Docsity la domenica di bouvines PDF

Title Docsity la domenica di bouvines
Author Alessandro Femia
Course Linguistica Generale
Institution Università degli Studi di Messina
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Summary

Riassunto Domenica di Bouvines per esame Letteratura Italiana II Unime...


Description

Prefazione di Pierre Nora La rivoluzione di Duby parte dal nuovo rapporto con il documento! Egli “finora aveva chiesto ai documenti di insegnarmi la verità, iniziò a prestare maggior attenzione ai racconti, ad ascoltarli per quelli che erano”. Due elementi importanti per il libro furono, da un lato, la tecnica etnografica del racconto della battaglia attraverso l’ascolto di un testimone oculare come Guglielmo il Bretone, cappellano del re mentre dall’altra parte fu rinnovato l’approccio agli avvenimenti, avvenimento inteso come quello della tradizione degli Annales cioè della storia evenemenziale di una battaglia (una delle date chiavi della mitologia nazionale). La domenica di Bouvines di solito si legge superficialmente senza considerare la rottura che provocò nella sua metodologia! Il metodo consisteva nello scartare tutti i documenti letterari o scientifici che si erano accumulati in 7 secoli per attribuire la sua consacrazione storica a quella vittoria tornando alla sua traccia originale, cioè il racconto che aveva fatto conoscere la battaglia e quindi l’aveva fatta esistere. La cronaca fu scritta dallo storiografo di Filippo Augusto, Guglielmo che aveva seguito il re ed è una sorta di versione ufficiale e permette di cogliere come si presentasse lo scontro bellico in Francia all’inizio del XIII secolo. Ne emergono 3 peculiarità. La prima è che la battaglia di Bouvines si svolge di domenica, giorno del Signore, tregua di Dio che Ottone aveva deciso di non rispettare, e quindi all’origine della battaglia vi è un sacrilego che va punito in una lotta del bene contro il male. La seconda riguarda i protagonisti, il re e l’imperatore scendono in prima persona, si mettevano a rischio per porre fine a una guerra che si prolungava da anni costituita da saccheggi, assedi, la battaglia era la decisione di affidare a Dio il giudizio definitivo. Il dato che colpisce è che vi furono molti prigionieri di riguardo come 130 cavalieri, 11 conti e pochi morti o meglio pochi morti della società aristocratica e quindi la guerra obbedisce a regole che escludono la morte e per capire ciò occorre ripercorrere l’evoluzione della guerra e della società nel XII. Si fa guerra per il bottino che è di solito il ricco avversario e quindi ogni famiglia deve pagare l’altissimo riscatto del cavaliere e dunque ciò che trascina la nobiltà è il denaro e la cattura di un nobile è il miglior modo di procurarselo. Questo metodo avviene attraverso dei progressi tecnici che rafforzano le armature e rendono impossibile dare colpi mortali e anche attraverso il torneo che ha la funzione di ridistribuire il patrimonio, mentre la partecipazione dei sovrani conferisce un carattere religioso. Bouvines permette così di cogliere la verità su un intera società (diviene espressione di cultura e civiltà e non di mito fondatore di una nazione) e si colloca durante 2 grandi evoluzioni, da una parte vi è lo sviluppo della produzione agricola e del suo sistema di distribuzione di tipo feudale, dalla altra il frazionamento del potere centrale che tesse tra i signori una rete piramidale di legami personali, di cui il re occupa il vertice. Come Duby tratta la storia? Per lui la migliore delle storie è quella raccontata dai cronisti, cioè la rappresentazione più immediata del passato che ha prodotto costumi. Egli vuole estrarre l’oggettività per rivelarne la distanza e l’estraneità, vuole valorizzare la lontananza incolmabile come per farci scoprire meglio la nostra identità contemporanea di fronte allo specchio della differenza. Rifiuta e critica ogni tipo di versione celebrativa come quella di Luchaire perché crea un immaginario patriottico e porta ad un risultato anacronistico (sia illusorio perché non si potrà mai far rivivere le emozioni provate dai cavalieri in quel momento e inutile perché anacronistico). Il solo modo per entrare nello spirito dell’epoca e per far parlare l’avvenimento stesso dall’interno è ricostruire l’ambiente culturale in cui sono nate quelle testimonianze e solo così riemerge l’immagine del fatto vissuto. (Per Pierre Nora il ricorso a Luchaire è indispensabile perché Duby riesce a sciogliere i nodi di complicati intrighi, il gioco dei tradimenti e della fedeltà, il rapporto di forze che spinsero il re di Francia ad accettare la battaglia, per capire le ragioni dell’espansione del dominio regio consentite dalla vittoria e la partita su scala europea di cui questa giornata ha deciso la sorte, e essere il primo avvenimento della storia nazionale). Oltre a restituire la battaglia alla sua realtà temporale, Duby ha aggiunto una storia del ricordo cioè il modo in cui si diffusero i primi echi della battaglia, la loro area e il loro ritmo di diffusione poi le deformazioni e la costruzione del mito con i suoi ritocchi fino al XIII secolo. C’è il recupero del ricordo dall’oblio in 3 momenti, la prima nel XVII quando la monarchia assoluta ha bisogno di una leggenda, sotto Luigi XVIII che voleva

