Fondamenti di filologia romanza PDF PDF

Title Fondamenti di filologia romanza PDF
Course Linguistica di base per lettere
Institution Sapienza - Università di Roma
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Fondamenti di filologia romanza Lezione 1. 10/03 La filologia è come l'artigianato, si impara facendola. Non è teorica. Filologia (dal greco φιλoλογία, composto da φίλος - philos - "amante, amico" e λόγος - logos "parola, discorso": "interesse per lo studio delle parole") è un termine che connota l'attenzione e l'amore per il discorso (in senso traslato, quindi, per il testo letterario). La trasmissione testuale è avvenuta grazie ai manoscritti almeno fino al Quattrocento. Quindi si pone il problema di possibili errori e molteplici varianti. Per ogni opera fino al Medioevo, dunque, troviamo varianti di un testo tra cui dobbiamo discernere. Si devono ricondurre le varietà ad un testo originale. La filologia è fatta da più discipline: quella classica, germanica o, nel nostro caso, la romanza. Le lingue "romanze" sono le lingue neolatine, ovvero quelle che discendono per via diretta o indiretta dal latino. Certamente l'italiano è tra queste. Poi da Occidente troviamo, nella penisola iberica: il portoghese, il galego (la lingua della Galizia, regione la cui capitale è Santiago de Compostela), lo spagnolo (o castigliano) e il catalano. Nell'area francese (gallo-romanza) si distinguono: il provenzale a Sud (la lingua d'oc di Dante Alighieri, anche detto provenzale occitano) nell'area che coincideva con l'antica Aquitania, a Nord la lingua d'oil. Dante è stato il primo filologo romanzo (lo notiamo nel suo trattato De vulgari eloquentia). La denominazione (e la classificazione) delle lingue che fa lui si compie in base alla particella affermativa. In provenzale oc< HOC (questo è), mentre in francese oil < HOC ILLE (questo è proprio quello); è da quest'ultima che deriva l'odierno oui. Poi c'è il franco-provenzale, una lingua di confine, a metà tra le due, che non vanta una tradizione letteraria importante. Si presentano così le lingue del sì, ovvero l'articolato complesso dialettale italiano (sì < SIC ; così è). Vengono inoltre riconosciute come vere e proprie lingue anche il ladino, il friulano e il sardo. La lingua romanza più orientale è il rumeno, che è anche la più contaminata da quelle slave. Ciò che studia questo tipo di filologia è come, da un'unica matrice linguistica, se ne evolvano varie attraverso un processo dissimilativo. Tutte le lingue romanze discendono dallo stesso ceppo classico? No. E di questo dato se n'era già accorto Dante. Per lui il latino classico era chiamato gramatica ed era contrapposto all'idioma trifarium (d'oc, d'oil, del sì), cioè al latino volgare. L'origine di queste lingue dev'essere ritrovata nel latino parlato dal popolo. Le etimologie, infatti, non sono fatte solo in base alle radici classiche; ma conoscendo l'origine più lontana e la risultante siamo in grado di ricostruire (aiutandoci anche con la comparazione) i lemmi volgari. Il filologo si occupa principalmente di letterature, non di lingue. Le lingue che discendono dal latino all'inizio erano molto simili, quindi questo studio si basa sul valore della somiglianza. Sicuramente poi la lirica italiana medievale è figlia della poesia provenzale. I siciliani hanno tradotto i trovatori. Dante, infatti, conosceva benissimo il provenzale e molti poeti sono citati e analizzati nella Commedia (ad es. Arnaut Daniel nel XXVI del Purgatorio, Folchetto di Marsiglia nel IX del Paradiso, Sordello da Goito nel canto VI del Purgatorio).

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Sicuramente conosceva anche il francese antico con cui erano scritte le chansons de geste 1. Infatti Paolo e Francesca leggevano "un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse". Inoltre c'è un poemetto (o corona, di 232 sonetti), Il fiore, che è attribuito a Dante e che sarebbe una traduzione del Roman de la rose 2. Con tutta probabilità conosceva anche il castigliano. Infatti Brunetto Latini, il maestro di Dante, dopo l'ambasceria ad Alfonso X di Castiglia venne esiliato da Firenze. Quindi possiamo dedurre che in ambito italiano provenzale e castigliano fossero ben conosciuti. Francesco Petrarca ne I trionfi cita Daniel e scrive imitazioni della poesia provenzale. Boccaccio aveva letto più biografie dei trovatori. Già solo analizzando le tre Corone sappiamo ricostruire qualche conoscenza dell'epoca. Non c'erano grammatiche d'uso come adesso; le persone lavoravano e ragionavano sui libri, inoltre erano molto mobili: Dante fu a Parigi, Petrarca probabilmente è stato in Provenza, Boccaccio alla corte angioina di Napoli. Analizzando la letteratura spagnola, la gallego-portoghese e la gallo-romanza si può notare la stessa situazione. Effettivamente tra le letterature troviamo molteplici livelli di incrocio e un tasso di intertestualità3 altissimo. Questo indice è molto alto nell'area romanza ed è un dato che giustifica un approccio non solo linguistico ma anche letterario. Raimbaut de Vaqueiras è un autore provenzale, anche definito "trovatore", ovvero un poeta che compone testi e melodie (sarebbe una figura simile a quella di cantautore, che operava nel Medioevo fino al Rinascimento, che nasce in Provenza e si sviluppa in tutta la Romania). A nord queste figure si chiamano trovieri, mentre in ambito galego trobadores. Per comparare i vari sistemi bisogna fare riferimento alla lingua, alla forma e ai contenuti. Tutti componevano testi e melodie, quindi c'era una precisa attenzione alla strutturazione strofica. Il termine strofa deriva dal greco ed è una ripresa più recente. Prima in provenzale si chiamava cobla < COPULA, proprio per il fatto che non esiste una strofe singola (per cui in italiano sarebbe la coppia). La strofa deve ripetersi identica a se stessa. Ognuna ha una melodia sillabica. La metrica romanza è difatti sillabica. Le letterature romanze sono strutturate come la Divina Commedia, cioè sono isosillabiche (il fenomeno opposto è l'anisosillabismo). Il trovatore compone testi con tot strofe seguendo lo stesso schema, anche rimico. La rima, ad esempio, è un'invenzione romanza e caratterizza, appunto, tutte le letterature scritte romanze: componimenti trobadorici, i sonetti di 1

