Profumo d’immortalità Controversie sull’anima nella filosofia volgare del Rinascimento (Rome: Carocci, 2016) PDF

Title Profumo d’immortalità Controversie sull’anima nella filosofia volgare del Rinascimento (Rome: Carocci, 2016)
Author Marco Sgarbi
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Summary

Profumo Marco Sgarbi Carocci editore Il libro introduce al problema dell’immortalità dell’anima in lingua volgare nel Rinascimento, portando alla luce lavori a stampa e mano- scritti ino ad ora poco letti o studiati. Si tratta di un’indagine volta a d’immortalità determinare generi letterari, contes...


Description

Il libro introduce al problema dell’immortalità dell’anima in lingua volgare nel Rinascimento, portando alla luce lavori a stampa e manoscritti ino ad ora poco letti o studiati. Si tratta di un’indagine volta a determinare generi letterari, contesto di produzione e idee principali. Il volume adotta una prospettiva tipologica nella speranza di rendere giustizia all’inesauribile ricchezza del tema. Si incontrano così testimonianze sul rapporto tra ilosoia e religione, sulla condanna di tesi eretiche, sui dibattiti nelle accademie o sui tentativi di conciliazione fra platonismo e aristotelismo. Il testo ofre dunque un contributo alla ricostruzione di una questione cruciale per l’epoca, che non toccava solamente gli intellettuali, ma anche semplici mugnai. Marco Sgarbi è professore di Storia della ilosoia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è il responsabile del progetto europeo erc Starting Grant 2013: “Aristotle in the Italian Vernacular: Rethinking Renaissance and Early-Modern Intellectual History”. È Editor dell’Encyclopedia of Renaissance Philosophy (Springer, 2018) e della serie “Bloomsbury Studies in the Aristotelian Tradition”.

Profumo d’immortalità

Profumo d’immortalità

editore

Marco Sgarbi

Carocci

Controversie sull’anima nella ilosoia volgare del Rinascimento Marco Sgarbi

In copertina: Giulio Romano, Allegoria dell’immortalità, olio su tela, 1540 ca., Detroit Institute of Art ca. ISBN

978-88-430-7739-7

9 78884 3 077397

€ xx,xx

Carocci editore Carocci editore

Marco Sgarbi

Profumo d’immortalità Controversie sull’anima nella ilosoia volgare del Rinascimento

Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo di Villa I Tatti, he Harvard University Center for Italian Renaissance Studies

a edizione, gennaio  © copyright  by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Elisabetta Ingarao, Roma Finito di stampare nel gennaio  da Graiche VD srl, Città di Castello (PG) isbn ----

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.  della legge  aprile , n. ) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione



.

Idee tradotte



.. ..

Rinascimento e translatio studiorum Il volgare e l’immortalità dell’anima

 

.

Eredità medievali



.. .. ..

Una prospettiva domenicana: Jacopo Campora Una prospettiva francescana: Melchiorre Frizzoli Una prospettiva carmelitana: Giovanni Sabadino degli Arienti e Battista Spagnoli

 

.

All’alba di un nuovo secolo



.. .. ..

A scuola da Ficino Il canto sull’immortalità dell’anima Un’alternativa all’averroismo: Temistio nel Rinascimento

  

.

Ragione e fede



.. .. ..

Tentativi d’autonomia Pietro Pomponazzi e Gasparo Contarini Sperone Speroni a scuola da Pomponazzi

  





indice

.. ..

Sotto l’egida di Contarini: Ludovico Beccadelli Rinaldo Odoni fra ilosoia e teologia

 

.

Il mondo dell’accademia



..

Benedetto Varchi e l’immortalità dell’anima fra Padova e Firenze L’anima di un bottaio: Giovan Battista Gelli L’immortalità dell’anima a Ferrara: Alberto Lollio L’immortalità in un’accademia veneziana a Creta: Antonio Mainero

.. .. ..

   

.

Eresie aristoteliche



.. .. .. ..

