Riassunto L\'essere e il nulla. La condizione umana secondo l\'esistenzialismo PDF

Title Riassunto L\'essere e il nulla. La condizione umana secondo l\'esistenzialismo
Author Maria Chiara Turra
Course Storia della filosofia contemporanea
Institution Università di Bologna
Pages 28
File Size 704.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 58
Total Views 146

Summary

Riassunto con commento de "L'essere e il nulla" di Sartre...


Description

Jean-Paul Sartre L’essere e il nulla Introduzione: Alla ricerca dell’essere 1. L’idea di fenomeno Tutta la cultura filosofica del XX secolo s’impianta sull’idea che le cose, l’universo, l’esperienza non sono dentro un ordine di pensiero perché la cosa non è in dipendenza di un’altra cosa; inoltre non si ha neppure un principio fondante su cui le cose si appoggiano, infatti l’essere non rimanda a qualche cosa. In conseguenza a ciò si ha la messa in crisi del logos-centrismo, ovvero la riconduzione di tutte le cose dentro un ordine di pensiero. Sartre afferma che il dualismo essere-apparire non debba più esistere in filosofia. Se si smette di credere al fatto che l’essere sia qualcosa che si trovi dietro all’apparenza, quest’ultima diviene piena positività, la sua essenza è un “sembrare” che non si oppone più all’essere, ma che al contrario ne è la misura. L’essere di un esistente è precisamente ciò che esso appare. Il fenomeno non indica più un essere vero che sarebbe, esso, l’assoluto. Ciò che è, lo è in modo assoluto perché si rivela com’è: il fenomeno può essere studiato e descritto in quanto tale, essendo assolutamente indicativo di se stesso. Correlativamente viene a cadere il dualismo della potenza e dell’atto. Tutto è in tutto. Dietro l’atto non c’è potenza. L’apparenza non nasconde l’essenza, la rivela: è l’essenza. La teoria del fenomeno di Sartre ha sostituito la realtà della cosa con l’oggettività del fenomeno e ha fondato questa su un ricorso all’infinito: ad esempio, la realtà di questa tazza è che essa è là e che non è “me”, ovvero la serie delle sue apparizioni è legata da una ragione che non dipende dal mio beneplacito. Perché il fenomeno abbia a rivelarsi trascendente, bisogna che il soggetto trascenda l’apparizione verso la serie totale di cui essa è un membro. Ma se la trascendenza dell’oggetto si fonda sulla necessità per l’apparizione di farsi sempre trascendere, ne risulta che un oggetto pone la serie delle sue apparizioni come infinite. Così l’apparizione che è finita indica se stessa nella sua finitezza, ma nel medesimo tempo esige per essere colta come apparizione-di-ciò-che-appare, di essere superata verso l’infinito. Questa nuova polarità, il “finito e l’infinito”, o meglio “l’infinito nel finito”, si sostituisce al dualismo dell’essere e dell’apparire: infatti ciò che appare è solamente un aspetto dell’oggetto e l’oggetto è tutto intero in quest’aspetto, e tutto fuori di esso. Tutto dentro in quanto si manifesta in questo aspetto, e si indica come la struttura dell’apparizione, che è nel medesimo tempo la ragione della serie; tutto fuori perché la serie non apparirà mai, né può apparire. Così il fuori si oppone di nuovo al dentro, e l’essere-che-non-appare all’apparizione. La prima conseguenza della “teoria del fenomeno” è che l’apparizione non rinvia all’essere come il fenomeno kantiano al noumeno. Poiché non vi è nulla dietro di essa ed essa non indica altro che se stessa (e la serie totale delle apparizioni), non può essere sostenuta da altro essere che il proprio, non può essere la sottile pellicola di nulla che separa l’essere-soggetto dall’essere assoluto. Se l’essenza delle apparizioni è un apparire che non si oppone ad alcun essere, sorge il problema legittimo dell’essere di questo apparire. È questo il problema di cui si occuperà ora Sartre e che sarà il punto di partenza delle riflessioni sull’essere e il nulla. 2.Il fenomeno dell’essere e l’essere del fenomeno L’apparizione non è sostenuta da alcun esistente diverso da essa: ha il suo proprio essere. Fenomeno è ciò che si manifesta, e l’essere si manifesta a tutti in qualche modo giacché possiamo parlarne e ne abbiamo una certa nozione. Deve quindi esservi un ‘fenomeno dell’essere’, un’apparizione di essere, descrivibile come tale. In un oggetto particolare si possono distinguere sempre qualità come il colore, l’odore ecc., e partendo da queste si può sempre individuare un’essenza che esse implicano. L’insieme “oggetto-essenza” costituisce un tutto organico: l’essenza non è nell’oggetto, è il senso dell’oggetto, la ragione della serie di apparizioni che lo manifestano. Ma l’essere non è né una qualità dell’oggetto afferrabile fra le altre, né un senso dell’oggetto: sarebbe impossibile, ad esempio, definire l’essere come una presenza, anche l’assenza rivela l’essere perché non essere là è pur sempre essere. L’oggetto non possiede l’essere, la sua esistenza non è una partecipazione all’essere né qualche altro tipo di relazione. L’oggetto è, ecco l’unica maniera di definire il suo modo di essere; infatti l’oggetto non occulta l’essere ma nemmeno lo svela. L’esistente è fenomeno, cioè indica se stesso come un insieme organico di qualità: se stesso e non il suo essere; l’essere è solo la condizione di ogni rivelazione.

