Il 500 - L\'epoca di Carlo V PDF

Title Il 500 - L\'epoca di Carlo V
Course Letteratura spagnola i
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunti manuale...


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Il 500 – L’Epoca di Carlo V L’impero e il Rinascimento L’età di Carlo V, primo e unico imperatore euro-americano, è una di quelle in cui convivono crisi e sviluppo, poiché si incrociano vasti fenomeni culturali, quali l’erasmismo e l’italianismo in primo luogo, con momenti della politica imperiale. Carlo V nasce nel segno della grandezza non solo perché la scoperta delle Indie Occidentali già profila la grande e imminente ricchezza della Spagna, ma anche perché riunisce in sé il sangue delle dinastie di Castiglia e d’Aragona, degli Asburgo e del ramo borgognone dei Valois. Figlio di Filippo il Bello d’Asburgo e di Giovanna la Pazza di Castiglia, ebbe dunque per nonni l’imperatore Massimiliano I e Maria di Borgogna nella linea paterna e, nella materna, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Il suo impero, pur riunendo terre remote fra loro e discordi per lingue e costumi, si estende dai Paesi Bassi alle terre germaniche, dalla Spagna al regno di Napoli, oltre al sempre più vasto dominio americano. Carlo V nasce nella grande capitale Gand e riceve un’istruzione tipicamente borgognona; educato da una persona di alte qualità quale la zia Margherita e da precettori di valore, si propone essenzialmente come un tipico e tardo esemplare della civiltà borgognona. Ottimo cavaliere, rigidamente allevato nel senso dell’onore, cattolico rigoroso, il principe di Gand, malgrado certi limiti caratteriali e anche fisici, sembra impersonare il modello del signore di un’epoca in cui solo alcuni aspetti si inquadrano nel comune ritratto del principe rinascimentale. Infatti, nel corso delle innumerevoli contese col cognato e suo perenne nemico Francesco I di Francia, per ben due volte l’imperatore ritenne di dirimere le questioni mediante la procedura della >, che rinvia ai cartelli di sfida medioevali quanto a mentalità e a modo d’agire. Per altra parte, uno dei punti fissi dell’idealità politica fu la volontà di crociata. Carlo V seppe circondarsi di uomini di indiscusso valore, come Guillaume de Croy, Mercurio di Gattinara o, il suo confessore, Antonio de Guevara e il segretario Antonio de Valdés. Se per un verso, l’imperatore perseguì con faticosa costanza un’intensa piena con i papi, per altro verso non si sentì autenticamente imperatore se non dopo l’incoronazione ufficiale, avvenuta a Bologna nel 1530 per mano di Clemente VII. È risaputo come l’attitudine di questo re cattolicissimo fu costantemente quella di mediare soluzioni accettabili fra le parti. Fu un atteggiamento illuminato, in cui, se una parte è da ascrivere a preoccupazioni dinastico-politiche, molta parte va anche riconosciuta a una mentalità aperta, abile e sensata, non estranea a una Realpolitik rapportata ai tempi. Elemento altrettanto rilevante è l’ispanismo di Carlo, il quale giunge, a 17 anni, in una terra che gli è ignota senza conoscere una parola di spagnolo. Non solo nel giro di poco tempo si ispanizzò completamente, ma anzi radicò pienamente il suo essere in una terra che divenne l’amata patria reale, per di più assumendo quale sua guida ideale la figura, di raro valore, della nonna Isabella la Cattolica. Quando, divorato dalla gotta e stanco della cosa pubblica, l’imperatore decide di abdicare lasciando al figlio Filippo le terre occidentali e al fratello Ferdinando le orientali, non si ritira nei luoghi della sua giovinezza, ma sceglie ancora e sempre la Spagna, facendosi costruire una resistenza addossata al monastero gerolamino di San Yuste nella Nuova Castiglia, dove si spegne nel 1558. Il contatto con Baldesar Castiglione o la dedica da parte di Ariosto della seconda edizione dell’Orlando furioso sono indizi dell’attenzione portata dall’imperatore alla vita culturale, la cui essenza sarebbe stata d’altronde inconcepibile in una corte rinascimentale. Questi interessi non prevalgono rispetto agli obblighi politico-religiosi e non comportano disinteresse, anzi, quasi per un ulteriore riscontro fra gli atti

