Docsity la giurisprudenza nel sistema delle fonti 12 PDF

Title Docsity la giurisprudenza nel sistema delle fonti 12
Course Storia del diritto romano
Institution Università degli Studi di Palermo
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la giurisprudenza nel sistema delle fonti Diritto Romano Universita degli Studi Roma Tre 48 pag.

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CAP.1: LA GIURISPRUDENZA PONTIFICALE, LA LAICIZZAZIONE E LA FORMAZIONE DEL DIRITTO NEL PERIODO PIU’ ANTICO. 1.

IUS CIVILE, IURISDICTIO, INTERPRETATIO. La formazione del diritto romano, sin dall’età più antica, si articola su tre elementi: lo IUS CIVILE che può identificarsi con l’ordinamento specifico del popolo romano, la determinazione e applicazione processuale dello ius governata dal rex (titolare delle IURISDICTIO) e l’INTERPRETATIO formulata dai collegi sacerdotali e dotata di auctoritas (autorevolezza). Lo ius civile viene identificato con i mores cioè le consuetudini e le tradizioni dei gruppi dalla cui fusione è sorta la civitas. Il rex è capo politico e religioso della civitas ed è custode della pax deorum e garante delle istituzioni cittadine. Egli gode del potere sovrano che gli consente di affermare nel momento del processo e in relazione ai singoli casi ciò che è giusto ed ingiusto, ciò che è lecito ed illecitodando effettività e coercibilità ai precetti individuati di volta in volta e dichiarati nell’ambito dei mores. I collegi dei pontefici si occupavano in particolare del diritto privato ed i loro pare o responsa avevano ad oggetto le questioni più disparate, avere natura cautelare (riguardare ammissibilità e forma di una atto da compiere) o natura giudiziale ( il quesito riguardava la liceità di un atto già compiuto dal quale era sorta una controversia). I responsi avevano autorevolezza ed erano necessari e vincolanti. L’elevato grado di elaborazione delle tecniche di astrazione giuridica fu raggiunto dai pontefici in quest’epoca come si percepisce dalla struttura delle actiones (le più antiche sono l’actio sacramenti in rem=processo di rivendica e la manus iniectio= procedimento di esecuzione personale). La realtà fattuale dei comportamenti umani è filtrata con una rappresentazione verbale e gestuale fortemente tipizzata in cui la forma è la traduzione in schemi giuridici dell’essenza dell’atto e non è richiesta per dare efficacia e pubblicità a situazioni giuridiche. Le stesse considerazioni valgono per la Mancipatio (atto di acquisto della res mancipi dietro pagamento del prezzo=compravendita reale). E’ probabile che i pontefici abbiano interpretato i mores ed è sicuro che operarono in questa realtà realizzando uno strumentario specialistico che consentiva di trovare soluzioni corrispondenti alle esigenze della prassi e tecnicamente idonee a soddisfare queste pretese. I responsi dei pontefici attenevano non solo l’individuazione delle actiones da usare per instaurare legittimamente il processo, ma anche l’individuazione delle pretese che trovavano tutela con quelle actiones. Quindi, il principio

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giuridico dichiarato dal rex e guidato dall’interpretatio dei pontefici diventa parte dello ius civile e potrà essere utilizzato per casi simili. 2.

LE 12 TAVOLE E LA GIURISPRUDENZA. La legislazione decemvirale del biennio 451-449 a.C. dà conferisce carattere legislativo a tutto l’ordinamento preesistente consuetudinario ed omette la trattazione degli elementi portanti del diritto privato come la disciplina dei rapporti familiari e potestativi, dei rapporti di appartenenza e degli atti negoziali più importanti, introducendo invece una serie di norme legislative che regolano aspetti particolari di questi istituti e che sono norme che esprimono il risultato di regole già consolidate con l’interpretatio pontificale. La novità delle 12 tavole è la codificazione in sé e non le singole norme che contengono. Il contenuto delle 12 tavole riguardava sia il diritto pubblico (ad esempio si stabilì in esse il primato della legge comiziale), che norme di diritto privato (disposizioni che concernevano le persone, la proprietà, le obbligazioni, le successioni, i delitti privati, le forme di azione). Le 12 tavole sono il risultato di una rivendicazione plebea volta ad assicurare la certezza del diritto e sottrarre ai pontefici il potere esclusivo di rilevare ed interpretare i mores. Con le 12 tavole si supera l’antica base consuetudinaria dello ius civile ma per il loro carattere tecnico complesso non resero superflua l’interpretazione (mediazione tra norme dell’ordinamento giuridico e la loro applicazione pratica).

