Rappresentarsi nel mondo PDF

Title Rappresentarsi nel mondo
Course Sociologia della comunicazione e della moda
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

riassunto di rappresentarsi nel mondo, comunicazione, identità, moda; Laura Bovone...


Description

Rappresentarsi nel mondo, Bovone introduzione: Per poterci “rappresentare nel mondo” noi offriamo qualcosa di noi agli altri, qualche aspetto della nostra personalità ed interiorità e per fare ciò utilizziamo parole, gesti, espressioni, oggetti: comunichiamo. Tutti questi elementi vengono osservati ed interpretati dal nostro interlocutore e lo stesso facciamo noi per poter cogliere qualcosa dell'interiorità di chi ci sta davanti. Tutti questi oggetti hanno valore in quanto rivestiti di significati e la comunicazione ha a che fare con la messa in comune dei significati, con la loro negoziazione, eventuale condivisione e almeno provvisoria cristallizzazione. La comunicazione ha a che fare con la messa in comune di qualche aspetto personale da parte di individui che sanno di essere diversi ma che sanno di dover lavorare insieme; ha a che fare con la messa in comune di qualche aspetto dell'identità. Ma il punto di partenza è l'esteriorità degli individui, il medium attraverso cui essi si rendono accessibili: le loro parole, i loro gesti, gli oggetti di cui si circondano e il loro abito. Gli abiti sono strumenti determinanti per la nostra rappresentazione nel mondo. La rappresentazione è la produzione di significato attraverso il linguaggio, come si dà senso al mondo, alla gente, agli oggetti e agli eventi, e si è capaci di esprimere agli altri un pensiero complesso che riguarda queste cose o di comunicare su tali argomenti attraverso il linguaggio in modi che gli altri sono in grado di capire (Hall).

Latour: gli artefatti umani non sono solo oggetti passivi ma entrano nel mondo come attori\attanti. Gli oggetti di moda sembrano meritare questa qualifica più degli altri, per il desiderio che suscitano in noi e per la richiesta sociale che devono soddisfare. Comunicazione, moda identità: la peculiarità della comunicazione è quella di riassumere il desiderio di relazione che è centrale nell'istinto di sopravvivenza umano: si entra in comunicazione con l'altro, con chi è diverso da noi, per fare qualcosa insieme e perciò vogliamo saperne qualcosa al di là della sua esteriorità. Relazionarsi e distinguersi, partecipare e restare unici, socialità e indipendenza sono istanze cui non siamo disposti a rinunciare. 1.La pratica della comunicazione nella vita quotidiana: La svolta comunicativa ha inserito la comunicazione tra i temi fondamentali da indagare per comprendere le dinamiche complesse della convivenza sociale. Si può dunque parlare di un cambiamento di paradigma per la sociologia, e della messa a punto di una serie di categorie che saranno fondamentali anche negli anni a seguire e in ambiti di studio che si svilupperanno successivamente. Teoria dell'azione di Weber e Parson vs micro-teorie della comunicazione: Secondo la teoria dell'azione, l'azione sociale è dal soggetto pianificata, nei suoi mezzi e nei suoi fini, progettata tenendo presente un destinatario. Gli elementi della teoria dell'azione sono: razionalità, valori, fini, mezzi e senso dell'azione. Trasportata nel nuovo ambiente teorica l'azione perde spessore. La pianificazione a lungo termine, i fini, i mezzi e i valori non sono più così importanti, il senso dell'azione diventa senso comune prodotto nella comunicazione e nell'interazione. Parallelamente, anche il soggetto perde spessore e intenzionalità progettuale. L'individuo di cui parla questa nuova sociologia non è più il soggetto che trasforma il mondo, capace di padroneggiarlo razionalmente, sembra invece un individuo che rinuncia a definire il mondo in cui si trova, a codificare dei fini sociali condivisi e dire dove debba andare il progresso, cosciente che tutto si determina nell'interazione. Gli studiosi della teoria della comunicazione pongono maggiore attenzione alla vita quotidiana e agli aspetti della convivenza sociale. L'agire è considerato spontaneo e routiniero, esattamente l'opposto rispetto all'azione razionale. Mentre la sociologia classica riteneva di avere il compito e anche la possibilità di conoscere scientificamente una realtà oggettiva, per i torici della comunicazione la realtà viene interpretata e definita, implicitamente o esplicitamente, nello scambio interattivo: è di fatto una costruzione sociale su cui mettersi d'accordo, nelle microinterazioni della comune vita quotidiana, laddove vengono negoziate

