Riassunto del saggio di Michael Baxandall PDF

Title Riassunto del saggio di Michael Baxandall
Course Arte contemporanea e promozione del territorio
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto del saggio di baxandall...


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Linda Ricagno

Numero di matricola: 4841058

Riassunto del saggio “ Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento” di Michael Baxandall L’autore divide la sua ricerca in tre capitoli, il primo di questi concerne contratti, lettere e registrazioni contabili al fine di rilevare le condizioni del mercato quattrocentesco. Il pittore e il committente gravitavano entrambi intorno alla realizzazione dell’opera d’arte: il primo lavorava secondo le direttive e le preferenze del cliente. A differenza delle opere eseguite per occasioni ordinarie gli affreschi e le pale d’altare venivano realizzati su commissione e si stipulava un contratto legale e quindi vi era un rapporto commerciale. Oltre ai motivi personali che spingevano a commissionare dipinti ve ne erano altri, Giovanni Rucellai infatti affermava ”perché raghuardano in parte all’onore di Dio e all’onore della città e a memoria di me”. Lo scopo del dipinto era inoltre quello di suscitare piacere e perfino proficuità. Nel 1457 Filippo Lippi dipinge su richiesta di Giovanni di Cosimo de’ Medici un trittico per il re di Napoli Alfonso V e mantiene un contatto epistolare contenente uno schizzo dell’opera e della cornice con il suo committente.E’ doveroso distinguere per tale epoca le commesse controllate da grosse istituzioni corporative da quelle a cui presiedevano singoli individui o piccoli gruppi. Il pittore era più esposto dello scultore che lavorava per grandi imprese comunali ove il controllo profano era meno stretto. Il cliente interveniva nel settore dell’arte attraverso vari tipi di documenti legali. Non esistono tuttavia contratti che si possano definire tipici poiché non vi è una forma fissa. Funzionale all’esplicazione di tale argomento è la menzione dell’accordo meno atipico stipulato tra il pittore fiorentino Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti a Firenze che si riferisce all’Adorazione dei Magi del 1488. In esso vengono sviluppati tre temi principali, ossia la menzione di ciò che il pittore deve dipingere, la specificazione dei tempi di pagamento ed esecuzione dell’opera e i chiarimenti sui colori che devono essere utilizzati con riferimento all’oro e all’azzurro oltremarino che spesso veniva sostituito con l’azzurro d’Alemagna consistente nel carbonato di rame; in questo caso, inoltre, le figure non vengono elencate. In genere le istruzioni circa il soggetto non entrano nei particolari: alcuni indicavano solo le figure da rappresentare, più spesso vi era l’inclusione di un disegno. I pagamenti venivano effettuati versando una somma forfettaria versata a rate; le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro oppure alcune volte il cliente poteva anche fornire i colori più costosi e compensare l’artista per il tempo impiegato e le sue capacità. La somma concordata era flessibile. I committenti riponevano grande attenzione sulla qualità dei colori. Alcuni artisti lavoravano invece presso principi e venivano stipendiati: è il caso di Andrea Mantegna che operò presso i Gonzaga fino alla sua morte databile al 1506; egli non venne sempre pagato con regolarità sebbene ricevesse molti privilegi, resta comunque da ribadire che tale pittore si trovò in una posizione insolita. Nel corso del secolo si verificano cambiamenti: ad inizio secolo si richiedevano colori pregiati, mentre alla fine del 1400 si richiede una maggiore attenzione alla qualità manuale dell’opera. Iniziava a perdere importanza il ruolo dell’oro, che viene riservato alla cornice, e quello dell’azzurro ultramarino, frutto di ciò è il cambiamento sociale. Per l’abilità si stava affermando l’attribuire un valore diverso al tempo del maestro rispetto a quello degli assistenti e per conferire maggiore importanza all’abilità, piuttosto che al colore oro, si richiedeva l’esecuzione sullo sfondo di paesaggi oppure si pagava il costoso intervento personale del maestro. I contratti però non ci informano in che cosa constasse l’abilità e non si sanno neppure le reazioni del pubblico di fronte ad un’opera. Il secondo capitolo chiarisce la relazione tra le capacità visive popolari quali la predicazione e la danza e lo stile del pittore. In base alle proprie esperienze le conoscenze e le capacità interpretative si diversificano. Il tendere ad un’interpretazione piuttosto che a un’altra dipende dallo stile conoscitivo individuale. Vi sono tre tipologie di strumenti funzionali all’interpretazione: schemi di deduzione, convenzioni rappresentative ed esperienza. Si può fornire come esempio l’Annunciazione di Piero della Francesca, il quale dispone i colori su un piano bidimensionale per alludere alla tridimensionalità, è difficile tuttavia credere che un dipinto del genere sia vero giacchè la nostra vista è stereoscopica. L’opera risente della capacità interpretativa posseduta da ogni osservatore. Il gusto inoltre consiste nella corrispondenza dell’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Piero della Francesca faceva affidamento sul fatto che l’osservatore conoscesse la storia e riuscisse ad individuare in maniera immediata i soggetti rappdi cristoresentati all’interno dell’opera. Erano le classi dei committenti a dare giudizi sui dipinti e durante il 1400 vi era una scarsità di termini tecnici dovuta alla poca quantità di letteratura artistica.Inoltre il fruitore sfrutta quelle capacità interpretative che sono più apprezzate dalla società in cui vive e il pittore deve, a sua volta, relazionarsi con la capacità visiva del suo pubblico.Il dipinto religioso era creato per fini istituzionali sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica e aveva essenzialmente tre funzioni principali: la chiarezza, l’essere attraente ed infine toccante.Per il pittore la traduzione in immagini di storie sacre era un lavoro, anche ai fedeli capitava di farlo ma attraverso la loro interiorità.Il pittore ambientava le scene evitando di caratterizzarle nei minimi particolari, in tal modo il fruitore poteva imporre il suo dettaglio personale. Essenziale nelle storie era la figura umana, di Cristo durante il Quattrocento si credeva di avere una testimonianza visiva, mentre la Vergine era raffigurata in maniera meno uniforme a causa della problematica riguardante il colore della pelle, i santi erano contraddistinti da alcuni elementi fisiognomici particolari. Leonardo da Vinci, tuttavia, considerava la fisiognomica una falsa scienza e riteneva che il pittore dovesse limitarsi all’osservazione dei segni lasciati sul volto dalle passioni. Nel gesto, che è l’espressione dei sentimenti, ci sono dei riferimenti e vi sono fonti a riguardo: gli oratori e i muti. I pittori inserivano nel dipinto espressioni fisiche del sentimento legate ai predicatori. I predicatori avevano capacità mimiche con gesti codificati, questo era il gesto devoto mentre quello laico non era molto differente ma non era insegnato nei libri ed era più personale e mutava a seconda della moda. Una figura interpretava la sua parte ponendosi in relazione con le altre. Le descrizioni delle sacre rappresentazioni sottolineano spesso la loro dipendenza da effetti spettacolari. Ciò che vi è in