del re e lo sviluppo delle correnti letterarie, la Spagna propone una nozione di Rinascimento alquanto diversa da quella proposta dall’Italia quale centro di una vera rivoluzione intellettuale. L’età umanistico-rinascimentale della Spagna non si presenta come semplice imitazione del modello italiano; da una parte vi era l’erasmismo, dall’altra, nella situazione della poesia, l’italianismo, che inventò e proiettò ovunque nuovi modelli di vita civile e culturale. Le partizioni cronologiche, all’interno del periodo, fra Umanesimo e Rinascimento, non hanno altra funzione se non quella di fornire una prima mappa orientativa, dato che la realtà vera è in un continum, ovviamente dinamico. È quindi utile individuare un “secolo” umanistico che corre all’incirca dalla morte del Petrarca (1374) al 1470; quindi, un secolo rinascimentale, che giunge fino al 1573 e infine, un ultimo quarantennio di classicismo o tardo Rinascimento. La filosofia è quella dell’uomo nella totalità del suo essere; è il punto di riferimento di ogni attività, nelle arti come nelle scienze, nella politica come nell’etica. Ovviamente, quando si approda sul suolo castigliano i discorsi assumono altro andamento, fino al punto che, nel 1927, ben due studiosi, Wantoch e Klemperer, asserirono che è indebito parlare di Rinascimento spagnolo. Va però precisato che in tale presa di posizione vi è la negazione che si sia generato dall’attività umanistica un impulso di pensiero, con l’acquisizione dei conseguenti modelli. Federico de Onìs, aveva sottolineato la conflittualità più accentuata e il diversamente difficile equilibrio fra antico e nuovo prodottisi in Spagna, malgrado l’intensissimo reticolo di rapporti esistenti fra terra iberica e Italia tra XV e XVI secolo. Non vanno dimenticati, per esempio, la situazione del regno dei Reyes Catòlicos profondamente integralista, con la conseguente messa al bando degli ebrei e la pressante azione dell’Inquisizione, o il permanere di un insegnamento duramente scolastico che si erge a barriera contro il nuovo sapere. Per contro, questa stessa Spagna, accoglie il messaggio di Erasmo, ossia la parola di chi >, o sa appropriarsi in maniera straordinaria del messaggio petrarchesco e neoplatonico della “scuola” italiana. Probabilmente sarebbe più equo parlare di Rinascimento altro, vissuto nella propria singolarità. Giacchè, se fu forte la promozione in poesia del modello italiano, la poesia di tipo cancioneril non arretrò poi troppo; se fu saldo il conservatorismo nel sapere speculativo e nel conoscere, si fu però enormemente sensibili alla spiritualità proveniente dal Nord Europa; se ci fu cronaca per certi versi ancora agganciata alla tradizione alfonsina, ci furono però anche uomini come Cortés o Las Casas che trasmisero storia in ben altra chiave; e il teatro o la narrativa non reagirono altrimenti. L’ampiezza dell’operazione umanistica dell’intellighenzia catalana non poteva non trovare riscontro in area castigliana, un’area in cui, quanto a italianismo, il marchese di Santillana aveva dato specifico contributo. Alcuni dei tanti nomi dei “classicizzanti” furono Alfonso de Cartagena, Rodrigo Sànchez de Arévalo, Fernando de Còrdoba, Alfonso Fernàndez Palencia, Francisco de Vergara, Francisco Lòpez Villalobos, Alvar Gòmez de Castro, Hernàn Nuñez il Pinciano, Pedro Mexìa, Juan de Mal Lara, Garcìa Matamoros. Va tenuto conto almeno di altre due importanti presenze: da una parte, il significato della Gramàtica di Nebrija, che rappresenta un atto di riflessione linguistica carico di esiti; dall’altra, l’azione di vastissima portata promossa dal famoso cardinale Cisneros. Si è molto insistito sul fatto che l’innegabile ritorno in Spagna alla lezione dell’antichità abbia rafforzato l’uso del volgare.