esaltare l’unione della monarchia e della nazione trasformando Bouvines in un mito popolare, con la III repubblica e nel clima della revanche perché Bouvines appariva come una vittoria francese sulla Germania. Da una parte vi è la storia antropologica cioè quella lenta della mentalità per capire cosa avesse portato alla battaglia e una storia della memoria. La domenica di Bouvines rappresenta così un nuovo modo di rapportarsi con il passato, il passaggio da una coscienza storica nazionale a una consapevolezza della memoria che mostra lo slittamento cioè quel che cambia la natura della battaglia e ne modifica il ruolo e lo statuto nel nostro immaginario collettivo. “è un episodio tanto vicino tanto lontano da noi” Bouvines è secondo Pierre Nora un modello per 3 motivi. Il primo è lo spostamento dell’asse della vicenda dai fatti alle parole che li esprimono cioè la sua dimensione storiografica. Il secondo è la concentrazione di un grande episodio storico in un unità temporale limitata, un'unica giornata. Il terzo perché si parla del medioevo per quello che è nella sua realtà e non per l’appartenenza o il filtro. Introduzione Duby ammette che gli fu proposto di scrivere una collana fondata da Gerard Walter “trenta giornate che hanno fatto la Francia” nel 1968. Duby faceva una storia nuova, respingeva l’evenemenziale, ripudiava il racconto, si dedicava a porre, a risolvere problemi e intendeva osservare nel tempo l’evoluzione dell’economia, della società e della cultura e poteva scriver e le sue riflessioni e i risultati delle sue ricerche senza essere costretto a costrizioni ideologiche. Per secondo motivo riteneva necessario sfruttare l’avvenimento per arrivare fino a quei movimenti oscuri che fanno lentamente spostare nel corso delle epoche il fondamento della cultura. L’avvenimento fa emergere tracce che sarebbero rimaste nell’oscurità. Dopo aver ripreso il lavoro precedente, ha avuto un orientamento diverso sviluppato su 3 livelli. Per primo ha tentato una sorta di etnografia della pratica militare all’inizio del XIII secolo e si è avvicinato ai guerrieri di Bouvines annotandone l’estraneità e la singolarità dei gesti, delle grida, delle passioni. Poi ha collocato la battaglia in rapporto alla guerra, tregua, pace come mezzo per circoscrivere la politica e come vedere mescolarsi il sacro con il profano. Infine ha cercato di cogliere la creazione e il disfacimento di un evento che esiste solo attraverso ciò che di esso di dice in quanto viene costruito da coloro che ne diffondono la fama, ho abbozzato la storia del ricordo di Bouvines, della sua formazione attraverso il gioco della memoria e dell’oblio. Pre-evento Il 27 luglio 1214 cadeva di domenica, giorno del Signore, giorno di tregua da ogni spargimento di sangue, dal denaro, dal sesso e dal lavoro manuale. Però migliaia di guerrieri trasgredirono il divieto, li guidavano i re di Germania e Francia incaricati da Dio di mantenere l’ordine del mondo, osarono affrontarsi in un vera battaglia e questo evento memorabile ha lasciato molte tracce. Per primo diffuse nella memoria degli uomini del nostro tempo perché era l’emblema degli squadroni, nome di vittoria e della nazione, poi ha lasciato le tracce materiali che sono i documenti e costituiscono la base solida sulla quale vivono le tracce della memoria, hanno un numero definito e finito, non aumentabile. Nella porta di san Nicola ad Arras fu iscritto nel 1214 un poema che evoca la memoria del principe Luigi e del padre re Filippo e quella iscrizione intendeva fissare per la posterità il ricordo ancora fresco di un’impresa già vecchia che dovesse essere ravvivata in ogni generazione, ma visto che l’iscrizione era peritura, altri 2 uomini si preoccuparono di conservare il poema all’inizio del XVII sec, fu copiato da Ferry de Locre e dall’avvocato Antoine de Mol, che furono poi resi accessibili dall’erudizione moderna. La sopravvivenza di Bouvines poggia su queste tracce che arrivano fino all’obelisco del 1863 quindi tutto è stato detto e ben detto (come alle pag 166-202 del volume III della Grande histoire de France uscite nel 1901) però Duby pose uno sguardo diverso alle tracce dell’avvenimento. Per la storia positivista Bouvines era un nodo importante per l’evoluzione degli stati europei e quindi lo storico aveva l’obiettivo di stabilire ciò che era accaduto realmente e scovarvi menzogne e ricostruire gli anelli mancanti ma era impossibile perché i cronachisti vedevano solo confusione e scompiglio , senza scorgere quel turbinio di mille azioni concatenate, per avvicinarsi a ciò ci si dirigeva verso

