La rivoluzione americana, cause e conseguenze fino alla Rivoluzione Francese. PDF

Title La rivoluzione americana, cause e conseguenze fino alla Rivoluzione Francese.
Author VALERIA VASTOLA
Course Storia Moderna
Institution Università per Stranieri di Siena
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Summary

breve descrizionde della rivoluzione americana, con annesse date, cause e conseguenze, fino alla rivoluzione Francese...


Description

Con l’espressione “età delle rivoluzioni” si fa rifermento ad una duplice rivoluzione: rivoluzione industriale-capitalistica (agraria, industriale) e quindi in Inghilterra, rivoluzione politica di matrice liberale e borghese in America e in Francia. La rivoluzione americana La rivoluzione americana è la più importante nella storia, fondando la principale democrazia moderna e contemporanea. La nascita della nazione americana può essere divisa in due tappe: 1) guerra di indipendenza con l’Inghilterra; 2) guerra di secessione negli anni sessanta dell’ottocento. Gli Stati Uniti d’ America nascono in una condizione territoriale particolarmente favorevole e unica, ovvero tredici colonie estese lungo la East cost. tredici colonie, conseguenze di grandi migrazioni inglesi, olandesi e francesi, puritani, ugonotti, una moltitudine di uomini e donne che lasciano l’ Europa per raggiungere il nord America Con “Guerra d’indipendenza americana”, si intende il conflitto che si scatenò tra le tredici colonie britanniche in nord America e la madrepatria, fra il 1776 e il 1783 terminato con la costituzione di una nazione indipendente, gli Stati Uniti d’America.

Le cause della guerra Alla fine della guerra dei Sette anni (1756-1763), la Gran Bretagna, risultò essere la maggiore potenza e dominatrice assoluta sui mari, ma nonostante ciò la corona inglese si ritrovò a dover sostenere enormi spese di guerra e la responsabilità di amministrare e difendere i nuovi territori acquisiti in Nord America. Allo scopo di far contribuire alle spese dell’impero anche i coloni, il Parlamento inglese, nel marzo del 1765 impose una tassa di bollo su tutti i documenti legali, i contratti, le licenze, anche giornali, opuscoli, carte da gioco ecc., stampati in terra americana. L’imposta provocò una forte opposizione tra i coloni. Normalmente, infatti, erano le assemblee locali ad emanare leggi fiscali e di organizzazione della sicurezza interna; tale legge venne quindi percepita dai coloni come un tentativo di limitare i loro piani di autogoverno. Nell’ottobre del 1765, i delegati di nove colonie si riunirono a New York per far conoscere alla madrepatria le proprie lamentele. In effetti, nel marzo successivo, il

Parlamento abolì la tassa ma ciò non fu determinato dalle obiezioni dei coloni sull’istituzionalità della tassa, bensì dalle pressioni dei mercanti inglesi, fortemente danneggiati dalla protesta dei coloni. La cancellazione dell’imposta lasciò irrisolti i problemi finanziari della corona britannica che ben presto impose nuove tasse sull’importazione di vetro, piombo, vernici, carta e tè, inviando nel contempo delle truppe allo scopo di imporre ai coloni l’osservanza della legge. Ancora una volta, la reazione fu pronta e vigorosa.

Manifestazioni di protesta accolsero ovunque l’arrivo degli ufficiali doganali e i commercianti adottarono nuovamente la politica di non importazione delle merci britanniche. Le tensioni esplosero il 21 giugno 1768, quando migliaia di manifestanti bostoniani minacciarono i commissari delle dogane obbligandoli alla fuga; immediatamente Londra inviò quattro reggimenti di truppe per permettere il rientro dei commissari e dando inizio all’occupazione militare della città.

La lunga serie di scontri che ne seguirono culminò nel marzo del 1770 nel cosiddetto massacro di Boston, quando i soldati britannici, provocati dalla folla, aprirono il fuoco uccidendo cinque coloni; si scatenò allora una nuova violenta ondata di protesta.