L’erasmismo Erasmo da Rotterdam (1466-1536) fu figura dominante dell’Umanesimo europeo e la sua dottrina ebbe un ascolto eccezionale in un periodo della disputa teologica di straordinaria tensione. L’autorità del teologo, che fu > come scrive Marcel Bataillon, fu enorme, tanto che può affermarsi che non vi fu persona di un qualche rilievo in quei decenni che non sia stata in contatto con il pensatore olandese, il quale fu anche prolifico epistolografo. Le sue opere ebbero una eco impressionante in ogni latitudine d’Europa, determinando di fatto un indirizzo riformatore e un vero e proprio “movimento” che segnò precisi confini e chiare distinzioni. Come scrive Bataillon: >. È proprio al Bataillon che si deve l’illustrazione più ampia dell’influenza del pensiero erasmiano sulla Spagna. È stato più volte ribadito che la Spagna conteneva le premesse storiche per meglio aderire alla parola erasmiana. Da una parte, l’eccezionale importanza dell’opera sostanzialmente riformista promossa dal cardinale Cisneros, specie con quegli atti quali la fondazione dell’Università di Alcalà e l’impulso ai lavori della Biblia; dall’altra, l’azione assai penetrante di vari movimenti di revisione e protesta, come per esempio il nicodemismo (la cui essenza del movimento è nel dualismo fra essere e sembrare) o il cosiddetto alumbrismo (o illuminismo), anch’esso spiritualista. A questo punto diventa illuminante la cronologia, per meglio comprendere il naturale rifluire delle istanze dei riformatori alumbristi nel messaggio erasmiano. Nel 1525 si pubblica un editto contro gli alumbrados , che ha l’effetto scompaginante ben immaginabile. Se il nome di Erasmo viene scritto per la prima volta da penna spagnola nel 1516, è proprio fra il 1522 e il 1525 che comincia ad estendersi con grande vigore quello che è stato definito > destinato a evolvere in breve in una vera e propria invasiòn i cui punti focali si hanno fra il 1527 e il 1532. Essendo la parola di Erasmo profondamente intrisa di umanesimo e ampiamente aperta al rinnovamento rinascimentale, il momento erasmista della Spagna si cofigura come un atto preciso di partecipazione dell’intellettualità castigliana agli spazi innovativi; anzi, come la forma di più vasta latitudine e più acutamente sentita del modello ideologico umanistico-rinascimentale. Si allineano così sotto l’insegna erasmista alcuni fra i più nobili ingegni del 500, da Vives ai fratelli Valdés, da Cristòbal de Villalòn al Doctor Laguna, da Domingo de Soto ad Alonso de Castrillo, da Luis de Granada a Juan de Avila, da Alejo de Venegas fino a Luis de Leòn e Cervantes. Il fenomeno erasmiano fu probabilmente quello di maggiore coinvolgimento della cultura spagnola della prima metà del secolo, con esiti destinati a perdurare anche dopo i tempi fra l’abdicazione di Carlo V e la conclusione del Concilio di Trento (1563). Juan Luis Vives Nell’affollato proscenio degli uomini di cultura del Rinascimento spagnolo, spicca la figura di Juan Luis Vives, umanista e filosofo che assorbe la lezione erasmiana nei suoi segni più coinvolgenti, quali il convinto ideale di un’etica vissuta come voce profonda dell’intimità religiosa, il conseguente universalismo evangelico, la polemica antiscolastica. Filosofo e pedagogo, teologo e filologo, Vives scrisse, sempre in latino, un gran numero di opere. Il contrassegno specifico della produzione di Vives risiede essenzialmente nella fondazione di una filosofia ampiamente affacciata sulla pedagogia e sulla psicologia. Nato a Valenza nel 1492 da una famiglia di

ebrei convertiti (i conversos) dedita alla mercatura dei tessuti, ebbe il padre condannato al rogo nel 1524; la madre era morta nel 1509, ma nel 1528 i suoi resti furono dissotterrati e pubblicamente bruciati. Pare che i motivi di così crudeli persecuzioni siano da vedersi nel contatto mantenuto dai Vives con ambienti ebraici e, quindi, nella non affidabilità della loro conversione. Dopo aver compiuto la prima parte della sua educazione a Valencia, viene mandato a studiare a Parigi nel 1509, dove sposa una dei tre figli della famiglia valenzana Valdaura, Margherita, nel 1524. Non si sa molto degli ultimi anni della vita di Vives, ma una pensione assegnatagli nel 1532 da Carlo V, benché modesta, dovette