un astrazione e anacronismo e questa storia non notava tutti gli sviluppi che avevano modificato in Europa nel corso delle generazioni il comportamento delle genti e il significato dei loro atti, modificazioni lentissime, per questo Duby si muove da antropologo perché vuole capire il complesso culturale di allora diverso da quello che oggi regola il nostro rapporto con il mondo e quindi raccoglie le informazioni sul modo di pensare e agire, sulla funzione dei militari e su chi doveva svolgerla. (Bouvines come sociologia della guerra nel XIII secolo). Così Duby ritiene di partire dalla traccia dell’avvenimento più immediato come la cronaca di Guglielmo il Bretone che dà la relazione ufficiale del combattimento che verrà conservata nell’abbazia di Saint Denis (a partire da Suger, monaco e amico d’infanzia di luigi VI, nonno di Filippo) che si sentiva obbligata di raccontare per la posterità come il re, del quale conservavano le spoglie, abbia usato il potere regale. Guglielmo viveva in intimità con il re, era un uomo di chiesa, un cappellano e il suo compito era quello di cantare con gli altri quella preghiera che accompagna la gloria capetingia però è preciso, senza retorica, scritto in latino e nel 1274 tradotto in volgare da un monaco per offrirlo a un pubblico più ampio. La messa in scena cioè presentare gli attori, allestire uno scenario Bouvines fu una battaglia, una solennità, una cerimonia sacra, un immagine virile. In quanto Guglielmo era un uomo di chiesa, le donne erano considerate un ornamento futile e ondano, un elemento di divertimento dei giovani, uno strumento pericoloso e infatti non vengono menzionate dalla parte franca ma dalla parte nemica, la contessa madre di Fiandra, una signora narrata come un indovina, una sacrilega che fa sortilegi e parla con gli spiriti, corrotta da Mori e Ebrei. I personaggi sono i cavalli, altri sono invisibili come i santi (san Dionigi) e soprattutto Dio e il Diavolo. I guerrieri sono divisi in 2 parti, gli uni combattono a piedi (fanti), sono i più numerosi che però sono considerati l’ultimo strato della società e altri combattono a cavallo seguendo la divisione tripartitica della società che ci è stata trasmessa e che segue una volontà divina, tra esponenti del clero (oratores) che pregano e attirano sul popolo i privilegi del cielo, bellatores cioè cavalieri che difendono con le armi benedette i chierici, monaci e popolo e diffondono la cristianità, e laboratores cioè la parte più folta, tutte hanno una funzione e la pacifica unione determina la base dell’ordine sociale. Si tratta di una società il cui emblema è la spada ma l’elemento più importante è il cavallo di battaglia, ci sono anche militi che cavalcano e non sono ne appiedati ne cavalieri ma sono sergenti cioè ausiliari presi dal popolo. Sono rari gli equipaggiamenti militari di quel periodo perché esse servivano per forgiarne di nuove (ferro era raro) e quindi i cavalieri non venivano messi nelle tombe con le armature (no fonti archeologiche). La guerra era considerata come la vita, era il piacere più ardente e la principale occasione di fare denaro e l’investimento necessario era l’equipaggiamento militare che doveva sia proteggere che dominare l’avversario. Con la circolazione delle monete il denaro arriva di più a chi fa la guerra e le spese per la guerra aumentano sia per allevare cavalli di qualità e stimola il progresso della metallurgia del ferro. Si sono sviluppati nuove armi malefiche presenti solo nel campo avversario che non fanno onore e permettono ai guerrieri di classe inferiore di tirar giù dalla sella uomini di rango più elevato come coltelli affilati che possono passare in piccole fessure e superare le armature. Dato che i principi erano molto preoccupati di morire, rafforzarono l’armatura, copriva la testa, il busto, le coscie e furono aggiunte maniche e gambiere di metallo fino al polso. Da questo progresso tecnico ha origine un cambiamento di morale e spostamenti nella gerarchia della virtù. Rende possibile nella cavalleria la lenta manifestazione del coraggio e per avere queste armi bisognava procurarsele, e erano molto costose e molti cavalieri stentavano di procurare al proprio figlio quell’armatura e molti giovani invecchiavano aspettando l’occasione di essere armati cavalieri con il titolo di scudieri (i fanti hanno casacche di cuoio, un copricapo di ferro, sono destinati a morire). Solo i ricchi sono ben coperti e non gli si vede il volto, quando un cavaliere si fa prestare una sopravveste, cambia la sua identità e ognuno era obbligato a urlare il proprio nome. Secondo le testimonianze più precise che sono le liste dei prigionieri, compilate con cura perché si trattava di denaro vi erano 300 cavalieri. Allineati in 2 campi come negli scacchi, gioco di quel tempo, gioco che non conduce a tentare Dio.

