Docsity banditi a orgosolo di antioco floris PDF

Title Docsity banditi a orgosolo di antioco floris
Course DAMS - Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo
Institution Università di Bologna
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Riassunto libro Banditi a Orgosolo per Analisi del film con Noto...


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Banditi a Orgosolo di Antioco Floris Storia Del Cinema Alma Mater Studiorum – Università di Bologna 10 pag.

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Vittorio de Seta torna ad Orgosolo incuriosito da due testi (Diario di una Maestrina di Maria Giacobbe e L’inchiesta su Orgosolo di Franco Cagnetta). Il testo di Cagnetta è corposo, un saggio antropologico e sociale sulle condizioni disagiate degli abitanti di Orgosolo. Cagnetta era uno studioso impegnato nella ricerca etnografica e condusse studi sulla vita in Barbagia, in particolare ad Orgosolo. L’inchiesta punta il dito contro le istituzioni statali che non hanno saputo amministrare un paese arretrato, primitivo. Fa scalpore e il Ministro dell’interno Scelba reagisce duramente, per due anni il caso va avanti per vie legali e infine si chiude positivamente, dopo aver portato attenzione sui problemi di Orgosolo. Anche se di fatto la realtà riportata da Cagnetta non era ignota, si faceva solo finta di non sapere. I metodi erano la repressione poliziesca, la conquista militare, che non aiutavano il paesino. Emilio Lusso in senato denunciava le stesse criticità rintracciabili in BAO. La prima permanenza di De Seta a Orgosolo è motivata da uno o più corti da realizzare su modello dei suoi precedenti lavori siciliani. L'inserimento nella comunità orgolese e mediato da Cagnetta che lo manda in Barbagia con una lettera di presentazione agli amici che l'avevano supportato nel lavoro di ricerca. Conosce Pasquale Marotto, Umberto Goddi, Mario Battasi (impo anche per il film successivo). La sua attenzione è attirata da: la vita del pastore, costretto a lunghi periodi in isolamento in campagna, e la vita dei paesi in cui restano per lo più le donne, che gestiscono ogni fase della vita. Della prima situazione parla "Pastori di Orgosolo", della seconda "Un giorno in Barbagia". Nel primo i pastori neanche parlano tra di loro, compiono le azioni di sempre nelle campagne (formaggio etc). Nel secondo è sempre assente il parlato ma presente il canto, sono filmati momenti del quotidiano dal risveglio alla cena, con tanto di bagnetto ai bambini e preparazione del pane carasau (familiarità estrama di De Seta con gli abitanti). De Seta si convince a fare un lungometraggio per spiegare meglio questa realtà nuova e misteriosa dopo aver fatto conoscenza diretta sul territorio. Così trascorse diversi mesi (1959-61) ad Orgosolo per fare il film, presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 1961. De Seta incontra problemi nella realizzazione del film. Prima di tutto  Sceneggiatura  Chiede aiuto a Moravia, vicino di casa ed esperto nella scrittura. Non è soddisfatto e la collaborazione dura poco (Moravia è tradizionale e non conosce dal vivo la realtà sarda). La sceneggiatura infine la fa da solo con l’aiuto di gente del posto, tra cui Battasi e Marotto. L'obiettivo era coniugare il lavoro del documentarista con quello creativo del regista-autore. Usare i materiali del reale per costruire un film che il reale lo superi riuscendo a esprimere ciò che l'autore considera il carattere costitutivo di un universo. Il Neorealismo è in genere fortemente ancorato al fatto storico, alla realtà raccontata nel suo farsi su eventi della quotidianità, invece De Seta vuole superare, abbandonare del tutto il fatto storico per focalizzare una condizione che permane a prescindere dall'evento specifico. BAO è un'opera particolare perché racconta una storia inventata dove si innestano gli stilemi del western e della tragedia greca e al contempo è un trattato di antropologia. De Seta si pone tra mito e realtà. Non ci sono collocazioni temporali di riferimento, le vicende non hanno più una loro ragione storica, lo stesso protagonista non compie alcun atto per infrangere la legge dello Stato e della comunità, è il fato che lo indirizza a scelte ineluttabili. Il destino umano interviene per ricondurre il