Il virtuale secondo Pierre Lévy PDF

Title Il virtuale secondo Pierre Lévy
Author Francesco Nappo
Course Sociologia
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Il virtuale secondo Pierre Lévy

Pierre Lévy riprende questa differenziazione tra virtuale e possibile e tra reale ed attuale. Il virtuale non è dunque il contrario del reale, ma un modo anzi di essere fecondo, che concede margine ai processi di creazione, schiude prospettive future, scava pozzi di senso al di sotto della piattezza della presenza fisica immediata. Secondo Lévy questo passaggio dal virtuale all’attuale è un processo di trasformazione da una modalità dell’essere a un’altra. Tuttavia il percorso filosofico più affascinante riguarda la prospettiva da cui viene osservata questa trasformazione. Lévy intraprende un percorso originale in quanto non si concentra, come Deleuze, sul processo di attualizzazione, ma segue la via opposta, andando dall'attuale al virtuale. Come per Deleuze il passaggio dal virtuale all’attuale era fonte di creazione e percorso privilegiato dell'evoluzione, così per Lévy il processo inverso, quello della virtualizzazione, è il processo creativo per eccellenza, in quanto creatore di nuove problematiche. Prima di esaminare più approfonditamente questo processo di virtualizzazione, è utile soffermarsi ancora un attimo sul suo opposto, cioè l’attualizzazione. L’attualizzazione è la soluzione di un problema, una soluzione che non era già presupposta nell’enunciato. E’ creazione, invenzione di una forma a partire da una configurazione dinamica di forze e di finalità, non solamente il conferimento di realtà a un possibile o la scelta all’interno di un insieme predeterminato. L’attualizzazione consiste in una produzione di qualità nuove, una trasformazione delle idee, un vero e proprio divenire che di rimando alimenta il virtuale stesso. Per indicare meglio cosa intende con attualizzazione, Lévy fornisce l’esempio del rapporto con le nuove tecnologie. Mentre lo svolgersi puramente logico di un programma informatico è riconducibile alla coppia possibile\reale, l’interazione tra l’uomo e i sistemi informatici fa capo alla dialettica del virtuale e dell’attuale. "A monte, l’ideazione di un software richiede di trattare un problema in modo originale. Ogni équipe di programmatori ridefinisce e risolve diversamente il problema che ha di fronte. Più a valle, l’attualizzazione del programma in sede di utilizzo, per esempio in un collettivo di lavoro, squalifica talune competenze, fa emergere nuovi meccanismi, scatena conflitti, sblocca situazioni, instaura una nuova dinamica di collaborazione… Il software è portatore di una virtualità di cambiamento che il gruppo – mosso a sua volta da una configurazione dinamica di tropismi e di vincoli – attualizza in modo più o meno creativo. Il reale assomiglia al possibile; l’attuale invece, non è affatto simile al virtuale: gli risponde. " Dunque possiamo definire la realizzazione come l’accadimento di un possibile predefinito e l’attualizzazione come l’invenzione di una soluzione richiesta da un complesso problematico. La virtualizzazione invece può essere indicata come il movimento contrario all’attualizzazione. Essa consiste nel passaggio dall’attuale al virtuale, per citare nuovamente Lévy "nell’elevare a potenza l’entità considerata". Se l’attualizzazione procede da un problema alla sua soluzione, la virtualizzazione passa da una soluzione data a un (altro) problema. Essa non è solamente il passaggio da una realtà a un insieme di possibili, non è una derealizzazione, ma un vero e proprio cambiamento di identità. Anziché definirsi attraverso la sua attualità, ovvero in una soluzione, l’entità trova la propria consistenza essenziale in un campo problematico. Così operando, la virtualizzazione fluidifica le differenze istituite, aumenta i gradi di libertà, fa del vuoto che scava un elemento motore. Essa implica altrettanta irreversibilità nei suoi effetti, indeterminazione nel suo processo e inventiva nel suo sforzo, quanto l’attualizzazione, e per questo motivo risulta uno dei vettori più importanti della creazione di realtà. Questo processo di virtualizzazione ha due caratteristiche: la deterritorializzazione e un continuo "effetto Moebius", cioè un passaggio dall'interno all esterno e viceversa. La prima modalità riguarda il distacco dal qui e ora. Il luogo fisico dove avviene un incontro tra persone reali non è più localizzabile con precisione. Anche nel caso di una conversazione telefonica è difficile stabilire