Piegata ancora una volta dal boicottaggio economico, Londra dispose la revoca della tassa. Ma tre anni dopo il Parlamento dispose il monopolio della vendita di tè in America. Tale provvedimento risollevò immediatamente il conflitto tra i coloni e la madrepatria tanto che a Boston il carico delle navi che trasportavano il tè venne addirittura rovesciato in mare. Per tutta risposta, nel 1774 il Parlamento inglese approvò alcune misure repressive, intese a riaffermare l’autorità regia: il porto di Boston fu chiuso e venne rafforzato il regime di occupazione militare della città, riducendo anche le leggi di autogoverno dei coloni. Il 16 dicembre 1773, per protestare contro l’imposizione da parte della Corona britannica di una tassa sull’importazione del tè, alcuni coloni americani, guidati da

Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè.

Il conflitto I rappresentanti di tutte le colonie si riunirono a Philadelphia nel settembre del 1774 nel primo Congresso continentale per stabilire una linea d’azione comune e definire i diritti delle terre d’America e i limiti dell’autorità del Parlamento di Londra. In una Dichiarazione dei diritti i delegati ribadirono il rifiuto di pagare tasse e decisero la cessazione di ogni commercio con la Gran Bretagna fino al ritiro delle truppe inglesi. Nel frattempo nel 3Massachusetts le milizie cittadine andavano organizzandosi in un Comitato di salute pubblica clandestino. Nella notte del 18 aprile 1775 il governatore inglese inviò un reggimento a requisire un deposito d’armi nei pressi di Boston ma i coloni intercettarono le truppe inglesi che furono costrette a ritirarsi a Boston che fu posta sotto assedio dai ribelli. Nell’aprile 1775, mentre si dirigeva verso Concord, nel Massachusetts, per distruggere le riserve di polvere da sparo dei coloni americani, un contingente britannico, sotto la guida del generale Thomas Gage, si scontrò a Lexington con un gruppo di 70 volontari. Non si sa quale delle due parti abbia scatenato la battaglia, ma gli otto coloni morti nello scontro furono i primi caduti della guerra d’indipendenza americana. Questi sviluppi determinarono, da parte dei coloni la costituzione di un esercito che venne posto sotto il comando di George Washington. Tuttavia, tra i delegati era ancora prevalente una volontà di riconciliazione con la Gran Bretagna ed infatti essi riaffermarono la lealtà al Re, chiedendogli però di ritirare le truppe. Intanto gli inglesi asserragliati a Boston, ricevuti rinforzi via mare, avevano conseguito una netta vittoria sugli americani che non servì tuttavia a rompere l’assedio della città. Le notizie sulla battaglia e sulle richieste del Congresso raggiunsero Londra contemporaneamente. Senza prendere in nessuna considerazione le richieste dei coloni il Re, Giorgio II dichiarò guerra ai ribelli. In risposta alle decisioni inglesi il Congresso continentale emanò la Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio 1776), con la quale le colonie si costituivano in stati liberi

e indipendenti, impegnandosi a respingere l’invasione di quella che veniva ormai considerata una potenza straniera.

La fine delle ostilità All’inizio del 1779 anche la Spagna dichiarò guerra alla Gran Bretagna, e l’anno successivo altrettanto fece l’Olanda. In territorio americano le operazioni proseguirono con alterne vicende fino all’assedio di Yorktown, dove si erano rifugiare le truppe inglesi. Nell’agosto del 1781 la flotta francese sbaragliò quella inglese, impedendo così ogni possibilità di collegamento via mare. Dopo una serie di inutili tentativi di forzare le linee nemiche, il 19 ottobre 1781 il comandante inglese si vide costretto alla resa. Yorktown segnò la fine delle ostilità, anche se i negoziati di pace si trascinarono fino al 3 settembre del 1783, quando la Gran Bretagna firmò il trattato di Parigi, con il quale riconobbe l’indipendenza delle ex colonie; i confini degli Stati Uniti d’America vennero stabiliti a ovest con il Mississippi, a nord con il Canada, a sud con la Florida.

