Riassunto Intersoggettività. Origini e primi sviluppi PDF

Title Riassunto Intersoggettività. Origini e primi sviluppi
Author Giulia Guzzetti
Course Psicologia dello sviluppo
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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INTERSOGGETTIVITA’ di Lavelli A 2 mesi di vita la vita di un lattante, supportata dalla capacità materna di “marcare” e riflettere le sue espressioni, può già coinvolgersi attivamente negli scambi di comunicazione affettiva. Le idee centrali che il libro vuole proporre sono essenzialmente 2: - presenza di una primitiva forma di intersoggettività fin dal 2° - 3° mese di vita - esperienza di condivisione degli affetti come base della condivisione di ogni stato mentale.

LO STUDIO DELL’INTERSOGGETTIVITA’ NELL’AMBITO DELL’INFANT RESEARCH Il termine “intersoggettività” è stato introdotto alla fine degli anni 70 da Trevarthen per spiegare quella particolare sincronia tra le espressioni facciali, vocali e gestuali di lattanti di soli 2 - 3 mesi e le espressioni delle loro madri durante la comunicazione faccia-a-faccia. Trevarthen aveva definito “intersoggettività” la capacità di adattare il controllo soggettivo alla soggettività dell’altro, per poter comunicare. Secondo Bruner la “modalità intersoggettiva” costituisce la prima delle modalità primitive di costruire significati; una modalità che consiste nel situare espressioni, azioni ed eventi nello “spazio simbolico” condiviso con l’adulto con cui il piccolo interagisce. Nel contesto dell’interazione è inizialmente l’adulto che segue e si coinvolge rispetto al focus di attenzione del bambino; l’attività di sostegno dell’adulto promuove nel piccolo la capacità di seguire, a sua volta, la direzione dell’attenzione dell’adulto, di comprendere che l’altro ha un suo punto di vista sulla realtà esterna, e che le proprie espressioni e azioni hanno un potere di comunicazione che può essere usato per influenzare l’attenzione e il comportamento del partner. La teoria dell’intersoggettività innata: Trevarthen Sviluppa la sua teoria negli anni 70 a partire da dettagliate descrizioni microanalitiche del comportamento di neonati e lattanti di pochi mesi di vita in interazioni spontanee con le loro madri. A 2 mesi il bambino, se coinvolto con sensibilità e gentilezza in un’interazione faccia-a-faccia con la madre o con un altro adulto attento e affettuoso, può rispondere in modo affettivamente e temporalmente contingente alle vocalizzazioni e alle espressioni della faccia e delle mani del partner, alternarsi nei turni “protoconversazionali”. Verso la fine del 1° anno il bambino diventa capace di percepire le intenzione del partner in riferimento a un oggetto esterno e coordinare le proprie azioni e intenzioni con quelle dell’altro. Rispecchiamento: evidenza empirica della capacità dei neonati di comunicazione intersoggettiva; è intuitivo e immeditato. Il processo di “accoppiamento” (matching) di movimenti, o azioni comunicative, che ha luogo durante l’imitazione da parte del neonato rappresenta il più semplice meccanismo di coordinazione intersoggettiva. Trevarthen ipotizza la presenza di un cervello nel neonato, di un’immagine neuronale, una sorta di “mappa” del proprio corpo, in grado di riflettere anche la forma e l’attività del corpo di un’altra persona. La madre gioca un ruolo fondamentale nel favorire il coinvolgimento del lattante nello scambio comunicativo, identificandosi empaticamente con i suoi stati d’animo e le sue “motivazioni”. I disturbi emotivi di uno dei 2 partner (depressione materna) possono indebolire o bloccare la possibilità di successo dell’esperienza intersoggettiva. Trevarthen concettualizza uno sviluppo attraverso diverse fasi che si susseguono fino al 2° anno di vita: - intersoggettività primaria: nel 2° mese si ha la coordinazione tra sé e l’altro attraverso il “rispecchiamento empatico” o “accoppiamento delle espressioni comunicative”: a 4 mesi subentrano i giochi interpersonali sullo sviluppo di aspettative reciproche; verso i 7 – 8 mesi gli altri vengono coinvolti nel gioco con gli oggetti - intersoggettività cooperativa: verso i 9 mesi si ha la coordinazione tra sé, l’altro e l’oggetto attraverso lo scambio di gesti comunicativi e l’imitazione dei modi di usare gli oggetti. Sono importanti le riorganizzazioni del sistema nervoso del bambino e i relativi cambiamenti nel suo rapporto con il mondo nelle transizioni tra una fase e l’altra. L’esperienza dell’imitazione all’origine dell’intersoggettività: Meltzoff I neonati possiedono una predisposizione innata a percepire corrispondenze cross-modali tra le azioni che vedono prodotte dai loro partner e le azioni che loro stessi producono e sentono. L’imitazione è un processo attivo di “accoppiamento” all’azione dell’altro. La risposta imitativa non è prefissata e semplicemente rilasciata ma costruita attivamente dal lattante.