dove essa avvenga: in modo molto più evidente il problema si pone nel caso di un’impresa virtuale, dove i suoi elementi divengono nomadi e dispersi in vari punti del globo. Anche un singolo testo appare ormai come l’attualizzazione di un ipertesto a supporto informatico. Un testo che si trova nella rete e che noi non leggeremo mai non è meno reale di un testo che leggiamo, ma per noi non è attuale fino al momento in cui lo scopriamo. E’ vero che è possibile assegnare un indirizzo a un file informatico, ma nell’era dell’informazione on line questo indirizzo sarebbe comunque temporaneo e poco rilevante. Deterritorializzato, interamente presente in ciascuna delle sue versioni, delle sue copie, delle sue proiezioni, sprovvisto d’inerzia, ubiquitario abitatore del cyberspazio, l’ipertesto contribuisce a produrre qua e là degli eventi di attualizzazione testuale, di navigazione e di lettura. Come ultimo esempio vorrei riportare la comunità virtuale, i cui membri sono accomunati dai medesimi centri di interesse e dai medesimi problemi e dove la geografia, contingente, non rappresenta più né un punto di partenza, né un vincolo. Una sorta di disinnesto li stacca dallo spazio fisico e geografico consueto nonché dalla temporalità dell’orologio e del calendario. Gli appartenenti alla comunità virtuale coincidono con lo spazio-tempo classico solo occasionalmente e in un modo del tutto diverso da quello usuale: la sincronizzazione rimpiazza l’unità di luogo (grazie alle interazioni in tempo reale attraverso le reti elettroniche, alle ritrasmissioni in diretta, ai sistemi di telepartecipazione), l’interconnessione sostituisce l’unità di tempo (come nella comunicazione attraverso segreterie o posta elettronica). Il virtuale produce degli effetti. Sebbene non si sappia dove, in un tempo non precisabile, noi comunichiamo effettivamente per interposte segreterie. Gli operatori maggiormente deterritorializzati sono quelli della tecnoscienza, della finanza e dei media. Sono loro che strutturano la realtà sociale con maggiore forza, quando non con violenza. Collegata a questo distacco dal qui ed ora è sicuramente la pluralità dei tempi e degli spazi. L’universo culturale, proprio dell’uomo, amplia questa variabilità degli spazi e delle temporalità. Ogni nuovo mezzo di comunicazione e di trasporto modifica il sistema delle prossimità concrete, e cioè lo spazio attinente alle comunità umane. Analogamente, sistemi di registrazione e di trasmissione di vario tipo (dalla tradizione orale e dalla scrittura alle registrazioni audiovisive e alle reti digitali) costruiscono ritmi, velocità e qualità di storia differenti. L’invenzione di nuove velocità è il primo stadio della virtualizzazione. L’accelerazione delle comunicazioni è contemporanea a un enorme incremento della mobilità fisica. Non è assolutamente vero che la moltiplicazione dei media e l’aumento dei flussi di comunicazione si sostituiranno alla mobilità fisica, poiché finora le due crescite sono sempre state parallele, anzi, forse possiamo parlare della medesima ondata di virtualizzazione. La seconda caratteristica di questo processo riguarda il passaggio dall’interno all’esterno e viceversa. Questo "effetto Moebius" si manifesta a più livelli: quello delle relazioni tra privato e pubblico, proprio e comune, soggettivo e oggettivo, carta e territorio, autore e lettore, ecc. Un esempio esplicativo può essere nuovamente quello dell’impresa virtuale, in cui il telelavoratore trasforma il proprio spazio privato in spazio pubblico, e viceversa. I luoghi e i tempi si mescolano. "Solo nel reale le cose sono nettamente delimitate. La virtualizzazione, passaggio alla problematica, spostamento dell’essere sull’interrogazione, è necessariamente