Riassunto Gli Albani tra Marche e Romagna PDF

Title Riassunto Gli Albani tra Marche e Romagna
Author Silvia Bertolin
Course Geografia storica
Institution Università degli Studi di Trento
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Gli Albani tra Marche e Romagna Costruzione del contemporanea

territorio

e

politiche

gentilizie

tra

età

moderna

e

Introduzione Dalla Marca “stagnante” ad area emergente: metodologia e fonti Caso di studio che vuole essere una esemplificazione di una ricerca-tipo di geografia storica applicata, con la corretta metodologia. Mentre nel volume APSAT vi era un sbilanciamento verso una delle fonti utilizzate, ovvero la carta geografica, in questo manuale vi è la possibilità di affrontare il nucleo esaustivo delle fonti geografiche quali cartografia e fonti scritte come epistolari e registri notarili. Il tema della ricerca è quello di ricostruire la geografia storica dei territori delle provincie di Pesaro-Urbino, Ancona e Rimini [vedi carta corografica p. 159], nel lasso temporale che va dalla seconda metà del 1400 fino alla fine del 1800. Verrà trattata la famiglia nobile più importante di questo territorio nel lasso di tempo esaminato, ovvero quella degli Albani, le cui politiche gentilizie influenzarono il governo del territorio e la sua struttura. Il manuale è suddiviso in due parti: la prima è legata alla ricostruzione storico-territoriale, mentre la seconda è più geografico-storica, tratta cioè degli interventi di territorializzazione nel dettaglio. Questa ricerca nasce da due principali domande: 1. Perché non ci sono mai stati studi geografici sui territori delle Marche e della Romagna? 2. È’ vero che questi territori, nei secoli passati, sono stati così poveri? Fin dagli inizi del 1900 gli studi su questi terreni erano stati monopolizzati da storici ed economici (Anselmi, Renzo Paci, etc.), soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale. La conclusione di questi studi è che questi territori, a partire dalla metà del 1600 (quando i Della Rovere devolvono i terreni del Ducato allo Stato Pontificio), sono stati economicamente marginali. Viene quindi riconosciuta una forte arretratezza e ritardo di questi territori in comparazione e in relazione ai più dinamici Stati europei, un termine di paragone era ad esempio il Gran Ducato di Toscana. Le fonti esaminate sono però puramente storiche (studi di storia agraria), che danno un quadro deprimente di questi territori, storicamente emarginati. Ma è possibile che questi territori siano stati così poveri da non lasciar traccia di una loro gestione “illuminata”? Il fatto che la Toscana abbia primeggiato in quest’epoca non significa necessariamente che le Marche fossero per forza arretrate. In questi studi storici mancano infatti le fonti geografiche, quali atti notarili e fonti amministrative, che danno l’idea di come fosse gestito e costruito il territorio, e di fonti cartografiche, che possono restituircene un’immagine. Emerge quindi una forte contraddizione in quanto questi storici si permettono di giudicare il patriarcato di un’area (definendolo retrogrado e bigotto) senza una fonte (nei saggi non vi sono note che vi rimandano), è quindi il risultato di un giudizio a priori, privo di consultazione o frutto della preferenza di una determinata tipologia di fonti (scelte spesso “di comodo”). Le fonti cartografiche potevano essere reperite negli archivi privati delle famiglie nobili di questi territori, arrivandoci tramite un semplice ragionamento storico, che negli studi invece non viene mai effettuato. Vengono così emarginate le politiche territoriali delle famiglie (gestione del territorio, comportamento durante una carica pubblica, etc.), le fonti non sono indagate o sono indagate male.

Si potrebbe obbiettare che questo quadro possa costituire un’eccezione nell’ambito della regola codificata dagli storici, perché è l’analisi di una sola famiglia; però non è mai stata posta in rilievo, e invece bisognerebbe farlo per correttezza scientifica. Se si parlasse di un’eccezione (che in realtà così non è, perché si parla della grande famiglia feudataria del territorio per oltre quattro secoli, non di una famiglia qualsiasi), lo sarebbe comunque di molto rilievo, perché una delle famiglie più potenti e di peso politico-economico almeno dagli inizi del ‘600. Ha avuto una forte incidenza demografica per l’entità delle persone gestite direttamente ed indirettamente. Questa teoria di “eccezione” del quadro presentato viene comunque contraddetta da dati qualiquantitativi reperiti nei numerosi archivi (sia pubblici che privati).