Con l'espressione canzone di imprese o gesta si indica un genere letterario di tipo epico, sviluppatosi originariamente nella zona centro-settentrionale della Francia e attestato per circa tre secoli a partire dalla fine dell'XI secolo. Esso comprende un'ottantina di componimenti. Si caratterizza per essere «il primo genere poetico ben definito e strutturato» espresso in lingua romanza. Le sue origini, ed in particolare il suo rapporto con la poesia orale, sono tuttora oggetto di ampia discussione. 2

Il Roman de la Rose (Romanzo della Rosa) è un poema allegorico di 21.780 octosyllabes (in italiano, nel computo della atona dopo la tonica finale di verso, novenario) ritmati scritto in due parti distinte, da due diversi autori e a distanza di 40 anni. L'opera fu iniziata nel 1237 da Guillaume de Lorris, che ne scrisse 4.058 versi. In seguito, essa fu ripresa e completata, con più di 18.000 versi, da Jean de Meung tra il 1275 e il 1280. Il successo fu immenso, tanto che il testo fu uno dei più copiati per tutto il Medioevo: di esso, ci rimangono oggi all'incirca 300 manoscritti. 3

È un termine che indica il rapporto tra un testo e un altro.

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Cervantes, la chanson de Roland (che è in realtà in assonanza, che è comunque una corrispondenza fonica). Il tema principale è quello dell'amor cortese, in cui il motivo del rapporto tra signore e vassallo è trasposto nella relazione tra donna 4 (< DOMINA) e uomo. Questo è un esempio che dimostra come il sistema ideologico trobadorico abbia inciso sulla lingua. Il nome Raimbaut dev'essere pronunciato proprio secondo la scrittura, perché in provenzale c'è il mancato monottongamento rispetto al francese (quindi si conserva sia AUR - oro- che AUT, che tra l'altro proviene da una laterale, quindi in italiano l'autore si chiamerebbe Rambaldo). Strofa provenzale (1) Eras quan 5 vey verdeyar Ora quando vedo verdeggiare (rinverdire) Pratz e vergiers e boscatges, i prati e i verzieri6 e i boschi7 (boscaggi), Vuelh un descort 8 comensar voglio cominciare un discordo D'amor, per qu'ieu vauc aratges 9; d'amore, per la quale ragione io vado errante; dona.m 10

Q'una sol amar, perché una donna era solita amarmi,

È un incipit primaverile. Possiamo qui notare come la S marchi i plurali. Quindi in Provenza c'è un residuo dei casi, in particolare si parla di una declinazione bicasuale: RETTO che sta per nominativo e vocativo; OBLIQUO per tutti gli altri.

Le vocali finali del latino cadono tutte eccetto la A. E questa conservazione è fondamentale per questioni metriche e strutturali.

Mas camjatz l'es sos coratges, ma cambiato è il suo cuore 11, 4

In provenzale è chiamata domna, in francese dame.

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Quan è "quando" ed è una scriptio che rappresenta una labiovelare /kw/. La scrittura QU è un relitto, si pronuncia /can/, quella è solo una grafia etimologica. Si possono notare, dunque, tre tratti evolutivi: quello della labiovelare, la perdita della sillaba e la consonante finale. Infatti la vocale finale del latino in provenzale si perde. 6

Discende dal latino VIRIDARIU(M), tecnicamente: luogo in cui troviamo le cose verdi. Sarebbero dunque dei giardini nobiliari recintati. 7

È una parola franco-germanica, precisamente dal germ. *busk •sec. XII.

