Catullo - Carme LXVI PDF

Title Catullo - Carme LXVI
Course Lingua latina
Institution Università degli Studi di Catania
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Summary

Analisi completa del Carme LXVI di Catullo - Metrica, costruzione, traduzione, analisi grammaticale, analisi stilistico retorica. ...


Description

Catulli – Carmina Docta Carme LXVI

Introduzione Il carme 66 rientra nei carmina docta, è un testo problematico sotto più punti di vista, forse il meglio riuscito di Catullo nella sezione dei carmina docta, interamente dedicato ad un fenomeno, il catasterismo, processo metamorfico proprio della tradizione greca per cui un’entità subisce una trasformazione in stella, cioè il suo collocarsi nella volta celeste. Fenomeni di questo tipo per Roma rappresentano una novità e questa novità transita su suolo latino grazie all’intervento di Catullo nel I sec. a. C. Bisogna fare attenzione anche al sostrato letterario su cui si costruisce questo carme. Catullo vive nella prima metà del I sec. a. C., nasce intorno all’ 80 del I sec. a.C. e questo è un dato che ricaviamo dal Cronicon di Gerolamo, da cui si evince che Catullo muore intorno ai 30 anni. Nei carmi del liber ci sono dei riferimenti storici che non vanno oltre il 55 a. C. (spedizione britannica di Cesare – riferimento nel carme 11 e nel carme 113 egli fa rifermento al secondo consolato di Pompeo). A Roma Catullo riesce ad inserirsi nella società galante di Roma, inizia a frequentare personaggi come Virgilio, Cornificio, Licinio Calvo, Cinna che sono i cosiddetti poetae novi, circolo di letterati così etichettati da Cicerone un po’spregiativamente, cioè portatori di una moda nuova a Roma, ancora ancorati ad una tradizione che è il circolo degli Scipioni, suscita una grande perplessità. Probabilmente entra in rapporto anche con Gaio Memnio e con lui partirà per la spedizione in Bitinia, probabilmente per dimenticare Lesbia e in questa occasione avrà modo di visitare la tomba del fratello morto sepolto in Troade, di cui rimane traccia nel carme 101, rielaborata da Ugo Foscolo. L’opera di Catullo venne identificata come un liber perché è lui stesso a definirlo in questo modo. La relazione con Lesbia nasce intorno al 60, 59 a. C. Lesbia appellativo attribuito da Catullo a questa donna di nome Clodia, in onore di Saffo. Lesbia era Clodia, la seconda delle tre sorelle di Publio Clodio Pulcro, tribuno della plebe, personaggio molto in vista, avversato da Cicerone. Clodia era la moglie di Quinto Metello Celere, personaggio in vista poiché nel 62 a. C. aveva ricoperto il consolato e nel 60 a. C. gli era stato assegnato un proconsolato in Gallia Cisalpina ed è proprio nel 60 a. C. Q. M. Celere fa visita al padre di Catullo e proprio in quest’occasione Catullo si invaghisce di questa donna e inizia la relazione. Nel 59 a. C. il marito di Clodia 1

muore, lascia Catullo e intraprende la relazione con Celio Rufo. La fine di questo amore è sugellato dal carme 11 in strofe saffiche e l’incipit di questo amore è emblematizzato dal carme 51 che è non a caso in strofe saffiche ed è una traduzione di Saffo, scelta oculata. All’interno del liber abbiamo solo due carmi in strofe saffiche che sono l’11 e il 51, una scelta programmatica: con la strofa saffica Catullo inaugura la sua storia con Lesbia e la chiude. Il liber è una raccolta di 116 carmi a cui si aggiungono 3 frammenti, che non fanno parte dell’edizione del liber, ma confluiscono in un’edizione dei frammenti dei poeti preneoterici e neoterici. I carmi hanno una disposizione interna che non possiamo attribuire a Catullo, il libricino forse fu rimaneggiato da un membro della sua cerchia che ha dato una disposizione dell’opera: - I primi 60 carmi sono le cosiddette nugae (coserelle): componimenti brevi polimetrici, prevale il faleceo, ma troviamo anche trimetri giambici nella forma coliambica - Dal 61 al 68: i carmina dotta che hanno una cura stilistica e formale più forte rispetto agli altri e sono più lunghi. Sono per lo più in esametri e in distici elegiaci. Il 61 sono strofe di gliconei e feregratei, segno di forte sperimentazione metrica; il 62 è in esametri, il 63 nelverso galiambo, il 64 in esametri perché si tratta di un epillio, il 65, 66, 67 e 68 in distici elegiaci - Dal 69 al 116: gli epigrammi, il metro dell’epigramma è il distico elegiaco (in Marziale però si trovano epigrammi in falecei) Il Carme I è dedicato a Cornelio Nepote che ha scritto un’opera sulle biografie di sovrani. Catullo probabilmente aveva previso o una piccola sezione del liber o tutto il liber dedicato a Cornelio Nepote. Il Carme 66 si inscrive nella sezione dei carmina docta dove un criterio di uniformità c’è. (I carmina docta sono tutti incentrati sulla tematica nuziale.) • Il carme 61 è un epitalamio cioè un carme per le nozze di due amici di Catullo Manlio Torquato e Vinia Aurunculeia. • Il 62 è un carme nuziale in esametri non dedicato a personaggi ben precisi. • Il carme 63 è dedicato ad Attis. • Nel 64 si torna alla tematica nuziale con l’epillio che celebra le nozze di Beleo e Teti, in cui catullo mette a confronto la fides su cui deve imperniarsi il matrimonio e il monito di Catullo perché la fides può essere tradita come ci insegna il mito con Arianna tradita da Teseo abbandonata sulle coste. • Il 65 è un carme breve, di accompagnamento al carme 66. • Il carme 66 ha pur sempre una tematica nuziale perché si tratta pur sempre di una tematica nuziale. • Il 67 rappresenta una parodia della tradizione nuziale. • Il 68 è dedicato ad una parodia di Manlio che perde la moglie. 2

