La pedagogia padovana nel primo Novecento PDF

Title La pedagogia padovana nel primo Novecento
Author Giorgio Chiosso
Pages 27
File Size 140.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 362
Total Views 684

Summary

CULTURA Studium 232. Scienze dell’educazione, Pedagogia e Storia della pedagogia GIUSEPPE ZAGO (ED.) LE DISCIPLINE FILOSOFICHE E PEDAGOGICHE A PADOVA TRA POSITIVISMO E UMANESIMO Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium “Cultura” ed “Universale” sono sottoposti a doppio referaggi...


Description

CULTURA Studium 232.

Scienze dell’educazione, Pedagogia e Storia della pedagogia

GIUSEPPE ZAGO (ED.)

LE DISCIPLINE FILOSOFICHE E PEDAGOGICHE A PADOVA TRA POSITIVISMO E UMANESIMO

Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium “Cultura” ed “Universale” sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www. edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Filosofia Sociologia Pedagogia Psicologia Applicata - FISPPA

Copyright © 2021 by Edizioni Studium - Roma ISSN della collana Cultura 2612-2774 ISBN 978-88-382-5062-0 www.edizionistudium.it

INDICE

Introduzione di Giuseppe Zago

7

PARTE PRIMA ARDIGÒ E LA SCUOLA POSITIVISTICA PADOVANA I. Roberto Ardigò e la Cattedra di Storia della filosofia a Padova, di Wilhelm Büttemeyer 15 II. Fra università e scuola: la Cattedra di Pedagogia a Padova nel periodo positivistico, di Giuseppe Zago

44

III. Il contributo di Roberto Ardigò al rinnovamento delle scienze umane, di Tiziana Pironi

71

IV. Dalla Psicologia filosofica alla Psicologia sperimentale. Le origini della nuova disciplina nel contesto padovano, di Enrico Giora, Andrea Bobbio

89

V. Le Cattedre di scienze umane nella Facoltà di Lettere e Filosofia a Padova (1866-1896), di Fabio Grigenti, Simone Aurora 103 PARTE SECONDA FILOSOFI, PEDAGOGISTI E EDUCATORI A PADOVA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO VI. La Pedagogia padovana nel primo Novecento, di Giorgio Chiosso

141

6

INDICE

VII. La Pedagogia spiritualistica padovana e il “Dizionario delle scienze pedagogiche” di Giovanni Marchesini, di Carla Callegari

162

VIII. L’insegnamento delle scienze umane nella scuola secondaria padovana del secondo Ottocento, di Giordana Merlo

186

IX. Vittorio Zanon, discepolo semisconosciuto di Roberto Ardigò, di Gregorio Piaia

208

X. Medici-pedagogisti nella Padova del positivismo. L’impegno sociale e educativo di Achille De Giovanni e Alessandro Randi, di Giulia Fasan

219

Indice dei nomi

241

Gli Autori

249

VI.

LA PEDAGOGIA PADOVANA NEL PRIMO NOVECENTO di GIORGIO CHIOSSO

La pedagogia padovana ebbe un ruolo importante nello scenario nazionale del primo Novecento attraverso la figura di Giovanni Marchesini che ne tenne l’insegnamento per circa un trentennio. Gli studi condotti sul filosofo e pedagogista di Noventa Vicentina dopo circa mezzo secolo di silenzio – a partire dal fascicolo monografico della «Rivista di Storia della filosofia critica» del 1982 – ne hanno riconsiderato la figura di studioso visto non solo come «allievo di Ardigò», ma fornito di una sua originalità e di particolare sensibilità educativa. In questo saggio cercherò di esplorarne l’apporto allo sviluppo della pedagogia d’inizio secolo attraverso una duplice indagine. La prima è dedicata alla ricostruzione degli scenari che accompagnarono la vita pubblica dello studioso padovano, avendo a bussola orientativa il pentagono universitario Padova-Roma-Firenze-Torino-Sicilia, le realtà più incisive sul piano pedagogico in cui a vario titolo, direttamente o indirettamente, fu attivo. La seconda è volta a ricostruire la rete dei rapporti da lui intrattenuti e le interpretazioni, reazioni e critiche che ne contraddistinsero la militanza intellettuale. Spero in tal modo di concorrere a meglio disporre Marchesini e, suo tramite, il contributo della pedagogia padovana nello scacchiere culturale d’inizio secolo. 1. Una nuova generazione di pedagogisti Nei primi anni del Novecento emersero nuovi protagonisti che, a poco a poco, rimpiazzarono gli studiosi che avevano animato la stagione della