In base all’azione facciale dell’altro, percepita visivamente, il neonato/lattante produce movimenti imitativi che gli forniscono un feedback propriocettivo. Meltzoff sostiene che i lattanti possiedono un codice per interpretare che l’altro è “come me” fin dalla prima fase dello sviluppo. Un primo esempio di intersoggettività può consistere nello “stato d’essere” che il neonato sperimenta mentre imita intenzionalmente. Lo “stato d’essere” comprende un primo senso di sé, dell’altro e delle relazione (sensazione di essere in connessione con un’altra persona). Inoltre l’imitazione permette ai lattanti di differenziare la classe degli “altri” in specifici individui. Se il primo “incontro con l’altro” è garantito da una predisposizione innata del neonato, presto si trasforma in e si arricchisce attraverso l’interazione interpersonale. Co-regolazione e processi di cambiamento nella relazione madre-lattante: Fogel Fogel concentra il suo interesse sulla dinamica del processo di comunicazione interpersonale. Evidenzia gli elementi-chiave della dinamica di sviluppo della relazione: - adattamento continuo al comportamento dell’altro da parte sia della madre sia del lattante - creatività di co-regolazione: la co-regolazione delle espressioni emozionali e dei comportamenti creano emozioni condivise e azioni che possono ripetersi e stabilizzarsi nell’ambito della diade. Il processo di co-regolazione è osservabile verso la fine del 2° mese di vita. Fogel denomina i pattern (momenti di condivisione) come frames: cornici di significato dell’esperienza intersoggettiva. I frames sono definiti dalla direzione dell’attenzione di ciascuno dei due partner, dal luogo in cui avviene l’interazione e la distanza vs contatto fisico fra i partner, dall’orientamento posturale reciproco e dal tema dell’attività congiunta. Ci sono 2 processi complementari: - co-regolazione: aspetto dinamico e creativo della comunicazione che genera novità. I microcambiamenti nei pattern creano le condizioni per la nascita di nuovi pattern - framing: stabilizza routine co-regolate. A 2 mesi c’è la comparsa di un primo senso di sé relazionale che è favorita dal rispecchiamento delle emozioni del lattante da parte della madre che permette la creazione di connessioni affettive tra i partner. A 9 mesi l’esperienza di intersoggettività si caratterizza come senso di differenziazione dall’altro. Mutua regolazione ed espansione diadica degli stati di coscienza: Tronick L’esperienza intersoggettiva coincide con stati di connessione affettiva che il lattante è in grado di sperimentare durante la comunicazione faccia-a-faccia con la madre fin dal 3° mese di vita. I messaggi scambiati nell’ambito della comunicazione tra il lattante e l’adulto sono essenzialmente regolatori: fanno riferimento allo stato dell’interazione in corso. Il passaggio tra stati opposti (match e disjoint) avviene regolarmente attraverso uno stato intermedio (conjoint); nessuno dei due partner si muove casualmente tra diversi stati ma i cambiamenti nelle espressioni e nei comportamenti dell’uno sono facilmente prevedibili dall’altro; nelle transizioni di riparazione (adjust) da uno stato di mancata coordinazione a uno stato di sintonia entrambi i partner tendono a cambiare comportamento. Secondo Tronick il processo di mutua regolazione e il raggiungimento di stati di connessione affettiva hanno importanza perché permettono di espandere gli “stati di coscienza” a un livello maggiore. Sebbene gli “stati di coscienza” sono “negli individui” che hanno la capacità di auto-organizzazione, queste capacità sono limitare rispetto a quello che emergono nei processi