LA FRANCIA DEL SETTECENTO Nella seconda metà del 18° sec., durante il regno di Luigi XVI e di Maria Antonietta, la Francia viveva un periodo di crisi, dovuta al crescente indebitamento statale e alla perdita di prestigio della monarchia. Le resistenze dei ceti nobiliari ad accettare una riduzione dei loro privilegi alimentavano un diffuso malcontento dell'opinione pubblica, che cominciava a mettere in discussione il sistema sociale dell'ancien régime, avanzando richieste di rappresentanza politica, sull'esempio della Rivoluzione americana. L'INIZIO DELLA RIVOLUZIONE Spinto da diversi settori della società, Luigi XVI si decise a convocare gli Stati generali, un organismo di

consultazione della nazione eletto sulla base delle tre classi (chiamate 'stati' oppure 'ordini') in cui era divisa la società francese: clero, nobiltà, terzo stato. A questa ultima categoria apparteneva la stragrande maggioranza della popolazione. Sin dal giorno della convocazione, il 5 maggio 1789, i delegati del terzo stato si riunirono separatamente, per definire le richieste da sottoporre al sovrano. Poco dopo si autoproclamarono Assemblea nazionale (17 giugno 1789), dichiarando di essere gli unici rappresentanti della nazione. A essi si unirono molti deputati del clero e della nobiltà e gli Stati generali cambiarono il nome assumendo quello di Assemblea nazionale costituente (9 luglio 1789). Fu l'atto d'inizio della rivoluzione politica: i deputati dei tre ordini si attribuirono il compito di dare al paese una Costituzione. Il re tentò di bloccare l'azione dell'Assemblea, ma in seguito alla ribellione di Parigi del 14 luglio 1789 (assalto alla Bastiglia, prigione e fortezza, simbolo del dispotismo regio) fu costretto a scendere a patti: ritirò le truppe e concesse una Guardia nazionale, ossia un corpo armato che rispondeva agli ordini della municipalità di Parigi. Intanto nelle campagne francesi divampò una rivolta di carattere antifeudale, dettata dalla fame e dalla paura. I nobili presenti nell'Assemblea accettarono le rivendicazioni dei contadini pur di riportare l'ordine. Il 4 ag. 1789 l'Assemblea adottò provvedimenti che sopprimevano i privilegi fiscali della nobiltà e consentivano ai contadini di liberarsi dai vincoli feudali. Pochi giorni più tardi (il 26 ag.), l'Assemblea emanò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che fissava i diritti di libertà politica, religiosa, di pensiero,

di proprietà e la parità delle garanzie giuridiche per tutti i cittadini e che, ispirandosi ai concetti di libertà, uguaglianza e sovranità popolare, aboliva la monarchia assoluta. LA COSTITUZIONE L'Assemblea riformò l'amministrazione dello Stato, dividendone il territorio in 83 dipartimenti, suddivisi in distretti, cantoni e comuni. La giustizia divenne gratuita ed eguale per tutti e fu introdotto un sistema di tassazione proporzionale ai redditi. Per far fronte al debito pubblico, le proprietà della Chiesa vennero messe a disposizione del paese, quindi fu approvata la cd. costituzione civile del clero, in base alla quale parroci e vescovi erano eletti dai fedeli e stipendiati dallo Stato e dovevano giurare fedeltà alla Costituzione. Nel 1791 fu infine approvata la Costituzione, che sancì la nascita della prima monarchia costituzionale francese, fondata sulla separazione dei poteri. Il potere di fare le leggi e di dirigere la politica generale del paese passò all'Assemblea legislativa, composta di 745 deputati eletti ogni due anni. Al re spettava la nomina dei ministri e il diritto di sospendere una legge approvata dall'Assemblea, ma per non più di quattro anni. Il sovrano non poteva sciogliere l'Assemblea, né dichiarare guerra, né firmare trattati di pace. Il potere giudiziario fu affidato alla magistratura, indipendente in quanto eletta. Il diritto di voto fu riservato solo agli uomini al di sopra dei 25 anni che pagassero tasse elevate, una soluzione che accontentava la borghesia mentre lasciava insoddisfatti i ceti popolari.