Considerando l’essere come apparizione che può essere fissata in concetti, si è innanzitutto compreso che la conoscenza non può da sola rendere ragione dell’essere, cioè l’essere del fenomeno non può ridursi al fenomeno d’essere. Il fenomeno d’essere esige la trans fenomenicità dell’essere: il che non vuol dire che l’essere sia nascosto dietro i fenomeni, né che il fenomeno sia un’apparenza che rinvia a un essere distinto (proprio in quanto apparenza il fenomeno è, cioè si rivela sul fondamento dell’essere). Le considerazioni precedenti implicano soltanto che l’essere del fenomeno deve sfuggire alla condizione fenomenica (il fenomeno esiste solo in quanto si rivela), e che per conseguenza eccede e fonda la conoscenza che se ne ha. 3. Il cogito preriflessivo e l’essere del percipere Siccome abbiamo limitato la realtà al fenomeno, possiamo dire del fenomeno che è come appare. La legge d’essere del soggetto conoscente è di essere-cosciente. La coscienza non è un modo di conoscenza particolare, ma è la dimensione d’essere trans fenomenica del soggetto. Si è detto che la coscienza è l’essere conoscente in quanto è, e non in quanto è conosciuto, ciò significa che bisogna abbandonare il primato della conoscenza se si vuol dare un fondamento alla conoscenza stessa. Ogni coscienza è coscienza di qualche cosa; ciò significa che non c’è coscienza che non sia posizione di un oggetto trascendente, o che la coscienza non ha “contenuto”. Un tavolo non è nella coscienza, un tavolo è nello spazio, accanto alla finestra ecc. infatti l’esistenza del tavolo costituisce un centro di opacità per la coscienza, è necessario un procedimento infinito per inventariare il contenuto completo di una cosa. Introdurre tale opacità nella coscienza significherebbe fare della coscienza una cosa, e rifiutare il cogito. Dunque, il primo passo di una filosofia deve essere quello di espellere le cose dalla coscienza e ristabilire il vero rapporto di questa con il mondo, cioè che la coscienza è coscienza posizionale del mondo. Ogni coscienza è posizionale in quanto si trascende per attingere a un oggetto e si esaurisce in questa posizione: tutto ciò che vi è di intenzionale nella mia coscienza attuale è rivolto al di fuori, verso il tavolo; tutte le mie attività giudicative o pratiche, tutta la mia affettività del momento si trascendono, mirano al tavolo e vi restano assorbite. Non ogni coscienza è conoscenza, ma ogni coscienza conoscente può essere conoscenza soltanto del suo oggetto. La condizione necessaria e sufficiente perché una coscienza conoscente sia conoscenza del suo oggetto è che sia coscienza di sé in quanto è questa conoscenza. Condizione necessaria: se la mia coscienza non fosse coscienza di essere coscienza del tavolo, sarebbe una coscienza che ignora se stessa, il che è assurdo. Condizione sufficiente: basta che io abbia coscienza di aver coscienza di questo tavolo, perché ne abbia di fatto coscienza; il che mi permette di affermare non certo che questo tavolo esiste ‘in sé’ ma che esso esiste ‘per me’. Ogni esistenza cosciente esiste come coscienza di esistere. Questa coscienza di sé non va considerata come il solo modo possibile di esistere per una coscienza di qualche cosa. Come un oggetto esteso è necessitato a esistere secondo le tre dimensioni, così un’intenzione, un piacere, un dolore, non potrebbero esistere che come coscienza immediata di se stessi: l’essere dell’intenzione non può essere che coscienza, altrimenti l’intenzione sarebbe alcunché nella coscienza. Non bisogna pensare che qualche causa esterna possa determinare un fatto psichico, per esempio un piacere; significherebbe fare dell’evento psichico una cosa e qualificarlo come cosciente: il piacere non può distinguersi dalla coscienza del piacere, la coscienza di piacere è costitutiva del piacere, come il suo modo di esistere; il piacere non può esistere prima della coscienza di piacere. Il piacere non deve svanire dietro la coscienza che esso ha di se stesso, non è una rappresentazione, è un fatto concreto, pieno, assoluto. Il piacere è l’essere della coscienza di sé e la coscienza di sé è la legge d’essere del piacere. Poiché la coscienza non è un ‘possibile’ prima dell’essere ma invece il suo essere è la sorgente e la condizione di ogni possibilità, è la sua esistenza che ne implica l’essenza. Perché ci sia l’essenza del piacere, deve esserci prima il fatto di una coscienza di questo piacere. La coscienza non può essere limitata che da se stessa. La coscienza è assoluto di esistenza e il determinarsi ne è caratteristica essenziale. La coscienza esiste da sé, e con ciò non si intende dire che essa “si trae dal nulla”: la coscienza è anteriore al nulla e “sgorga” dall’essere. Ciò non significa affatto che la coscienza sia il fondamento del suo essere, al contrario vi è una contingenza piena dell’essere della coscienza; si vuole solamente indicare: che niente è causa della coscienza, che essa è causa del proprio modo d’essere. Così, rinunciando al primato della conoscenza, si è scoperto l’essere del conoscente e ritrovato l’assoluto, proprio quell’assoluto che i razionalisti del XVII secolo avevano definito e fissato come oggetto di conoscenza. Si tratta di un assoluto di esistenza e non di conoscenza. Qui l’assoluto non è il risultato di una costruzione logica sul terreno della conoscenza, ma il soggetto dell’esperienza più concreta; e non è relativo