pastore a una dimensione da tragedia greca, una condizione a cui non si può sfuggire. Il regista parte dall'esperienza personale quotidiana per volgere al non tempo del mito. Come in tutte le tragedie il protagonista è portatore di una colpa di cui non è necessariamente consapevole ma che emerge con tutta la forza per stravolgere la sua vita. La colpa di Michele, e di quelli come lui, sta nell'essere alieno alla giustizia dello stato, nel provare terrore del modo in cui essa si manifesta concretamente. Così non rispetta l'ordine dominante. Succede quando arrivano i ladri di maiali, è come se la sua condizione umana e sociale lo renda colpevole in sé e per

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questo scappa. Ha una colpa atavica cioè quella insita nell'essere pastore di Orgosolo la cui legge è diversa da quella del mondo moderno. PENSARE IL FILM Sono molti e non catalogati i documenti di De Seta (archivio personale). De Seta ha influenzato altri registi (Garrone) per l’assenza di copione e il coinvolgimento di attori non professionisti. Prima dell’uscita del film, disse che poteva scegliere due strade: fare una storia di vendetta tra abitanti o far leva sul rapporto sardi/Stato, decidendo per l’ultima in ampia misura perché molto forte. La storia è semplice, ben articolata, verosimile. Questo permette al regista di stare sulle due linee del film cioè la storia barbaricina e la vicenda del fato di Michele. Non ci si sofferma su storie private per non snaturare il messaggio da mandare concentrandosi solo sulle vicende di cronaca privata. Però De Seta in un primo momento pensa di fare una storia di vendetta (cambia subito idea) e ci sono appunti ad es. su Pasquale Tandeddu, bandito condannato per rapine, massacri, omicidi. La sua storia (iperbolica) non lo rende adatto alla rappresentazione di una condizione condivisa dalla società. Uguale per Samuele Stochino, brigante leggendario. De Seta all’epoca girava armato, talvolta con scorta per minacce di estorsione ricevute e non scrive il nome di S.D., ne scrive la storia ma è un caso troppo recente. Ci sono anche appunti su un piccolo bandito come Fedele Muscau, che ha una storia simile a quella di Michele cioè diventato bandito perché ingiustamente accusato di furto di bestiame. De Seta aggiunge appunti sulla vita dei pastori e sui problemi che incontrano (scarsa acqua, ricerca pascoli, paura della legge, paura dei furti etc). Molto spazio è legato alle vicende che riguardano la presenza dei carabinieri. Unica eccezione positiva: il Maresciallo D’Amore, benvisto in paese. Spazio si trova anche per canti tradizionali con traduzioni italiane dal sardo riportate accanto. De Seta aveva qualche conoscenza del sardo (parlava per forza con gli attori, che sono stati doppiati in postproduzione). Ci sono rimandi alle usanze di Natale e di Capodanno. Non mancano riferimenti ad aspetti economici della vita del pastore come guadagni, costi delle pecore e di altro. Non mancano neanche riferimenti/spunti derivanti da libri. Innanzitutto il libro Caccia grossa di Giulio Bechi, ufficiale di fanteria che dopo aver partecipato nel 1899 ad una spedizione militare in Sardegna per reprimere il banditismo ne fece un reportage. Forse è il primo testo che parla della repressione del banditismo. Uno spazio è dedicato alla descrizione del paesaggio, emerge già attenzione del film per rapporto rumore/silenzio, con attenzione al sonoro del paesaggio per caratterizzare l’ambiente. Molto materiale non viene usato per il film ma De Seta ritiene che il regista debba (come Zavattini) lavorare pedinando la realtà sulla quale innestare la fantasia. Tutte le scene del film nella sceneggiatura hanno delle alternative in modo che i collaboratori possano dare pareri sul realismo e sull’efficacia di un’azione/situazione. Quelle di De Seta sono ipotesi su come fare il film (pieno di oppure). Gli intrecci d’amore sono stati tolti perché è stato già difficile trovare un’interprete donna, dato che il mondo del cinema era malvisto in Sardegna, come fosse un mondo immorale. E’ stato un processo di adattamento in fieri. Il regista portava la mattina i foglietti con le indicazioni per la ridotta troupe (non sono conservati nel suo archivio). Non sempre il girato soddisfaceva il regista.

