Umanesimo e rinascimento PDF

Title Umanesimo e rinascimento
Course Filosofia Teoretica
Institution Università telematica e-Campus
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UMANESIMO E RINASCIMENTO Umanesimo e Rinascimento sono i due termini che vengono usati a volte indifferentemente per segnare una periodizzazione interna alla storia europea che coincide con il passaggio dall' età medioevale a quella moderna. A volte invece i due termini sono usati addirittura per indicare periodi distinti. Il concetto di Rinascimento implica sì l' idea di un rinnovamento, ma di un rinnovamento che si riaggancia a radici , a quelle classiche: é un tornare radicalmente alla cultura classica latina e greca , cercando di dimenticare la "tragica" parentesi del Medioevo; anche in campo religioso si vuole tornare alle origini del cristianesimo, al Vangelo, alle fonti antiche: Lutero stesso, il padre della Riforma, é quindi assolutamente coerente alle teorie rinascimentali. Certo noi parlando di riforma abbiamo in mente l’idea di " rinnovamento", ma all’epoca significava tornare alle origini, dare di nuovo al cristianesimo la sua forma primordiale (da qui il termine Riforma). Per la prima volta, si ha coscienza che c'é stata una rottura con il mondo classico, che va ripreso, pur nella consapevolezza che esso sia ben diverso: per gli uomini medioevali, invece, non c'era stata alcuna frattura e non coglievano differenze tra il loro mondo e quello dell' età classica. Il giudizio che si dà al Rinascimento é di solito fortemente positivo, ma é interessante notare che ci furono anche aspetti negativi: nella sua prima fase di sviluppo, il Rinascimento é un periodo di chiusura politica e sociale, a differenza del Medioevo. Questa chiusura é presente anche nella cultura, che é fortemente aristocratica: l'Umanesimo del '400 é latino (il latino già a fine Medioevo stava prendendo sempre più piede), mentre il Medioevo aveva invece visto nascere il volgare e la Commedia stessa di Dante non é in latino. Nel Medioevo, infatti, la borghesia stava affermandosi sempre più e non era certo a conoscenza del latino. Il concetto d’Umanesimo é diverso rispetto a quello di Rinascimento e tra i due risulta piuttosto difficile trovare analogie; il modo più semplice di intenderli, evitando di dire che essi si riferiscono a due periodi distinti, é sostenere che essi si riferiscano a due aspetti diversi della stessa cosa. Con il termine Rinascimento ci riferiamo in generale alla rinascita avuta dopo il Medioevo e al riagganciarsi alla cultura classica; con il termine Umanesimo invece ci riferiamo a determinati aspetti di questo rinascere, e più precisamente alle humanae litterae: comincia una vera e propria caccia delle opere latine nei monasteri, sono realizzate edizioni critiche e si riscopre il latino classico, quello di Cicerone, ben diverso da quello medioevale, rozzo e pieno d’errori. Nasce la filologia, ossia si hanno gli strumenti linguistici per recuperare le origini del testo: accanto al latino troverà ampio sviluppo anche il greco, che si affermerà soprattutto dopo il crollo dell’Impero bizantino (1453) con l’avvento in Italia di dotti greci che portavano con sè manoscritti in greco. Nel Medioevo, ancora più che con il latino, c' era stata un’autentica rottura con il greco: quasi nessuno lo conosceva più. Umanesimo significa anche humanitas, già presente ai tempi dei Romani: l’ humanitas non é nient' altro che l’insieme degli aspetti che contribuiscono a formare l’uomo e può quindi essere tradotta con "formazione dell’uomo". Nel Rinascimento si cerca di riprendere totalmente l’humanitas romana: il che presenta senz’altro aspetti positivi, come il recupero di testi antichi e la diffusione del greco, ma non dobbiamo dimenticarci che ebbe anche aspetti negativi, in primis la tendenza