Eterodossie e condanne dell’aristotelismo Antonio Brucioli, “giornalista della cultura” L’anima in “un copone”: Giovanni Francesco Brancaleone Valerio Marcellini contro gli averroisti padovani

   

.

Tentativi di conciliazione



.. ..

Un sonetto sull’immortalità: Pompeo Della Barba Francesco de’ Vieri e l’accordo fra platonismo e aristotelismo Orazio Guicciardi e l’immortalità dell’anima alla ine del secolo Nicolò Vito di Gozze e l’immortalità dell’anima alle soglie del Seicento





.

Pseudo-aristotelismo



..

Stefano Conventi e l’immortalità dell’anima secondo la heologia Aristotelis Valerio Marcellini e la “mela” dell’immortalità Giovan Battista Fedeli e l’anima immortale

  

.. ..

.. ..



 

indice

.

Al di là dell’immortalità



.. ..

La dignità dell’uomo La ine di un problema

 

Note



Bibliograia



Manoscritti Letteratura primaria Letteratura secondaria

  

Indice dei nomi





Anima immortale

Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro tanto, che quanti libri tiene il mondo non saziâr l’appetito mio profondo: quanto ho mangiato, e del digiun pur moro. D’un gran mondo Aristarco, e Metrodoro di più cibommi, e più di fame abbondo; disiando e sentendo, giro in tondo; e quanto intendo più, tanto più ignoro. Dunque immagin sono io del Padre immenso, che gli enti, come il mar li pesci, cinge, e sol è oggetto dell’amante senso; cui il sillogismo è stral, che al segno attinge; l’autorità è man d’altri; donde penso sol certo e lieto chi s’illuia e incinge. In questo sonetto parla l’anima, e riconosce se stessa immortale ed ininita, per non saziarsi mai di sapere e volere. Onde conosce non dalli elementi, ma da Dio ininito essa procedere; a cui s’arriva col sillogismo, come per strale allo scopo, perché dal simile efetto alla causa si va lontanamente; s’arriva con l’autorità, come per mano d’altri si tocca un oggetto, ancora che questo sapere sia lontano e di poco gusto. Ma solo chi s’illuia, cioè chi si fa lui, cioè Dio, e chi s’incinge, cioè s’impregna di Dio, vien certo della divinità e lieto conoscitore e beato: perché è penetrante e penetrato da quella. Campanella, , p. 

Prefazione

La prima idea di questo lavoro risale al , in particolare al congresso su Pietro Pomponazzi. Tradizione e dissenso svoltosi a Mantova presso l’Accademia nazionale virgiliana. Discutendo dell’impatto che il pensiero di Pomponazzi aveva avuto nel Cinquecento, Cesare Vasoli lamentava lo scarso interesse dedicato dagli studiosi al problema dell’immortalità dell’anima al di là della ormai vetusta monograia di Giovanni Di Napoli. Mancava prima di tutto uno studio di storia delle idee che indagasse la presenza di tale problema nel pensiero cinquecentesco, in uno spettro più ampio della cultura scolastica e universitaria e che guardasse anche alla produzione in lingua volgare di autori meno noti. La diicoltà di questo studio, rilevava ancora Vasoli, risiedeva nel fatto che la maggior parte dei testi da esaminare erano manoscritti, spesso non autograi, di autori pressoché sconosciuti e il più delle volte considerati come dilettanti in campo ilosoico. Una reale comprensione del problema dell’immortalità dell’anima in tale contesto sarebbe andata irrimediabilmente a incagliarsi contro la potenza speculativa delle rilessioni teoriche latine. Queste diicoltà però non dovevano scoraggiare gli studiosi del pensiero rinascimentale; dovevano piuttosto rappresentare una sida e un incentivo per ricerche almeno preliminari, ainché la raccolta di un materiale sempre più ricco potesse ofrire un’immagine più adeguata del periodo. All’epoca Vasoli faceva particolare riferimento ai suoi recenti studi su Benedetto Varchi e Sperone Speroni, intellettuali che erano ancora ingiustamente considerati dalla storiograia dei “dilettanti allo sbaraglio” in ambito ilosoico, e agli importanti contributi contenuti nel volume promosso dalla Fondazione Leon Battista Alberti di Mantova. Nel frattempo la ricerca sulla ilosoia rinascimentale in lingua volgare è notevolmente progredita grazie ai contributi metodologici di Luca 

