Mastro DON Gesualdo PDF

Title Mastro DON Gesualdo
Author Sofia Russo
Course Letteratura italiana
Institution Università per Stranieri di Siena
Pages 10
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Summary

trama e appunti di mastro don gesualdo...


Description

MASTRO DON GESUALDO La storia della composizione nasce il 25 Febbraio 1881, in una lettera informa l’amico Capuana che si avvierà alla scrittura del secondo romanzo e ha pensato di far partire la storia già dall’infanzia del protagonista. Anche se gli scarti del racconto iniziale verranno impiegati per la novella Vagabondaggio. La delusione per l’accoglienza dei Malavoglia è ormai acquisita e passata. Sceglie un’ottica ravvicinata e quindi soggiorna in Sicilia per due anni dal 1888; l’opera esce a puntate sulla rivista ‘nuova antologia’ fra il Luglio e il Dicembre del 1888, Treves dovrà farlo diventare romanzo e infatti l’opera viene ricucita insieme con qualche aggiunta nel Dicembre 1889. Questa riscrittura ha come esito la divisione della storia in 21 capitoli non più in 16 e approda alla scansione dell’opera in 4 parti seguendo lo stampo naturalista del romanzo francese. L’altro distacco dai Malavoglia coincide con il fatto che tutto è puntato su un unico personaggio anche se erano un po’ l’inizio del precedente romanzo quando ancora era bozzetto marinaresco. Scegliere un unico personaggio significa recuperare la capacità di descrizione psicologica e introspezione del personaggio che recupera dagli scritti di quando era giovane, ad esempio come fa in storia di una capinera non più personaggi piatti che svolgono un solo e unico ruolo. Il discorso indiretto libero è sempre presente ma con il posizionamento interno del protagonista. L’ultima modifica riguarda il finale, l’ultima parte è un insieme di toni drammatici e ironici, addirittura quando lui muore la servitù non lo ricompone mettendo il drappo nero sul morto. Qua nella rivisitazione toglie la parte drammatica inserendo la parte ironica. La servitù non l’aiutano perché vedono che è uno di loro e non ricco. Gesualdo è un eroe di provincia divenuto borghese; è un individuo che agisce in un contesto sociale più ampio dei Malavoglia, il suo scenario farà sì che lui non avrà bisogno di essere ancorato al suo scoglio ma anzi ha bisogno di spostarsi. Mastro don la si può considerare come una forma ossimorica, un’ingiuria come quella della famiglia Toscano. Le 4 parti di cui si compone il romanzo si possono raggruppare ulteriormente in due, la prima e la seconda riguardano la sua ascesa mentre la terza e la quarta il suo declino. La prima parte è composta da 7 capitoli, la seconda da 5, la terza da 4 e la quarta da 5 dove si ha la malattia, un tentativo dialogo con la famiglia però fallito perché i due parlano una lingua diversa, lei non vuole farsi toccare dalle parole del padre anche se alla fine si commuove ma poi torna nella posizione iniziale di rifiuto. È un romanzo che racconta anche, secondo Alessandro Giarrettino, la negazione del progresso se pensiamo all’ascesa sociale di mastro don. Nei frammenti della duchessa di Leyra lui descrive un passaggio in cui parla di suo marito. Quel palazzo fatiscente che si regge con i suoi soldi ricorda un palazzo nobiliare dell’800. In questo palazzo fatiscente c’è una sorta di ciclicità. La storia si chiude e si ripete in maniera ciclica, questa volta si chiude perfettamente, non c’è una ripartenza perché non ci sono Alessi e la Nunzia che fanno ripartire la vicenda. Attitudine alla tragedia che verga riesce a esprimere ai massimi livelli. Capitolo 1: si capiscono già varie cose di questo personaggio. Viene invocato san gregorio magno se si ha un terremoto, san giovanni battista se è un incendio. Si ha un incendio in casa Trao e i primi due personaggi vengono presentati, Don Diego e Don Ferdinando, due nobili decaduti che vivono nella miseria più nera. Si ha la descrizione del palazzo del Trao e il primo contatto che abbiamo è con il ‘cornicione sdentato’ e un portone sconquassato. Questo grido che a un certo punto sentiamo che sembra non entrarci nulla con la vicenda in realtà avrà un significato molto particolare, sarà