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DA TOLOMEO A COPERNICO De Seta lavora a partire da un canovaccio, senza copione o sceneggiatura. Gli appunti si fanno più simili ad una linea narrativa man mano che ci si avvicina al momento di girare il film. Si recita a soggetto a partire anche dalla sensibilità/volontà dei protagonisti. All’inizio De Seta prova a lavorare ad un testo di riferimento da fornire agli attori ma si accorge che in tale modo i pastori non sono in grado di reggere la parte (lo sforzo mnemonico creava imbarazzo, toglieva spontaneità). La scelta di fare dialoghi in italiano e non in sardo (poi criticata) è anche perché era difficile registrare i dialoghi. Consideriamo la mancanza del fonico. Il lavoro con la troupe si muoveva facendo restare a proprio agio i protagonisti sul set. Le sequenze veloci come quella iniziale di caccia mettevano a proprio agio gli attori, mentre le riprese da vicino come quella attorno al fuoco no. Gli attori si interrompono e non riescono a recitare. Dovette rinunciare ad un vero direttore della fotografia, perché non riuscivano a girare (è stato là per la prima scena della caccia). Generalmente nel cinema è la mdp che è centrale, tolemaica, e la scena si organizza in funzione di essa. Qui invece accade qualcosa e la mdp gira intorno (copernicano). Il problema non è solo la recitazione degli attori ma la volontà di raccontare qualcosa di vero. La scelta di De Seta è particolarissima perché gli attori sono tutti non professionisti e interpretano per lo schermo quanto loro sanno per esperienza diretta (conoscenze superiori al regista). Richiede impegno consistente ma è tutto genuino, non solo credibile ma anche vero. Ci sono scene del film nate da rivelazioni degli attori es. il modo in cui le pecore muoiono è condizionato dai racconti dei pastori. La scena del pastore che si oppone per l'acqua per le pecore è ispirata a una scena avvenuta veramente quando portavano il gregge in alto per predisporre l'epilogo tragico. La grande troupe dell'inizio si dissolve quando De Seta pretendere si lavori adeguandosi alle esigenze degli attori locali. La disponibilità degli abitanti è sempre stata notevole perché i compensi pagati dalla produzione erano più consistenti di quanto ci si potesse aspettare da un lavoro tradizionale e perché De Seta era rispettato. La casa di produzione di Fellini gestita da Fracassi non accolse (stesso anno) né BAO né film di Pasolini né film di Olmi. Fellini perorò la causa del regista De Seta ma niente convinse i produttori (al cinema la Sardegna aveva sempre portato male e la trama sembrava non interessare). De Seta investe i suoi soldi nella produzione allora. La Titanus si fa carico della distribuzione della pellicola solo dopo che è sicuro o quasi del passaggio in concorso al Festival di Venezia tramite la mediazione di Fellini. QUESTIONE DI STILE Il prima e dopo narrativi sono anche produttivi perché lo scambio avrebbe confuso e deconcentrato i pastori, in più era meglio rispettare i ritmi stagionali. L’impostazione dell’inquadratura è ancora classica. Riesce a creare uno stretto rapporto tra ambiente e personaggio. La composizione degli ambienti (anche se è reale e non cambiata) sembra pittorica, ricorda un quadro. Il ricorso al bianco e nero, l’essenzialità e il rigore dei movimenti di mdp (solo un carrello per una corsa ad inizio film), l’uso dei mezzi tipici del reportage danno un tono austero che esprime bene lo spirito del luogo. Anche il montaggio è essenziale (découpage classico presente es. campo controcampo x dialoghi, raccordi, no flashback). Il suono non dà enfasi etc. L’inizio ha solo rumori d’ambiente, De Seta non ricorre come molti invece fanno alla musica durante i titoli di testa o nelle fasi successive, dà così un valore costruttivo e non decorativo al rumore. Durante la battuta di caccia sono i dialoghi con alternanza di voci che danno drammaticità, non c’è musica. Culmina quando Michele si ferma e spara al muflone. Al nono minuto c’è finalmente musica (arrivo dei banditi). SI interrompe all’arrivo dei carabinieri. C’è una melodia che si ripresenta nei momenti in cui è evocata la vita del pastore oppure quando i fratelli rievocano la morte del padre, in questo caso assume