comune tra dipinto e rappresentazione teatrale è il realismo tramite la figura del festaiuolo, spesso impersonato da un angelo e che si presentava come una figura intermediaria tra scena e pubblico. Un’attività del XV secolo simile alla composizione dei gruppi in pittura è la bassa danza. Ciò è più evidente nei dipinti neoclassici e mitologici che in quelli religiosi. Botticelli ed altri contarono sulla prontezza del pubblico nell’interpretare i loro gruppi. Importante era anche il significato attribuito ai colori. Secondo il codice teologico, il bianco rappresenta la purezza, il rosso la carità, il giallo-oro la dignità, e il nero l’umiltà. Quello invece fornito da Alberti si basava sugli elementi naturali. Sempre secondo i significati attribuibili ai colori Leonello d’Este sceglieva le tinte cromatiche dei suoi abiti. Si distinguevano poi livelli di preziosità delle tinte, che venivano discussi tra committente e pittore, e corrispondevano a tre differenti categorie di adorazione: Latria concessa esclusivamente alla Trinità, Dulia ai santi, angeli e padri della Chiesa, Hyperdulia alla Vergine. A Firenze l’istruzione di un ragazzo prevedeva quattro anni in cui imparava a leggere, scrivere e a riconoscere formule elementari giuridico-notarili; in seguito in altri quattro anni studiava Dante, Esopo e in maniera approfondita la matematica che era il nucleo centrale della formazione; pochi proseguivano all’università. La matematica studiata era prettamente commerciale. I contenitori delle merci non erano uguali ma ognuno aveva forme uniche, era necessario perciò il calcolo del volume, questo perché si riflette sul mondo dell’arte. Quando un artista impiegava particolari forme nei propri quadri invitava il fruitore a misurarne il volume.Lo strumento aritmetico usato dai mercanti nel Rinascimento era la regola del tre. Rientra nella natura della formula e dell’operazione che il primo termine stia al terzo come il secondo sta al quarto, e anche che il primo stia al secondo come il terzo sta al quarto. Al centro dell’aritmetica commerciale vi era dunque lo studio della proporzione. Il terzo capitolo suggerisce i principali termini usati dai critici d’arte dell’epoca per esaminare i dipinti. Giovanni Santi (1433-1494), padre di Raffaello, fu un pittore eclettico operante nell’Italia orientale e in un suo componimento dettò l’elenco più ricco di informazioni. Il suo poema è una lunghissima cronaca rimata in terza rima che narra la vita e le gesta del suo datore di lavoro Federigo da Montefeltro. Diversamente dai fiorentini, Santi è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel Nord Italia, riconosce la qualità della pittura olandese ma il maggior peso viene comunque attribuito a Firenze. Santi elenca quattro pittori nel rapporto dell’agente milanese: Botticelli, Filippino Lippi, Ghirlandaio, Perugino. Cristoforo Landino (1424-1498) traduce la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio in volgare, gli ultimi capitoli contengono una storia critica dell’arte classica attraverso il ricorso alla metafora e a parole peculiari di contesti altri rispetto al settore artistico in sé. Scrive anche un commento in volgare alla Commedia nel 1481 con uno sguardo rivolto a tutto ciò che Firenze ha prodotto in campo culturale attraverso categorie di uomini illustri includendo quelli appartenenti alle arti figurative. Landino adotta gli stessi stilemi di Plinio, ossia termini non tecnici perché attinti dalla vita sociale. La parte dedicata agli artisti è divisa in quattro sezioni: la prima è dedicata all’arte antica descritta in dieci frasi, la seconda a Giotto e ai pittori del ‘300, la terza ai pittori fiorentini del 