A Scuola DI LibertÀ - riassunto valido anche per l\'esame di pedagogia interculturale PDF

Title A Scuola DI LibertÀ - riassunto valido anche per l\'esame di pedagogia interculturale
Author Ursula Fazi
Course Pedagogia
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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riassunto valido anche per l'esame di pedagogia interculturale...


Description

A SCUOLA DI LIBERTÀ, RIASSUNTO 1. L’ESSENZA DEL PENSARE INTERROGARE LE QUESTIONI DI SIGNIFICATO Conoscere e pensare Il conoscere è la ricerca della verità, mentre il pensare è la ricerca del significato, dunque il desiderio di conoscere è differente dal bisogno di pensare. Il conoscere ha per oggetto questioni relative alla scienza, alle quali è possibile rispondere con certezza; al contrario, il pensare ha come oggetto “questioni di significato”, rispetto alle quali la mente non può dare risposte definitive. Ci sono infatti delle questioni di significato, delle domande, che non possono avere una risposta certa proprio perché sono inerenti all’esperienza umana, per questo Arendt le definisce questioni “irrispondibili”. Per questa ragione il pensare è destino, poiché non trovando mai delle risposte definitive, l’essere umano è destinato a pensare e ripensare sempre, riflettere costantemente anche sulle stesse questioni. Il pensare è un bisogno di senso che caratterizza l’esistenza, dunque l’uomo non può stare senza pensare, altrimenti non sarebbe propriamente umano. Ovviamente però, bisogna che il pensiero sia di qualità; infatti l’aver cura della vita equivale all’aver cura del pensare, dunque la qualità della riflessione dipende anche dalla qualità della nostra vita. Interrogarsi inoltre è importante perché le risposte possono costruire quell’orizzonte di criteri in base ai quali dare una direzione alla propria vita: il dedicarsi ad esaminare le risposte ci salva dal rischio di accettarne alcune passivamente, e questa è la condizione essenziale per la libertà. Questioni indecidibili Arendt considera le domande proprie del pensare come “domande di significato” e le identifica con quelle metafisiche, che sono espressioni di un pensare senza uno scopo, e sono dunque irrispondibili. L’autore invece, vuole distinguere fra le domande metafisiche e le domande di significato. Esse hanno in comune il fatto che sia lo stesso soggetto a chiedersele; tuttavia nelle domande metafisiche si usa l’esperienza solo per interrogare, mentre nelle domande di significato la si utilizza anche per trovare delle risposte possibili. Entrambe comunque sue sono indecidibili, proprio perché non possono raggiungere delle risposte certe. Irrevocabilità del bisogno di pensare Anche se non trovano risposta, le domande di significato non possono non essere pensate: la ragione non può fare a meno di pensarle poiché rappresentano un dar voce al bisogno costitutivo dell’esistenza umana, ovvero il bisogno di significato.