2.1) L’INTERPRETATIO PONTIFICALE DOPO LE 12 TAVOLE. Pomponio afferma che, dopo le 12 tavole (in cui furono fissate le legis actiones, sulla base delle quali, dice sempre Pomponio, “furono composte delle azioni con le quali le persone potevano contendere tra di loro in giudizio e si volle che queste azioni fossero determinate e solenni affinché il popolo non ne istituisse altra arbitrariamente”) l’interpretandi scientia continuò ad essere esercitata dal collegio dei pontefici per circa un secolo esplicandosi attraverso responsi rilasciati ai privati, ai magistrati o ai giudici che guidano la disputatio fori. Solo dopo con la laicizzazione l’interpretatio cessò di essere monopolio dei pontefici per essere esercitata anche dai giuristi laici. Dal IV al III secolo a.C. il diritto mantiene le caratteristiche di tipicità e formalismo che caratterizzarono l’età monarchica. I giuristi di questo periodo realizzano, sulle forme processuali e negoziali prefissate, un lavoro che porta progressivamente ad accentuare la distanza tra situazioni concrete e rappresentazioni in forme tipiche che esse dovevano assumere per acquisire rilevanza giuridica (si svuota in alcuni casi ogni corrispondenza tra manifestazione

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formale e causa negoziale concreta, come nella trasformazione della mancipatio in un negozio astratto in grado di coprire ogni causa di trasferimento della proprietà e non più coincidente con la sola compravendita reale. Stesso processo di astrazione nel passaggio dalla Sponsio alla Stipulatio o nell’uso fittizio a scopi negoziali del procedimento della legis actio sacramenti in rem nella forma della in iure cessio. Questo processo di evoluzione fa si che pur mantenendosi inalterato l’insieme degli schemi negoziali e processuali preesistenti, si moltiplicano le regole interpretative. La codificazione delle 12 tavole si limita a fissare i contenuti elaborati in precedenza dalla giurisprudenza pontificale con l’opera di determinazione dei mores in un insieme di regole precettive formulate con la stessa tecnica di quella giurisprudenza. 3.

LA LAICIZZAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA. Questa laicizzazione vien collegata alla pubblicazione delle prime opere scritte da Appio Claudio Cieco e da Gneo Flavio (fine IV-inizio III sec. A.C.) ed alla prassi di dare responsi in pubblico, introdotto dal primo pontefice massimo plebeo, Tiberio Coruncanio. Questo perché la struttura autoritativa del responso e la schematizzazione formale dei poche tipi negoziali nascondevano del tutto la fase di individuazione, da parte del giurista, della soluzione al singolo caso concreto e perché il monopolio pontificale è stato a lungo garantito anche dopo l’instaurazione del regime repubblicano per effetto della trasmissione “segregata” all’interno del collegio dei pontefici, delle regole cautelari e processuali del sapere giuridico. Pomponio afferma ne Digesto che “dopo che Appio Claudio Cieco ebbe redatto in forma organica queste azioni, Gneo Flavio rubò il libro e lo consegnò al popolo e questo dono fu talmente gradito al popolo che egli venne fatto tribuno della plebe e senatore ed edile curule; questo libro, che contiene le azioni, si chiama diritto civile Flaviano”. Alla fine del IV sec. a.C. la redazione per iscritto dei contenuti giuridici elaborati dai giuristi in connessione e sovrapposizione alle 12 tavole, permette la diffusione di alcune di queste regole al di fuori della cerchia che monopolizzava l’interpretatio, ma ciò comunque non infrangeva la segretezza delle tecniche giuridiche, gelosamente custodite dai pontefici.