Al problema della struttura del liber si aggiunge lo stato della tradizione. Il problema di Catullo è che ci è giunto in una forma molto tormentata, innanzitutto dopo la sua morte non è stato più letto, ci sono tracce di lettura Catulliana in Orazio. Già Quintiliano che scrive nel I d. C. l’istitutio oratoria, comincia a prendere le distanze dalla letteratura non solo di Catullo, ma da tutti quesi testi scritti in falecei, egli cerca di proporre un programma scolastico che abbia dei punti fermi, non rientrano in questa categoria da sottoporre ai giovani i testi in falecei. Non abbiamo più tracce di Catullo, se non nei grammatici e metricologi del II-III sec. d.C. che si interessano a Catullo per il motivo metrico. Dopo si perdono le tracce se non in Venanzio Fortunato, scrittore cristiano che muore nel 630 d.C., in un carme n. 10 del VI libro di questa grande raccolta usa una espressione hiulcatos agros, il verbo hiulco è un verbo raro lo usa solo Catullo nel carme 68. Dopo questa citazione Catullo torna nell’oscurità. Nell 845 d. C. (IX sec.) un monaco di nome Hildemar sembra citare un carme di Catullo il 67: “Brescia madre amata della mia Verona”. Dopo si perdono le tracce di Catullo, si arriva al 966 d. C.il vescovo di Verona , Ratelio, dice in una sua omelia che la sera leggeva Catullo e soprattutto un Catullo che prima non è stato mai letto. Non ne sappiamo i motivi di questa frase, sappiamo solo che di questa Resurretio è testimone lo stesso Ratelio. Dopo il X secolo si deve aspettare il 1290 circa perché si possa tornare a parlare di Catullo, siamo già nel preumanesimo, che nasce a Padova. I personaggi che si muovono nel preumanesimo padovano sono Albertino Mussato, Lovato Lovati e tra di loro comincia a circolare un Catullo e il personaggio Geremia da Montagnone che scrive un liber moralium e cita più volte Catullo. A Padova inizia a Circolare questo Catullo e nel 1315, Albertino Mussato probabilmente copia un codice di Catullo e a questo periodo troviamo un piccolo epigrmamma in cui si parla di un notaio tribuit Francia nomen a cui attribuì il suo nome la Francia, cioè si chiamamva Francesco, porta con se in Italia, un libricino di Catullo, quindi una seconda Resurrectio, si riscopre un nuovo Catullo, c’è di mezzo ancora una volta la Francia. Tra il 1344 e il 1345 Petrarca legge Catullo, lo usa più volte dei Rerum vulgaria fragmenta. Petrarca nei suoi spostamenti andava a saccheggiare tutte le biblioteche del Centro e Nord Italia. Nel 1345/46 non ci sono ancora codici catulliani, ci sono solo testimonianze indirette, di codici presumibilmente letti, posseduti da questi medievali e umanisti. Il primo codice è del 1360 circa, è siglato O che sta per Obsoniensis (conservato a Oxford) che è Il Canonicianus Classicus latinus 30 del 1360 circa, vergato da un copista incompetente, che commette gravi errori, vessato da mende da vario tipo e molto spesso fotografa uno stato della tradizione più interessante. Nel 1375 qbbiamo il primo codice datato con sicurezza, il codice G (codice Parisinus, un tempo San Germanensis che ha come sigla Parisinus Latinus 14.137), il copista di cui non conosciamo l’idenitità si firma con una subscritio dicendo di aver ultimato la trascrizione del manoscritto nel 1375. Questo codice, molto simile ad O è migliore di O, presenta migliorie del testo che non sono imputabili al copista, ma di un’attenta lettura di un antigrafo, forse in comune con O. 3