Inoltre, nascendo, non si viene equipaggiati di una mappa già definita delle mosse dell’esistenza: dobbiamo noi trovare le direzioni giuste, e questa è una ragione in più per capire che l’esercizio del pensare è non solo è un obbligo, bensì una caratteristica naturale dell’essere umano, per prendersi cura della vita ma anche per essere LIBERO. La libertà di cui si parla è quella di decidere da sé a quale forma si vuole appartenere. Le verità del pensare L’attività del pensare produce risposte provvisorie che chiedono costantemente di essere interrogate; per questa ragione, il pensare è da sempre considerato un’attività fuori dall’ordine. Arendt suggerisce che tra il pensare e il conoscere c’è differenza non solo rispetto all’oggetto dell’indagine, ma anche della ragione che ispira tali attività, ovvero il bisogno di senso per il pensare e il bisogno di verità per il conoscere. Verità e senso (o significato) sono due cose differenti, ragion per cui “aspettarsi la verità dall’attività del pensare significa confondere il bisogno di pensare con l’impulso di conoscere”. Dunque non possono designare la medesima cosa, però si può considerare il fatto che esista un insieme di verità, differenti tipi di verità oltre a quella della scienza, oltre a quelle del conoscere, ossia la verità dell’esistenza, del pensare, verità per esistere. Pensare l’uso del conoscere Nei nostri giorni è importante riflettere su come interrogare le conoscenze tecniche che possediamo. Siamo tutti d’accordo nel dire che la scienza è uno strumento che ha il potere di migliorare la qualità della vita, però può anche peggiorarla, tutto dipende dal modo in cui viene utilizzata. Purtroppo la generazione umana ha avuto sempre il desiderio di andare oltre i limiti, di rendere la terra oggetto di manipolazione, questo perché l’uomo vuole ribellarsi contro la sovranità della natura su di esso. L’uomo si rende conto della precarietà della sua condizione difronte a madre natura, per cui si impegna a sviluppare le potenzialità della sua ragione nella costruzione di dispositivi che possano manipolare le forme di vita. Il rischio è proprio quello di incrementare le problematicità, per cui è necessario porre la questione sotto lo sguardo del pensare, attraverso una domanda: “chi crediamo di essere e in quali condizioni vogliamo vivere?”. Il problema non consiste nel decidere se arrestare o meno lo sviluppo tecnologico e scientifico, ma quali direzioni di sviluppo scegliere. La specie umana ha necessità della tecnica, ma le tecniche devono essere interrogate, ovvero bisogna riflettere e meditare su tutto ciò che può implicare l’utilizzo di una tecnica rispetto ad un’altra. Se non meditiamo, diventeremo schiavi delle nostre conoscenze, diventeremo privi di pensiero. Dunque il pensare

è un’attività che è compito di ciascuno, in quanto cittadino, per cui tutti devono prendersene la responsabilità. ESAMINARE CRITICAMENTE Interrogare radicalmente L’essenza del pensare richiede che la mente si impegni ad esaminare criticamente le idee già consolidate, infatti la funzione critica del pensare viene esplicata nell’esercizio della riflessione rigorosa nei confronti dell’orizzonte simbolico. Dunque l’esercizio della critica è un compito essenziale cui è chiamato il pensare, e consiste nel praticare una forma di auto-eco-analisi, cioè di analisi di sé in relazione al contesto in cui il proprio pensare prende forma, per disvelare le logiche cui irriflessivamente la mente rimane ingarbugliata. È fondamentale quanto giusto e necessario trovare i limiti della ragione, così come nutrire la critica che spinge la coscienza ad andare a fondo, a rivoltare come un calzino ogni argomento, per comprenderne le implicazioni esistenziali, sociali e politici. Maestro di questo stile del pensare è Socrate, il quale insegna che, per coltivare un pensiero libero, siamo chiamati a esaminare non solo le questioni nuove, ma anche le parole che indicano concetti, il cui significato tendiamo a usare irriflessivamente. Si tratta di quei concetti in uso inconsapevolmente, poiché sono certezze ormai radicate nella nostra mente che regolano la nostra vita, concetti che si danno per scontato. Ad esempio parliamo di giustizia, ma sappiamo davvero dire in cosa consiste? Sappiamo darne una definizione? I concetti che si sono strutturati per rispondere tali questioni, costituiscono parte integrante del nostro linguaggio quotidiano, tuttavia, se interpellati, non permettono di rendere conto con sicurezza del loro significato. L’ESAMINARE RADICALMENTE CRITICO è dunque quello che rimette in dubbio anche le certezze più assolute e non accetta una risposta che non poggi su evidenze discorsive certe. Il metodo socratico ci insegna ad avere il coraggio e la pazienza di mettere in discussione il proprio bagaglio di idee, impegnandosi a non accettare come evidente alcuna teoria o convinzione consolidata fino a quando non sia stata sottoposta al vaglio scrupoloso dell’analisi critica. Solo attraverso questo impegno il soggetto pensante può pervenire a una più autentica comprensione della sua esperienza. Il vento del pensiero Il pensare radicalmente critico svolge la funzione di disordinare sistemi standardizzati di pensieri e la funzione distruttiva di mettere radicalmente in discussione le idee. Per esplicitare la funzione disordinante del pensiero, Socrate ricorre alla metafora del vento, spiegando che esso è concretamente invisibile, eppure il suo passaggio viene percepito poiché scompiglia ogni cosa e nulla rimae nella forma in cui era prima del suo passaggio. Il pensiero critico quindi svolge