3.1) PUBLICE RESPONDERE: TIBERIO CORUNCANIO. La laicizzazione del diritto nel senso di apertura delle tecniche interpretative ai giuristi non pontefici e di fine del monopolio fondato sulla segretezza del metodo giuridico, si ha solo con la partecipazione dei giuristi non pontefici alla discussione sulla struttura del caso da risolvere e sulla motivazione della soluzione. Mentre la redazione delle prime

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opere scritte di Appio Claudio Cieco e Gneo Flavio non ha implicato l’allargamento della conoscenza giuridica oltre il ceto dei tecnici pontefici, la prassi di dare responsi in pubblico, introdotta da Tiberio Coruncanio, travolse il monopolio di questa casta. La possibilità di apprendere direttamente dal giurista la tecnica dell’interpretatio come scienza che permette di padroneggiare i principi che costituiscono la tradizione giuridica, rappresentò la conquista del ceto politico emergente. Una volta divenuta pubblica la formulazione del responso, l’apprendimento della scientia iuris e la iuris peritia (capacità di padroneggiare questa scienza) dipendono dalle attitudini personali. Pomponio afferma che di Tiberio Coruncanio non risultano opere scritte ma il giurista viene ricordato perché i suoi responsi furono moltissimi e memorabili; ciascun giurista apprende la scientia iuris dal suo maestro discutendoci quotidianamente e la applica nei pareri e nei responsi che gli vengono richiesti e la trasmette ai suoi discepoli.

3.2) I TRIPERTITA DI SESTO ELIO PETO CATO. Il punto di arrivo di questa fase della giurisprudenza sono i Tripertita quale primo tentativo di esposizione scritta, complessiva e sistematica del diritto. Pomponio dice che quest’opera contiene i “Cunabula iuris” (gli elementi fondanti del diritto). L’opera prende il nome dalla tripartizione dello ius civile: 1) testo delle 12 tavole; 2) interpretazione svolta dalla giurisprudenza; 3) struttura del processo con esposizione delle singole legis actiones. Nel Digesto Pomponio afferma che “Tiberio Coruncanio iniziò per primo ad insegnare pubblicamente ma di lui non resta nessuno scritto ed i suoi responsi furono memorabili. In seguito Sesto Elio ed il fratello Publio Elio, nonché Publio Atilio, ebbero grandissima scienza nell’insegnamento così che i due Elii divennero anche consoli; i Tripertita sono la culla del diritto in virtù dei tre loro elementi fondanti”. L’ultimo elemento che si innesta ,nel racconto di Pomponio, nella formazione del diritto, concerne l’attività giurisdizionale dei magistrati che con gli Edicta davano notizia pubblica di come e per quali situazioni avrebbero esercitato la iurisdictio. Da questi editti si costituì lo ius honorarium.

CAP.2: LE FONTI DEL DIRITTO E LA GIURISPRUDENZA DELLA FINE DELLA REPUBBLICA. 1.

LA SVOLTA DEL III SEC. A.C.

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A metà III sec. a.C. Roma si espande territorialmente con la conquista delle prime provincie e la trasformazione di una comunità agro-pastorale in una socità prevalentemente commerciale. Lo ius civile precedente è inadeguato e regolare i numerosi nuovi rapporti che si delineano nella prassi perché era imperniato sui rapporti familiari ed interfamiliari dei cittadini romani; così giuristi e magistrati innestarono sul tessuto giuridico preesistente la tutela di nuove situazioni elaborando i nuovi istituti secondo criteri più elastici alle esigenze della prassi e queste nuove forme di tutela processuale e questi nuovi istituti talvolta derivano dallo ius civile adottato mediante interpretatio, altre volte sono individuati nell’ambito dello ius gentium che trova a sua volta determinazione e tutela sia nello ius civile che nello ius honorarium. In realtà ius civile, ius gentium e ius honorarium non sono ordinamenti giurudici distinti ma diversi modi di essere della stessa esperienza giuridica romana. La trasformazione delle strutture economiche e sociali di Roma coincide con l’esigenza di forme di tutela processuale più flessibile e non più accessibile ai soli cittadini romani. Gli strumenti logici fondamentali offerti ai giuristi erano rappresentati dalla dialettica greca e dalla retorica. 2.

