Impero e Rivoluzione - Vittorio Strada PDF

Title Impero e Rivoluzione - Vittorio Strada
Course Storia delle Dottrine Politiche
Institution Università degli Studi di Parma
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Summary

Riassunto molto sintetico con tutte le informazioni importanti...


Description

Il XX secolo, detto della violenza estrema, si formò tra il 1902 (anno di pubblicazione del Che fare? di Lenin) e il 1914 (scoppio Prima Guerra Mondiale). Si diffuse l’idea del declino fatale dell’Occidente, tema trattato da Landau in Il crepuscolo dell’Europa (1914) e da Berdjaev in La fine dell’Europa (1915), che individuavano nella Prima guerra mondiale una nuova fase storica nella quale gli istinti irrazionali prevalgono sugli interessi sociali, mostrando l’Europa come un vulcano di aggressività e non più monopolista della cultura, aspettandosi che a quella dell’Europa si accompagni la fine della Russia come “chiusa provincia” e la sua nuova alba spirituale. Si contrappone a queste visioni una lucida analisi svolta da Durnovo che nel 1914 previde che, in Russia, uno scontro con la Germania avrebbe scatenato un processo rivoluzionario socialista cavalcato da un partito che avrebbe imposto poi un ordine ferreo. Dopo la rivoluzione di febbraio (abdicazione Nicola II e fine dell’autocrazia zarista) Berdjaev reagì con un articolo dal titolo La caduta del sacro regno russo, l’ultimo regno sacro al mondo, senza far scomparire però quella che egli stesso definiva “la psicologia religiosa del popolo russo”: i bolscevichi sono formalmente atei e materialisti, ma secondo Berdjaev (già nel 1917) il bolscevismo russo era un fenomeno d’ordine religioso, non politico né limitato alla lotta sociale; esso pretende di prendere tutto l’uomo e non tollera nulla accanto a sé; inoltre, i bolscevichi come i religiosi dividono tutta la realtà in due regni: il regno di Dio (proletariato) e quello del diavolo (borghesia). Lenin può essere considerato un principe machiavellico perché in pochi mesi e con mezzi spregiudicati ha conquistato e conservato il potere, ma secondo Plechanov, un marxista russo, Lenin aveva fatto la sua rivoluzione socialista contro un capitalismo sottosviluppato. Tuttavia, l’obiettivo di Lenin era la Rivoluzione internazionale e quella russa (anche se non in condizioni adeguate) sarebbe servita da segnale; secondo lui bisognava anche discostarsi dal marxismo ortodosso, che riteneva stupido e privo della carica rivoluzionaria. Secondo Fedatov l’ottobre è coinciso con l’instaurazione di un dispotismo senza precedenti in Russia, un inganno al popolo, un tradimento della Russia repubblicana ed il primo fascismo politico nella storia, non per il lato economico ma per la distruzione della cultura e della sfera spirituale della persona. Lo stesso Bucharin affermò che i fascisti hanno utilizzato i procedimenti politici tipici del bolscevismo russo (azione energica, organizzazione compatta, mobilitazione, annientamento dell’avversario). In entrambi i casi, inoltre, si può parlare di dittatura ideocratica, in cui vi è un movimento di masse diretto e organizzato da un gruppo dirigente dotato di particolari risorse, che attacca la democrazia impadronendosene dall’interno, favorendo anche una nuova mentalità nazionalista. Lenin, riguardo allo scioglimento forzato dell’Assemblea costituente operato dai bolscevichi, disse che si trattava di una guerra mortale alla democrazia formale borghese. Trotskij racconta che durante la prima ed unica riunione dell’Assemblea i socialisti si presentarono con candele e panini per timore che i bolscevichi li avessero privati di corrente elettrica e cibo e che solo poca gente manifestò fuori dal palazzo a favore dell’Assemblea. Nel luglio 1918 ad Ekaterinburg, la famiglia imperiale Romanov fu sterminata in modo brutale (sebbene lo zar nel febbraio 1917 avesse rinunciato lui stesso al trono). Nel 1935 Trotskij, mentre era in esilio, nel suo diario personale scrisse che l’esecuzione dei Romanov non serviva solo a spaventare, terrorizzare il nemico, ma anche a mostrare ai bolscevichi che non si poteva indietreggiare. Anche in esilio, egli conservava una mentalità rivoluzionaria violenta e ugualmente violento fu il suo assassinio nel 1940 per mano di un sicario di Stalin. Nave dei filosofi: nel 1922, definito anno dell’intellighenzia russa, aumentò il numero di fuggiaschi in Europa a causa delle repressioni sovietiche in tutti i campi, culminato con lo stabilimento del monopolio sulla stampa. Il 29 settembre 1922, una nave con a bordo esclusivamente intellettuali lasciò Pietrogrado e si diresse a Stettino, in Prussia; si trattava di persone che non avevano intrapreso volontariamente il viaggio, ma erano state espulse dalla Ghepeu, poiché accusate di attività controrivoluzionarie; se fossero tornati sarebbero stati fucilati. In seguito, partirono anche altre navi con a bordo persone colpevoli di pensare in modo diverso da quello del nuovo potere. Erano gli anni della NEP, la nuova politica economica: avvenivano concessioni sul piano economico e contemporaneamente si rafforzava l’autorità sul piano politico, ideologico e poliziesco. Le repressioni erano di tipo politico, classista e religioso e avevano come obiettivo la liquidazione dell’opinione pubblica, dell’opposizione e dell’attività sociale e infine il pieno trionfo del totalitarismo: bisognava distruggere la società civile e trasformarla in una massa livellata e manipolabile. Era un atto senza precedenti per il suo carattere pianificato e sistematico, che Trotskij definì filantropico e umanitario perché evitava a quegli individui di essere direttamente fucilati o di finire nel Gulag. Con la pubblicazione di vari articoli e libri tra il 1920 e il 1922, Lenin iniziava quest’azione di egemonia culturale che poi sarebbe stata proseguita da Stalin, mirata a costruire una cultura sovietica (marxista-leninista) ripulendo la Russia da ogni lordura: l’ideologia della violenza si fondeva con la violenza dell’ideologia, secondo un preciso programma: mutare la natura stessa dei russi. Nel 1924 la morte di Lenin fece iniziare un culto: il leninismo diviene la nuova religione in Russia. Il mausoleo di Lenin nella piazza Rossa si è trasformato in un luogo sacro dove quotidianamente arrivano folle adoranti come in