anche la funzione distruttiva di mettere in discussione alla radice ogni pensiero costringendo a disfare pensieri già formulati per ricominciare da capo. La giusta misura della critica Arendt crede che mantenersi liberi rispetto alle verità date non significa essere chiamati a distruggere ogni certezza, perché è vero che non farlo ridurrebbe l’uomo a perdere la sua libertà e umanità, ma è altrettanto vero che il mondo sociale necessita di una certa quantità di certezze per sopravvivere. Dunque la soluzione non è rinunciare alla critica, perché equivarrebbe a rinunciare alla libertà, e nemmeno esercitare la critica su tutti gli argomenti. Il giusto sta nel mezzo, per cui bisogna impegnare il pensiero a decongelare tutto ciò che produce asfissia del pensiero, ma solo laddove la critica sia un’irrevocabile necessità. L’etica della fragilità Non è vero che la mente sia sempre attiva: essa comporta anche zone di passività rispetto a sé stessa, poiché è schiava dei suoi stessi pensieri. Per non ridurre sensibilmente la libertà di pensare, è necessario disfarci dei pensieri già pensati, di smobilitare convinzioni che impediscono il libero fluire del pensiero verso altri orizzonti. In questo senso, l’attività del pensiero è anche distruttiva, dunque autoesaminarsi è essenziale per uscire dalla gabbia di convinzioni che ci rendono schiavi. Mettere in discussione le risposte di significato che regolano le nostre azioni non è cosa facile da sostenere, proprio perché significa andare al cuore dell’anima, cioè accedere alla zona più intima della mente, dove il soggetto coltiva e nutre quei pensieri. Mettere in discussione questi pensieri costa anche in termini emotivi, oltre che cognitivi, perché quando alla mente sembra di aver raggiunto un punto di vista solido, una teoria argomentata, essa fatica a rinunciarci. Il vivere umano è dunque fragile costitutivamente, ma dev’esserlo anche il pensiero, ovvero disposto a costruire teorie che mantengono uno statuto di fragilità, perché tessute con idee pronte a frantumarsi sotto l’urto dell’esperienza e dell’incontro con altri universi simbolici. La ragione che accetta lo statuto di fragilità della condizione umana ha la qualità della leggerezza perché svincolata finalmente dall’illusione che spinge alla ricerca della teoria definitiva, accetta di rimanere esposta al divenire imprevedibile; quella fragilità che per la ragione forte è un limite, per la RAGIONE LEGGERA è invece il limite invalicabile nel cui perimetro va cercata l’eccellenza del pensare. La ragione leggera è quella che non lascia ai suoi pensieri il tempo di cristallizzarsi, perché è impegnato a mantenere aperta la conversazione con altri stili di pensiero, e che nel dialogo sa trovare il terreno per costruire nuove versione del mondo. L’etica della fragilità si nutre dell’auto-comprensione, che è un movimento in cui l’attività cognitiva si volge a indagare i suoi presupposti concettuali e le sue abitudini. La pratica

dell’auto-comprensione ha l’effetto di scuotere le fondamenta, di introdurre incertezza, apre la possibilità di rinascere forme nuove di pensiero, e quindi a inedite forme di esperienza. È così che sta in una condizione di apertura al divenire dell’esperienza.