formalistica, ossia il tenere in maggior considerazione la forma rispetto al contenuto, tendenza che é arrivata fino a noi. Tuttavia l’Umanesimo del '400 é cristiano e vede sì l’uomo al centro, ma Dio resta pur sempre il vertice della realtà; é una prospettiva ben differente da quella teocentrica del Medioevo, dove si arrivava addirittura a vedere la vita come preparazione alla morte; l’uomo é quindi per gli Umanisti al centro della realtà e si può notare anche dai quadri che lo vedono in modo assai diverso rispetto al Medioevo, gli viene riconosciuta medietà: egli sta cioè a cavallo tra mondo razionale e mondo celeste , tra mondo spirituale e mondo non spirituale, tra angeli e cose. Già Platone aveva sottolineato questa medietà dell’uomo e per questo per tutto il Rinascimento sarà apprezzato molto più di Aristotele (lo si preferirà anche per il suo stile oratorio , più raffinato e ricco di metafore): l'uomo é copula mundi, ossia é l’elemento di medietà tra Dio e tutto il creato, quell’elemento in grado di tenere insieme mondo materiale e Dio: é solo grazie all' uomo e alla sua attività che c' é unitarietà dell’Universo. La centralità dell’uomo, poi, si manifesta nel cosiddetto "Umanesimo

civile", dove l’uomo adempie funzioni politiche e sociali. Ma recupero del mondo classico non significa solo recupero del latino e del greco: vengono riportate la matematica di Euclide, la medicina di Galeno e anche i filosofi venuti prima di Platone e Aristotele, così come quelli venuti dopo. Nascerà una vera e propria disputa tra sostenitori di Platone e sostenitori di Aristotele. Ma viene ripreso anche l’epicureismo, che è condannato nel Medioevo. Soprattutto quest'ultimo si confaceva particolarmente alla prospettiva umanistica: infatti chi più di Epicuro proclamava la centralità dell’uomo nel mondo? Anche l’idea di cercare la felicità più di ogni altra cosa, tipicamente epicurea, verrà apprezzata e messa in pratica soprattutto nella Firenze del '400, contro la quale tuonerà il Savonarola. Particolarmente interessante risulta l’atteggiamento generale del Rinascimento nei confronti della magia, nella quale crederanno perfino gli intellettuali e i filosofi, come Pico della Mirandola; va subito precisato che questo rapporto con il magico (e con l’astrologia) é espressione di un atteggiamento culturale vivace e dinamico. Già negli ultimi secoli del Medioevo era nata l’alchimia, ossia quella che al giorno d’oggi definiamo "chimica", orientata alla trasformazione materiale della realtà tramite riti e formule magiche. Nasce la concezione del sapere come potere, ossia del sapere che può diventare strumento di trasformazione della realtà. Viene quindi meno, in fin dei conti, l’idea aristotelica del sapere per il sapere e prevale quella che il vero sapere é quello utile, che può trovare applicazioni nella realtà.

MARSILIO FICINO In Italia si assiste ad una rinascita degli studi filosofici - in particolare del platonismo - strettamente connessa alle specifiche realtà cittadine. Il prevalere dell'ideale di vita contemplativa su quello della vita attiva trova espressione nella personalità del filosofo "professionale", finanziato dalla corte a cui si aggrega in un reciproco scambio di benefici da un lato e di attribuzione di prestigio culturale dall'altro. L'esempio più caratteristico in questo senso è Marsilio Ficino (1433-1499). Le sue idee ebbero una straordinaria risonanza su scala europea, anche se la sua attività si svolse tutta nell'ambito fiorentino. Fu sempre in stretto rapporto con la famiglia Medici, con l'appoggio della quale poté dare vita a un'Accademia platonica , punto di riferimento e di ideale raccolta per intellettuali, letterati, poeti, e centro di diffusione di un rinnovato interesse per la tradizione platonica e neoplatonica rivisitata in senso cristiano. La