142

GIORGIO CHIOSSO

pedagogia tardo ottocentesca. Fu questo l’antefatto della geografia accademica che accompagnò i primi tre decenni del nuovo secolo. Il più autorevole e anziano tra questi era Luigi Credaro (classe 1860) che nel 1903 salì sulla cattedra di pedagogia dell’Università di Roma succedendo ad Antonio Labriola; i due più giovani Giovanni Calò (1882) a Firenze e Guido della Valle (1884) a Messina (poi a Napoli) che giunsero alla cattedra universitaria non ancora trentenni. Tra loro si collocavano i dati biografici degli altri pedagogisti in carriera: coetaneo del Credaro era Roberto Benzoni a Genova e di poco più anziano Giovanni Antonio Colozza (1857) a Palermo, seguivano Alfredo Piazzi (1865) a Milano e poi a Pavia, Giovanni Marchesini (1868) a Padova, Giovanni Vidari (1871) a Torino, Giuseppe Lombardo Radice (1879) a Catania e quindi al Magistero romano. Usciti di scena Labriola, Acri e Allievo e ormai in vista del pensionamento Fornelli, De Dominicis e Valdarnini, già prima della guerra il ricambio generazionale si poteva considerare compiuto. Nonostante le profonde rivalità e i duri contrasti che ne segnarono i rapporti anche personali, bisogna far cenno ad alcuni tratti che accomunarono queste diverse personalità. Le loro storie biografiche oltre che culturali erano espressione di una generazione che, nata all’indomani dell’unità, era cresciuta nel culto del Risorgimento e dei valori che l’avevano ispirato, ma aveva anche preso coscienza delle difficoltà a trasformare l’Italia in una nazione. Essa era testimone del forte scarto tra le enunciazioni di principio piene di enfasi retoriche e le realizzazioni in atto, tra l’aspirazione a un’Italia unita e i gravi problemi che la travagliavano, da quelli sociali ed economici a quelli educativi, a partire dalla piaga dell’analfabetismo. Ad uno sguardo generale si trattava di intellettuali non chiusi in sé stessi e nei loro studi che sentivano la responsabilità di partecipare in vario modo (se pur con sensibilità differenti, come vedremo) alla vita del loro tempo, impegnati a fare un’Italia migliore, a fornire gli italiani di quella «tempra» che Francesco De Sanctis (e non solo) aveva più volte indicato come la condizione per la rigenerazione nazionale. Un altro dato ancora li avvicinava e questo riguardava più specificamente la pedagogia e il loro essere non solo filosofi imprestati alla pedagogia, ma convinti cultori della disciplina: ad esempio Credaro, Vidari, Lombardo Radice, Calò e lo stesso Marchesini cresciuti filosofi ad un certo punto transitarono per scelta culturale e collocazione accademica in via definitiva alla pedagogia. Tornava, poi, l’espressione «pedagogia» al posto