processione. Vi sono anche i giorni stabiliti per il pellegrinaggio obbligatorio: giorno di nascita e morte e anniversario della rivoluzione. Politica estera: l’obiettivo era la rivoluzione mondiale. La Russia si autoconsiderava il nucleo iniziale di una federazione sovietica mondiale, quindi bisognava aiutare a sviluppare le potenzialità rivoluzionarie dei singoli Paesi anche con l’intervento armato. L’idea della rivoluzione mondiale era uno strumento per ricostruire l’unità territoriale dell’impero con una nuova veste ideologica. Bisognava comunque distinguere le modalità di intervento tra Paesi che avevano già fatto parte dell’ex Russia zarista e Paesi che ne erano estranei, salvaguardando di questi ultimi la loro autonomia statale; da qui si può comprendere la politica successiva di Stalin con le democrazie popolari. Con la guerra russo-polacca la Russia voleva verificare e stimolare le possibilità che aveva la Polonia di sovietizzarsi anche con le armi. Secondo una visione sovietica piuttosto ottimistica, in tutti i paesi d’Europa la posizione del capitale traballava e sarebbe bastato poco per accendere la rivoluzione. Ma in Polonia l’armata rossa fu costretta ad arrendersi e vinse il patriottismo dei polacchi che ancora ricordavano e temevano la lunga oppressione zarista. Con il Trattato di Rapallo del 16 aprile 1922 tra Germania e URSS, si apriva una collaborazione militare che sarebbe durata fino al 1933, la quale permetteva ai militari tedeschi di esercitarsi in suolo sovietico e di sperimentare armamenti pesanti, e per l’Urss questo fu un modo per rafforzare la propria difesa e un per esportare subdolamente la rivoluzione mondiale (obiettivo che non riuscì). Per questo, comunque, spesso si è detto che la spada fascista è stata forgiata in Urss. Il nazional-bolscevismo è un movimento politico nato dall’emigrazione russa; questi intellettuali, dopo un’attenta critica al mondo sovietico, arrivarono alla conclusione che l’ideologia della lotta armata contro il bolscevismo doveva essere abbandonata, bisognava cioè mutare i metodi da adottare per il suo superamento: si puntò allora ad un processo interno di deviazione dal potere sovietico affinché si autosuperasse ed essi dovevano favorire questo processo per ricostruire la Russia come uno stato grande e unitario. Secondo questa teoria, quindi, la Russia per uscire dalla crisi doveva restare un grande Stato, una grande potenza. La politica sovietica formalmente riconosceva il principio di autodeterminazione dei popoli, ma lo scopo della rivoluzione mondiale proletaria era in contrasto con queste dichiarazioni; di fatto per raggiungere quest’obiettivo era necessario sottomettere i popoli rendendo ferrea l’unità nazionale. Della Russia del passato si criticava lo zarismo e il capitalismo, ma essa costituiva la base della missione universale che la rivoluzione proletaria assegnava al Paese era una continuazione del vecchio messianismo imperiale: dalla terza Roma alla Terza Internazionale. Stalin era fortemente nazionalista; egli era un despota orientale, proveniente dalla Georgia, ma si era completamente russificato ed amava la sua patria (la Russia), era un profondo estimatore del popolo russo; tuttavia non apprezzava l’uomo in sé, che egli considerava solo come uno strumento. Nel 1934 Engels fu sottoposto ad una dura critica da Stalin, per aver preso posizioni critiche sulla politica estera zarista; critica inaccettabile per Stalin poiché i sovietici erano gli eredi di tale regime. Stalin in effetti coltivava aspirazioni analoghe a quelle degli imperatori ma di carattere ideologico opposto. Engels inoltre aveva criticato anche la diplomazia russa, una casta potente e organizzata, utilizzata per istigare uno Stato contro l’altro per trarne un vantaggio di conquista. Stalin rispose che la Russia zarista non era la sola ad operare questi metodi di conquista aggressiva. D’altra parte, nonostante le critiche al regime precedente, la posizione degli zar venne riconsiderata in positivo da Stalin, in particolare per quanto riguarda la costruzione di uno stato enorme, compatto e forte, uno e indivisibile. Chiunque cerchi di distruggere l’unità è un nemico che va eliminato. Stalin univa quindi passato zarista e presente comunista, esaltando l’impero russo: è un nuovo patriottismo sovietico che si trasforma in imperialcomunismo. Stalin criticò anche Bednyj, autore della composizione poetica Scendi giù dalla stufa, in cui scherniva i tratti tipici del tradizionale carattere russo come la pigrizia, l’apatia e la mancanza di responsabilità, tutti tratti che i bolscevichi con la loro politica volitiva avevano trasformato per mobilitare il Paese. L’autore invitava a scendere giù dalla stufa che rappresentava la vecchia Russia inerte e accidiosa per partecipare alla nuova vita sovietica. La reazione di Stalin fu però, nonostante le buone intenzioni del poeta, molto dura e inaspettata: egli credeva che non bisognasse denigrare la Russia e ciò che è russo, perché ciò rappresentava una calunnia e ledeva la reputazione della Russia. Anche con un’altra sua opera, Gli eroi epici, Bednyj si aspettava di avere successo e di piacere a Stalin, poiché conforme alla propaganda antireligiosa sovietica; ma anche in questo caso fu criticato da Molotov poiché aveva esaltato i briganti e messo in cattiva luce gli eroi dell’epos popolare, dando una visione antistorica e derisoria del battesimo della Rus’ che in realtà era stata una tappa positiva per il popolo russo.