una rimessa in discussione dell’identità classica, pensata servendosi di definizioni, di determinazioni, di esclusioni, di inclusioni e di terzi esclusi. Per questo la virtualizzazione è sempre eterogenesi, divenire altro, processo di accoglimento dell’alterità. Non bisogna naturalmente confondere l’eterogenesi con il suo contrario prossimo e minaccioso, la sua sorella nemica, l’alienazione, che definirei come reificazione, riduzione all’oggetto, al reale. " Lévy ci mostra come il movimento generale di virtualizzazione non investa oggi solo l'ambito dell'informazione e della comunicazione, ma anche il corpo, il sistema economico, i parametri collettivi della sensibilità e l'esercizio dell'intelligenza. Di queste diverse modalità scriverò in modo più approfondito nei

capitoli successivi. Per adesso, ciò che conta è che per l’autore esse sono una fase dell'incessante processo di ominazione, non solo dunque una tendenza del mondo contemporaneo, ma la ripresa dell'inarrestabile autocreazione dell’umanità. Infatti, secondo Lévy, la nostra specie si e' costituita grazie e attraverso la virtualizzazione. In particolare egli vede tre processi di virtualizzazione che hanno caratterizzato la specie umana. Il primo è legato ai segni, ovvero al linguaggio e rappresenta la virtualizzazione del tempo reale. Il secondo risiede nella tecnica: virtualizzazione delle azioni, del corpo e dello spazio fisico. Il terzo cresce con l’aumentare della complessità delle relazioni sociali, dall’autore definito come il contratto, ovvero la virtualizzazione della violenza. Il linguaggio virtualizza un "tempo reale" che tiene il vivente prigioniero del qui ed ora. In questo modo considera il passato, il futuro e, in generale, il Tempo come regno di sé, una durata dotata di consistenza propria. A partire dall'invenzione del linguaggio, noi umani abitiamo ormai in uno spazio virtuale. Il flusso temporale è un tutto che l'immediato presente attualizza solo parzialmente, fugacemente. Nella loro unità vivente, il passato acquisito, ricordato, reinterpretato, il presente attivo e il futuro auspicato, temuto o semplicemente immaginato, sono di ordine psichico, esistenziale. Il tempo come durata infinita non esiste se non virtualmente. Senza la lingua non potremmo né porre domande, né raccontare storie, due forme di svincolamento dal presente che al contempo rendono più intensa la nostra esistenza. Con la comparsa del linguaggio si inaugura una nuova rapidità di apprendimento, una celerità di pensiero inedita. L’evoluzione culturale è più rapida di quella biologica. Il tempo si sdoppia facendo nascere temporalità interne al linguaggio: tempo della narrazione, ritmo endogeno della musica e della danza. I linguaggi umani virtualizzano il tempo reale, le cose materiali, gli eventi attuali e le situazioni in atto. Non sempre la virtualizzazione è legata a una scomparsa, spesso essa innesca un processo di materializzazione, come nel caso della tecnica. Più che un’estensione del corpo, un attrezzo è la virtualizzazione dell'azione (sebbene il martello possa dare l'idea di un prolungamento del braccio, è evidente che la ruota non è l'estensione della gamba, ma la virtualizzazione della camminata). "Ci sono poche virtualizzazioni dell’azione e molte attualizzazioni degli attrezzi. Il martello potrebbe essere stato inventato tre o quattro volte nel corso della storia, il che equivarrebbe a tre o quattro virtualizzazioni. Ma quante martellate sono state date? Miliardi e miliardi di attualizzazioni. L’attrezzo, il perdurare della sua forma costituiscono una memoria del momento originario di virtualizzazione del corpo in atto. L’atrezzo cristallizza il virtuale." La tecnica non virtualizza solo i corpi e le azioni, ma anche le cose. Da quando sono state inventate le tecniche d’accensione, il fuoco può anche essere virtuale. E' virtuale ovunque vi sono dei fiammiferi. I rituali, le religioni, le morali, le leggi, le regole economiche e politiche sono dei dispositivi sociali per virtualizzare le relazioni fondate sui rapporti di forza, le pulsioni, gli istinti e i desideri immediati. Una convenzione, oppure