regolati diadicamente. Nel caso di un lattante in un interazione con la madre, il lattante (sistema di auto-regolazione) in base alle informazioni che incorpora è in grado di organizzarsi uno stato affettivo coerente e di manifestare questo stato attraverso una configurazione espressiva che include azioni facciali, vocali, sguardo e movimenti del corpo. La madre al tempo stesso deve essere in grado di potenziare i segnali del bambino. Quando gli individui falliscono ripetutamente, in modo cronico, nel creare stati di coscienza diadici, si crea dissipazione, perdita di coerenza e complessità dei loro stati di coscienza, con gravi conseguenze sul loro sviluppo psicologico. Inoltre come sperimentato nella “still face”, l’interruzione di uno “stato diadico di coscienza” provoca effetti drammatici sul comportamento del lattante. Quando il lattante di una madre depressa inizia a instaurare relazioni con altre persone, il solo modo che conosce per espandere la complessità e la coerenza dei propri stati mentali è quello di costruire stati diadici depressi. Il modello dell’equilibrio tra autoregolazione e regolazione interattiva: Beebe È interessata allo studio delle forme “implicite” di intersoggettività che si sviluppano nell’interazione faccia-afaccia madre-lattante nel 1° semestre di vita che si sviluppano attraverso la dimensione non verbale della comunicazione, al di fuori del livello di consapevolezza. I processi di autoregolazione e regolazione si influenzano reciprocamente in una “co-costruzione” di processi interni e relazionali. Il modello teorico alla base degli studi di Beebe è il “modello sistematico” sviluppato da Sander: egli sottolinea l’impossibilità di separare i processi interni degli individui e i processi interattivi.

Nel caso dell’interazione madre-lattante nel corso del 1° anno di vita, i rapidi cambiamenti nello sviluppo del lattante comportano anche un rapido ampliamento delle sue capacità di autoregolazione che accrescono la consapevolezza della sua esperienza interiore e organizzano il suo senso di “agentività”. In un sistema madre-lattante che sa essere “competente” l’autoregolazione diventa un’abilità di “spazio aperto”: individuabili nel periodo di vegli del lattante verso la dine del 1° mese. Le forme di coordinazione funzionali osservabili nell’interazione sono sia forme di “similitudine” sia forme di “compensazione”. Beebe identifica “escalation di iperattività reciproca” non appena il lattante manifesta distress attraverso azioni facciali o vacali o del corpo e la madre, al posto di calmarlo, accentua i suoi sentimenti finchè il bambino “esplode” in episodi di disorganizzazione, con possibilità di vomito (4 mesi) e urla (12 mesi). - Un grado medio di coordinazione ritmica e vocale tra la madre/estranea e il lattante è il risultato della qualità dell’interazione e predittivo di un attaccamento sicuro - Un elevato grado di coordinazione osservato nella relazione madre/estranea e lattante che consiste in un eccessivo monitoraggio del comportamento del partner che non lascia spazio all’incertezza, all’iniziativa personale e alla flessibilità nell’esperienza con l’altro, è risultato predittivo di un attaccamento di tipo insicuro-ambivalente; questo tipo di comportamento osservato solo nell’interazione con un’estranea è il risultato di un attaccamento disorganizzato - Un basso grado di coordinazione del lattante con l’estranea, indicativo di un ritiro su di sé, è il risultato di un attaccamento di tipo insicuro-evitante. Beene concettualizza un “modello di equilibrio tra autoregolazione e regolazione interattiva” che consente flessibilità