Parte prima Gli Albani: un impero economico “costruisce” il territorio Gli Albani erano la famiglia più importante del terreno, prima conti e poi principi pontifici, verso la metà dell’‘800 ricoprono cariche di carattere politico-amministrativo nel territorio e anche a Roma. Al culmine del loro potere riuscivano ad impiegare 6.210 persone come dipendenti diretti. Si è quindi cercato di indagare l’identità e la qualità delle attività svolte da questa famiglia in quanto privati ed amministratori del territorio stesso (avevano potere decisionale sugli interventi svolti). Spesso vi erano interventi in campo ambientale, economico-produttivo, amministrativo ed infine anche socio-culturale (ad es. nel pieno ‘800 effettuarono una rivoluzione urbanistica della città di Urbino ed il primo restauro conservativo del Palazzo Ducale). Di questa famiglia è stata trascurata anche la storia araldica, partendo da due grandi archivi di famiglia situati uno a Milano e uno nelle Marche, proseguendo poi su archivi pubblici (biblioteche, archivi di Stato, archivi comunali, etc.). Nel fondo Albani dell’archivio di Stato di Roma si ritrovano per lo più fonti cartografiche, vi sono poi altri fondi nella biblioteca Marciana e Correr di Venezia, in quando la famiglia proveniva dall’Albania, spostandosi a Venezia e quindi in territorio marchigiano verso il 1470; le documentazioni qui ritrovate sono relative ai territori dell’attuale Albania, che ci consentono di visualizzare in maniera figurata e toponomastica la provenienza della famiglia, all’epoca dei De’ Lazi, in quando provenienti da Aleßio, città vicina a Durazzo, il cui castello si affacciava sul golfo di Durazzo, all’epoca detto “De Londrin” [vedi carta di Durazzo e del territorio circostante p. 19]. Da qui si parte per una ricostruzione delle origini della famiglia, il cui approdo alla corte di Urbino avvenne nel 1470, localizzando la loro cittadina di provenienza, Alessio. Da questa cittadina provenivano a Venezia molti esuli, in quanto essa era situata sul mare. Vi erano stretti rapporti commerciali tra le due sponde (Stati di Antico Regime). L’Adriatico all’epoca era molto più navigato rispetto ai giorni nostri, e non solo per transiti di carattere turistico, ma anche commerciale e politico. Venezia era quindi sovrana in piano sia politico (Rodi e Corfù le appartenevano) che economico di questo mare. In quegli anni spesso ci si muoveva per cercare lavoro, proponendosi come capitano di ventura nelle corti italiane, ruolo per cui erano richieste esperienza e formazione. In pieno ‘400 molti capitani di ventura si dirigono in suolo italico per mettersi al servizio di potenti locali, per poter essere così finanziati, avere dei soldati al loro comando ed un luogo dove acquartierarsi (etimologia specifica del termine ‘quartiere’ di origine militare). Questi offrono i loro servizi militari in cambio di denaro, sono quindi dei mercenari. La famiglia dei De’ Lazi cambierà il loro nome in Albani in omaggio alla loro terra d’origine, mettendosi poi al servizio dei Montefeltro, acquartierandosi in questi territori. Attraverso le fonti geo storiche si è riusciti a risalire al luogo dove si erano insediati, a pochi chilometri da Urbino in un terreno collinare, ancora oggi sotto il toponimo di Castello degli Albani, immutato nei secoli fin dal 1474. Oggi di questo castello rimane poco più di un rudere architettonico,