fama di Ficino e la sua influenza sulla cultura del tempo si fondarono prevalentemente su due fattori: in primo luogo, la sua vasta attività di traduttore di Platone , di Plotino , e del Corpo Ermetico; in secondo luogo, la fittissima rete di corrispondenza che egli intrattenne con intellettuali europei. Il vero e proprio programma ficiniano consiste in un tentativo di armonizzazione della religione con la filosofia, condotto in base all'idea dell'esigenza di una rivelazione perenne. Ficino affida la summa del suo pensiero al testo della Teologia platonica ( 1482 ). Quest' opera non é ricca soltanto di riferimenti alla catena della rivelazione perenne, ma pure di una solida conoscenza della tradizione scolastica. In particolar modo, Ficino utilizza il sistema tomista in funzione della polemica non soltanto contro Averroè, ma contro l’intera tradizione aristotelica, vista come una forma di pensiero che in ogni sua espressione rivela la propria inconciliabilità con la dottrina dell’immortalità dell’anima. Non a caso l’autore sottotitola il suo scritto con le parole " De immortalitate animorum ". Egli afferma che le correnti aristoteliche che si sono ispirate ad Averroè vanificano l’immortalità individuale con la dottrina dell’unità dell’intelletto, mentre quelle che si ispirano ad Alessandro di Afrodisia riducono l'anima a un insieme di funzioni che non potrebbero essere esercitate senza il supporto del corpo fisico, concependo così l' anima stessa come mortale. L' anima umana assume una posizione centrale nella visione che Ficino ha del cosmo. Essa si pone nel mezzo di una gerarchia ontologica che va dalla materia a Dio ed esercita nei suoi confronti una funzione unificatrice. La sua capacità di ascendere e discendere continuamente attraverso i gradi della gerarchia attesta la sua capacità di muoversi all’infinito e, con ciò stesso, prova la sua immortalità. La centralità dell’anima sta a significare per Ficino la centralità dell' uomo, in quanto l' essere dell' uomo si risolve nell' essere della sua anima. L'Umanesimo di Ficino comporta pertanto un rigoroso antropocentrismo, in base al quale l' uomo rappresenta il principio fondamentale dell' ordine e dell' unità del cosmo. A queste riflessioni Ficino congiunge una dottrina dell' amore, che troviamo esposta nella Teologia platonica. L' amore é, platonicamente, ciò che consente all' anima di mettere in pratica la propria funzione di mediatrice del cosmo. Il termine supremo è Dio, ma nello stesso tempo esiste una reciprocità tra l' amore dell' uomo e del mondo per Dio e l' amore di Dio per le sue creature . Anzi, se Dio amasse, in esse non si accenderebbe l' amore per lui. Queste tesi sull' amore di Dio verranno riprese e contestate da Pico della Mirandola.

PICO DELLA MIRANDOLA Pico della Mirandola inizia propriamente i suoi studi filosofici nelle università di Bologna, Ferrara e Padova. Qui egli si convince della validità della tradizione scolastica e della sua conciliabilità con gli orientamenti filosofici successivi. Pico afferma che al di là della forma occorre guardare ai contenuti del discorso filosofico, che valgono indipendentemente dall' espressione letteraria e non sono attaccabili dalla critica filologica: la contrapposizione tra retorica e filosofia é contrapposizione tra “ lingua” e “cuore”. L' idea della conciliabilità e della continuità tra i diversi orientamenti di pensiero matura ulteriormente in Pico dopo il periodo di studi a Parigi. Nasce così l'intento di realizzare una concordia filosofica. Il grande progetto culturale di Pico avrebbe dovuto concretizzarsi in una sorta di “congresso” nel quale intellettuali di ogni formazione e provenienza si sarebbero confrontati in un dibattito su 900 tesi (cioè brevi proposizioni riassuntive) che egli stesso aveva catalogato traendole