profumo d’immortalità

Bianchi e al progetto Vernacular Aristotelianism in Renaissance Italy, c. -c. , diretto da David Lines presso il Centre for the Study of the Renaissance di Warwick. Grazie prima a una Jean-François Malle Fellowship presso Villa I Tatti-he Harvard University Center for Italian Renaissance Studies e poi soprattutto a uno erc Starting Grant  – ARISTOTLE, sono riuscito a raccogliere suiciente materiale per dare una preliminare valutazione dei lavori in lingua volgare sul problema dell’immortalità dell’anima. Certamente ogni singolo testo e ogni singolo autore preso in esame in questo volume meriterebbero uno studio monograico da una prospettiva più ampia e interdisciplinare, ma non era questo il mio scopo. Il mio obiettivo era, invece, fornire una prima introduzione di carattere enciclopedico al problema in lingua volgare, portando alla luce lavori a stampa e manoscritti ino ad ora poco letti o addirittura sconosciuti agli studiosi. Questo libro vuole quindi essere una ricerca a volo d’uccello volta a determinare il contesto di produzione di queste opere e le principali idee o prospettive difese da questi autori, ofrendo degli studi tipologici per capire quanto fosse esteso e dibattuto il problema. Incontriamo così indagini su come l’immortalità dell’anima fu recepita alla ine del Quattrocento, sul rapporto tra ilosoia e religione, sulle condanne di tesi eretiche, sui dibattiti nelle accademie o sui tentativi di conciliazione fra platonismo e aristotelismo. L’auspicio è di poter ofrire, in questo modo, un contributo, seppur piccolo, alla ricostruzione di un problema così importante all’epoca, che non toccava solamente gli intellettuali, ma anche semplici mugnai. Le tesi del libro sono tre: . il problema dell’immortalità dell’anima dev’essere ricompreso all’interno della più vasta questione della dignitas hominis; . l’interpretazione di Temistio ebbe un ruolo decisivo per l’elaborazione di prospettive conciliatorie fra cristianesimo, aristotelismo e platonismo; . il dibattito si spense allorché quelle posizioni, che in origine erano genuinamente aristoteliche, si fecero sempre più eclettiche, soprattutto in seno alla ilosoia in lingua volgare. Mancando il più delle volte un’edizione moderna delle opere prese in considerazione, mi sono spesso dilungato a riportare e commentare i testi. In questi casi ho preferito utilizzare una trascrizione diplomatica, sciogliendo semplicemente abbreviazioni e contrazioni per rendere più intelligibile il testo. Ho corretto gli accenti e gli apostroi, ma ho cercato di mantenere il più possibile le parole nella loro forma originaria. Il titolo 

prefazione

del libro è un gioco di parole sul detto di Pietro Pomponazzi secondo cui l’anima odora di un “profumo d’immaterialità”, che le garantirebbe un’immortalità relativa. Queste ricerche non sarebbero state possibili senza l’aiuto di colleghi e amici che non solo hanno stimolato i miei studi, ma mi hanno anche fornito preziosi suggerimenti, facendomi talvolta leggere i loro studi ancora inediti. In questo senso devo ringraziare in modo particolare Nadja Aksamija, Alessio Cotugno, Eva Del Soldato, Teodoro Katinis, Antonio Petagine e Eugenio Reini. Ringrazio inoltre chi ha supportato e incoraggiato questa mia ricerca, ovvero Franco Bacchelli, Gregorio Piaia e Riccardo Pozzo. Non posso poi non ringraziare chi negli ultimi mesi mi ha permesso di terminare serenamente questo lavoro, ovvero i componenti del Dipartimento di Filosoia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e soprattutto il suo direttore Luigi Perissinotto. Un ultimo ringraziamento va a Enrico Peruzzi per avermi introdotto al problema dell’immortalità sin dai tempi in cui ero studente universitario. Mai come in questo caso l’unità di una comunità scientiica mi ha permesso di portare alla luce questo contributo alla storia della cultura del xvi secolo.