le categorie e le definizioni di base su cui eventualmente la sociologia potrà lavorare in seguito. Mentre la sociologia classica riteneva di essere in grado di individuare il senso che il soggetto dava intenzionalmente all'azione, per i teorici della comunicazione il senso in buona parte preesiste come senso comune dato per scontato e poi rielaborato e incrementato a mano a mano da tutti nel contesto comunicativo dell'interazione. La razionalità, che nella teoria dell'azione razionale era una pianificazione della propria azione, risiede nei teorici della comunicazione nella ragionevolezza del senso comune e dei concetti condivisi; è una modalità sensata di interazione. Per la sociologia postparsoniana l'azione è giunta buon fine se gli attori si sono trovati d'accordo nella procedure relazionali. Schutz: la comunicazione imperfetta e possibile: Dedica il suo lavoro a indagare come si forma e funziona la nostra conoscenza nella vita quotidiana, che ruolo ha il senso comune nella comunicazione e nella conoscenza. La conoscenza del mondo dipende da alcune costrutti che mi preesistono, che sono ereditati e che condivido con i miei predecessori. La conoscenza dell'interiorità dell'altro può avvenire solo attraverso la sua materialità, indispensabile in questo processo è la comunicazione che consiste nella letture dell'altro attraverso i suoi gesti e le sue parole. Ogni azione ha sempre una molteplicità di interpretazioni che nella comunicazione non possono coincidere perfettamente ma è importante che la comunicazione avvenga tra persone, gruppi ecc che condividono una sistema di attribuzione di importanza sostanzialmente simile. Il patrimonio di senso comune è il presupposto di ogni interpretazione ed attribuzione di senso e dunque anche di ogni processo comunicativo. Il “senso comune” è il dato per scontato implicito senza il quale non riusciremmo a comunicare, è costruito dalle conoscenze e dalle convinzioni che sono a nostra disposizione nel mondo della vita, che noi ereditiamo dai nostri predecessori già organizzato. La realtà a disposizione della coscienza è dunque una realtà interpretata, plasmata dalle strutture di significato con cui siamo in grado di leggerla e solo da queste resa accessibile. Attraverso le categorie del senso comune, secondo Schutz, organizziamo il mondo e comunichiamo con gli altri. La realtà risulta costruita socialmente perchè i significati sono elaborati a partire da un bagaglio culturale intersoggettivo sedimentato nel tempo e socialmente attribuiti alle cose attraverso il linguaggio e le sue categorie, perciò incrementati da ciascuno di noi. Garfinkel: la costruzione discorsiva del senso comune: Le cose e le persone che ci circondano sono da ciascuno di noi interpretate attraverso le categorie che abbiamo a disposizione, a loro volta filtrate dalla nostra esperienza e dalla nostra storia. La comunicazione serve a definire cosa è reale e a darvi un nome, a mettere a confronto le molte interpretazioni possibili e di fatto operanti nella vita di tutti i giorni, preservando quel senso della realtà che è necessario a una pratica sociale efficiente. La realtà è costruita nella pratica, ma in egual modo dalle attività dei suoi membri come dalle spiegazioni che, implicitamente o esplicitamente, i suoi membri ne danno: la pratica è pratica “riflessiva”, di azioni e discorsi che vengono ritenuti e proposti come ragionevoli in un certo contesto spazio-temporale. La riflessività è per Garfinkel, un'attività di produzione di senso, per lo più implicita e data per scontata, attraverso la quale i membri dell'interazione reciprocamente si accordano e si confermano che quello che hanno fatto o stanno facendo o stanno per fare è sensato. E' una caratteristica dell'interazione umana, un modo che automaticamente impieghiamo per farci comprendere dagli altri costruendo insieme a loro un discorso che, anche se non trova tutti d'accordo, ha però senso per tutti. Anche per l'etnometodologia il punto di partenza è il senso comune non problematizzato, un comune bagaglio di conoscenze che tutti danno per scontato. Per Garfinkel l'ordine sociale risiede nella spiegabilità delle attività pratiche, nel fatto che esse sembrino normali, siano riducibili a resoconti accettabili. L'ordine morale consiste di attività quotidiane governate da regole. Nella vita quotidiana, la morale viene a coincidere direttamente con il senso comune, con le pratiche che lo costituiscono. Non dipende tanto da norme esplicite quanto da un ovvio non detto, da una competenza data per scontata in tutti i membri del gruppo. Goffman: la vita come rappresentazione: utilizza la metafora teatrale. Secondo Goffman il corretto svolgimento delle mille rappresentazioni