Filippo sulla cinquantina entra nella vecchiaia, consacrato 35 anni prima, nel 1190 si è recato in Terra Santa sperando di liberare il Sepolcro, viene presentato come colui che si compiace di consultare gli umili perché diffida dei grandi, la dinastia capetingia è unita, infatti la corona si trasmette da padre in figlio (principe Luigi, signore di Arras, aveva anche un bastardo che diventerà vescovo di Noyon, 2 figli nati dall’adulterio e una figlia). Il suo soprannome è Augusto, evoca Cesare e quindi suona come pretesa all’impero (non bisogna lasciarla ai tedeschi) e così mostra una continuità con Carlo Magno cioè di non ammettere sopra di se nessuna potenza temporale e di pretendere la guida suprema del popolo cristiano. In un tempo in cui si pensava che i carismi provenissero dalla razza, il sangue carolingio scorreva nel sangue di filippo la cui madre proveniva dalla casa di Champagne e la sua prima moglie Isabella di Hainaut, dalla quale è nato Luigi, era carolingia e quindi il sangue reale ha un posto centrale nel sistema di simboli sul quale si fonda l’immagine della monarchia. “discendente dei merovingi, e dei troiani cioè dei fondatori di Roma, il capetingio è destinato a dominare il mondo e a Bouvines il re guida l’esercito di Dio pronto a distruggere l’eresia e mantenere la cristianità cattolica. Il campo del re è ordinato in modo gerarchico, intorno a lui si trovano uomini del suo lignaggio come 2 cugini germani e un altro capetingio (Roberto, conte di Dreux e Pietro conte d’Auxerre e Eudes, duca dei borgognoni) poi vengono i conti che sono la guardia del corpo del re (tra cui il giocane conte di Bar Enrico) e il gruppo di cavalieri che lo difendono sono amici di sempre, e anche parenti legati da matrimoni. Guglielmo è il braccio destro del re. Poi ci sono 2 prelati della santa chiesa armati da cavalieri come il vescovo di Beauvais che per non spargere sangue combatte con una mazza e frate Guerrino che è cavaliere dell’ordine degli Ospitalieri. Poi vi sono i sergenti, i fanti e gli appiedati ordinati in masse che rappresentano i COMUNI cioè leghe che riuniscono gente del popolo intorno a determinati privilegi e hanno certi doveri come pagare una quota, fornire guerrieri. I legami seguono un ordine, familiare che fanno parte dell’intera cavalleria attraverso filiazioni o matrimoni poi ci sono legami complementari dell’omaggio del vassallo e più determinante è la lunga amicizia, consacrate durante la Pentecoste nella feste della vestizione collettiva e nutrita con i piacere della caccia e della guerra, amicizia che costituisce la coesione di gruppi intorno ad ogni stendardo. Poi ci sono i rapporti di vicinato cioè il sentimento di appartenere allo stesso paese che bisogna difendere insieme e costoro radunano cavalieri attorno all’uomo che ha il titolo comitale. Provengono da paesi vicini e non vengono nominati quelli dei paesi stranieri come Champagne, Borgognoni, Normandia, Loira. Il campo avversario è meno omogeneo, e il re ha 2 volti, il primo è Giovanni Senzaterra, re d’Inghilterra che dirige