 Idee tradotte

. Rinascimento e translatio studiorum In questo inizio di secolo gli storici della ilosoia hanno il compito di afrontare le nuove side che il mutare dei tempi e il cambiamento delle metodologie impongono. Fra queste side c’è quella di ricomprendere da nuove prospettive un problema ampiamente discusso come la questione dell’immortalità dell’anima nel Rinascimento. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fornire una nuova chiave di lettura a idee e categorie storiograiche che sembrano deinitivamente consolidate. Uno degli approcci più fecondi per afrontare queste side è guardare alla storia della ilosoia e alla storia delle idee attraverso il iltro della translatio studiorum. Per translatio studiorum intendo quel processo sotteso a ogni forma di comunicazione che si manifesta nella trasmissione di sapere fra diverse lingue e culture. Com’è stato ampiamente dimostrato, le varie translationes studiorum sono alla base della formazione di ogni nuovo genere di conoscenza. In questo senso, scrivere di storia della ilosoia attraverso la lente della translatio studiorum signiica in primo luogo individuare le continuità e le discontinuità nella trasmissione e nella trasformazione di linguaggi, concetti e problemi all’interno di una medesima cultura o di culture diferenti. Fare ciò vuol dire innanzitutto riconoscere che la comprensione o l’errata interpretazione della ilosoia, della letteratura, della religione e della scienza sono state fondamentali per la formazione e lo sviluppo di una cultura. In passato tutti i maggiori scambi culturali e intellettuali e la generazione delle nuove conoscenze si sono fondati su particolari processi di translatio, che costituiscono, per 

profumo d’immortalità

questo motivo, uno degli orizzonti più interessanti per lo storico delle idee. L’intera storia della ilosoia potrebbe essere periodizzata dalle varie translationes studiorum che in ondate successive hanno scandito gli eventi della cultura europea, modiicandone radicalmente gli orizzonti e il lessico. D’altra parte, com’è già stato segnalato, i problemi ilosoici «sono per una parte rilevante problemi di traduzione in senso lato, ossia confronti fra contesti culturali, di passaggio e di inserimento da un contesto in un altro, e quindi di trasformazione, di variazione di sistemi di riferimento di spazio, di tempo, di situazioni d’insieme». Se ogni epoca storica è stata contrassegnata almeno da una translatio studiorum, l’intera civiltà del Rinascimento, l’epoca di cui si occupa questo volume, deve essere iscritta a pieno diritto, e forse come modello esemplare, in questo continuo acquisire e interpretare non solo opere della grecità e della latinità pagana, ma anche di culture più lontane, come quella orientale, bizantina e araba, per trasferire i contenuti e il linguaggio in nuovi contesti, mediante la produzione di testi che rimangono il medium privilegiato per la difusione delle idee. La nozione stessa di “Rinascimento” denota una translatio studiorum, cioè la rinascita della classicità e la riscoperta dei codici greci e latini. In questo periodo, più che in altri, il confronto con gli antichi è sempre accompagnato dalla coscienza di una rinascita. La riscoperta di testi greci, latini, arabi ed ebraici trovò così il suo posto all’interno di una reinventata continuità che comprendeva traduzioni, trascrizioni e interpretazioni nel passaggio da una cultura all’altra, da una lingua all’altra. Gli storici della ilosoia solo negli ultimi decenni hanno posto il loro interesse sui problemi derivati dalle varie translationes studiorum, concentrandosi soprattutto sul passaggio dalla lingua greca a quella latina, o sulle traduzioni dalla lingua araba (principalmente per ciò che concerne le opere ilosoico-scientiiche). Poco, o nulla, è stato fatto in merito alla trasposizione della ilosoia nelle varie lingue vernacolari. In particolare, per quanto riguarda il Rinascimento, gli studiosi si sono concentrati sugli aspetti prettamente umanistici del pensiero di quest’epoca, cioè sul “culto” provato nei confronti delle lingue classiche, trascurando quasi completamente il fenomeno dell’emergere delle varie lingue nazionali come lingue di cultura – un campo d’indagine lasciato prevalentemente a studiosi di storia della lingua e della letteratura. Tut