LA PEDAGOGIA PADOVANA NEL PRIMO NOVECENTO

143

di «scienza dell’educazione» che aveva primeggiato nel pieno della stagione positivista e i motivi non erano trascurabili. L’obiettivo era di sottrarla all’idea di scienza deterministica ed evoluzionistica che spesso aveva banalmente ridotto la crescita umana a studio biologico e ad «allevamento». La visione di una pedagogia non solo finalizzata all’«allevamento», intrecciata con le altre scienze umane si associava, poi, all’impegno in favore dell’istruzione, specie elementare, più diffusa ed efficace. La scuola era vista come un formidabile veicolo per rigenerare costumi e mentalità arcaici e rispondere alle esigenze dei nuovi tempi. Il rapido evolvere delle conoscenze scientifiche e tecniche, l’irrompere di nuovi stili di vita, la competizione economica a livello internazionale, le diseguaglianze di ceto, il sogno della guerra coltivato da alcuni erano segni di un cambiamento che occorreva governare. Bisognava scongiurare che le ricadute sul piano sociale provocassero la violenza distruttiva delle folle. 2. La pedagogia nell’Università di Padova Anche nell’Università di Padova all’inizio del nuovo secolo si verificò un cambiamento generazionale nell’insegnamento della pedagogia e, allo stesso tempo, una sua stabilizzazione dopo il susseguirsi di svariati docenti, nessuno dei quali con duraturi interessi pedagogici 1. Gli ultimi due a fine Ottocento erano stati Roberto Ardigò e Pietro Ragnisco. Ardigò nutriva interessi più per la psicologia che per la pedagogia, anche se a lui si deve il volume La scienza dell’educazione, frutto delle lezioni tenute tra il 1889 e il 1891 2. Il Ragnisco era uno storico della filosofia. Nel 1902 a quest’ultimo successe Giovanni Marchesini, poco più che trentenne, che tenne l’insegnamento (dal 1922 come professore ordinario) della pedagogia fino alla scomparsa nel 1931. Allievo dell’Ardigò, ne raccolse l’eredità ideale e pedagogica. 1 Cfr. F. DE VIVO, L’insegnamento della pedagogia nell’Università di Padova durante il XIX secolo, Lint, Padova-Trieste 1983. Dello stesso autore si veda anche Il Corso di perfezionamento per i licenziati delle scuole normali presso l’Università di Padova (1906-1923), in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 32, 1999, pp. 177-191 e La cattedra di Pedagogia dal 1900 al 1950, in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 36, 2003, pp. 159-170. 2 Sulla genesi del volume la testimonianza di G. TAROZZI, Roberto Ardigò pedagogista, in «Rivista Pedagogica», 1, 1908, p. 60.

144

GIORGIO CHIOSSO

Il giovane Marchesini si era fatto notare per due diverse, ma convergenti iniziative. La prima era la pubblicazione di alcuni volumi tra filosofia, etica e interessi educativi, tra cui il più noto e significativo è quello del 1898, La crisi del positivismo e il problema filosofico 3, la seconda è l’ambizioso progetto della «Rivista di Filosofia e Scienze Affini» (1899) 4. Nel saggio del 1898 il Marchesini lamentava le interpretazioni parziali, le esagerazioni e le deviazioni dal retto positivismo che riassumeva nella idolatria del fatto e nel materialismo. Il vero positivista indagava il fatto non riducendolo alla sola dimensione dell’evidenza materiale, ma ne considerava anche le risonanze destate nell’animo dell’uomo. Non si poteva isolare il pensiero nell’orizzonte del «fatto», bisognava riconoscere la necessità di dare valore all’uomo nella storia. Il positivismo avrebbe potuto ancora rappresentare una forza esploratrice dell’animo umano e uno strumento di analisi della vita sociale a condizione di concepirsi più come metodo che come sistema, di saper valorizzare gli apporti delle scienze umane allora emergenti, di ordinare «secondo ragione» la convivenza civile. Con la curvatura in senso «umanistico» del positivismo la pedagogia assumeva un rilievo di primo piano in quanto strumento per migliorare la società. Erano questi gli obiettivi posti anche alla base dell’impresa editoriale della «Rivista di Filosofia e Scienze Affini»: proporre un positivismo in forme non dogmatiche, pur restando fedeli ai princìpi originari enunciati dal maestro Ardigò, un positivismo, insomma, capace di evolvere per dare risposta alle insopprimibili istanze che alimentano la fede nei valori umani 5. La rivista nasceva a Bologna con la duplice direzione di Enea Zamorani 3 G. MARCHESINI, La crisi del positivismo e il problema filosofico, Bocca, Torino 1898; ID., Le amicizie di collegio. Ricerche sulle prime manifestazioni dell’amore sessuale, Soc. Ed. Dante Alighieri, Roma 1898 (con G. Obici); ID., La teoria dell’utile. Principi etici fondamentali e applicazioni, Sandron, Palermo 1900; ID., Il simbolismo nella conoscenza e nella morale, Bocca, Torino 1901. Per una lettura ampia e documentata della pedagogia del Marchesini è d’obbligo il rinvio ai saggi raccolti in G. ZAGO (a cura di), Il pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini e la crisi del positivismo italiano, Pensa Multimedia, Lecce-Rovato (BS) 2014. 4 Sulla rivista che uscì dal 1899 al 1908 cfr. G. FLORES D’ARCAIS, Giovanni Marchesini a cinquant’anni dalla morte, Atti e memorie dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere e Arti, Padova 1981-1982; V. MILANESI, Prassi e Psiche. Etica e scienze dell’uomo nella cultura filosofica italiana del primo Novecento, Pubblicazioni di Verifiche, Trento 1983, pp. 117133; M. PORTALE, Giovanni Marchesini e la «Rivista di Filosofia e Scienze Affini». La crisi del positivismo italiano, FrancoAngeli, Milano 2010; G. CHIOSSO, L’educazione degli italiani. Laicità, progresso e nazione nel primo Novecento, Il Mulino, Bologna 2018, pp. 15-48. 5 Cfr. G. ZAGO, Il pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini e la crisi del positivismo tra Otto e Novecento, in Il pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini e la crisi del positivismo italiano, a cura di G. Zago, cit., p. 33.