all’origine di una scelta decisiva che farà Gesualdo. I fratelli di Bianca vengono presentati come individui sopra le righe, questo grido sembra essere motivato dalla loro originalità e non ci si fa tanto caso. L’effetto comico non mancherà mai. Mastro Don Gesualdo Motta interviene coraggiosamente nell’incendio per un motivo preciso: perché ha la casa accanto a quella dei Trao quindi da quel momento in poi si dà da fare. La motivazione sta nella sua prima apparizione. Siamo entrati in contatto con la casa dei Trao, i fratelli di Bianca (tisici e malandati), e illuminante è la visione con lo stemma di famiglia, ognuna ha degli oggetti simbolo e delle famiglie nobili erano stemma, simbolo della storia mondiale. Ma quello loro è trasandato, attaccato a un gancio. Mastro don voleva buttare la legna accatastata nel cortile della casa al confine con casa sua, e già da questo possiamo capire il suo carattere, un titano che vuole fare azioni impossibili anche se in realtà è tutto a fini utilitaristici. La presentazione continua che lo rappresenta come uno strano eroe. Entra in scena anche il padre del protagonista, importante perchè fino a che mastro Nunzio sarà vivo, i rapporti di Gesualdo rimarranno all’interno della famiglia di una formale correttezza, quando morirà si aprirà un dissidio per il possesso della roba. C’è un insistito riferimento a Bianca. Improvvisamente si apre l’uscio della porta della camera di Donna Bianca e si ha un dramma nel dramma che non si capirà in questo capitolo ma nell’altro, quando Gesualdo andrà a fare visita a una parente. L’unica cosa che abbiamo capito è che qualcuno di strano c’è nella camera di Bianca. Nonostante l’incendio la camera di Bianca è off limits, qualcuno non può essere assolutamente visto evidentemente ma il segreto presto inizia però a circolare, ci sono alcuni dei parenti dei Trao che commentano. La situazione di Bianca trova una descrizione magistrale qua in cui verga senza dire niente fa intuire ai propri lettori tutto l’arcano della vicenda, lei è l’unica femmina di una famiglia in declino che non hanno la doto per farla sposare, ha solo in amante il cugino. Il suo destino è segnato perché la vicenda è passata per la bocca di tutti i parenti e c’è anche un rimprovero nei confronti dei fratelli perché una ragazza a una certa età deve sposarsi per non avere guai. Verga è molto preciso ma la coralità di questa scena è diversa da molte di quelle dei Malavoglia, non ci sono filtri e convinzioni sociali e nemmeno la stessa ipocrisia che avevamo alla morte di Bastianazzo. C’è il discorso diretto perché qua possiamo sempre intuire chi parla, le frasi sono semplicemente in discorso diretto, il discorso indiretto libero lo troviamo molto poco. Qua sembra che Verga stia ridiventando un narratore manzoniano, onnisciente perché lui non ricerca più l’eliminazione. Che tipo di motivo ideologico avrebbe potuto avere Verga per eliminare il discorso indiretto libero?

Capitolo 2: cambia la situazione, si apre con un nuovo scenario, qualcuno ci sta camminando. Stiamo capendo che la divisione in capitoli di questo romanzo è una divisione che organizza i capitoli attorno a quadri conclusi, autosufficienti. Non c’è continuità che era caratteristica nella divisione in capitoli dei Malavoglia perché era uscito a episodi nella rivista e ognuno doveva essere un quadro autonomo. Viene meno la ciclicità stilistica narrativa, perché i malavoglia sono lo sviluppo ipertrofico di un bozzetto siciliano e di questa tipologia di scrittura ne risente la diversa lunghezza dei capitoli. Mastro don è un romanzo che ha origine come insieme di puntate diverse. Don diego va a casa della cugina e trova una scena molto particolare, lei è una nobildonna, la ricca della famiglia. La baronessa viene descritta come una popolana che si trova nel magazzino di casa sua e sta dicendo improperi al tizio al quale deve vendere il farro. Quando si accorge dell’arrivo del cugino, cambia e ha un fare mondano e uno scatto di registro linguistico. La baronessa è vedova e