aiutarlo a vivere. Muore il 6 maggio 1540. I molti scritti di Vives possono dividersi in sezioni, quali: opere devote; opere filologiche; opere morali; opere politiche; opere pedagogiche; opere filosofiche; opere apologetiche. Data la pluralità di interessi e la non sistematicità dell’opera di Vives, cifrare il pensiero di chi è stato definito > non è agevole. Quel che va sottolineato è il carattere di una scrittura in cui si sposano vivacità nei modi di rappresentazione, garbo gentile nel passaggio sarcastico o anche solo ironico, capacità di disegno mobile e gustoso nelle situazioni e nei personaggi, nonché una vivissima carica di umanità. Il tutto, in un latino elegante e vivo. L’intento pedagogico non è mai messo da canto e l’atto riflessivo, per mascherato che sia, è sempre sotteso e spesso incalzante. Quella di Vives è una figura di spicco nel quadro della filosofia spagnola; merita anche un posto come letterato, per le molte virtù della sua scrittura elegante, allusiva, diretta, corposa, per il giusto equilibrio fra la tensione pedagogico-speculativa e il piacere del quadro vivace, spesso molto brillante, per la sagacia con cui sa far scattare al punto giusto del testo il tono appropriato e adeguato. Alfonso de Valdés Alfonso, il maggiore dei fratelli Valdés, nasce a Cuenca nel 1490. La madre proviene da famiglia > convertita. Tutta la carriera di Alfonso si svolge nella cancelleria reale, dove, dal 1526, è nominato segretario. Dal 1529 e fino alla morte, occorsa nel 1532, viaggia in più luoghi fuori dalla Spagna, anche in Italia. Le sue due opere dialogiche furono composte nel giro di poco più di due anni: 1527, il Diàlogo de las cosas ocurridas en Roma; nel biennio successivo, il Diàlogo de Mercurio y Caròn. Il primo dialogo prende spunto dall’evento del sacco di Roma; il carattere fondamentale di quest’opera è palesemente politico: un compito per dimostrare da una parte l’estraneità dell’imperatore ai fatti, dall’altra per insinuare una specie di legittimità naturale del sacco. Il Diàlogo è suddiviso in due parti: nella prima si cerca di salvare la responsabilità diretta dell’imperatore nei fatti; nella seconda, il carattere provvidenziale di essi per il bene della repubblica cristiana. L’opera non si nutre di una dialettica equilibrata e ugualmente ripartita fra i due contendenti, bensì presenta un’assai precoce prevalenza di un interprete rispetto all’altro, prevalenza che ben presto diviene scontata. Per quel che concerne la suddivisione in due libri, si deve riconoscere abile avvedutezza nell’autore allorchè inserisce la specificazione dell’argomento (il sacco) non nella prima parte, che è tutta religiosa (e molto erasmiana), sì da rendere ancora più plausibile la provvidenzialità di un atto che apparve eccezionalmente sacrilego. L’erasmismo di Alfonso, d’altronde, non emerge in questo Diàlogo come nell’altro, semplicemente perché quella tolleranza di tono non vale a far recedere il sostanziale fanatismo della tesi precostituita. Il nucleo tematico del Diàlogo de Mercurio y Caròn è assai ridotto. L’opera è suddivisa in due libri e l’organizzazione dei materiali è disposta simmetricamente. Nel primo, le anime interloquenti sono 12 e

rappresentano il rovescio della religiosità autentica vissuta nel nome del Cristo puro, e perciò trattata con toni ora ironici, ora caricaturali, ora sarcastici, ma insieme intrisi di sottile amarezza. Si hanno così il predicatore cinico e famoso, il consigliere del re, il duca, il vescovo, il cardinale, la monaca controvoglia, un nuovo consigliere del re ora inglese, il re dei Galati visto come un mostro, il francese segretario del re, il cosiddetto perfetto cristiano, il teologo e, infine, il buon cristiano, unica anima positiva che transita soltanto per l’Ade verso il cielo, seguito da una piccola folla. Nel secondo libro, le anime sono 6 e, trattandosi di interpreti della vita pia e devota, cadono i supporti satirici; le anime sono il re Polidoro, il vescovo, il predicatore, il cardinale, il frate e la madre virtuosa. Questo affresco, che è insieme politico e religioso, è strutturato lungo due piani, corrispondenti appunto alle due istanze di fondo, che tuttavia si mescolano e alternano di continuo, ma pur sempre entro un’ordinata