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delle atmosfere più idilliache (prima è cupa). Si ripresenta nella configurazione iniziale alla fine, come a chiudere un cerchio. L’uso della musica è drammaticamente rilevante nel long take in cui Peppeddu scopre che le pecore sono morte. BAO è però dominato dal silenzio che dà un senso di sospensione/tempo assente. Come pochi altri, De Seta ha insegnato che ogni luogo ha un silenzio specifico. Nella scena in cui Peppeddu vede il ballo si sente musica tradizionale sarda e si vedono le gambe dei ballerini sardi. L’atmosfera, seppure festosa, non lo sembra, è cupa e sembra riflettere le sensazioni dei protagonisti (tutto il film evita la gioia/spensieratezza e punta sul tormento e sulla sconsolatezza, basta pensare al pasto conviviale all’inizio, in cui c’è silenzio come a sottolineare l’incomunicabilità). EPILOGO. UN’ARMA PER COMPIERE IL DESTINO Peppeddu che non vuole lasciare gli oggetti tipici del pastore ma li raccoglie da terra dopo che il fratello lo ha sgridato e gli ha detto di lasciarli, facendoli cadere, è forse rappresentativo della sola speranza del film: unica scena di speranza. Su Michele il destino ha ormai compiuto il suo corso. Va al paese per affidare il fratello al cugino ma soprattutto per trovare un’arma. La richiesta di un’arma al cugino è emblematica della trasformazione di Michele in bandito. Il fucile non è arma, ma strumento del lavoro del pastore. Il mitra è arma (dei banditi come della polizia). Da notare la dissolvenza incrociata (volto di Michele e mitra tenuto in mano da lui) che simboleggia bene il cambiamento. Michele risponde nell’unico modo possibile. Infrange la legge ma non dello stato, della sua comunità piuttosto. Lo fa quando ruba al pastore suo simile. Diventa bandito e costringe l’altro a diventarlo a sua volta. Sono i banditi di Orgosolo. L’istanza narrante ha avvertito fin da subito lo spettatore: “L’anima di questi uomini è rimasta primitiva. Quello che è giusto per la loro legge non lo è per quella del mondo moderno. Possono diventare banditi da un giorno all’altro quasi senza rendersene conto”. Michele prova a scappare ma al proprio destino nessuno gli sfugge. Nel film il messaggio che passa sembra quasi essere che i banditi non sono veri banditi, sembra una condizione di non banditismo. Esplicitando il fatto che l’essere bandito del protagonista non deriva da una sua colpa, è come se venisse meno anche lo status di bandito. IN PREPARAZIONE: FRA CRONACA NERA E CINEMA I racconti dei giornalisti erano enfatizzati, già prima dell’uscita del film, nella preparazione. Si parlava in un articolo di De Seta come un cowboy che va a difendersi con la sua pistola ad Orgosolo, riportando l’immagine di lui che esce dal ristorante dell’albergo, sulla terrazza vista mare, e prende la pistola dalla borsetta della moglie per andare sul set. In realtà Orgosolo dista km dal mare, però in America chi poteva saperlo? La notizia faceva scalpore. De Seta scrisse una lettera mai spedita al direttore dell’Espresso Andrea Barbato. Sarebbe dovuta finire sul giornale ma una volta saputo del ricatto a cui è sottoposto il regista, il giornale manda Paolo Pernici per indagare sul luogo. Poi egli fece un articolo di colore criticato da De Seta perché puntava poco al film e alla sua realizzazione e tanto alla notizia. Il testo di De Seta non fu mai pubblicato però nel pezzo di Pernici finirono vari pezzi della lettera. Letto oggi, il testo non appare neanche degradante anzi ripercorre la genesi del film e altri punti interessanti + la storia dell’imprenditore ucciso Crasta e fa accenni al tentativo di estorsione con tanto di foto di lettere. Un altro articolo beffardo di Pernici parla di una giornata sul set, facendo notare come i carabinieri non sappiano centrare un bersaglio a differenza di pastori e De Seta. Un articolo dell’Unità uscito prima del Festival di Venezia riporta anch’esso il sequestro di Crasta. Il giornale dava come evento ispiratore questo sequestro, contando sul fatto che i fratelli Mesina erano stati accusati perché si ritrovarono a pascolare pecore vicino al cadavere ritrovato. Appare ipotesi improbabile, visto che il lavoro era già avviato a metà del 1960 e situazioni simili sono descritte in appunti del regista già l’anno