2.DIALOGARE PER IMPARARE A PENSARE LA QUALITÀ DUALE DEL PENSARE La pluralità del pensare Il pensare è sì il dialogare silenzioso tra sé e sé, ma si impara stando nella relazione con altri: il pensare, anche quello solitario, ha un’origine sociale, poiché partecipando alla conversazione con altri si apprende a pensare. Quello in cui realizziamo la nostra essenza è il linguaggio colloquiale, quello che si impara ascoltando l’altro. Per cui il pensare conserva una matrice DIALOGICA, a testimonianza di come la condizione umana sia caratterizzata dalla pluralità. In quanto condizione dell’esistenza umana, la pluralità è anche la condizione del processo di ricerca della verità, perché nessuna idea proferita da un solo individuo può ritenersi vera. La condizione necessaria affinché un’idea sia accettata è che essa converga l’accordo di più di uno, cioè di molti. La matrice dialogica del pensare Se il pensiero è un dialogare silenzioso tra sé e sé che genera la dimensione coscienziale della mente, esiste allora una matrice duale, nel senso che, appunto, esiste un altro sé con cui il mio sé dialoga. Quando ci si ritrova soli con se stessi è doloroso non sentirsi in accordo con quell’altro sé da cui nulla e nessuno può separarci. Questa è la base del pensiero di Socrate sul principio etico, per cui la coscienza, quando appare, fa sentire tutto l’onere etico dell’esistenza, poiché è sempre accompagnata dal senso di responsabilità. Se è grave trovarsi in disaccordo con se stessi sul piano etico, non meno drammatico è scoprirsi mancanti di avere dato una buona forma all’esistenza, e questo accade quando ci si è astenuti dall’impegno di fare ciò che fa bene. Infatti, il dolore non viene solo dal fare il male, ma anche dall’astenersi del fare il bene. Se l’emergere della coscienza ha la sua matrice nel dialogo, allora la pratica la pratica del pensare come dialogo interno va vista in tutta la sua potenzialità etica. Infatti avere coscienza significa cercare ciò che è bene e la ricerca del bene è la ragione stessa dell’etica. Il pensare dunque è un’attività che produce effetti morali, trasformando chi pensa in qualcuno, in una persona o personalità. L’apprendimento, per essere significativo, implica la partecipazione diretta a esperienze in cui l’oggetto da apprendere sia messo in pratica, dunque è necessario divenire apprendisti dentro una comunità di discorso intesa come comunità di pratica del pensare. PROBLEMATICIZZARE

Tenere aperto il sentiero del pensare Le “comunità del discorso” sviluppano la capacità pensare, in quanto facilitano la messa in atto di quegli scambi di parola che sono essenziali a promuovere la qualità propria del pensare. Sono degli ambienti a elevato livello di PROBLEMATIZZAZIONE, che si attualizza quando di ogni affermazione si chiede ragione. Socrate indica le fasi di un processo di problematizzazione: interrogare, esaminare e confutare. L’essenza del metodo socratico consiste nel fare domande e attendere risposte per riformulare altre domande. L’esistenza umana è sempre condizionata, infatti non sono solo i fattori naturali, bensì anche quelli artefatti, ovvero i prodotti del pensiero introdotti nel mondo che condizionano costantemente i loro artefici. Per questa ragione è necessario promuovere la consapevolezza che la libertà non è mai garantita, ma va sempre cercata e salvaguardata attraverso l’esercizio di un pensare problematizzante che, mettendo in questione procedure e prodotti della pratica discorsiva, la mantiene liquida. Il problematizzare autentico Il problematizzare di cui parliamo è senz’altro quello autentico che, a differenza di quello formale nel quale si fanno domande pur pensando di possedere già le risposte, è messo in atto da chi facendo domande, non solo non crede di avere le risposte, ma corre anche il rischio di non arrivare mai a teorie accettabili. Questa è l’apertura della mente al possibile che mette in moto il pensare. Chi ha la responsabilità di attivare comunità di pensiero ha l’obbligo di risolvere le difficoltà che il pensare critico solleva. Il tipo di pensieri che dovrebbe mettere in moto è quello dei fermenta cognitionis, ovvero idee che fermentano l’attività cognitiva, per cui il pensatore libero coltiva fermenti cognitivi vivi, ossia pensieri che danno da pensare. COOPERARE Cercare l’accordo Platone definisce il pensare come il dialogo silenzioso che l’anima intrattiene con sé stessa. Infatti la qualità essenziale del pensare è il dialogare, e non ha nulla a che fare col mero conversare, poiché non ha un fine preciso, tanto meno un mero discutere, perché in quel caso il rapporto fra i due partecipanti assumerebbe una dimensione bellica: entrambi interverrebbero solo per affermare il proprio pensiero, senza arrivare ad un accordo. È proprio questo il punto: l’accordo è il principio etico del dialogare; proprio perché il dialogare è matrice generativa della coscienza, introduce all’interno della mente una problematicità radicale, in quanto attraverso il dialogo interno si arriva a trovarsi in disaccordo con se stessi. Nella sua essenza il dialogo è un’attività che cerca l’accordo. Accordarsi significa