un contratto definiscono una relazione indipendentemente da una situazione specifica, indipendentemente dai cambiamenti di umore delle parti, indipendentemente cioè dalla fluttuazione dei rapporti di forza. In una società, un rito (per esempio nel caso di un matrimonio) si applica ad una varietà indefinita di persone. Il cambiamento di condizione ("ora siete sposati") è automatico e uguale per tutti, non è necessario reinventare o rinegoziare i presupposti in funzione della situazione specifica. La virtualizzazione delle relazioni e degli impulsi immediati rende stabili i comportamenti e le identità e fissa al contempo procedure precise per trasformare le relazioni e lo statuto di ciascuno. Un processo continuo di virtualizzazione delle relazioni forma a poco a poco la complessità delle culture umane: religione, etica, diritto, politica, economia. Forse per l'uomo l'intesa non è una condizione naturale poiché la costruzione sociale passa attraverso la virtualizzazione. Il processo di virtualizzazione viene analizzato e suddiviso da Lévy seguendo lo schema proprio del trivio che nell’antichità rappresentava il fondamento della didattica liberale. Questo trivio comprendeva la grammatica, ovvero il saper leggere e scrivere correttamente, la dialettica, cioè il saper ragionare, e infine la

retorica, l’arte di comporre discorsi e di saper convincere. Tutte queste operazioni sono caratterizzate da una forte componente virtuale, anzi è proprio attraverso questo trivio antropologico che si evolve il processo di virtualizzazione. Il processo di grammatizzazione parte da relazioni o situazioni specifiche, per divenire in un secondo momento, in maniera quasi completamente immutabile, un elemento convenzionale o normalizzante. Questi atomi astratti sono autonomi, trasferibili, indipendenti da contesti viventi. Formano già lo stadio minimo del virtuale nella misura in cui ciascuno di essi può attualizzarsi in una varietà indefinita di circostanze, tutte qualitativamente diverse, ma pur sempre riconoscibili come esemplari dello stesso elemento virtuale. Non sono dunque degli atomi reali o sostanziali. La loro proprietà di non significazione rende possibile il reimpiego di un insieme limitato di componenti elementari, liberi e staccabili, per costruire una quantità infinita di sequenze, di assemblaggi e composti significanti. Il significato di un composto non è deducibile a priori dalla somma dei suoi elementi, ma è piuttosto una attualizzazione creatrice del contesto. La stampa, standardizzando la grafia, staccando il testo letto dalla traccia diretta di una prestazione muscolare, è il proseguimento di questo processo. Il tratto virtualizzante della stampa è il carattere mobile. L'evoluzione ulteriore di questo processo si chiama informatizzazione, essa riduce ogni messaggio a combinazioni di due simboli elementari, zero e uno. Questi caratteri sono i meno significanti possibili, sempre identici, indipendentemente dai tipi di supporto di memoria. Qualunque sia la natura del messaggio, essi compongono delle sequenze decodificabili da qualsiasi computer. L’informatica è la tecnica maggiormente virtualizzante perché è quella che maggiormente grammatizza. Anche questo elemento rappresenta l’estrema evoluzione del processo di grammatizzazione. Infatti, come il linguaggio è caratterizzato da una doppia articolazione, una che unisce i fonemi e le unità significanti, cioè le parole, e un’altra che unisce le parole tra loro per formare le frasi. Nel caso dell’informatica si può parlare di un’articolazione a un numero infinito di termini: codici elettronici di base, linguaggi-macchina, linguaggi di programmazione, linguaggi iperspecializzati, interfacce e dispositivi di decodificazione multipla per giungere infine alla scrittura tradizionale, al linguaggio, a tutte le possibili forme visive e sonore, a nuovi sistemi di segni interattivi. Nel rapporto con le persone, nelle negoziazioni, nei contratti, nelle convenzioni, nei trattati, negli accordi, o in una parola sola nelle norme della vita pubblica in generale, la dialettica ci costringe vicendevolmente a integrare