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prima. Lo stesso giornale nota l’aspetto sociale del film, dicendo come non si concentri su vendette private ma sul rapporto con lo stato, importanza del servizio reso alla comunità orgolese. Un giornale tedesco invece mette in evidenza l’aspetto documentaristico che avvicina film narrativo e documentario. Si fa sempre leva sul fatto che i banditi interpretano se stessi. Anche la stampa francese fa una buona recensione su L’Express, De Seta è considerato da Brillard uno dei migliori documentaristi. INTORNO A VENEZIA L’attenzione sul film aumenta quando vince come migliore opera prima. Alcuni stroncano il film e considerano De Seta un regista non molto bravo, il film non ha spessore drammatico però ha una bella fotografia (De Seta è un buon operatore). Al contrario Leo Pestelli su La Stampa esalta il film raccontando anche la genesi della pellicola. André Labarthe si esprime positivamente parlando di De Seta come rivelazione del festival. Periodici come Bianco e Nero (E. G. Laura) parlano altrettanto bene del film. Trova una debolezza solo nella mancanza del rovescio positivo della medaglia cioè spiritualità e riflessività che possono trarre alimento dalla solitudine e che di fatto rendono acuti i pastori sardi. Lorenzo Pellizzari premia il coraggio fisico e produttivo del regista che coniuga pietas e umiltà, elementi rari nel cinema italiano, che rimandano alle primissime opere neorealiste (più autentiche). Legge il film come una metafora dell’Italia del tempo in cui la risposta del pastore alla repressione poliziesca è una forma di resistenza al potere sostenuta dalla solidarietà di chi gli sta vicino. Pellizzari colloca BAO in relazione al metodo che Visconti usa ne La terra trema coi pastori siciliani. Anche altri lo fanno. Castellani nota appunto che De Seta si limita ad esaminare e riportare un episodio umano, senza che i cd vinti prendano coscienza, e rinuncia ad avanzare giudizi. Lino Miccichè nota una contraddizione in BAO tra contemplazione viscontiana e pedinamento zavattiano: De Seta pedina il reale ma non dà le cause che lo portano a diventare bandito (non si sofferma sulle ragioni della questione sarda). Questa mancanza di spiegazione – invece presente in La terra trema – è apparentabile per lui alla rinuncia dello Stato a capire la realtà sarda e a far qualcosa di conseguenza. Lo Stato deduce dall’incomprensione la necessità di reprimere, De Seta vuole invece rappresentare questo incomprensibile umano, realizzando una dialettica che emerge nel film tra ideologia barbaricina e ideologia continentale che non si capiscono. Edoardo Bruno sente la mancanza di una chiara condanna di chi ha portato il pastore a non avere fiducia nello Stato e nella giustizia, giudica infelice questa scelta. Rondi e Frosali, i critici dell’opera, rimproveravano a De Seta di non aver sviluppato adeguatamente psicologia e carattere dei ps, al contrario S. Zambetti ritiene che l’austerità di Michele non debba essere letta come elemento di povertà perché la responsabilità di cui è portatore nel definire il mondo in cui vive lo rende una figura complessa. Insomma non è un manichino. Il leone d’oro viene assegnato a L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais. E’ un riconoscimento impo per il cinema francese che di Giammatteo giudica come pericoloso: la giuria ha assegnato il premio ad un film che punta sullo stile, sull’estetica e sulla bellezza fine a se stessa, ignor...


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