Nel 1390 si aggiunge un terzo codice, il codice R (Romanus), di straordinaria importanza che è il codice antigrafo di tutti i codici successivi. Questo codice, conservato nella biblioteca apostolica vaticana non si conosceva fino al 1907-1908, quando uno studioso britannico si accorse che esisteva questo codice, ma era sbagliata la segnatura, un bibliotecario aveva classificato Catullo con la segnatura 1809, quando invece era 1829. Codex Romanus o Ottoboniano Latino 1829 (Ottoboniano perché molti codici della vaticana sono defluiti dentro la biblioteca apostolica, proveniendo da fondi di prelati o di altri cardinali che avevano qualche legeme col vaticano, in questo caso il professore Ottoboni. La trascrizione di questo manoscritto fu commissionata da Coluccio Salutati, che insieme a Petrarca fonda la scrittura umanistica, una restaurazione della Carolina. Egli chiede a un copista di copiare un Catullo, che successivamente veniva sottoposto alla sua revisione, è un emendatio ope codicis, interviene successivamente poiché non si fida del copista. Oggi la costitutio textus di questi tre manoscritti si fonda su questi tre codici O, G ed R. Più o meno 117 manoscritti di età umanistica rinascimentale sono tutti riconducibili ad R, a volte con collazione di O. Tuttavia si pone un problema perché nel secolo scorso Francesco della Corte aveva fatto il ragionamento: possiamo ricondurre la tradizione manoscritta di Catullo ad O, G, R, unificati sotto il codice V (Veronensis) perché a monte di O G R c’è una sola matrice. Della Corte si pose il problema se ci fosse stata una tradizione non V, ma ciò non è possibile. Questo non significa che i manoscritti più recenti debbano essere eliminati, Pasquali ci ha insegnato che un codice del 16° secolo può derivare da un testimone più antico da quello dai cui dipendono O, G, R. L’editio princeps di Catullo è del 1472, dopo inizia una sequela di edizioni commentate dove gli umanisti quando commentano determinati versi dicono molto spesso codex meus habet, codex vetustissimus habet. Quest aggettivi non possonoessere presi con superficialità. Il lessico tecnico usato dagli umanisti è preciso, l’errore della filologia britannica è che non può spiegare quei rivoli di tradizione più antica ricavabili anche da edizioni a stampa.