I GIURISTI CHE FONDARONO LO IUS CIVILE. Pomponio ricorda tre giuristi, Publio Mucio, Bruto e Manilio che operarono a metà III sec. a.C. e li definisce come quelli che fondarono lo ius civile. Le loro opere costituite dai responsi utilizzavano per la prima volta la dialettica greca ai fini delle definizioni e della diairesi (tecnica divisoria del concetto in genus e species). Ciò permise all’interpretatio di superare i dati normativi costruendo sviluppi innovativi coerenti con l’antico ius civile e di grande forza innovativa. Le loro opere furono utilizzate anche dai giuristi successivi presso i quali ebbero grande autorità.

3.

TOPICA 5.28: GLI ELEMENTI DELLO IUS CIVILE SECONDO UNA PARTITIO DI CICERONE. Cicerone è stato un retore avvocato e non un giurista ed ha partecipato in prima persona alla vita giuridica quotidiana di Roma e le notizie ci giungono dalla sua esperienza immediata e diretta. Nella Topica 5.28 egli dice: “Le definizioni possono essere o partizioni o divisioni; le prime se il concetto da definire viene scisso in membra (ad esempio se qualcuno dice che lo ius civile è ciò che consiste nelle leggi, nei senatoconsulti, nelle sentenze, nell’autorità dei giuristi, nella consuetudine e nell’equità, negli editti dei magistrati”. La divisio comporta l’individuazione di un genus concettuale astratto e la sua suddivisione in species come categorie più particolari che,

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appartenendo allo stesso genus, hanno tratti fondamentali comuni. Mentre la suddivisione all’interno di uno stesso genus in classi più circoscritte(species) si presenta idonea alla descrizione (definitio) di un daterminato fenomeno sotto il profilo della sua estensione, la partitio (scissione in parti) è utile ad individuare l’essenza, cioè la struttura interna dell’oggetto del procedimento definitorio. La partitio è procedimento di scomposizione di un tutto unitario nei suoi elementi costitutivi, quindi non è semplice enumerazione delle fonti di produzione dello ius civile. In essa si perderebbe tutto il suo valore di definizione della struttura dello ius civile se si sopprimesse anche una soltanto delle sue parti. La differenza tra Partitio e Divisio è che in quest’ultima il venir meno di una delle species limita l’estensione del genus senza alterarne la connotazione concettuale e l’inclusione nella categoria concettuale più ampia (nel genus) definisce e qualifica la species almneo nelle sue connotazioni fondamentali; nella partitio è il tutto ad essere definito mediante l’individuazione delle sue parti e del rapporto coessenzaiale tre esse. Ciò significa che gli elementi che sono parti dello ius civile Cicerone li considera nell’ambito di un insieme unitario nel senso che l’ordinamento giuridico concreto risulta non dalla loro somma ma dal rapporto di interconnessione tra esse e ciascuna parte si configura nel rapporto con le altre. In ciascuna partes della partitio, si individua un aspetto particolare dello ius civile e non una fonte di produzione del diritto.

3.1) LE SINGOLE PARTES. LEGES, PLEBISCITA, SENATOCONSULTA. Le Leges sono deliberazioni proposte dai magistrati maggiori con l’auctoritas del senato e sono votate dal comizio centuriato. Esse sono comprensive anche dei Plebiscita (deliberazioni prposte dai tribuni e votate dal comizio centuriato), infatti leges rogatae e plebiscita costituiscono dopo le 12 tavole l’unica fonte normativa generale dello ius civile, ma sono poche e disciplinano settori limitati del diritto privato. I Senatoconsulta rappresentato il frequentissimo intervento mediato del senato che estende il suo potere consultivo a tutte le attività dei magistrati e che incide sulla formazione delle leggi e degli editti dei magistrati.

