Mastro Don Gesualdo - trama e tematiche PDF

Title Mastro Don Gesualdo - trama e tematiche
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Summary

Riassunto del libro Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga....


Description

MASTRO DON GESUALDO Il 10 maggio 1887 Verga scriveva al fratello Mario di volersi dedicare al Mastro. Già nel 1881 si era occupato della stesura di questo romanzo, ma sia per le necessità materiali, sia per la sua occupazione nel teatro e nelle novelle, impiegò circa 8 anni per completare la prima stesura del Mastro. Nella primavera del 1888, infatti, Verga strinse un contratto con la rivista “Nuova Antologia” per una pubblicazione a puntate del Mastro Don Gesualdo dal 1° luglio al 16 dicembre. Ma già a metà dell'opera si dichiarò insoddisfatto, confidando all'amico Capuana l’intenzione di rifare radicalmente la seconda parte, così entro l'anno lo riscrisse. Nel frattempo, lasciato l'editore Casanova, Verga strinse un nuovo accordo per la diffusione in volume, con l’editore Treves. Ma l'edizione in volume si fece attendere per quasi un anno: infatti, il nuovo testo, finito di consegnare nel novembre 1889, vide la luce a dicembre, ma recando come data di stampa il 1890. Il frangente storico di Mastro Don Gesualdo rispetto ai Malavoglia è del tutto mutato: infatti, l'indagine si allarga ad un ambiente socialmente più complesso, popolato da una folla variegata di personaggi di ceti diversi (nobili decaduti, contadini, borghesi, preti, comari). Per Verga, non è stato possibile riprodurre l’intera scala sociale, che nel Mastro Don Gesualdo è riconoscibile attraverso una polifonia, in cui ciascun rappresentante del proprio ceto conserva uno stile individuale. Proprio per questo, i tipi paesani sono delineati con gusto macchiettistico e sono portati al massimo della loro resa caricaturale. Anche il lessico è più vario, ricercato e articolato, mentre i sentimenti sono analizzati in modo maggiormente analitico. Mastro Don Gesualdo ritrae la provincia siciliana dell'Ottocento, sullo sfondo delle lotte risorgimentali degli anni 1820-1850, tra lo scoppio delle prime insurrezioni antiborboniche e la rivoluzione del 1848. La mentalità arcaica e patriarcale degli umili è definitivamente sostituita dalla nuova logica affarista dell’utilitarismo, quindi dell'”eroe borghese” che si è fatto da sé, attaccato agli interessi della terra e del denaro. Infatti, la capacità del protagonista di guardare alla nuova economia di mercato, l’inseguimento e l’amore (quasi fisico) per la “roba” lo aiuterà ad uscire dalla folla dei diseredati, ma il fatto di provenire da lì non gli consentirà mai di entrare a pieno titolo nella classe dominante, che lo tiene ai bordi in un gioco di esclusione. La struttura non è corale ed epica come nei Malavoglia, ma è suddivisa in quattro quadri distinti, che seguono le fasi decisive della vita del protagonista: matrimonio, ascesa sociale, declino e morte. Le vicende si snodano a Vizzini: Gesualdo Motta è un muratore di umili origini, che ha combattuto per elevare la propria condizione sociale e diventare proprietario terriero, accumulando un consistente patrimonio. A forza di sacrifici, da “mastro”, cioè muratore, è diventato “don”, cioè un facoltoso imprenditore borghese. Ma, la comprensione delle regole del gioco economico che ha permesso a Gesualdo di diventare un accanito e fortunato accumulatore, non riesce a modificare il destino che inevitabilmente lo attende al varco. Dopo aver cavalcato il successo per qualche tempo, anche Gesualdo rimarrà stritolato dalla darwinistica “fiumana” del progresso. Il protagonista diventa, così, uno dei “vinti” più rappresentativi del ciclo verghiano, simbolo di umanità condannata all’alienazione della