400‘ e la quarta in cui descrive alcuni scultori. Importante è il modo in cui Landino analizza i seguenti artisti. Masaccio viene definito un ottimo imitatore del vero; affermare che un pittore rivaleggiasse con la natura è un topos pliniano ed è la forma di lode più alta per un artista, imitare il dato naturale significava essere autonomo da modelli e forme di repertorio. Il canone naturale permette di rappresentare gli oggetti reali così come si presentavano attraverso la prospettiva e il rilievo. Il rilievo si distingue in gran rilievo universale e in rilievo delle figure. Masaccio è seguito da Andrea Del Castagno e Filippo Lippi per rilievo. Alberti spiegava che tale termine indica l’apparire di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando abilmente i toni sulla superficie. Il rilievo consiste nella compatibilità della tridimensionalità con la luce reale. Masaccio viene inoltre descritto come “puro” senza ornato, ossia attraverso un’espressione pleonastica: il primo attributo ha il significato di disadorno, concetto espresso in campo retorico da Cicerone e Quintiliano. Si deduce che Masaccio non è né ornato né spoglio. Viene inoltre menzionato il termine “facilita” che è il prodotto di un talento naturale e di una capacità acquisibili e sviluppabili con l’esercizio; la scioltezza che ne derivava era una delle qualità più apprezzate nel Rinascimento. La “facilita” di Masaccio non si riscontra soltanto nella resa e nella composizione spaziale ma anche nella tecnica dell’affresco e non a secco come gli altri pittori. Viene inoltre descritto come “prospectivo” ovvero come colui che si distingue nell’uso della prospettiva. Landino afferma che Brunelleschi teorizza per primo la prospettiva in campo pittorico, Alberti la sviluppò e la spiegò. La prospettiva è la tecnica con cui il pittore crea uno spazio pittorico tridimensionale, regolato geometricamente, il risultato è quello che Alberti nel “De Pictura” chiama “pavimento”, ossia una scacchiera regolare le cui linee si allontanano formata da quadrati immaginari, come mostra chiaramente una sinopia di un affresco di Paolo Uccello. La prospettiva migliore nel ‘400 è comunque quella intuitiva: il pittore conosce la tecnica così bene da applicarla senza mostrarla. “Gratioso” è la definizione che viene data a Filippo Lippi: parola dotata di ambivalenza che significa o possessore di grazia o piacevole in generale. Landino non attribuisce a Lippi il rilievo perché incompatibile con il grazioso. Per i critici le prime due qualità del linguaggio sono la chiarezza e la correttezza e tutto ciò che si aggiungeva era ornato. In relazione a Lippi viene inserito anche il termine “varieta”. Il resoconto sulla “varieta” nel ‘400 si trovava nel trattato “Della pittura” di Alberti del 1435. La “varieta” è la diversità dei soggetti, un valore assoluto e consiste nella diversità e nel contrasto tra le tinte. “Compositione” è il penultimo termine di cui bisogna parlare per la produzione artistica di Filippo Lippi con cui si intende l’armonizzazione sistematica dei vari elementi del dipinto volta a ottenere l’effetto complessivo desiderato, tecnica che venne usata per la prima volta da Alberti. Per gli umanisti la “compositione” era il modo in cui una proposizione veniva costruita su quattro livelli gerarchici: proposizione, clausola, frase, parola. Alberti lo trasferì alla pittura: dipinto,corpo,membro,superficie. La composizione e la varietà sono inoltre complementari. Infine vi è “colorire”, Landino intende la stesura del colore. Questo termine era usato in generale come un corrispettivo di dipingere. Colorire assume il significato più totale quando viene contrapposto a