ha un unico figlio Ninì, quello che stava in camera di Bianca e la madre vuole dominarlo. Ha dalle sue parti origini contadine, ei tratta con fare maschile e popolano e non si vergogna affatto delle sue origini. La scena assume connotati comici perché Don Diego è imbarazzatissimo, va a parlarle del futuro matrimonio di Banca con Ninì. La scena è quasi comica perchè don non riesce mai a trovare mai il momento opportuno per comunicarlo alla cugina dato che c’è anche l’intermediario di Mastro don che compra il farro. A un certo punto arriva il canonico Lupi che vuole farsi gli affari altrui anche se non lo fa vedere. La scena è di una comicità amara però. È interessante sia la descrizione del magazzino sia le cose che si dicono di Mastro don. Di simboli in questo racconto ce ne sono molti -

Magazzino grande come una chiesa Teatro declassato che indica il degrado della famiglia Grano e farro sono collocati in uno scenario ambiguo, perché stanno in mezzo a complementi d’arredo rovinati e sporchi Situazione a specchio, perché nel degrado c’è la ricchezza contadina che la baronessa gestisce a modo suo.

Il canonico Lupi si inserisce nella trattativa inserendo l’accezione del matrimonio in modo ambiguo. Si riferisce alla trattativa del farro tra lei e colui che devo comprarlo ma anche al matrimonio tra Bianca e il figlio della baronessa. Si parla di un asta comunale che dà il diritto a chi la vincerà di avere dei dazi su delle terre, subito dopo si ha un riferimento a Gesualdo con una ragazza che non ha dote. Gli viene allora proposto uno scambio, se vuole la gabella e toglierla a questa famiglia dovrà sposarsi la ragazza che è stata sorpresa in camera con l’amante. C’è una rappresentazione narrativa serratissima di un narratore onnisciente manzoniano eterodiegetico che sta gestendo la trama di questo romanzo come colui che sa come procederanno le cose perché è il direttore d’orchestra e può usare anticipazioni, effetti comici e ammiccamenti perché sa come procede la storia. La scena di questo capitolo continua nell’imbarazzo generale. Alla fine la baronessa si arrende perché Don Diego deve dirgli qualcosa che lei sa che deve dirgli ma rimanda tante volte. Si apre in questo momento la fase della certezza della baronesse che sa della storia ma nel momento in cui don Diego le fa capire, assume una sua veste ufficiale e il personaggio emerge in tutta la sua potenza perché fin dall’inizio non prende per un secondo in considerazione che suo figlio possa sposare Bianca. La questione si attesta su questa situazione, non c’è interlocuzione assolutamente. La baronessa Rubiera ha un profilo titanico ed eroiche che la sua situazione sarà tragica, bloccata in una sedia a rotelle con questo figlio che non ha compicciato niente. Un personaggio corrispettivo femminile a Gesualdo. Al sentire attaccare il figlio che minacciato don Diego di entrare la baronessa ha un moto di affetto materno ingiusto perché immediatamente passa all’attacco. Nella mentalità della donna la colpa non è di Ninì ma di Bianca. Il capitolo si chiude con la sorte di Bianca che è segnata ma si tratterà solo di capire chi sarà il marito di Bianca.

Il desiderio di crearsi una famiglia è legato a un fatto economico perché vorrebbe dire avere degli eredi affinchè costituiscano la roba e la servino. Mastro don è un’ingiuria.

Capitolo 3: ci troviamo a casa Sganci ed è piena perché la gente è giunta per vedere la festa del santo patrono san Gregorio Magno. La parola bestia è usata in maniera affettiva da Gesualdo che si carica di una coloritura diversa che rappresenta il confine tra il mondo umano e non. Qua è vestito bene ma le mani sono vestite dalla calce, questo è sempre la contrapposizione tra positivo e negativo. Lui viene chiamato Don ogni volta che le stanno per fregare e lusingare per convincerlo a fare qualcosa che non sarebbe alla sua portata. Quando è il narratore che lo chiama chiaramente torna a essere Mastro Don, per dignità. L’arrivo che non arriva in realtà con un nome non suo è evidentemente un gioco delle parti. -