LA PEDAGOGIA PADOVANA NEL PRIMO NOVECENTO

145

e dello stesso Marchesini. Enea (1871-1909), cultore di studi filosofici, apparteneva alla famiglia felsinea degli Zamorani, gli editori del quotidiano «Il Resto del Carlino» (Amilcare Zamorani ne fu direttore dal 1885 al 1907) e titolari di una avviata tipografia (cui Marchesini affidò alcuni suoi saggi), di robusti sentimenti liberal democratici con venature anticlericali, in odore di massoneria. Nonostante queste adiacenze ideali e politiche il periodico si presentò con una impostazione essenzialmente accademica, molto diverso dalle battagliere riviste che a Firenze e altrove infiammavano l’opinione pubblica. Ciò non esclude che anche il periodico padovano avesse la sua visione politica, se pur in modo non rumoroso, in linea con il liberalismo democratico filo giolittiano, socialmente aperto ma politicamente controllato, capace cioè di assorbire e neutralizzare ogni spinta non compatibile con il sistema di governo liberale. Quando Marchesini sale sulla cattedra universitaria ha, dunque, le idee ben chiare: fare della filosofia e pedagogia padovana di filiazione ardighiana un punto di riferimento per quella che potremmo definire la seconda generazione positivista, sottraendola all’inevitabile declino delle sue interpretazioni deterministe e riduzioniste, orientarla in senso «umanistico» e impegnarla sul piano democratico e sociale. A questo progetto lo studioso veneto sarebbe stato ininterrottamente fedele. 3. Credaro e Marchesini Se scorriamo i diversi centri pedagogici nell’Italia d’inizio Novecento spicca quello romano animato da Luigi Credaro, personalità assai in vista non solo per i suoi meriti scientifici, ma anche per il ruolo politico che con il suo ingresso in Parlamento (1895) aveva via via acquisito nella vita scolastica nazionale. Intorno al docente di origini valtellinesi – che si era formato a contatto con la cultura tedesca e aveva fatto conoscere in Italia la pedagogia herbartiana mediante la quale sperava di poter dare finalmente un metodo ai maestri italiani – si costituì il più importante centro di elaborazione e influenza pedagogica prima della guerra. Varie iniziative di volta in volta lo videro alla ribalta: autore di scritti pedagogici (nel 1900 diede alle stampe il volume La pedagogia di G.F. Herbart: «Herbart è il Kant della pedagogia»), promotore del primo sodalizio nazionale dei maestri, sostenitore delle Scuole Pedagogiche attraverso

