità è elemento essenziale, al pari della subordinazione. A tal proposito vengono in rilievo alcuni rapporti, che, pur non essendo riconducibili alla figura del rapporto di lavoro subordinato (in quanto privi dell’elemento di scambio lavoro-retribuzione), presentano una forte analogia con esso. È questo il caso dei rapporti di carattere associativo : L’associazione in partecipazione (artt. 2549.2554 c.c.) è un contratto col quale l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto che può anche consistere in una prestazione di lavoro. In teoria la fattispecie è facilmente distinguibile dal rapporto di lavoro subordinato ma l’estrema flessibilità di utilizzo dell’associazione in partecipazione ha spesso fatto sì che il relativo contratto (come quello di co.co.co.) sia stato impiegato per dissimulare un rapporto di lavoro subordinato.In caso di assenza di un’effettiva partecipazione dell’associato all’impresa associante e di adeguate erogazioni a suo favore, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi previsti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato corrispondente al medesimo settore di attività. Ed in mancanza di contratto collettivo, ad una posizione corrispondente secondo il contratto di settore analogo. La fattispecie del lavoro in cooperativa è stata oggetto di attenzione da parte della legislazione dell’ultimo decennio, che ha esteso al socio alcuni istituti tipici del lavoro subordinato (fondo di garanzia, cassa integrazione guadagni, ecc.). Questi interventi hanno costituito l’istanza di tutela nella realtà delle cooperative, per lungo tempo relegata a margini del diritto del lavoro. Per la prestazione del socio in cooperativa la giurisprudenza non ha mai fatto ricorso alla presunzione di lavoro subordinato, ma anzi ha utilizzato la presunzione opposta, cioè il ricorso alla presunzione di non subordinazione è stato argomentato sulla base dell’assenza dell’elemento dell’alterità degli interessi (il socio, nel prestare la propria opera, mira al raggiungimento dello scopo sociale).Di recente, la L. 142/2001 ha ricostruito in capo al lavoratore-socio la titolarità di un rapporto in cui risultano una componente associativa ed una componente lavoristica. Ai soci lavoratori subordinati si applicano lo Statuto dei Lavoratori. Il socio ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e in ogni caso non inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine. Le controversie relative alla posizione del socio lavoratore, comprese le procedure di conciliazione ed arbitrato, sono assoggettate alla disciplina del processo del lavoro; mentre quelle relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario. 7. Il cumulo delle posizioni di socio o amministratore e di lavoratore subordinato. L’attenuazione della subordinazione può dipendere inoltre dal cumulo in capo al medesimo soggetto della posizione sia lavoratore subordinato con quella di socio o amministratore della società datrice di lavoro. In tal caso la giurisprudenza ammette che il lavoratore possa essere socio della società sua datrice di lavoro, anche che si tratti di una società di persone, salvo che la prestazione costituisca oggetto di conferimento e sia quindi resa dal socio in adempimento del contratto sociale. Si richiede semplicemente, nel caso di società di persone, che l’attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio; e nel caso di società di capitali, che il socio non sia azionista unico o socio sovrano. In parole povere il cumulo è escluso solo nel caso in cui il lavoratore sia amministratore unico o amministratore delegato con poteri illimitati; in tali casi si verrebbe ad avere un fenomeno di auto-assunzione, che farebbe sfumare ogni ipotesi di subordinazione. 8. Lavoro gratuito, lavoro familiare e volontariato. Il rapporto di lavoro gratuito, nonostante innominato, è lecito in quanto idoneo a realizzare, mediante l'impegno di lavorare senza salario, interessi di tipo benefico o ideologico, meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento, ai sensi dell'art. 1322 c.c (contratto atipico).In pratica i giudici distinguono tra la prestazione di lavoro gratuita svolta a titolo di cortesia (cioè al di fuori di ogni vincolo giuridico) e il vero e proprio rapporto di lavoro subordinato con illegittima esclusione della retribuzione, cui il lavoratore può aver acconsentito per motivi diversi, quali l’aspettativa di vantaggi materiali differiti nel tempo.In tal caso, il titolo gratuito è riconosciuto solo qualora, dall’analisi delle circostanze del caso, sia possibile giustificare la causa gratuita ed escludere con certezza la sussistenza di un accordo elusivo della irrinunciabilità della retribuzione. E’ possibile solo ricorrere alle ipotesi di lavoro gratuito tipizzate dal legislatore (volontariato; stage aziendali; lavoro senza rapporto come i lavoratori socialmente utili ecc.). Vi è tuttavia un’ipotesi in cui la giurisprudenza non ha mai utilizzato la presunzione di ricorrenza del lavoro subordinato tipico (oneroso), ma anzi ha sempre fatto ricorso alla presunzione contraria di gratuità. È questo il caso del lavoro prestato nell’ambito di un’impresa gestita da familiari. In tal caso si pone la presunzione che il lavoro sia reso per ragioni di mutua solidarietà e al di fuori di un rapporto subordinato tipico (che tuttavia resta consentito alle parti di costituire). Detto questo, va anche ricordato che

il lavoro prestato nell’impresa familiare è stato dotato di una particolare tutela (al prestatore di lavoro nell'ambito della famiglia vengono assicurati, oltre al mantenimento...


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