Almanaccando: toscanismo

La voce fuori dal coro è quella del barone, che aveva fin’ora vinto le gabelle per i famosi territori, quando scopre che Gesualdo sta per partecipare alla gara e tutti i retroscena che ne conseguono è infastidito da questo. Tutti sparlando di Bianca e Gesualdo in maniera impietosa che hanno soprattutto paura che speculi anche sulle terre. Questi discorsi sono tutti virgolettati e quindi sono discorsi diretto. L’elemento distrattore si può considerare quando entra Ninì che crea distrazione soprattutto nelle ragazze. Il barone Zacco ha fatto una precisa fotografia di ciò che sta accadendo. Bianca avrà sempre l’aria imbarazzata, sarà pallida e ha questo vestito di lanetta che è un doppio insulto perché è misero, non adeguato alle altre donne presenti e perché già è stato regalato da una parente che vuole rimarcare doppiamente la situazione economica in cui si trova la ragazza. Il marchese è forse una delle uniche figure che mostra una sorta di affetto nei confronti di Bianca. Essa non è una bella ragazza, ha solo degli occhi belli e azzurri, nel frattempo sta passando il santo patrono e il barone non riesce più a stare zitto. Alla evidente provocazione ad alcuni dei presenti che cercano una lite e vogliono che la questione dell’affare che si sta concludendo emerga, ma soprattutto vogliono umiliare Gesualdo, che lo provocano. A questo punto conosciamo poco la verve e impetuosità di Gesualdo, la risposta che fa è di chi è consapevole di essere fuori posto, e dice al marchese che ognuno fa quel che può; si tratta di un rilancio nella storia (vd Alfio e Mena e la sua impossibilità di sposarsi). -

Affare, porta roba Negozio, per le tresche, es matrimonio

La scena più densa di tutto questo capitolo si ha quando Bianca si ritrova da sola sul balconcino con Ninì. Bianca sta parlando ed esprimendo il proprio sgomento, più con il corpo che con le parole, un grande sconforto e un grande abbandono doloroso è qua presente. Anche Ninì ha delle posture fisiche che denunciano tutta la sua difficoltà, comincerà a darsi dei pugni sulla testa affinchè non giunga nessuno al bancone. Sua madre dice lui non lo fa respirare un attimo, è la sua padrona, è molto codardo però perchè in realtà Ninì non vuole neppure sposare Bianca. Ne dà anche un spiegazione a coloro i quali glielo chiederà, rispondendo anche che non può sposare una donna perché sua madre ha tutto. Lo zio rimane fermo sulla convinzione secondo la quale la madre presto finirà i suoi beni e morirà, ma Ninì non lo prende ancora una volta sul serio, è sempre dalla parte della madre, non è pronto a vivere da diseredato anche se questo comporta di non trovare mai una donna. Nel frattempo si chiariscono le sorti tra i due, Ninì è destinato a sposare Fifì, ragazza non

bella, c’è una scena speculare alla scena di Alfio e Mena perché c’è sempre un’impossibilità matrimoniale. Segue una descrizione: a metà tra cittadina e montana in cui come già era successo agli amanti dei Malavoglia, il passaggio intorno sembra farsi carico di questa importante difficoltà. C’è un riferimento alla festa di santi della novella precedente. Il capitolo si chiude mentre la camera di Bianca si sta svuotando degli ospiti e Gesualdo stava aspettando sul portone insieme al canonico Lupi che parlavano. Lui ha esposto lo scambio e Don Gesualdo non rispose subito perché voleva pensarci e temeva di imbarcarsi in un affare troppo grosso. La notte porta consiglio, scura e desolata della cameretta di Bianca. Il passaggio ultimo inserisce un discorso indiretto libero che spone il punto di vista di Bianca, sola nella sua camera che ha capito ciò che sta succedendo ed è un recupero intertestuale fortissimo dell’opera di Verga: Storia di una capinera. Capitolo 4: è una giornata tipo di Gesualdo che ci fa capire quanto lui impieghi parte del suo tempo nella costituzione della roba, non si risparmia assolutamente, è una giornata brutta perché piove ma lui va a controllare gli operai e i suoi stessi parenti che sono adempienti agli obblighi di Mastro Don. Per prima cosa si ha una visione che lui arriva mentre il ragazzo cerca di avvertire tutti che sta arrivando almeno lui non li brontola. Il suo arrivo mette scompiglio tra gli operai e i suoi stessi parenti che nel frattempo godono delle ricchezze. Abbiamo il primo passaggio atmosferico che lui è arrivato con l’acqua e ora inizia invece il gran caldo. -