che si intrecciano nella vita quotidiana è salvaguardato dall' “ordine dell'interazione”, un insieme di regole implicite condivise dall'equipe degli attori e occasionalmente raggiustato a partire da un frame condiviso che è la cornice in cui viene inserita la nostra interazione. Al frame contribuisce il contesto in cui gli attori interagiscono. Rispetto a Schutz, da Goffman viene data maggior rilevanza agi aspetti pratico-normativi della realtà. Goffman dà importanza all'osservazione della corporeità degli attori: sguardi, gesti, movimenti. La realtà si può ipotizzare sa sintomi, segni, dal “comportamento espressivo” più o meno volontario dell'attore. L'interesse dell'attore è concentrato sulla riuscita formale dell'interazione, cioè sulla sua capacità di fare buona impressione. Anche Goffman come Schutz, si pone il problema delle discordanti interpretazioni della situazione. Spesso l'attore è meno consapevole dello spettatore, non riesce a tenere sotto controllo la parte teatrale e involontaria della comunicazione. Goffman non è certo di poter distinguere tra azioni volontarie o meno. Fa anche una distinzione tra ribalta e retroscena. Per Goffman c'è un conflitto di ruolo che riguarda la gestione dell'apparenza, il personaggio che si vuole rappresentare. Habermas: la comunicazione come impegno morale e razionale: Anche per Habermas la vita quotidiana è il cuore dell'esperienza. Essa non è solo un serbatoio di conoscenze date per scontate su cui fondare ogni discorso, ma anche un serbatoio di moralità, di intenzioni sincere di amicizia, di affetti per antonomasia non strumentali. Si tratta di elaborare un percorso razionale per gli scopi condivisi con gli altri, senza che gli altri vengano considerati un mezzo per il nostro personale successo. E' questa “l'azione comunicativa orientata all'intesa”, razionale senza essere strumentale. Una funzione importante viene attribuita ai problematici mass media: essi infatti, pur essendo apparentemente governati da logiche autoritarie, potrebbero supportare anche forme di comunicazione orientate all'intesa, e contemporaneamente allargare la portata del discorso quotidiano rendendolo un discorso pubblico. Habermans sottolinea le trasformazioni in chiave pluralistica dei media, la loro articolazione e perciò l'eventuale capacità di recepire le rivendicazioni e i contenuti della popular culture – le produzioni culturali più o meno indipendenti o comunque in controtendenza rispetto alla cosiddetta cultura di massa – dando voce anche alle minoranze e ai movimenti di protesta di tipo ecologico o femminista. Il sistema dei media, non più monopolistico, può anche aiutare a creare una comunicazione antiautoritaria. La sfera pubblica è la grande utopia comunicativa di Habermas, una rappresentazione che mira alla creazione di un'identità collettiva, una possibilità di discorso illimitato e democratico che dilata l'orientamento all'intesa, lo fa uscire dal privato e lo rende indispensabile alle discussioni impegnate a trovare valori minimi condivisibili e soprattutto procedure\leggi che ne garantiscono la definizione e insieme la reversibilità. La moralità implica per Habermas la fiducia nella costruzione discorsivas, e perciò razionale, aperta e tollerante, di criteri di convivenza condivisi; implica l'aspirazione a una “comunità ideale di comunicazione”. Dal progetto alla vita quotidiana alla comunicazione democratica: conclusioni l'oggetto della teoria dell'azione è sempre un progetto, operato da un soggetto intenzionale per uno scopo prospettato, per modificare la realtà; l'oggetto delle postparsoniane teorie della comunicazione, è lo spettacolo della vita quotidiana, il farsi del presente, una dinamica sottoposta alle regole dell'interazione, costruita passo passo dai suoi partecipanti, proprio some si costruisce un discorso. L'attore non è più l'oggetto della sociologia, così come tale oggetto non è né il sistema sociale né l'azione: l'oggetto sono le “pratiche sociali”, i movimenti interattivi, le conversazioni, in cui è impossibile e inutile individuare un protagonista, chi agisce su chi o per cosa. 2.L'identità e la sua rappresentazione: vi è sempre un gap invalicabile tra rappresentazione e ciò che viene rappresentato, ma la rappresentazione è lo strumento più adeguato per avere informazioni sull'altro. Solo attraverso l'apparenza - parole, atti, sguardi, abiti – io ho accesso all'identità. Identità e apparenza: per Schutz la corporeità va considerata come una finestra di tipo squisitamente comunicativo, l'unica che si apre sull'eventuale immaterialità. Simile è il ragionamento di Goffman che ritiene sia