situato in cima ad una collinetta, non più abitato. E’ stato indagato da architetti professionisti e tramite l’analisi architettonica delle strutture si è risaliti alla datazione, che corrisponde al periodo in cui gli Albani si erano stabiliti in questi territori. Questo è un esempio dell’importanza della toponomastica storica nella ricostruzione delle geografie storiche del passato. Da questo momento in poi inizia la fortuna degli Albani, che raggiungerà l’apice nei secoli successivi, quando affiancano ai loro commerci l’ usura (prestito con interessi) nella prima metà del ‘500, volendo diversificare le loro entrate con attività a loro concesse e legittime. All’inizio del ‘500 iniziano ad acquisire beni territoriali (allora l’unico mezzo per accrescere il prestigio era il possedimento fondiario, grazie alla rendita che dà), che possono mettere a coltura. Il castello degli Albani non ospita più soltanto milizie, ma anche le famiglie dei De’ Lazi, i cui figli e nipoti della terza generazione iniziano a tessere delle relazioni matrimoniali, iniziando così l’ascesa socio economica e successivamente politica. Tramite le abilissime politiche matrimoniali, acquisiscono importanza nella “borghesia” (anche se quest’ultimo è un termine anacronistico) dell’epoca grazie alle loro disponibilità economiche, tali da consentire i matrimoni con nobildonne locali non titolate (titoli: conte, marchese, principe …) e quindi senza un feudo. Il prestigio sociale di un capitano di ventura era molto elevato, in quanto egli poteva cambiare le sorti di uno Stato, passando al servizio di un altro. Il conte di Urbino li voleva tenere stretti a sé, e quindi li pagava molto, poiché gli Albani erano molto richiesti. Unito a questo l’usura e i possedimenti agrari, viene a formarsi un circolo virtuoso di arricchimento rapidissimo, dopo 3-4 generazioni la milizia di ventura viene abbandonata, e la famiglia vive di rendita. Vengono citati alla fine del ‘500 dai notabili della città di Urbino, anche se ancora non sono dei nobili, per prestigio e ricchezza economica. Nel ‘600 ottengono la possibilità di ricoprire le prime cariche amministrative locali, consolidando il proprio prestigio e aumentando i propri possedimenti, espandendosi da Urbino alla provincia di Pesaro e fino a Rimini. Nel corso del ‘700 ottengono il titolo di principi (Carlo II è il primo). La famiglia si estingue alla fine del 1800 in linea femminile, e si innesta nella famiglia Castelbarco, di origini milanesi, retrocedendo così da principi a conti Castelbarco-Albani. Anche solo seguendo l’epopea di questa famiglia è sufficiente a smentire i pregiudizi infondati su questi territori.

Parte seconda Gli interventi di territorializzazione transregionale Analizzeremo ora i risvolti territoriali delle attività della famiglia Albani, ovvero le modalità concrete, dirette o indirette, con cui questa famiglia ha inciso in modo determinante sulla formazione dei territori. Gli ambiti che hanno segnato il paesaggio sono stati gli interventi ambientali, le attività economico-produttive (dove intervengono come privati); le politiche territoriali effettuate come amministratori e il ruolo socio-culturale fra ‘700 e ‘800, dove effettuano “opere di grande mecenatismo”. Per quanto riguarda gli interventi ambientali, essi sono quelli che hanno lasciato maggiori tracce nel paesaggio, visibili ancora oggi, poiché hanno trasformato gli assetti territoriali e i quadri ambientali anche drasticamente risetto alle situazioni immediatamente precedenti. Le Marche hanno un apparato idrografico detto “a pettine” (perpendicolare alla linea di costa), i fiumi sono per lo più a carattere torrentizio. Interventi di bonifiche (p. 77) sono stati effettuati in tutti i possedimenti di casa Albani in questo contesto, e spesso vanno di pari passo col la scelta di impiantare colture di transizione (come il riso, bisognosa di molta acqua). Gli interventi idraulici (pp. 86; 90-92) erano finalizzati non solo alle bonifiche delle aree paludose, ma piuttosto alla regimazione di anse fluviali particolarmente problematiche per i territori circostanti. Un buon esempio è quello del fiume Foglia, la cui ansa era un pericolo per le colture e per la viabilità della via Flaminia; durante le esondazioni vengono interrotte le