COOPERARE. L’etica amicale Il pensare insieme richiede un clima e un ambiente in cui si diventa amici gli uni con gli altri, infatti le idee valide prendono forma quando si tratta l’altro non come un avversario da battere, bensì come un amico con cui costruire insieme qualcosa cercando un accordo. Un ambiente amicale e cooperativo evita il contrasto di opinioni che porta semi distruttivi; altresì evita l’arrendevole consenso che finisce per lasciare le cose come stanno, ossia ognuno con la sua opinione. È necessaria dunque l’onestà discorsiva che consiste nel vedere e accettare differenze, facendole operare in un confronto sincero. Infatti il principio etico è quello della sincerità, della franchezza, dell’apertura e spesso dell’empatia, ovvero quella capacità di mettersi nei panni dell’altro, di provare ciò che prova l’altro. La qualità del dialogare Se il pensare ha bisogno delle parole per manifestarsi, allora si può dire che pensiero e dialogo siano un tutt’uno. Per cui dobbiamo analizzare la qualità degli atti discorsivi prodotti nello scambio dialogico. La pratica del problematizzare manifesta i seguenti atti discorsivi: chiedere chiarimenti, esprimere dubbi, sollevare problemi e mettere in questione l’idea dell’altro. L’approccio cooperativo mette in moto i seguenti attivi cognitivi: prendere in considerazione l’idea dell’altro, impegnarsi ad interpretarla, svilupparla e a dare forma, a partire da essa, ad una nuova idea. Quando l’ambiente di pensiero è permeato da un’autentica intenzionalità problematizante, che intende smontare ogni idea data per scontata, allora l’effetto è quello di provocare una MESSA IN MOVIMENTO DEL PENSIERO. PRATICARE L’ARTE MAIEUTICA Non sempre il pensare si esternalizza in prodotti che vale coltivare, in certi casi infatti, si tratta di idee infondate o insensate che occorre subito individuare e abbandonare per non inquinare il dialogo. Inoltre, proprio perché essere e pensare sono la stessa cosa, negare il valore di un’idea può essere percepito dall’interlocutore come una messa in discussione di sé, del suo valore di pensatore e persona. Per cui il ruolo di facilitatore del dialogo richiede non solo competenze tecniche, bensì una maturazione etica nell’aver cura delle idee altrui: ci vuole fermezza e decisione ma anche rispetto, delicatezza e umiltà. Inoltre, bisogna aver cura delle parole; esse hanno il potere non solo di dire la verità, ma anche di cancellarla, per cui è il potere di fare del bene ma allo stesso tempo di fare del male, di annichilire il pensiero. Dunque è necessario un uso adeguato del linguaggio per non inquinare il dialogo e di conseguenza la mente di

chi ascolta, perché le parole che si dicono e che si ascoltano s’imprimono nella mente. Sono da evitare anche troppe parole e discorsi troppo lunghi, al contrario sono necessarie domande chiare e risposte brevi. Il tempo quieto per pensare Un’ultima condizione fondamentale del pensiero per arrivare a discorsi validi è che si stia in pace in un tempo libero; infatti se ci si trova vincolati in una costrizione, il pensare diventa inutile. Dunque l’imperativo categorico proposto dalla Arendt è quello del “fermati e pensa”. Bisogna intenzionalmente ritagliarsi uno spazio per pensare, si tratta di un tempo quieto, fuori dall’ordinario.

3.LA POLITICA DEL PENSARE DELIBERARE La vita di ognuno è sempre indiscutibilmente connessa con quella degli altri, è per questo che solo in presenza di altri ciascuno manifesta la propria essenza singolare. La qualità della nostra vita dipende dalle relazioni perché ciascuno, per esistere ha bisogno sempre di qualcosa che solo l’altro può dare. Infatti la relazione con l’altro è la condizione necessaria per nutrire una vita cognitiva e affettiva, ma anche per cercare la migliore forma possibile per proprio esistere. Certo, con-vivere non è semplice, dunque ...


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