a questa esperienza, perché è esso stesso questa esperienza. La coscienza è pura “apparenza”, esiste in quanto appare. Precisamente perché è pura apparenza, vuoto totale (giacché il mondo intero è al di fuori di essa), per questa identità in essa dell’apparenza e dell’esistenza, può essere considerata come l’assoluto. La coscienza pone le cose che le stanno davanti. Se non ci fosse l’uomo come attività come attività della coscienza non esisterebbe il mondo, se non ci fosse l’uomo sarebbe una sorta di tutto in tutto, un puro in sé. L’attività posizionale della coscienza implica l’essere imposizionale della coscienza in quanto essa è un puro vuoto: la coscienza è soltanto un’attività ma non il contenuto dell’attività. 6. L’essere in sé La riflessione di Sartre è sull’esistenza. La coscienza è rivelazione-rivelata degli esistenti e gli esistenti compaiono davanti alla coscienza sulla base del loro essere. Tuttavia, la caratteristica dell’essere di un esistente è di non svelare se stesso in persona, alla coscienza; non si può spogliare un esistente del suo essere, l’essere è il fondamento sempre presente del’esistente, lo si trova dappertutto e da nessuna parte, non c’è essere che non sia essere di una maniera d’essere e che non sia colto attraverso la maniera d’essere che a un tempo lo manifesta e lo nasconde. Tuttavia la coscienza può sempre superare l’esistente, non già in direzione del suo essere, ma verso il senso di questo essere. Il senso dell’essere dell’esistente, in quanto si svela alla coscienza, costituisce il fenomeno d’essere. Questo senso ha anche esso un essere, in base al quale si manifesta. Il senso dell’essere vale per l’essere di ogni fenomeno, compreso il suo essere proprio. Il fenomeno d’essere, come ogni fenomeno primario, si rivela immediatamente alla coscienza. Bisogna però osservare: 1) che questa chiarificazione del senso dell’essere vale solo per l’essere del fenomeno; l’essere della coscienza è radicalmente diverso. 2) che la spiegazione del senso dell’essere in sé che vogliamo tentare non può essere che provvisoria. Si è stabilito che l’essere del fenomeno non può in alcun modo agire sulla coscienza; con ciò si è esclusa una concezione realistica dei rapporti del fenomeno con la coscienza, ma si è anche dimostrato che la coscienza non può uscire dalla sua soggettività, se questa le è stata attribuita all’inizio, e che non può agire sull’essere trascendente né comportare senza contraddizioni gli elementi di passività necessari per costituire un essere trascendente; si è così scartata la soluzione idealistica del problema. Bisognerà dimostrare che il problema ammette un’altra soluzione, al di là del realismo e dell’idealismo. Tuttavia