tutto. La sua indole traditrice lo ha portato a tradire oltre al padre Enrico plantageneto e il fratello Riccardo cuor di leone, anche i divieti della morale cristiana e dell’etica cavalleresca. Discende da Melusina, con sangue diabolico, fu scomunicato per aver maltrattato le abbazie inglesi, è lontano a Bouvines ma muove i fili. L’altro re è Ottone, imperatore di Germania, fu allevato da Riccardo cuor di leone perché quest’ultimo aveva inimicizie con Filippo di Svevia e dopo la sua uccisione, Ottone ne sposò la figlia e scese in Italia per rivendicare il diadema imperiale e fu incoronato dal papa. Fu scomunicato e fu eletto in Germania un re contro di lui da filippo augusto, Federico di Svevia, l’imperatore si trova a Bouvines perché pagato dal re d’Inghilterra e per sfidare il suo nemico. I suoi alleati condividono con lui un odio verso Filippo Augusto e lo “stipendio” di Giovanni Senzaterra senza vincoli di parentela, di amicizia o vassallaggio come il conte di Salisbury Guglielmo Lunga Spada, Ferrando conte di Fiandra, conte di Boulogne Rinaldo di Dammartin, quest’ultimo aveva tradito più di una volta il re che era suo amico. I neri appaiono come uniti dall’attività del lucro, del rancore, la brama di regolare vecchi conti. La scena a Bouvines è presso il ponte, passarlo significava erigere dietro di se uno sbarramento sicuro, si era al riparo e ci si poteva accampare e davanti al ponte c’è un altopiano, è il confine tra le terre fiamminghe, capetingie e imperiali. A Bouvines stanno per essere troncati gli intrighi politici presenti in Europa come rancori, passioni personali, affari di famiglia, amicizie tradite, promesse non mantenute, [tutto ciò è caratterizzato dalla politica del tempo in cui i principi possono prelevare denaro nelle fiere, nei porti, nelle grandi città e ha la possibilità di far rispettare la morale del vassallaggio, di legare alla propria persona feudatari minori, imporre i propri arbitrati, punire i felloni, di farsi obbedire attraverso intermediari. ] I principi avevano 5 preoccupazioni. Il papa vuole placare ogni discordia del popolo di Dio così i cavalieri

possano liberare la Terra Santa dagli infedeli. Poi contenere in Spagna i Mori nella battaglia di Las Navas de Tolosa. A Muret è stata risolta la questione degli albigesi. Rimangono altri 2 conflitti che impegnano le 4 principali potenze dell’Europa cristiana, Papa, Impero, re di Francia e Inghilterra ma sono concatenati. La chiesa nel XIII assume la forma di una monarchia e il papa pretende di dominare in nome del primato spirituale superiore a quello temporale dei principi, ma di fronte a questa pretese universale vi è l’imperatore che dopo Carlo Magno si considera anche lui incaricato da Dio di epurare il male, anche se si tratta della curia romana. Contro i discendenti del Barbarossa, Innocenzo III ha sostenuto in Germania Ottone di Brunswick, nipote di Giovanni Senzaterra che è il più ricco vassallo di Filippo augusto e anche a quest’ultimo interessa ciò dopo la ...


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