comunicazioni tra Pesaro e Rimini. L’erosione dell’ansa, inoltre, aumentava negli anni, e ciò comportava una minaccia diretta. Nel 1769 vi fu una prima richiesta di intervento da parte degli Albani, e nel 1789 partono i lavori di rettifica pagati in parte dai privati. Un problema che si trascinava da secoli viene quindi risolto alla fine del 1790, recando sollievo alla città. All’inizio del ’600 vengono effettuati dei rimboschimenti a fini di “restauro ambientale”, anche se in realtà il fine non era tanto “ecologico”, bensì in parte suggerito da ideali fisiocratici, dall’altra vi era invece un’ottica economica (legname da ardere e da costruzione). Il disboscamento delle aree venne dato dalla crescita demografica della prima metà del ‘700. Le modalità imprenditoriali sono ricostruite già dal loro arrivo, tra ‘400 e ‘500 finanziano sia l’agricoltura e l’artigianato (credito d’esercizio), avendo un bacino di debitori molto ampio, che andava dai ceti meno abbienti dei contadini fino a quelli medio-alti, a volte anche nobili. Avevano diverse attività, e abbracciavano in questo modo quasi tutto il potenziale economico. Gli introiti venivano capitalizzati in acquisti fondiari, non risultano mai degli atti di vendita. Spesso, se il credito del debitore non rientrava, gli Albani prendevano possesso del suo podere. Le attività della famiglia influiscono sui processi di territorializzazione di questi luoghi, poiché investono sui settori più redditizi e “fortunati”. In campo agrario si assiste anche a delle operazioni di sperimentazioni colturali, come ad esempio le colture del riso (anche se la pratica era già nota dalla seconda metà del ‘400 in questi territori) e del baco da seta. Attuano innovazioni tecnologiche di avanguardia in agricoltura che si pensava fossero proprie del milanese e della Toscana. Gli Albani sono molto attivi anche nei settori artigianali e proto-industriali, in particolare nella produzione di spille (molto ambite dalle nobildonne dell’epoca, anche romane e inglesi, come si attesta negli atti di compravendita), cristalli (acquistati soprattutto dalla nobiltà pontificia) e maioliche; nonché nel terziario (erano possessori di locande, negozi di spille e, nell’800 inoltrato, anche di stabilimenti balneari). Le attività scelte per le investiture imprenditoriali sono di nicchia, d’élite, che portano al massimo del guadagno con il minimo sforzo. Si insinuano così in tutta l’economia di questi territori, completando il quadro agli inizi del ‘600 (anche se non sono ancora all’apice della loro ricchezza), essendo presenti in questi settori in modo più o meno cospicuo, presenza riscontrabile nei documenti. Nei secoli successivi vi saranno varie esportazioni, tra cui quelle dei cereali, dell’uva e del vino, la cui produzione enologica nel ‘700 si fa particolarmente notevole, e i prodotti verranno esportati dalla Senigallia fino in Turchia. Anche i molini meritano considerazione, non solo da cereali, ma anche al servizio dell’artigianato ceramico, per l’estrazione dei colori dai materiali grezzi; e dei tessuti per il procedimento di follatura, un’operazione del processo di finissaggio dei tessuti di lana, che consiste nel compattare il tessuto attraverso l'infeltrimento, per renderlo compatto e in alcuni casi impermeabile. La famiglia ottiene infine il regime monopolistico in alcuni settori, perché i membri della famiglia all’interno dell’amministrazione affidavano il monopolio su certi commerci ai loro stessi parenti, garantendo così degli introiti sicuri e liberi dalla concorrenza. Vi era uno stretto rapporto tra gli Albani amministratori (regime decisionale) e gli Albani privati. Uno dei monopoli più importanti ad essere affidato agli Albani fu quello della manutenzione delle sponde dei fiumi, strumento molto importante all’epoca poiché avevano un enorme valore commerciale, definibili come delle “grandi autostrade”. Le attività politiche della famiglia partono sempre dal basso, per finire poi ad ambire alle alte cariche. Un’azione particolarmente significativa sarà quella della riorganizzazione e del potenziamento della viabilità regionale e transfrontaliera . Lo stato dell’arte della viabilità storica del territorio all’inizio del ‘400 era risalente all’epoca romana, vi erano la via Salaria (commerciale) che da Roma andava fino ad Ascoli, e la via Flaminia (militare) che andava da Roma a Pesaro,