solitudine. Mastro Don Gesualdo è la storia del riscatto di un “eroe della modernità” che si costruisce da sé il suo destino, infatti, Gesualdo ha lavorato e ha sofferto e con il sudore della fronte è arrivato a possedere magazzini, fornaci e soldi. Il piacere di Gesualdo non sta tanto nel possesso della “roba”, quanto nel processo dell'accumulo, nella smania di arricchirsi e anche di prendersi gioco e di umiliare economicamente i signori (si pensi alla sequenza drammatica dell'asta per le terre comunali che vede Don Gesualdo rompere lo schieramento subdolo dei nobili del paese). Gesualdo, invece di estraniarsi e difendersi dal mondo ha scoperto le regole economiche che reggono quel mondo. L'ascesa sociale del protagonista, che nel primo momento narrativo si rivela vincente, pian piano viene ostacolata dalla decaduta aristocrazia locale. A questo ambiente Gesualdo rimane profondamente estraneo, anche dopo che vi si è inserito con un matrimonio di convenienza con Bianca Trao, di una famiglia nobile caduta in rovina, che acconsente alle nozze per riparare a una precedente relazione amorosa con il cugino Ninì Rubiera. Nonostante l’inserimento nella cerchia della classe dominante, la crescita del suo patrimonio e delle ricchezze, per la maggior parte degli aristocratici, Gesualdo rimane in fondo un rozzo e un villano. L'incontro dei due prefissi “mastro” e “don” simboleggia l'impossibilità di diventare anello di congiunzione di due mondi inconciliabili. Così, Gesualdo rimane un ibrido, guardato con sospetto dai nobili, che nella sua ascesa vedono un attentatore pericoloso dei loro privilegi e, inoltre, è anche rinnegato dal popolo perché lo vedono come un traditore delle sue stesse origini. Nonostante l’apparente spregiudicatezza, Gesualdo nasconde in fondo un lato umano. Infatti, aiuta il padre economicamente, pensa alla sorte della cara amata Diodata, è disposto a pagare le cure di Bianca per salvarla e vuole garantire alla figlia Isabella la migliore istruzione. Differentemente dal personaggio di Mazzarò, con il quale ha in comune la stessa venerazione per la “roba”, il protagonista di questo romanzo conserva un intimo rispetto per gli affetti profondi, per le radici e per i legami di sangue. La parabola del protagonista sta proprio nel dissidio interiore, che lo vede diviso tra la logica dell’interesse e le necessità del mondo degli affetti. Gesualdo ha in fondo un ancestrale bisogno di aspirazioni affettive semplici: come una moglie devota, dei figli maschi ai quali lasciare in eredità il patrimonio e l’ammirazione di suo padre. Però, Gesualdo rimarrà deluso quando proverà a realizzare queste aspirazioni con i medesimi mezzi, con gli stessi comportamenti di calcolo e spregiudicatezza che le regole economiche impongono. Sembra che tutto il mondo si coalizzi contro Gesualdo: infatti, i familiari si sentono abbandonati e traditi, la nobiltà lo considera un intruso, la moglie Bianca non cesserà mai di disprezzare le origini del marito, fino ad avere una repulsione quasi fisica per lui, e la figlia Isabella si vergogna di questo padre che non è suo, considerandosi una Trao. Gesualdo, quindi, nonostante tenti invano di costruire un legame affettivo con la figlia Isabella, capisce che tra padre e figlia il divario è incolmabile, essendo lei una Trao. Nel romanzo si capisce che non è possibile governare il destino e che, quindi, il povero Mastro Don Gesualdo non potrà che assistere impotente al fallimento del proprio progetto di vita. Questa, appunto, è la condanna da pagare per aver abbandonato la sicurezza della propria tradizione familiare e aver accarezzato

una presuntuosa idea di progresso, che ha portato solo sterilità affettiva. Gesualdo alla fine capisce che non è servito a niente sacrificare gli affetti più veri, come quello per la serva Diodata, la ragazza da lui amata e resa madre, nella quale si incarna il valore della stabilità dei sentimenti più puri (perché Diodata sarà l’unica che non lo abbandonerà mai). La morte finale di Gesualdo rappresenta l'emblema di una sconfitta: infatti, devastato dalla malattia e dal vedere irrimediabilmente dilapidate le sue ricchezze, Don Gesualdo si spegnerà, malato e deluso, nel palazzo di Palermo, solo e impotente di fronte allo spreco del patrimonio per il quale ha sacrificato il mondo degli affetti più veri. TRAMA Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure al nuovo status borghese, che il protagonista si è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando. partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale. Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.

La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo

contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo....


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