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‘badate che vi sto sempre addosso come la presenza di Dio’, è un autodescrizione che lui fa di stesso che è più di titanica perché lui arriva a paragonarsi a Dio. Provvede come Dio a tutti, al lavoro, alla ricchezza e al divertimento di tutti accettando di dare i soldi al fratello nonostante sapesse che poi li avrebbe scommessi alle piastrelle. C’è un ambiguità voluto, perché Gesualdo è salito per parlare dell’affare delle terre anche se il canonico sta pensando all’altro affare, Gesualdo non capisce, perché la parola affare per lui è legata esclusivamente all’accumulo della roba. Finalmente si ha poi la serenità e tranquillità e questa la trova esclusivamente andando in un suo podere in Cansiria.

Un’oasi felice c’è ed è data dalla sua fattoria della Cansiria, luogo degli affetti e dove li recupera, dove può pensare al proprio futuro insieme a Diodata che costituisce la fattoria e ha dei figli che stanno in orfanotrofio anche se lui ci penserà economicamente. Qua è come se trovasse la sua vera famiglia ed è la sua vera casa, con Diodata, ragazza di umilissime origini. Lui arriva a notte fonda ma nonostante questo c’è la porta della fattoria aperta per sottolineare il fatto che tutti lo stanno veramente aspettando. -

L’ironia che Gesualdo fa nei confronti di Diodata è un anticipazione perchè quando Gesualdo decise di sposare Bianca Trao pensa anche a lei che secondo lui deve essere felice e la pensa affianco di Nanni l’Orbo con il quale forse potrà finalmente trovare la sua serenità e riscattarsi perché ha sofferto molto nonostante sia molto giovane, è stata sfruttata ed ha attraversato la fatica. Conserva solo due tratti gentili, i capelli e gli occhi, funzionali quest’ultimi a una descrizione precedente, quella di Bianca Trao che non è bella ma ha solo gli occhi azzurri.

A un certo punto Diodata si addormenta e Gesualdo le da uno scapaccione come segno di carezza.

Si ha poi un recupero memoriale della storia di Gesualdo, è al contempo la presentazione che lui fa di se stesso e il recupero dei suoi ricordi dove finalmente abbiamo anche un velo affettivo. Su tutti domina Gesualdo perché lui lavora per tutti e si occupa di tutto senza mai fermarsi perché si doveva preoccupare di troppe cose che non riusciva ad avere mai un attimo di stacco, era costretto a difendere la sua roba contro tutti perché nel paese quasi tutti gli erano nemici o amici che lo erano solamente per uno scopo. Anche in casa non ha affetti. È interessante la bipartizione delle sue alleanze che sono comunque transitorie perchè gli permettono di acquisire altri beni. Rinizia il dialogo con Diodata e tutto questo rivolgersi a lei gli serve perché lui sente la necessità di avvertirla di quanto sta per accadere, cioè che deve sposarsi con Bianca e la risposta di Diodata è sempre la stessa, dicendogli che lui è il padrone e deve fare quello che si sente e vuole. La costruzione narrativa di questo capitolo è molto sapiente perché vede una descrizione eterodiegetica all’inizio, ma questo fino al primo ritorno in paese mentre dal primo momento che arriva alla Cansiria ci saranno ampi passaggi di discorso indiretto libero dove lui parla della sua famiglia e manifesta il suo affetto a Diodata e in nome di questo affetto sente che deve dire alla ragazza quanto gli sta accadendo. Fuori dalla Cansiria diviene una maschera, cioè che per motivi sociali deve assumere comportamenti e atteggiamenti dissimulatori che devono nascondere la sua situazione. Ricopre un ruolo nella vicenda di Bianca che è diverso da ciò che effettivamente pensa. I gesti e i movimenti del corpo sono a volte più importati nel Mastro don di ciò che i personaggi dicono. Ciascuno ricopre un ruolo specifico, ha un ruolo in questa rappresentazione che è diverso da ciò che pensa, fa la parte dell’amante ma di più del cane fedele. Si ha anche qui un manzonismo intrinseco...


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