“disegno”. Andrea del Castagno viene definito “disegnatore” poiché rappresenta gli oggetti attraverso linee di contorno. Amatore delle “difficulta” nell’ ”Ultima Cena” di sant’Apollonia, attraverso la prospettiva, simula la tridimensionalità, crea inoltre, recuperandolo dal repertorio architettonico dell’antica Roma, il triclinium imperiale. L’esecuzione di cose difficili era apprezzata di per sé come prova di abilità e di talento: il buon pittore realizza con facilità cose difficili. Andrea del Castagno è inoltre abile negli scorci. Lo scorcio può consistere nello scorcio vero e proprio oppure può essere rappresentato da un punto di vista inconsueto. Andrea del Castagno viene definito anche “prompto”, termine che indica la capacità di fermare il movimento di una figura rendendo perfettamente tangibile il dato sentimentale. Per Beato Angelico si menzionano due termini già esplicati : “facilita” e “ornato”. Con “vezzoso” invece ci si riferisce alle figure e ai valori tonali della sua arte volta a non enfatizzare il contrasto luci e ombre. E’ anche “devoto” per indicare che ciò che manca alla pittura dell’Angelico viene visto come qualcosa a cui rinunciò di proposito; inoltre il termine “devoto” ha la stessa portata del termine “puro” applicato a Masaccio. In conclusione le forme e gli stili della pittura possono affinare la nostra percezione della società, dato che un dipinto è un documento di un’attività visiva....


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