difficile dire qualcosa dell'invisibile autenticità di un individuo. Il sé disponibile alla nostra osservazione per Goffman, non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione, il sé è il prodotto di una scena che viene rappresentata. Sulla scena della vita quotidiana il soggetto dichiara chi è e per far ciò si munisce di un complesso equipaggiamento che va dall'arredamento all'abbigliamento. L'uomo ha bisogno di un corredo per la propria identità per mezzo del quale poter manipolare la propria facciata personale. Goffman parla positivamente della moda che fornisce all'attore la possibilità di prendere le distanze dal proprio ruolo ufficiale, per permettere anche agli altri di emergere. Il senso della moda ci dà i mezzi per governare l'immagine che gli altri avranno di noi. Da Goffman in poi sarà sempre più difficile distinguere identità personale (interiorità) e identità sociale (esteriorità). L'identità culturale, ad esempio, per i cultural studies britannici, è un'identità sociale narrata, è ciò che dell'identità si lascia empiricamente registrare, ciò che dell'individuo si manifesta in discorsi e comportamenti, le sue produzioni culturali in qualche modo esteriorizzate. Per mettere in relazione la nostra identità con quella degli altri, la traduciamo\rappresentiamo in un discorso. L'identità diventa allora sociale; quando si comunica lo si fa attraversi l'esteriorità. Il corpo è fondamentale per attingere l'interiorità o il pensiero dell'altro: occorre osservare l'attore, ascoltarne le narrazioni. L'identità incerta postmoderna: Simmel intendeva la moda come una delle manifestazioni più peculiari dell'irrisolta tensione tra il desiderio di distinguersi dagli altri e il desiderio di appartenenza/conformità. L'appartenenza sociale, nei teorici della moda dell'inizio del novecento, significa principalmente appartenenza di classe; pertanto, la moda non convince a seguire i suoi canoni principalmente attraverso le lusinghe del piacere, come avveniva nei secoli precedenti nei ristretti circoli di corte, ma è soprattutto il completamento esteriore di una generale sottomissione alle regole imposte dalla nuova dialettica che si è creata tra le classi sociali. La storia dell'identità e quella dell'abito corrono su due binari paralleli. Nella società tradizionale contadina l'identità era stabile e data per scontata, ascritta dal ceto della famiglia, la provenienza geografica ecc, anche nella società moderna industriale l'identità era stabile, ascritta dall'occupazione e dalla corrispondente classe sociale. Se il problema dell'identità moderno consisteva nel costruire una identità e mantenerla stabile e solida, il problema dell'identità postmoderno è innanzitutto quello di come evitare ogni tipo di fissazione e come lasciare aperte le possibilità. Negli anni settanta viene teorizzata la “homeless mind” che denuncia la crisi culturale di quel periodo, la ribellione delle sottoculture giovanili e dei movimenti studenteschi e femministi che hanno messi in quastione gli assetti valoriali precedenti e la concezione razionalistica, integrata e stabile del sé. Proseguendo la teoria del “homless mind” Berger, negli anni ottanta, paragona l'individuo ad un turista senza pace, ad un giocatore d'azzardo, le cui scelte sono deliberatamente provvisorie e parziali perchè la crisi delle istituzioni che indicavano la strada da percorrere e le mille opportunità della società dei consumi suggeriscono di tenersi aperte tutte le possibilità, di evitare scelte definitive, di coltivare l'ambivalenza. Vestire il corpo e il genere: Attraverso l'abbigliamento si palesa nella maggior parte dei casi il modo in cui ciascuno di noi aderisce agli imperativi sociali che riguardano il genere. Secondo Simmel della moda avevano tempo di occuparsi solo le donne e Bourdieu nota come le donne siano valorizzate nei settori elevatamente estetizzanti della produzione simbolica – moda, bellezza, cultura, arte – e sono anche spinte a consumate tali beni in quantità maggiore. Attualmente non esiste più una vera distinzione tra abito maschile e femminile. Tale novità ebbe inizio con le sottoculture che esprimono il loro potenziale autoritario prima di tutto mettendo in questione le prerogative di genere. L'uomo contemporaneo ha imparato a prendersi cura del proprio corpo in quanto surrogato dell'identità. Al corpo molti dedicano le stesse attenzioni una volta riservate all'edificazione spirituale e alla carriera. Il corpo diviene un requisito fondamentale per raggiungere ogni successo o piacere. L'abito e il corpo sono la testimonianza leggibile di quello che vogliamo fare di noi; del senso che diamo a quella parte di noi che vogliamo mettere a disposizione degli altri. L'abito