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Il carme 66 Nel carme 65 Catullo dice al suo amico Quinto Ortenzio Ortalo, oratore del I sec., di dedicargli la traduzione in latino dei carmina del Battiade, ovvero Callimaco di Cirene; segue il carme 66 che è la traduzione di questo testo di Callimaco, passato alla storia con il titolo “La chioma di Berenice”. Callimaco, nato a Cirene nel 310 a. C., si trasferisce ad Alessandria d’Egitto; siamo in piena età ellenistica e Tolomeo III, il faraone egiziano del tempo, richiama intellettuali che potessero contribuire alla formazione di questo grande impero. In questo periodo nasce la ver propria filologia perché si doveva costituire la Biblioteca di Alessandria; il filologo nasce per un’esigenza imperiale, tra questi Callimaco, che è un poeta ma innanzitutto un filologo. Callimaco scrive glia aetia, ovvero le cause. L’opera è strutturata in 4 libri, in cui sono raccolte una serie di elegie, ciascuna delle quali sono volte a spiegare l’origine di un rito, di un’usanza, lo spirito illuministico degli intellettuali di III sec. a. C. è questo. Ci troviamo davanti a una congenie di tradizioni mitiche, di testimonianze, di letteratura non sempre affidabile. Ogni elegia di Calimaco è dedicata ad un aition, tra questa ce n’è una in cui a parlare è un oggetto, un ricciolo di una chioma femminile, che spiega di essere stata trasformata in costellazione. Callimaco costruisce un testo di carattere letterario e spiega al pubblico dei presenti come è nata la costellazione. Quando Callimaco scrive questa elegia la concepisce come un poemetto assestante, cioè si deve presumere che nel momento in cui l’episodio deve essere avvenuto scrive l’elegia e la pubblica autonomamente. Abbiamo un testimone illustre, il papiro di Ossirinco 2258 (POxy.2258), in cui il carme è presentato come assestante e seguito con un altro carme (fr284 Pfeifer). Il carme nasce prima come carme d’occasione. In un altro papiro della società italiana pubblicato nel 1929 da Girolamo Vitelli (PSI 1902) dove l’elegia sulla chioma di Berenice si trova alla fine del 4° libro e così viene pubblicato oggi. Edizioni: una di Pfeifer (fr. 110) e una più recente di Callimaco a cura di Massimilla (tomo del 2010, il carme è numerato come fr. 213.). Da quella che era un’elegia autonoma, diventa un’elegia alla fine del quarto libro, perché Callimaco voleva creare una corrispondenza con un altro carme relativo a Berenice, che si trova nell’esordio del terzo libro degi aitia “Per la vittoria di Berence”. Nel gennaio del 246 a. C. si celebrano le nozze tra Tolomeo III, l’Evergete e una donna di nome Berenice. In Egitto si erano stanziati i diadochi Tolemei, di origine macedone. Berenice è figlio del re di Cirene e Apama III, la quale era figlia di Antioco I, sovrano della Siria. Nella primavera dello stesso anno, Tolemeo è chimato alle armi, deve andare a soccorrere la sorella, di nome Berenice che aveva sposato Antioco II, quindi era regina della Siria. Antioco II muore e viene minacciata dall’ex moglie del marito defunto, che era stato sposato ad una donna di nome Laodice, poiché il marito aveva designato come successore al trono il figlio di primo letto Seleuco. Inizia la guerra siriaca nel 246, però Tolomeo è costretto a tornare in patria, si era formata una coalizione antiegiziana rischiosa. Berenice dice agli dei che se il marito fosse tornato 5

sano e salvo da questa guerra si sarebbe recisa la chioma e l’avrebbe fatta deporre in onore alle dee in segno di ringraziamento ed è quello che realmente avviene, la chione venne deposta nel Tempio di Arsinoe Afrodite, madre di Tolomeo, divinizzata. Il fatto storico si può costruire grazie a Igino. Abbiamo inoltre testimonianze indirette, in particolare di un autore di nome Nonno, che commenta Gregorio di Nazianzo, vive nel VI sec. d. C. Abbiamo la scoliastica che ci aiuta molto. L’indomani la chioma sparì forse perché trafugata da qualcuno. Vennero interrogati i dignitari di Corte, l’astronomo Conone riesce a placare la sua rabbia e lo convince che la chioma sia stata divinizzata, egli si convince e dato che esistevano costellazioni non identificate, Conone ne indicò una e indicò un insieme di stelle, secondo uno scoliaste si tratterebbe di una costellazione formata da sei astri, Nonno pensa che sia a forma di grappolo d’uva però individuò una precisa costellazione che finì nella volta celeste. Callimaco celebra il fatto facendo parlare la chioma di Berenice, c’è un filo di sarcasmo in questa costruzione letteraria e giustifica la nascita della costellazione di Berenice di cui i suoi colleghi astronomi allora si occupavano, co struendo questa giustificazione. Questo carme di Callimaco ci è giunto in modo frammentario, possiamo ricostruirlo grazie ai pochi versi della società italiana e il papiro di Ossirinco e dalle diegheseis (resoconti, riassunti) ed è qui che ci salva Catullo, che fa una tradizione emulativa, quello che fa lui è un’opera di originalità. Il testo di Catullo è fondamentale anche come fonte perché possiamo costruire le parti mancanti di Callimaco con l’elegia latina. Nella traduzione, la modifica più vistosa di Catullo è il cambiamento del genere dal maschile al femminile della persona loquens. Callimaco fa parlare una chioma sempre al maschile, Catullo li volge al femminile e utilizza i termini cesaries o coma.