Nikolaj Bucharin scrisse l’opera Il nostro capo, il nostro maestro, il nostro padre in occasione del 12° anniversario della morte di Lenin, in cui criticava la Russia antica definendola “la nazione degli Oblomov” (Oblomov era il protagonista di un classico della letteratura russa, simbolo di pigrizia e oziosità), collegando l’arretratezza della Russia all’oblomovismo ed elogiando i bolscevichi che avevano permesso la rivoluzione. Bucharin per descrivere l’impero zarista, inoltre, utilizzava il termine asiatismo, per indicare il sottosviluppo, il regresso e la stagnazione. Stalin non poteva accettare questa descrizione della vecchia Russia. Vennero allora pubblicati sulla Pravda tre editoriali contro Bucharin (anche se il suo nome non veniva citato). La Russia era definita il “fratello maggiore” della famiglia dei popoli sovietici, per la sua rilevanza politica dovuta a Stalin ed era inconcepibile che la nazione che aveva dato al mondo geni del calibro di Mendeleev e che aveva compiuto la rivoluzione socialista d’ottobre venisse definita la nazione degli Oblomov. Cominciano ad essere esaltati due zar, secondo una particolare interpretazione del loro significato: Pietro il Grande: avviò un processo di modernizzazione e di occidentalizzazione, permettendo alla Russia di uscire dall’arretratezza. Stalin si considerava un continuatore della sua opera e lo prendeva come esempio per l’opera di industrializzazione sovietica che voleva compiere. L’Occidente era per Stalin contemporaneamente modello di sviluppo avanzato e nemico da cui difendersi perché sinonimo di capitalismo. L’opposizione fra la Russia e l’Occidente, al tempo di Pietro il Grande, era di natura geopolitica; al tempo di Stalin era di natura ideologica. Ivan il Terribile: più nazionalista di Pietro...


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