indossato costituisce lo stile di una persona. Bordieu usa il concetto di habitus, per indicare una forma di “capitale culturale incorporato”, un gusti innato, che riguarda anche il modo di apparire e di vestire, la capacità di scegliere appropriatamente e appropriatamente usare quanto il mercato offre. L'abbigliamento può servire da metafora visiva per l'identità. In ogni caso l'abito è sempre meno collegato al lavoro e allo status, sempre di più contribuisce alla costruzione di quelle che Crane chiama “identità non occupazionali”. L'abito rivela non solo una particolare sensibilità estetica autoriferita ma anche l'universo valoriale di riferimento, cioè la nostra idea di come deve essere il mondo, nonché la nostra capacità di gestire le nostre molteplici e contraddittorie relazioni sociali. I giovani e l'ambivalenza dell'immagine: i giovani ritengono giusto occuparsi del proprio aspetto, non solo perchè questa è una precisa richiesta della società contemporanea, ma anche perchè l'immagine è chiaramente considerata un modo per mettersi in comunicazione, per lanciare messaggi e rappresentarsi. C'è chi sceglie gli abiti per adeguarsi all'ambiente, chi per contestarlo. Spesso i giovani accoppiano il tema dell'immagine con quello dell'autenticità. L'immagine è per loro un modo per portare fuori quello che si ha dentro, per essere autentici. Ci si può allontanare dall'autenticità, travestirsi ma bisogna rimanere consapevoli del proprio abbigliamento e dei suoi significati. L'autenticità, in fondo, sembra solo coscienza delle varie parti del sé o, meglio, come pareva affermare Goffman a proposito della distanza dal ruolo e dalla capacità della moda di gestirla, l'autenticità risiede nella cosciente abilità di gestire una molteplicità di ruoli anche contraddittori. La consapevole gestione della propria ambivalenza attraverso l'immagine è una tipica fattezza dell'individuo postmoderno. Per i giovani l'immagine/abito funziona come intermediario tra l'autenticità e...


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