146

GIORGIO CHIOSSO

le quali i maestri accedevano all’università, animatore in Parlamento del «partito della scuola» fino alla pubblicazione della «Rivista Pedagogica» e, nel 1910, all’ascesa al vertice del Ministero della Pubblica Istruzione. Marchesini fu in buone relazioni con il Credaro e sperò di poterlo coinvolgere nel progetto della sua rivista. Nel 1904 vi apparve infatti la rubrica «Rassegna di Pedagogia» affidata alle cure del pedagogista lombardo. L’iniziativa aveva il duplice scopo di rafforzare l’attenzione alle tematiche educative e pedagogiche (forse con l’intento di reclutare nuovi lettori) e, al tempo stesso, di inserirsi nel fervidissimo dibattito politico scolastico di quegli anni. L’apertura alla pedagogia bene si sposava con il proposito della rivista di esaltare la capacità dell’uomo di conoscere e impadronirsi del mondo e regolarlo secondo le leggi morali più che essere attore passivo di un ambiente guidato dalla legge evolutiva. La rubrica ebbe tuttavia vita breve e spesso Marchesini per dare fiato alle questioni pedagogiche e scolastiche fu costretto a ricorrere ad altri collaboratori. Ma l’intesa seppure parziale tra i due studiosi è un episodio da non trascurare. Essa è infatti uno dei tasselli del graduale superamento della distanza che si era accumulata nella seconda parte del secolo precedente tra i positivisti e i neokantiani i cui principali attori erano stati Felice Tocco e Carlo Cantoni di cui Credaro era allievo. Con la svolta «umanista» degli eredi di Ardigò (oltre a Marchesini Giuseppe Tarozzi, Giovanni Dandolo, Alessandro Levi e Cesare Ranzoli 6) venivano meno molte delle riserve che i neokantiani avevano nutrito verso il naturalismo e il determinismo etico-sociale e si aprivano interessanti spazi di collaborazione specialmente nella messa a punto di una morale laica ispirata a quella che Marchesini definiva «fede operosa nell’idea» 7. I progetti di Credaro non potevano tuttavia trovare piena attuazione nella semplice collaborazione con la pur importante rivista padovana. Fin dal 1902 il futuro ministro dell’Istruzione pensava a una robusta iniziativa editoriale in modo da dare alla pedagogia italiana una sorta di «voce ufficiale». A questo scopo diede vita all’Associazione Nazionale per gli Studi Pedagogici e a un periodico che la rappresentasse autorevolmente: nel 1908 Per un profilo dei principali discepoli di Ardigò vedi M. QUARANTA, Il positivismo di Roberto Ardigò nelle interpretazioni dei suoi allievi, in Il positivismo a Padova tra egemonia e contaminazioni (1880-1940), a cura di G. Berti e G. Simone, Attilia, Padova 2016, pp. 287-344. 7 G. MARCHESINI, Verso un nuovo idealismo?, in «Rivista di Filosofia e Scienze Affini», anno VI, XI, 3-4, 1904, p. 190. 6

LA PEDAGOGIA PADOVANA NEL PRIMO NOVECENTO

147

vide la luce la «Rivista Pedagogica». L’obiettivo era quello di allineare la pedagogia alla spinta modernizzatrice che proveniva dalle scienze umane, la psicologia in primo luogo, e di renderla socialmente utile. L’attenzione era rivolta soprattutto ai docenti e alla loro formazione con l’obiettivo di fornire specifiche competenze professionali e, attraverso queste, dare nuova sistemazione all’intera scuola italiana 8. A tal fine la «Rivista Pedagogica» era pensata come una specie di organo istituzionale della pedagogia italiana, in linea con la «Rivista di Filosofia» per i filosofi. Non, dunque, una rivista «di parte» apertamente militante come i «Nuovi Doveri» di Giuseppe Lombardo Radice che era apparsa pochi mesi prima, ma un austero laboratorio di studio e riflessione. Per svolgere questo ruolo di regìa pedagogica – e al tempo stesso politica – era necessario riunire e ordinare il maggior numero di forze disponibili. Questa esigenza spiega l’ampiezza e l’eterogeneità sia del Comitato di redazione della rivista sia della rete dei «direttori locali» coinvolti dal Credaro, una sorta di corrispondenti cui era affidato il duplice incarico di curarne la diffusione e raccogliere notizie ed esperienze. Tra questi compare anche il Marchesini delegato per «le province venete» 9, collaboratore se non tra i più assidui, certamente tra i più rappresentativi della rivista. 4. Firenze e Torino Intorno a Credaro si costituì un gruppo compatto di studiosi (il «fronte anti idealistico») che da Torino a Roma, passando per Milano, Padova e Firenze fino a Messina, furono sostenitori di una pedagogia pratica non assorbita nella filosofia, laica nei princìpi di fondo, in dialogo con le scienze umane e al servizio della scuola. Il che non significava che automaticamente tutti cantassero nello stesso tono, specialmente in materia religiosa, ma le diverse tonalità erano comunque armonizzate intorno a queste poche idee guida. Accanto a Roma e Padova, gli altri due centri pedagogici di maggiore rilievo del fronte anti idealistico furono Firenze e Torino. Nella città tosca8 Cfr. M.A. D’ARCANGELI, Verso una scienza dell’educazione. La “Rivista Pedagogica” (1908-1939), Anicia, Roma 2012, in part. pp. 65-102. 9 Ivi, p. 89.

148

GI...


Similar Free PDFs