dalle filosofie di cui era a conoscenza. Pico sviluppò autonomamente gli argomenti proposti nelle 900 tesi. Fu pubblicata l’Orazione sulla dignità dell’uomo, che avrebbe dovuto fungere da introduzione al dibattito progettato. Qui vengono celebrate le capacità di autodeterminazione dell’uomo, cioè quelle facoltà intellettuali che lo conducono a scegliere liberamente tra più o meno nobili generi di vita. Il progetto di sintesi filosofica di Pico della Mirandola vuol essere un’esaltazione della potenza intellettuale umana. Pico intende porre in rilievo come l’avanzamento culturale dell’umanità sia reso possibile dal continuo succedersi di scuole di pensiero che s’integrano l’una con l' altra . Su questo fondamento si realizza la pace filosofica alla quale l’umanità deve aspirare. Sempre nella prospettiva della capacità dell' uomo di autodeterminarsi, Pico opera una netta distinzione tra magia e astrologia, che la cultura del tempo tendeva ad accomunare in unico giudizio positivo. Nel pensiero rinascimentale, come ad esempio in Ficino, le due pratiche sono considerate non già manifestazioni di superstizione, ma tecniche pienamente legittime, rivolte o allo studio dell' ordine naturale (nel caso dell' astrologia) o alla realizzazione del dominio dell' uomo sulla natura (nel caso della magia) . Pico, invece, reputa l’astrologia una dottrina che limita pericolosamente la libertà dell’uomo, ricercando le cause del suo agire in fattori indipendenti dalla volontà umana: se gli astri determinano l’uomo, l’uomo perde così la possibilità di autodeterminarsi, ossia perde il libero arbitrio. Al contrario, la magia intesa tradizionalmente come capacità di controllo della natura da parte dell’uomo, non inficia minimamente le capacità di autodeterminazione dell’essere umano e può quindi essere pienamente giustificata. Allo stesso modo, come tecnica per indagare il significato recondito della Sacra Scrittura, é legittima la cabala, cioè l’antica dottrina esoterica ebraica che, stabilendo una corrispondenza tra lettere e numeri, consentirebbe di passare da una composizione in lettere di un testo scritturale a una composizione numerica, e poi da questa a una nuova composizione in lettere nella quale risiederebbe il significato occulto. Oltre che per la diversa valutazione di astrologia e magia, Pico della Mirandola si differenzia da Ficino anche perché rivela una grand’attenzione all’oggettività della ricostruzione storico-filosofica. L' acribia era, infatti, del tutto assente nella tradizione ficiniana della perenne catena di rivelazione e filosofia, la quale badava a dimostrare la tesi della conciliabilità tra platonismo e filosofia. Se si vuole essere fedeli a Platone occorre concepire l’amore come desiderio di bellezza, come desiderio di ciò di cui si manca. Ma la divinità, se può essere oggetto d’amore, non può esserne soggetto, poiché essa non é manchevole di nulla: viene così a cadere la reciprocità amorosa tra Creatore e creatura ammessa da Ficino. Per di più non é neppure possibile riferire alla divinità l’attributo della bellezza; infatti, la bellezza non é che armonia, la quale a sua volta è dalla consonanza di più parti differenti. Un cristiano non può né riconoscere una manchevolezza nel suo Dio, né attribuirgli una natura composta di parti, poiché assolutamente semplice e unitaria: non é dunque possibile essere insieme cristiani e platonici. Per Pico della Mirandola un Platone cristianizzato é un Platone travisato e un cristianesimo platonizzante é un cristianesimo contraddittorio: mentre é possibile realizzare la concordia tra le diverse filosofie, si rivela insuperabile il divario tra filosofia e religione. Pico esalta l’uomo per una delle sue caratteristiche specifiche, il libero arbitrio, la libertà di innalzarsi sino a Dio oppure discendere sino ai bruti.