disposizione: agli inserti relativi alla sfilata delle anime è attribuito il compito della definizione etico-comportamentale e la delineazione del quadro spirituale; al fitto dialogo fra i due protagonisti è affidata la funzione dell’esposizione storica. Nonostante i molti pregi, anche tipicamente rinascimentali, dell’opera, va tuttavia notato che fra la prima parte e la seconda si assiste a una frattura. Già nel secondo e più breve libro viene a cadere la sveltezza del dialogo, a causa dei più ampi inserti moraleggianti; poi scompare il piglio della fustigazione ironica e spesso paradossale, che ha anche l’effetto di conferire notevole spigliatezza alla fisionomia dei personaggi; da ultimo, la narrazione più propriamente storica cede il passo a una fin troppo minuziosa esposizione dei momenti di un memorabile duello mai avvenuto. Quanto a saldezza della strutturazione e freschezza di scrittura, quest’opera di Alfonso ha pregi tali da porla nelle prime posizioni della fioritura dialogica del 500. Juan de Valdés Diversamente da quella di Alfonso, la vita di Juan fu più tormentata e complessa. Egli nasce nel 1509 e fino al 1530 risiede in Spagna vivendo esperienze determinanti, come la frequentazione a Escalona di Alcatraz e la permanenza ad Alcalà de Hénares: i luoghi in cui il giovane pensatore assorbe profondamente la lezione alumbrista. Nel 1529 vede la luce l’unica opera a stampa in vita dell’autore, ossia il Diàlogo de doctrina cristiana, testo di preciso impegno riformatore che non piacque all’Inquisizione, tanto che, in vista di un secondo processo, Juan emigra verso l’Italia nel 1530. È a Napoli dove Juan dà corpo e spessore alla sua teoresi religiosa, circondato da una corte di adepti affascinati da un maestro che viene descritto debole di corpo, ma acceso da una luce intellettuale e una forza di opere eccezionali. Dopo la pubblicazione del Diàlogo, che si situa, per il suo rilievo storico, >, Juan compone un gran numero di opere, fra le quali sono da considerare di maggiore importanza il famoso Diàlogo de la lengua, l’Alfabeto cristiano, Le cento e dieci divine considerazioni, nonché una serie di Cartas al cardinal Gonzaga e di Lettere al segretario di Stato Cobos, i commenti al vangelo di Matteo, alle epistole di Paolo ai Romani e ai Corinzi, ai Salmi, gli importanti Trattatelli. Juan muore nel 1541. L’evangelismo valdesiano, che, come ha ben visto Marcel Bataillon, palesa un affrancamento dal moralismo formalistico assai maggiore che non in Vives, trova in una scrittura asciutta, saldamente e armonicamente connessa, lo strumento proprio a quel primato dei concetti che contraddistingue lo stile non esclusivamente letterario. Nel trattato Diàlogo de la lengua, viene difeso un ideale di lingua della prosa che corrisponde a quello stesso praticato ovunque da Valdés, ossia: chiarezza, proprietà e sobrietà attuate nell’elegante scioltezza

della forma. L’opera sommuove un ritmo vario e spedito, sicchè la materia più propriamente linguistica e grammaticale risulta disseminata tra le interruzioni, le domande, i dubbi, le brevi confutazioni, acquistando, umanisticamente, l’eleganza di una conversazione gradevole. Valdés dimostra non solo di possedere appieno l’argomento, ma anche di coltivare un ideale di lingua letteraria pienamente moderno, nonostante scelga il supporto dei refranes perché son voce di Dio. La poesia – L’italianismo Nel quadro generale degli scambi culturali fra Italia e Spagna, il momento di maggiore intensità è stato riconosciuto da sempre all’età rinascimentale, con estensione ai secoli precedente e seguente. L’intensificazione del contatto fra le due penisole mediterranee fu favorita dalla particolare situazione politica. Va tuttavia tenuto anche in considerazione il valore autonomo del Rinascimento italiano, che illumina l’intera Europa ed è naturale che la nazione maggiormente in contatto con l’Italia ne venisse presto coinvolta. Parlare di italianismo spagnolo significa soprattutto parlare di petrarchismo; ma parlare di petrarchismo, sia italiano sia europeo, significa anche non limitarsi a evidenziare tratti tecnici e formali, bensì esplicitare gli elementi mentali e tematici che legittimano que...


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