LO SCOPPIO DELLA GUERRA E LA CONDANNA DEL RE Intanto, mentre a Parigi infuriava la protesta dei sanculotti contro il carovita e il re tentava senza successo la fuga, Austria, Prussia e Russia si erano alleate contro la Francia rivoluzionaria, che reagì alla sfida dichiarando la guerra (1792). Fu in questo contesto che il 10 ag. 1792 i sanculotti s'impadronirono del Palazzo Reale, mentre l'Assemblea ordinava di imprigionare il re con l'accusa di tradimento della patria. Dopo la vittoria francese di Valmy (20 sett. 1792) contro l'esercito prussiano, fu proclamata la Repubblica. Il re, processato per alto tradimento e condannato a morte, fu decapitato il 21 genn. 1793; in ottobre la stessa sorte toccò alla regina. GLI SCHIERAMENTI Mentre violenti scontri politici si verificavano in tutta la Francia (anche a seguito di un'insurrezione propagatasi in Vandea e suscitata dall'odio per la Rivoluzione nutrito dai nobili di sentimenti cattolici e monarchici e dai contadini da essi influenzati), alla Convenzione, la nuova assemblea di deputati eletti a suffragio universale maschile, insorgevano profondi contrasti tra i vari gruppi. I montagnardi, di orientamento egualitario e antimonarchico, maggioritari nei club rivoluzionari di giacobini e cordiglieri, guidati da Robespierre, Danton, Desmoulins e Marat, si contrapponevano ai girondini, moderati, rappresentanti della borghesia degli affari, mentre i deputati di centro ('palude') appoggiavano ora l'uno ora l'altro gruppo.

DAL TERRORE AL TERMIDORO Per fronteggiare l'emergenza causata dalla crisi economica, dall'insurrezione controrivoluzionaria in Vandea e dalla minaccia dagli eserciti stranieri alleati, i poteri furono affidati a un Comitato di salute pubblica (1793) guidato da Robespierre, che pose il calmiere sul prezzo di grano e generi alimentari, arruolò un nuovo esercito e inviò soldati in Vandea. I metodi autoritari adottati dal Comitato portarono alla repressione degli avversari politici e di diversi esponenti giacobini contrari ai metodi di Robespierre. Alcune migliaia di oppositori vennero ghigliottinati dopo processi sommari. Per questo motivo il periodo dall'autunno 1793 all'estate 1794 fu definito il Terrore. L'esercito rivoluzionario riuscì a sconfiggere a Fleurus i nemici (giugno 1794), a riconquistare le città ribelli al governo di Parigi e a controllare la Vandea. A quel punto la politica del Terrore non poteva più essere giustificata con lo stato d'emergenza e molti deputati si accordarono per destituire il Comitato. Il 27 luglio 1794 Robespierre e i suoi collaboratori vennero arrestati e il giorno successivo ghigliottinati senza processo. Nel nuovo ciclo che si aprì, chiamato Termidoro, prevalse una linea politica moderata, anche se sanguinose vendette furono compiute ai danni dei giacobini. La svolta fu sancita da una nuova Costituzione (1795), che affidava il governo a un Direttorio, composto di cinque membri, e il potere legislativo a un'Assemblea divisa in due Camere. LA FINE DELLA RIVOLUZIONE

Negli anni successivi il governo di Parigi decise di sferrare un'offensiva volta ad ampliare i confini della Francia e ad abbattere le monarchie assolute in Europa, in cui si erano diffuse le idee rivoluzionarie. Il comando della campagna d'Italia fu affidato al generale Napoleone Bonaparte, che invase la penisola, dove furono instaurati (1797-99) vari governi repubblicani sul modello della Repubblica francese. Napoleone, rientrato in Francia, con un colpo di Stato militare (18-19 brumaio 1799) abolì il governo e trasferì il potere a un Consolato (in cui sedeva con due collaboratori). L'emanazione della Costituzione dell'anno VIII (1799), con la quale gli furono attribuiti pieni poteri, sancì la fine della vicenda rivoluzionaria, ma contemporaneamente aprì il periodo della diffusione in tutta Europa delle idee rivoluzionarie. Ri v ol uz i onef r ances e...


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