di movimento tra i due processi. La sintonizzazione degli affetti: Stern L’intersoggettività è un bisogno e una condizione fondamentale. La nostra mente, per sua natura è costantemente in cerca di altre persone con cui cerca di entrare in risonanza e condividere esperienze. Fin dal periodo neonatale, cresciamo entro una “matrice intersoggettiva” e sviluppiamo una forma primitiva di intersoggettività che Stern definisce “nucleare”, sebbene creda che l’esperienza d’interazione con l’altro non possa essere considerata esperienza di intersoggettività in senso stretto prima dei 7-9 mesi, cioè prima di quando il bambino inizia a rendersi conto che ogni persona possiede stati interni, o stato mentali, potenzialmente condivisibili con gli altri. Stern ha introdotto il concetto di “matrice intersoggettiva” per indicare come ogni persona cresca circondata dalle interazioni, dagli stati affettivi, dai desideri e dai pensieri degli altri che interagiscono costantemente con i propri, in un dialogo incessante da cui sviluppa la vita mentale soggettiva. Stern ha scoperto gli “oscillatori adattivi” cioè quei meccanismi biologici che permettono la coordinazione temporale con i movimenti e le intenzioni di un’altra persona. Le caratteristiche peculiari dell’ambiente intersoggettivo del lattante sono la presenza delle persone che interagiscono affettivamente con lui; la capacità di percepire direttamente le intenzione dai tanti comportamenti che governano lo scambio socioaffettivo con l’altro; il lattante deve sviluppare il repertorio di intenzioni e motivazioni socioaffettive in base a quelle della madre. Secondo Stern è importante per sviluppare il senso di sé e dell’altro che il bambino acquisti una “nuova prospettiva soggettiva organizzante” che compare tra i 7 – 9 mesi: - consapevolezza di possedere una mente cioè degli stati affettivi interni - consapevolezza che le esperienza soggettive interne possono essere condivise dagli altri. Secondo Stern lo scambio affettivo non si può considerare scambio intersoggettivo se non è garantito dalla presenza di 3 condizioni: - capacità della madre di leggere lo stato affettivo del bambino - manifestazione di un comportamento materno che sia l’esatta riproduzione del comportamento del piccolo - capacità del bambino di capire che la risposta materna è connessa a ciò che egli stesso sta provando. La condivisione di significati: Kaye Afferma che l’intersoggettività non ci possa essere fino a quando il bambino non inizia a sviluppare la capacità di condividere significati con l’adulto (2° semestre di vita). L’intersoggettività è la condivisione di significati tra “due persone che hanno approssimativamente la stessa rappresentazione di un dato oggetto, evento o simbolo”. Per Kaye il fatto che i genitori proiettino la propria soggettività dentro il comportamento del lattante interpretando le intenzione del piccolo, comprendendole, e anticipando le sue risposte fa si che il bambino impari gradualmente a comprendere i segnali dell’adulto e a rispondervi appropriatamente. Con la creazione dei primi significati condivisi nell’ambito dell’interazione diadica madre-bambino compare anche ciò che Kaye chiama “rudimenti” dell’intersoggettività e del dialogo caratterizzato dal fatto che il comportamento del bambino non soddisfa ancora in modo cotante il criterio di intenzionalità.

Soltanto quando il bambino impara a utilizzare simboli per comunicare, cioè quando “i segnali che il bambino impara a produrre sono gli stessi che egli comprende quando sono prodotti da altre persone” diviene capace di intersoggettività “vera”, verso la fine del 1° anno di vita.