. idee tradotte

tavia, se il latino rimase il veicolo primario di comunicazione scientiica ed erudita, le lingue nazionali iniziarono a rivendicare «la propria dignità e capacità di esprimere anche i più complessi concetti ilosoici». A diferenza del latino, l’uso del volgare era «sentito sempre più nettamente come il veicolo della difusione della ilosoia e delle scienze fuori dalle scuole, per conquistare un pubblico diverso e soprattutto per uscire dalle costrizioni e dai limiti della cultura tradizionale di cui il latino scolastico era portatore». Con ciò non si voleva legittimare solo l’uso del volgare come lingua di cultura, ma si voleva anche accentuare il suo valore «come strumento di liberazione e di rinnovamento culturale». Le discussioni in difesa del volgare di celebri autori quali Sperone Speroni, Benedetto Varchi e Alessandro Piccolomini si fondano sulla precisa presa di coscienza che ogni cultura è primariamente una continua trascrizione e traduzione di precedenti esperienze che, trasferite in altri contesti, portano a nuovi frutti e permettono di scoprire nuovi orizzonti, ovvero che ogni cultura si fonda su una translatio studiorum. In un’epoca in cui la ilosoia “scolastica” e “universitaria” era avvertita come stagnante, fu «il volgare, non il latino, ad aprire nuovi orizzonti culturali». Questi orizzonti si espansero soprattutto alla ricerca di un nuovo pubblico, di nuovi fruitori della cultura, e si avvalsero di tecniche piuttosto complesse per tradurre, volgarizzare e popolarizzare i contenuti della conoscenza. Il trasferimento della cultura greco-latina a quella volgare non procede sempre e univocamente secondo un processo di sempliicazione, come si potrebbe pensare. Volgarizzare la conoscenza signiica innanzitutto rendere accessibile a un più vasto pubblico ciò che prima era prerogativa di una ristretta cerchia d’intellettuali. In questo senso è possibile parlare di “democratizzazione” del sapere, cioè un sapere che si vuole espandere al di là degli abituali fruitori della cultura tipici dell’età medievale. Il processo di volgarizzazione, cioè di volgere in volgare, è un movimento verso il basso, verso la base della piramide sociale, che esempliica le molteplici interazioni e scambi di sapere fra la “bassa” e l’“alta” cultura, fra classi diferenti. Un caso esemplare di questo atteggiamento è Galileo Galilei. Egli era consapevole che l’utilizzo del volgare aveva lo svantaggio di limitare la circolazione internazionale delle sue idee rispetto al latino, ma nonostante questo era profondamente animato, da una parte, dalla iducia che anche il volgare potesse diventare una lingua internazionale di cultura e, dall’altra, dall’intenzione «di staccarsi polemica

profumo d’immortalità

mente dalla casta dottorale». Scrivere in volgare rappresenta sempre un afrancamento, seppur talvolta doloroso, dal vertice della piramide della cultura. L’impiego del volgare non è mai innocente, ma sottende spesso, almeno a quell’epoca, la volontà di democratizzare il sapere. L’espressione “democratizzazione del sapere” potrebbe trarre in inganno e portare a facili fraintendimenti che è bene chiarire sin dal principio. Questo processo designa semplicemente il tentativo di istruire il maggior numero di persone: sebbene inizialmente sia sempre cara...


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