un certo numero di caratteristiche possono essere fissate subito. Anche se fosse stato creato, l’essere-in-sé sarebbe inesplicabile con la creazione perché conquista il suo essere al di fuori di essa. Il che equivale a dire che l’essere è increato. L’essere non può essere ‘causa sui’ al modo della coscienza: l’essere è sé. Ciò significa che non è né passività né attività: l’una e l’altra di queste nozioni sono umane e designano comportamenti umani o strumenti di condotte umane. Come è al di là dell’attivo e del passivo, parimenti è al di là della negazione come dell’affermazione. L’essere non è rapportato a sé, è sé: è immanenza che non può realizzarsi, affermazione che non può affermarsi, attività che non può agire, perché si è inceppata da se stessa. Nell’essere nel mondo si dà un elemento di trascendenza per cui le cose non sono date nella nostra esperienza: tutto ciò che ha a che fare con il nostro agire nel mondo e nel pensare la cosa in una modalità delle intenzioni dell’uomo, ha una caratteristica esclusivamente umana e indica il ruolo e la posizione che l’uomo ha nel mondo. L’uomo ha una posizione concettuale dell’esperienza. Questi primi risultati si possono riassumere dicendo che ‘l’essere è in sé’. Ma se l’essere è in sé, vuol dire che non rimanda a sé, come la coscienza di sé; questo ‘sé’, lo è esso stesso. Lo è al punto che la riflessione continua, che costituisce il sé, si scioglie una identità. Per questo l’essere è oltre il sé (la prima formula è soltanto un’approssimazione dovuta alla necessità del linguaggio). Infatti, l’essere è opaco a se stesso precisamente perché è ricolmo di se stesso; tale fatto lo si esprime meglio dicendo che ‘l’essere è ciò che è’: formula che designa una sola regione dell’essere, ovvero quella dell’essere in sé. Si vedrà che l’essere del ‘per sé’ si definisce invece come ciò che è ciò che non è e ciò che non è ciò che è. Inoltre, bisogna contrapporre la formula: l’essere in sé è ciò che è, a quella che designa l’essere della coscienza (questa infatti ‘ha da essere’ ciò che è). Il principio di identità è dunque delegittimato: il principio d’identità governa in essere. Il ‘per sé’ si correla e si contrappone all’essere: la caratteristica del ‘per sé’ è di essere coscienza. L’essere in sé non ha un ‘di dentro’, che si opponga a un ‘di fuori’ e che sarebbe analogo a un giudizio, una legge, una coscienza di sé. L’essere in sé, in un certo senso, lo si può chiamare una sintesi, ma è sintesi più indissolubile che vi sia, ovvero la sintesi di sé con sé. Ne deriva che l’essere è isolato nel suo essere e non ha alcun rapporto con ciò che non è lui. Inoltre, l’essere è l’essere del divenire e quindi è al di là del divenire. è