3.2) IL PROBLEMA DELLE RES IUDICATAE. Esse sono le sentenze pronunciate dai giudici. Nel contesto dei Topica ciceroniani le “res iudicatae” hanno un valore differente da quello che

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si può individuare in altre fonti retoriche nelle quali sono considerate come prove inartificiales quali exempla. Nella Rethotica ad Herrenium si afferma che la circostanza che un giudice o magistrato si sia in precedenza pronunciato in un certo senso in relazione ad un caso simile può essere utilizzata per persuadere il giudice di fronte al quale si discute per pronunciarsi in modo analogo; a questo fine, la citazione dell’exemplum sarà tanto più utile ed efficace quanto più simili saranno i due casi (quello già deciso e quello da decidersi) e quanto più essi saranno vicini nel tempo. Viceversa la res iudicata sarà citata impropriamente se riguarda un caso diverso da quello che si tratta davanti al giudice o se attiene ad un punto non controverso o l’avversario potrà citare un numero maggiore di sentenze a lui favorevoli. Le res iudicatae vano poste in relazione con l’auctoritas dei giuristi, gli editti dei magistrati, l’equità e la consuetudine infatti se sono prese autonomamente non hanno lo stesso significato e nella visione di Cicerone esse rientrano tra le componenti del diritto se la loro rilevanza viene confermata dalla consuetudine. Nel “de inventione” di Cicerone ritroviamo questa correlazione: “Il diritto costituito dalla consuetudine viene individuato in ciò che è stato confermato dall’antichità per volontà di tutti e senza una legge; alcuni generi del diritto sono già resi certi attraverso la consuetudine, nella quale rientrano patto ed equità; per giudicato si intende ciò su cui si è statuito in precedenza con sentenza di uno o di molti”. Molte regole sono state introdotte anche dalla prassi giudiziaria come nel caso delle soluzioni autoritative del tribunale dei centumviri dalle cui sentenze deriva la regola “i figli in potestà al momento della morte del padre devono essere espressamente istituiti o diseredati nel testamento e se il figlio non era neanche menzionato il testamento era inefficace”. Altro esempio è la causa curiana che creò un precedente molto importante; essa si svolse nel 93 a.C. e prende il nome dal convenuto Curio che nel testamento di Coponio viene istituito sostituto pupillare di un figlio non ancora nato. Gli eredi ex lege, difesi dal giureconsulto Q. Mucio Scevola agirono nei confronti di Curio che, morto Coponio, si era impossessato dei beni ereditari rivendicando l’eredità e sostenendo che il testamento fosse invalido perché, non essendo mai nato il figlio, non poteva ritenersi verificato il presupposto della sostituzione pupillare e non si sarebbe mai potuta verificare la condizione cui era subordinata l’istituzione del sostituto, cioè la morte del figlio prima del raggiungimento della pubertà. Prevalse la tesi di Crasso che difendeva l’efficacia del testamento e della sostituzione pupillare e, secondo Cicerone, prevalse in base ad esigenze di equità che dovevano portare a considerare prevalente la volontà del testatore rispetto a forma ed espressione letterale.

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3.3) RES IUDICATAE E PRECEDENTI. Ci si chiede se in relazione alle re iudicatae si possa parlare di meccanismo di utilizzazione del precedente giudiziale. Il precedente inteso come decisione delle corti giudicanti va inteso come fonte primaria nei paese di common law e come fonte secondaria nei paesi di civil law; ciò trova espressione nei paesi di common law nella regola dello stare decisis che impone l’osservanza delle precedenti decisioni delle corti giudicanti di grado superiore o di pari grado. I principi di common law si identificano con il complesso delle rationes decidendi espresse nelle sentenze dei giudici, quindi non è la decisione del caso particolare che...


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