passando per l’Umbria, da Rimini partiva poi la via Emilia. All’epoca venne creata una via per il santuario di Loreto, ma poco o nulla venne fatto durante il medioevo, era un settore fermo da secoli prima dell’intervento degli Albani. Essi progettarono il percorso transfrontaliero del valico della Massa Trabaria che collegava l’Adriatico con il Tirreno, mirando a superare la barriera naturale dell’Appennino e abbreviare le distanze tra le valli del Metauro e del Tevere. Un altro settore che vide impegnata la famiglia Albani fu quello dei restauri conservativi nei centri storici, di origini medioevali e Rinascimentali, facendo emergere quindi una politica territoriale attenta anche alle esigenze artistiche dei luoghi. I giovani della famiglia venivano cresciuti attraverso una formazione illuminata e avendo relazioni culturali con il meglio dell’Europa. Collezionavano opere d’arte e promuovevano svariati e molteplici interventi. La rivoluzione urbanistica di Urbino (fine del ‘600) e di altre città, attraverso il restauro e l’edificazione di molti edifici, potrebbe far pensare ad un “ mecenatismo” culturale (capitolo 4°) oltre che ad una politica territoriale colta ed illuminata. Nel corso del ‘700 e dell’800 la famiglia Albani era nel periodo di maggiore potenza in ambito politico-amministrativo ed economico, e ciò comporta un loro fortissimo impegno concreto in ambito artistico ed accademico (clima arcadico  colonie metaurense e isaurica). La committenza di ville e casini di delizie (p. 208) è un elemento imputabile all’impegno culturale poiché dà un’incidenza paesaggistica ed ha una funzione territoriale precisa. Costruiscono il territorio creando così il paesaggio. Nella biblioteca dell’istituto di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma è stato ritrovato un progetto di Villa del Valadier, su committenza degli Albani, ma mai realizzato. Gli Albani riportano inoltre in augere un’attività che fino ad allora non era mai veramente decollata: quella della stamperia di Urbino. La prima opera data alla stampa fu, nel 1727, la vita di Clemente XI, come atto di gratitudine verso al papa urbinate.

Conclusioni L’opera degli Albani nell’attuale palinsesto territoriale La domanda di fondo che si presenta alla fine della ricerca è dunque questa: che cosa rimane nell’attuale palinsesto territoriale di tutte queste attività? Molte cose si sono conservate per inerzia dove l’uomo non è intervenuto. Uno degli ambiti dove si è conservata meglio la memoria, però, è soprattutto la toponomastica, dove gli elementi fortemente inerti permangono a distanza di secoli. Si riscontrano soprattutto toponimi legati agli edificati (Castello Albani, Casa Albani, Villa Albani, etc.), agli interventi idraulici (Vallato Albani, Canale Albani, Chiusa Albani, Marotta Albani  si riferisce probabilmente all’esistenza di ristagni d’acqua lungo la sponda del Metauro), alle attività proto-industriali (Molino Albani, Fornace Albani, Solfatara Albani, etc.). Sempre nei registri descrittivi e nelle mappe dell’appasso antico si sono trovati espliciti riferimenti al piano di risanamento botanico e di rimboschimento posto in essere tra fine XVIII e inizi XIX secolo (Cerqueto Albani, Fonte Albani, Bonificamento Albani). Altri toponimi permangono in memoria della decisiva opera svolta a favore della riorganizzazione e del potenziamento della viabilità regionale (Strada degli Albani, Via detta dell’Albani, etc. “relitti toponomastici”) e infine, a suggello di un’egemonia territoriale di quasi quattro secoli, la toponomastica catastale riporta “Pian d’Albani” nel territorio di Fermignano, “Monte Albano”, e il generico “Albani” in diverse mappe del Catasto Piano forsempronese, mentre ancora “Piano degli Albani” designa la pianura ai piedi di Gradara negli schizzi progettuali della seconda metà del Settecento, voluti dal cardinale Alessandro e finali...


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