PIETRO POMPONAZZI Primo e principale fautore dell'alessandrismo, Pietro Pomponazzi (1462-1524) contrappone a Padova il proprio insegnamento all’averroismo di Achillini. Nel trattato sull'immortalità dell'anima (1516) si propone al lettore semplicemente come fedele depositario della dottrina aristotelica e dichiara che l'anima umana non può esercitare la propria funzione più elevata, cioè quella intellettiva, senza gli organi corporei: dichiara di voler esporre il pensiero di Aristotele quale esso é, non quello strumentalizzato dalla tradizione scolastica; infatti la filosofia aristotelica é stata usata dagli scolastici per fornire una copertura illusoriamente razionale a ciò che si può soltanto ritenere per fede. Ma se si seguono con onestà e coerenza i dettami della ragione, é inevitabile riconoscere che ciò che si accetta per fede non può avere un fondamento filosofico. Così seguendo Aristotele e la ragione si vedrà che dal punto di vista filosofico l' anima é mortale , poiché essa non può prescindere dal rapporto con la materia: la sua funzione più elevata, quella razionale, non può essere esercitata quando le venga a mancare quella sorta di "materia prima" che sono le immagini sensibili prodotte dai corpi esterni (materiali) e recepite dalla facoltà immaginativa , la quale opera attraverso gli organi del senso (anch' essi materiali) del soggetto. Quando l' anima fosse svincolata dal corpo, come detto, non potrebbe più svolgere alcuna funzione: sarebbe, appunto, morta . E questa conclusione discende, per Pomponazzi , da una fedele lettura del De anima di Aristotele. La tesi dell'immortalità appare ammissibile per fede, ma indimostrabile dal punto di vista filosofico. Pomponazzi sembra così far propria la cosiddetta dottrina della doppia verità, tradizionalmente attribuita all' aristotelismo averroistico, secondo la quale esisterebbero una verità filosofica e una verità religiosa. In realtà è sempre esistita una sola verità che è stata trasmessa in certi modi attraverso il discorso filosofico, e in altri modi attraverso la rivelazione. Dal canto suo, non fa altro che rilevare la reciproca indipendenza della ricerca filosofica e della fede religiosa. La filosofia di Pomponazzi non nega né Dio, né la sua azione nei confronti del creato in virtù della quale nel mondo è riscontrabile un ordine razionale e naturale. Perfino i cosiddetti incantesimi e i prodigi magici non sono illusori, ma sono spiegabili razionalmente. La loro causa, e la causa di tutto ciò che avviene nel mondo, è Dio, che si serve degli astri e dei loro movimenti come strumenti intermedi per esercitare la propria azione sul mondo, il cui ordine è regolare perché regolari sono quei movimenti. La razionalizzazione della magia e dei miracoli dei quali parla la tradizione religiosa discende dalla razionale accettazione dell' astrologia. Gli astri sono strumento di Dio e non mentono: tutto è prevedibile e spiegabile. Secondo Pomponazzi ogni accadimento dipende dall'ordine naturale. Tutti i fenomeni sono infatti determinati necessariamente dalle congiunzioni e dai movimenti degli astri, dei quali Dio si serve come di strumenti intermedi per esercitare la propria azione sul mondo. Nell' universo esiste dunque un ordine regolare, perché regolari sono i moti astrali: l' astrologia é così spiegata come strumento dell' ordine naturale e razionale che regna nel mondo. Di conseguenza non c'é alcun bisogno di ricorrere all' intervento di entità soprannaturali ( quali i dèmoni ) per spiegare ciò che agli ignoranti appare come un prodigio. La "prodigiosità" di alcuni fenomeni consiste solamente nel fatto che talvolta queste congiunzioni si ripetono a intervalli molto lunghi, rendendo il fenomeno particolarmente raro, inconsueto e, quindi, apparentemente prodigioso. Ma, se tutti gli eventi del mondo, comprese le azioni umane, sono regolati da un piano che li trascende, resta da chiarire quale spazio rimanga alla libertà dell'uomo. Pomponazzi risolve questo problema ricorrendo a questa argomentazione: la libertà può coesistere con la provvidenza divina, concepita come ordine razionale che governa il mondo e quindi, in termini stoici, come fato . Tutto questo significa che al determinismo astrologico non sono soggette soltanto i fenomeni naturali, ma anche le azioni umane: nel pensiero di Pomponazzi il " fato", che pure può identificarsi con la provvidenza di Dio, sembra prevalere sul libero arbitrio dell'uomo.

LORENZO VALLA Nel Rinascimento ottiene notevole successo anche l' edonismo, nella formulazione datane da Epicuro. L' imitazione in Valla e non solo non é del tutto servile, perché l' edonismo ha la sua radice nel sentimento terreno della nuova vita, che si abbandona al libero gioco dei suoi sensi, delle sue passioni, delle sue attività. La natura per il Valla non é matrigna, é invece benigna largitrice del piacere e alleviatrice delle cure dei mortali: l' amore della gloria, fuori dal clima edonistico, non é che una vana chimera (che giova infatti ai morti la gloria, se non hanno sensi per goderla?); e l'infamia é fuggita non come cosa disonesta, ma perché si teme con essa di perdere credito; la gloria e il disonore non sono che mezzi subordinati al fine del piacere. E l' edonismo é dottrina che implica ragione e discernimento; in questo senso il piacere prend...


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