ciò che è, e ciò significa che (per sé) egli non potrebbe neppure non essere ciò che non è (infatti si è visto che non implica nessuna negazione): è piena positività. Non conosce dunque l’alterità, non si pone mai come altro rispetto a un altro essere: non può sopportare alcun rapporto con l’altro. L’essere è se stesso indefinitamente e, nell’esserlo, dà fondo a se stesso. La terza caratteristica è, infine, che l’essere-in-sé è. Questo significa che l’essere non può né essere derivato dal possibile, né essere ricondotto al necessario. I tre caratteri che l’esame provvisorio del fenomeno dell’essere ci permette di attribuire all’essere dei fenomeni sono: 1) l’essere è; 2) l’essere è in sé; 3) l’essere è ciò che è. L’esame dell’in-sé (che non può mai essere altro che ciò che è) non permette di stabilire e spiegare le sue relazione con il per-sé. Così, Sartre è partito dalle “apparizioni” e ed è stato condotto a porre due tipi di essere: l’in-sé e il per-sé. Prima parte: Il problema del nulla 1. L’origine della negazione 1. L’interrogazione Le ricerche che Sartre ha condotto hanno portato in seno all’essere, ma sono anche giunte a un vicolo chiuso perché non si è potuto stabilire un legame tra le due regioni dell’essere che sono state scoperte. Il rapporto deve essere sintesi, e di conseguenza i risultati dell’analisi non si identificano con i momenti di questa sintesi. La coscienza è un astratto, perché racchiude in sé un’origine ontologica in direzione dell’in-sé, e, reciprocamente, il fenomeno è pur esso un astratto perché deve “apparire” alla coscienza. Il concreto non potrà essere che la totalità sintetica di cui la coscienza e il fenomeno costituiscono i momenti. Il concreto è l’uomo nel mondo, con quell’unione specifica dell’uomo al mondo ch Heidegger, per esempio, definisce “essere-nel-mondo”. Sartre pone due domande: 2) qual è il rapporto sintetico che chiamiamo l’essere-nelmondo? 2) che cosa devono essere l’uomo e il mondo perché il rapporto sia possibile fra di loro? Le due questioni si inseriscono l’una nell’altra e non si può rispondervi separatamente: ciascuna delle condotte umane, essendo condotta nell’uomo nel mondo, può offrire contemporaneamente l’uomo, il mondo, e il rapporto che li unisce, a condizione che si esaminino queste condotte come delle realtà obbiettivamente percepibili e non come affezioni soggettive che si scoprono soltanto allo sguardo della riflessione. Le domande che Sartre si pone sono ‘che cos'è il mondo?’ ‘E che cos'è l'uomo?’. Ciò che caratterizza l'essere dell'uomo nel mondo è la trascendenza, nel fatto che l'uomo si rapporto con le cose nella trascendenza e non nell'immanenza: l'uomo non ha istinti, ad esempio il sesso è una modalità di essere che di volta in volta si configura al modo in cui l'uomo si rapporta agli altri uomini, quindi si manifesta in modalità diverse. Noi non siamo viventi che rispondono ad uno stimolo – reazione: l'uomo mette uno stato di separatezza fra la domanda e la risposta da dare; per cui, l'uomo introduce nella sua esperienza fra, ad esempio, la fame e il mangiare uno stato di separatezza. Si tenterà di descrivere molte condotte e di penetrate, di condotta in condotta, proprio nel senso profondo della relazione “uomo-mondo”; ma conviene sceglierne una prima che possa servire da filo conduttore della ricerca. La ricerca stessa fornisce la condotta desiderata: quest’uomo che io sono, se lo colgo qual è in questo momento nel mondo, constato che si pone davanti all’essere in atteggiamento interrogativo; nel momento stesso io cui io domando: “C’è una condotta che mi possa rivelare il rapporto dell’uomo con il mondo?” pongo un problema. Questo problema è un atteggiamento umano fornito di significato. Che cosa rivela questo atteggiamento? Ciascuna domanda presuppone un essere che interroga e un essere che è interrogato: essa non è il rapporto primitivo dell’uomo con l’essere-in-sé ma, al contrario, si mantiene nei limiti di questo rapporto e lo presuppone. D’altra parte interroghiamo l’essere interrogato su qualche cosa; questo qualche cosa su cui io interrogo l’essere partecipa alla trascendenza dell’essere: interrogo l’essere sulle sue maniere di essere, o sul suo essere stesso. Io attendo una risposta dall’essere interrogato. La risposta sarà un si o un no: è l’esistenza di queste due possibilità ugualmente obiettive e contraddittorie che distingue essenzialmente la domanda dall’affermazione o dalla negazione. Esiste, per chi interroga, la possibilità di una risposta negativa; in rapporto a questa possibilità chi interroga, per il fatto che interroga, si pone in uno stato di nondeterminazione: non sa se la risposta sarà affermativa o negativa. Così la domanda è un ponte gettato fra i due non-essere: non-essere del sapere dell’uomo, possibilità di non-essere dell’essere trascendente. I...


Similar Free PDFs