UN CONFRONTO TRA LE DIVERSE TEORIE SULLE PRIME FORME DI INTERSOGGETTIVITA’ Il focus sulle capacità e il vissuto del lattante vs sul processo diadico di mutua regolazione Meltzoff si basa sull’esperienza di intersoggettività come “stato d’essere” che il lattante sperimenta durante l’imitazione di un’azione del partner, cioè come capacità e vissuto individuale, piuttosto che come prodotto di un processo diadico di comunicazione che ha luogo tra il lattante e l’adulto. Ipotizza una predisposizione innata che permette al neonato di “accoppiare” le proprie azioni a quelle del partner. “Sentire” le azioni dell’altro attraverso le proprie consente al piccolo di sperimentare un primo senso di connessione tra sé e l’altro. Ciò differenzia questa teoria dalle altre è il fatto che l’”altro” è rappresentato dallo sperimentatore piuttosto che da un adulto familiare con il quale il piccolo interagisce quotidianamente e l’unità di osservazione è costituita dal singolo bambino e non dalla diade adulto-lattante. Gli altri approcci si focalizzano sulla diade adulto-lattante come unità di osservazione, utilizzando la tecnica microanalitica di codifica e analisi dei comportamenti del lattante e dell’adulto (videoregistrazioni durante la comunicazione faccia-a-faccia o durante il gioco con gli oggetti). - gli approcci di Trevarthen, Fogel, Tronick e Beebe sono focalizzati sulla dinamica della comunicazione tra i partner e il processo di “coordinazione intersoggettiva / co-regolazione / mutua regolazione” - gli approcci di Stern e Kaye sono sbilanciati sull’analisi dell’influenza che i comportamenti del lattante esercitano sull’adulto e dei comportamenti di “sintonizzazione affettiva” dell’adulto nei confronti del piccolo. La natura e le condizioni di comparsa dell’intersoggettività Ci sono 3 diverse posizioni teoriche per quanto riguarda la comparsa delle prime forme di intersoggettività: - Trevarthen e Meltzoff: natura innata dell’intersoggettività fondata sul bisogno; individuano nell’imitazione neonatale la prima forma di esperienza intersoggettiva - Fogel, Tronick, Beebe e Stern: origini nelle prime esperienze di comunicazione faccia-a-faccia al termine del 2° - 3° mese; necessità di possesso di un primitivo senso di sé e un organizzazione comportamentale regolata dall’interazione con l’ambiente esterno - Stern (all’inizio) e Kaye: comparsa dopo i 9 mesi; necessaria la comprensione del sé e delle altre persone come possessori di stati mentali che possono essere condivisi. Il rapporto tra intersoggettività e sviluppo del sé Stern ha elaborato una teoria sullo sviluppo del senso di sé a cui si intreccia lo sviluppo dell’esperienza intersoggettiva del bambino. Individua 4 sensi del sé che si sviluppano nell’arco dei primi 18 mesi di vita e lega la comparsa dell’intersoggettività allo sviluppo di un senso di sé “soggettivo” (connesso alla maturazione della consapevolezza di possedere una propria esperienza fatta di stati interni e poterli condividere con altri). Fogel si basa sulla considerazione che durante la comunicazione co-regolata con l’adulto il lattante riceve continue informazioni sulle proprie azioni in relazione al partner (“sé relazionale”). Il primo senso di sé compare nei primissimi mesi di vita quando è un grado di entrare in relazione con l’ambiente fisico e sociale (“sé ecologico”). Trevarthen sostiene che il sé è “generato nell’intersoggettività” ma è importante anche l’auto dato dalla madre che determina la comparsa del “sé interpersonale”. Meltzoff considera la presenza di un “me” prima dell’incontro con l’altro. Lavelli afferma che l’intersoggettività si manifesta in forme di complessità molto diverse, secondo i diversi livelli di sviluppo del bambino, la disponibilità e le caratteristiche dei contesti sociali. L’esperienza di compartecipazione affettiva che nasce nel contesto della comunicazione faccia-a-faccia si estende per il mondo degli oggetti. Tra i 9 - 12 mesi l’intersoggettività si estende ulteriormente fino a trasformarsi in una forma più complessa di condivisione con l’esperienza interna dell’altro che include attenzione, stati affettivi e interazioni in relazione al mondo esterno....


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