Note: __ = dittongo

n.p. = nome del predicato

‿ (_) = aferesi

(…) = altra possibile traduzione

(_) ‿ = sinalefe

[…] = termine sottinteso

⁔ = iato 6

Vv. 1-6

Testo

Ṓmnĭă quīv māgnīv dīspḗxīt lūv mĭnă mūv ndī, quīv stēllāv r(um)‿ōrtūv s ǁ cṓmpĕrĭt āv tqu(e)‿ŏbĭtūv s, flāv mmĕŭs ūv t răpĭdīv sōlīvs nĭtŏr ṓbscūrḗtūr, ūv t cēdāv nt cērtīvs ǁ sīvdĕră tḗmpŏrĭbūv s, ūv t Trĭvĭāv m fūrtīvm sūb Lāv tmĭă sāv xă rĕlḗgāns dūv lcĭs ămṓr gȳrṓ ǁ dḗvŏcĕt āv ĕrĭṓ:

Costruzione Qui dispexit omnia lumina magni mundi, qui comperit ortus atque obitus stellarum, ut flammeus nitor rapidi solis obscuretur,

omnis, e lumina (le stelle) = sostantivo III decl, accusativo, neutro, plur => lūmĕn, luminis magni (della grande) = aggettivo I cl, genitivo, masch, sing => magnus, a, um mundi, (volta celeste) = sostantivo II decl, genitivo, masch, sing => mundus, i qui (e colui che) = pron. relativo, nominativo, masch, sing => qui, quae, quod comperit (capì) = 4°coniug, indicativo, perfetto resultativo, 3°sing => compĕrĭo, compĕris, comperi, compertum, compĕrīre ortus (il sorgere) = sostantivi IV decl, accusativo, masch, plur => ortŭs atque (e) = congiunzione => atquĕ obitus (il tramontare) = sostantivo IV decl, accusativo, masch, plur => ŏbĭtŭs, us stellarum, (degli astri) = sostantivo I decl, genitivo, femm, plur => stella, ae ut (e come) = congiunzione => ŭt flammeus (il fiammeggiante) = aggettivo I cl, nominativo, masch, sing => flammĕus, a, um nitor (splendore) = sostantivo III decl, nominativo, masch, sing => nĭtŏr, nitoris rapidi (del vorticoso) = aggettivo I cl, genitivo, masch, sing => răpĭdus, a, um solis (sole) = sostantivo III decl, genitivo, masch, sing => sōl, solis obscuretur, (si eclissi) = 1°coniug passiva, congiuntivo, presente, 3°sing => obscūro, obscūras, obscuravi, obscuratum, obscūrāre ut (e come) = congiunzione => ŭt sidera (le stelle) = sostantivo III decl, nominativo, neutro, plur => sīdŭs, sideris cedant (scompaiano) = 3°coniug, congiunt, presente, 3°plur => cēdo, is, cessi, cessum, ĕre certis (in determinate) = aggettivo I cl, ablativo, neutro, plur => certus, a, um 8

temporibus, (stagioni) = sostantivo III decl, ablativo, neutro, plur => tempŭs, temporis ut (e come) = congiunzione => ŭt dulcis (un dolce) = aggettivo II cl, nominativo, masch, sing => dulcis, e amor (amore) = sostantivo III decl, nominativo, masch, sing => ămŏr, amoris devocet (tragga a sé) = 1°coniug, congiuntiv, presente, 3°sing => dēvŏco, as, avi, atum, āre furtim (furtivamente) = avverbio Triviam (la Trivia) = sostantivo I decl, accusativo, femm, sing => Trĭvĭa, ae gyro (dal suo giro) = sostantivo II decl, ablativo, masch, sing => gȳrus, i aerio (aereo) = aggettivo I cl, ablativo, masch, sing => āĕrĭus relegans (relegandola) = aggettivo II cl, nominativo, femm, sing => rĕlēgans, ans, ans - con funzione di participio presente, 1°coniug => rĕlēgo, rĕlēgas, relegavi, relegatum, rĕlēgāre sub (tra) = preposizione => sŭb + accusativo (compl. di stato in luogo) saxa (le rocce) = sostantivo II decl, accusativo, neutro, plur => saxum, i Latmia: (di Latmo) = aggettivo I cl, accusativo, neutro, plur => Latmĭus, a, um

Note. • V.1 Qui > il brano inizia con un relativa e con un qui che rappresenta, per il momento, il soggetto imprecisato di tutto il periodo. • V.1 dispexit > tra le note del testo abbiamo despexit V cioè Mynors ci sta dicendo che al verso 1 V (consensus codicum OGR) ci prongono despexit che deriva sempre da despicio ma significa propriamente “osservare dall’altro verso il basso”. In questo caso, la correzione proposta da Calfurnio (Calph.), editore di Catullo e commentatore di un’edizione di Catullo nel 1481, propone la correzione dispexit che è avvalorata anche dal confronto con il modello greco che, per altro, lui non conosceva. • V.1 lumina > sostantivo che designa la luce. In Catullo, però, è il termine tecnico per indicare gli occhi: gli occhi della puella, gli occhi innam...


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