l’ottica dell’altro, ad attribuirci reciprocamente significato. Mettendoci virtualmente al posto dell’altro, ci esponiamo al gioco dialettico della sostituzione. La dialettizzazione è un operazione attiva, instaura una relazione tra due entità che improvvisamente si significano a vicenda. Ogni cosa può assumere un significato; simmetricamente ogni segno dipende da un’iscrizione concreta, da una materia di espressione. Trascinati nel processo dialettico, gli esseri si sdoppiano restando in parte se stessi, ma essendo anche vettori dell’altro da sé. Il sé e l’altro si mettono in circolo, l’esterno e l’interno passano senza soluzione di continuità al loro opposto. L’operazione dialettica fonda il virtuale perché introduce, in modo sempre diverso, un altro mondo. Il mondo pubblico o religioso emerge dall’interazione dei soggetti privati che, a sua volta, il sociale produce. Il mondo delle idee, immagine per eccellenza e sede degli archetipi, da un lato forma l’esperienza, e dall’altro riflette la realtà. Questo secondo mondo non preesiste all’operazione dialettica, in quanto non è "reale" o statico, ma nasce e rinasce continuamente, sempre allo stadio iniziale di un processo infinito di sdoppiamento, di rinvio e di corrispondenza. Le operazioni grammaticali moltiplicano i gradi di libertà. Riporterò ora un paragrafo di Lévy perché secondo me illustra bene questo processo di dialettizazione e anche perché, successivamente nella tesi, citerò una scena del film 2001 di Stanley Kubrick, molto simile a questo, per definire l’intelligenza umana. "Un uomo preistorico vede un ramo. Lo riconosce per quello che è. Ma la storia non finisce qui, perché l’uomo, dialettizzando, è come se vedesse doppio. Fissa il ramo e se lo immagina come bastone. Il ramo significa il bastone. Il ramo è un bastone virtuale. Sostituzione. La tecnica è interamente fondata su questa capacità di torsione, di sdoppiamento o di eterogenesi del reale. Un’entità reale, assorbita nella sua identità e nella sua funzione, rivela improvvisamente un’altra funzione, un’altra identità, entra a far parte di nuove

combinazioni, viene trascinata in un processo di eterogenesi. E’ la medesima capacità di interpretare o di inventare del senso che è all’opera nel linguaggio e nella tecnica, nell’attività manuale e nella letteratura. " Il percorso del trivio rappresenta la successione di grammatica, dialettica e retorica all’interno di un ordine logico di esposizione. La grammatica isola elementi e organizza sequenze. La dialettica mette in atto sostituzioni e corrispondenze. La retorica separa i suoi oggetti da qualsiasi combinazione, da ogni riferimento, per schiudere il virtuale come mondo autonomo. Tutti i tre passaggi sono fondamentali e insostituibili, ma è attraverso la retorica che il processo raggiunge la fase più alta e riunisce in sé le operazioni di creazione del mondo umano, sia di ordine linguistico sia tecnico o relazionale: invenzione, composizione, stile, memoria, azione. L’atto retorico, che raggiunge l’essenza del virtuale, pone delle questioni, mette in atto delle tensioni e propone delle finalità; le inscena, le mette in gioco nel processo vitale. L’invenzione suprema è quella di un problema, l’apertura di un vuoto nel centro del reale. Il fine ultimo del processo di virtualizzazione, lo scopo positivo di questa evoluzione umana, è il conseguimento di un’intelligenza collettiva che pensi la società contemporanea in un modo il più possibile aperto ai diversi modi di percepire la realtà. In realtà il nostro pensiero è già di partenza un pensiero collettivo, noi non pensiamo mai da soli né senza strumenti. Le istituzioni, le lingue, i sistemi di segni, le tecniche di comunicazione, di rappresentazione e di registrazione strutturano profondamente le nostre attività cognitive: in noi pensa un’intera società cosmopolita. Il nostro pensiero, nonostante le strutture neurali di base, è estremamente storicizzato, datato e situato, oltre che nell’intento, anche nelle procedure e nelle modalità di funzionamento. Ma l’intelligenza collettiva c...


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