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La parola concordia deriva da CUM CORDIS e rappresentava il concetto di armonia (presente anche in Pitagora e in Boezio). Qui, però, si parla di discordia. Precisamente della discordia tra gli amanti, che viene trasposta al livello metrico. Il descort è un genere imitato da Giacomo da Lentini, che parla di discordo. 9

L'erranza è una condizione (e un concetto) che riguarda la sfera morale, interiore, psicologica o fisica. L'amante erratico (< ERRATICUM) perde la strada. 10

Si noti la grafia "dona.m": il pronome enclitico ha perso la vocale finale, come da regola, e si appoggia alla vocale precedente. 11

Letteralmente sarebbe "coraggio". Coratges è un nominativo singolare, quindi retto, ed è marcato nuovamente dalla s.

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Per qu'ieu faut dezacordar per cui io faccio discordare Los motz e.ls sos e.ls lenguatges. le parole e i suoni e i linguaggi. Quindi il discordo con l'amata provoca una discordanza totale. Tanto che l'autore nella seconda RETTO SINGOLARE

OBLIQUO SINGOLARE

-S

Ø

RETTO PLURALE Ø

OBLIQUO PLURALE -S

strofa cambia lingua (fatto che avverrà anche nelle altre). Il sistema bicasuale provenzale si può dunque riassumere: Lezione 2. 11/03 In questa strofa si delinea un volgare italiano, sicuramente con tratti tipici settentrionali. C'è un dibattito sul fatto che possa essere genovese o lombardo. (2) Strofa in volgare italiano Io son quel que ben non aio Io sono quello che non ho Ni jamai non l'averò, né mai l'avrò, Ni per april ni per maio, né ad aprile né per maggio, Si per ma donna non l'o; se non l'avrò attraverso la mia donna; Certo que en so lengaio certo che nel suo linguaggio

Il fatto che parli del "suo linguaggio" ci fa presumere che lei sia italiana.

Sa gran beutà dir non sò, la sua bellezza dire non so, çhu fresca qe flor de glaio, è più fresca di un gladiolo Per qe no m'en partirò. e per questa ragione non me ne partirò. C’è un testo in cui R. alterna strofe provenzali e genovese in un Contrasto che anticipa quello di Celo D’Alcamo in Rosa fresca aulentissima. Il contrasto di D’Alcamo gioca su due livelli stilistici, il livello finto alto del giullare e quello basso, siciliano, della donna protagonista. Il Contrasto con il genovese è diverso in R. La donna parla genovese mentre il giullare il provenzale (percepito aulico diversamente dal genovese). E’ importante perché è il primissimo testo scritto nella lingua del sì Viene raffigurata la donna del popolo, perciò è rappresentata una poesia burlesca differentemente dal discorso dove si parla di una donna importante.

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I testi analizzati dalla filologia romanza risalgono al periodo medievale. A fondamento epistemologico della ricerca si può addurre come motivazione l'elevata comprensione tra i parlanti. Dante si colloca come primo filologo romanzo, che conosceva abbondantemente l'area francese; e tutte le tre corone avevano competenze gallo-romanze. Stiamo analizzando Il discordo plurilingue di Raimbaut de Vaqueiras, autore di madrelingua occitana. Oggi si definirebbe "poliglotta", in quanto utilizza cinque lingue romanze differenti. Il discordo è un genere letterario importante in cui il trovatore mette in scena un dissidio tra l'io lirico e la donna amata. Annerisce i contenuti e li proietta a livello strutturale. Le strofe sono diverse, ma soprattutto lo sono i linguaggi (come ha scritto lui: le parole, i suoni e le lingue). Non c'è la corrispondenza totale, classica del sistema trobadorico. Il testo è collocabile tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII; la data estrema è sicuramente il 1205. Quindi, essendoci una parte scritta in un volgare del sì, questa è una delle scritture più antiche della lingua italiana. Raimbaut è consapevole della differenza dei linguaggi. Non è un dato superfluo. Ci aiuta a dire che si percepivano le differenze già nel Medioevo. Sarebbe dunque l'esito finale di un lungo processo. Questa teoria è documentata e argomentata da questa discordanza. Il gioco retorico porterebbe a conclusioni fondamentali dal punto di vista storico-lingusitico. La distinzione tra lingua e dialetto è altrettanto complessa, ma riguarda le nostre strutture mentali, non sicuramente la cosa in sé. È stato detto che la lingua è un dialetto con un esercito 12. L'italiano è la lingua più conservativa rispetto al latino, anche sul lato macroscopico: infatti le vocali finali si sono conservate (fenomeno che non è avvenuto né in francese né in provenzale). Questa mancata conservazione nell'area francese è un dato che rivela la struttura prosodica e ritmica della lingua. La maggior parte delle parole francesi o provenzali è più breve. Il primo verso di questo componimento sarebbe un decasillabo italiano. Possiamo dire che c'è quasi sempre una sillaba in meno in francese e quindi si possono dire più cose in meno spazio linguistico. Sarà interessante poi analizzare il comportamento dei poeti italiani che si ispiravano alla poesia provenzale. Le parole in italiano sono quasi tutte piane. Gli equivalenti occitani sono tronchi. Si delinea così una tendenza all'ossitonia (tranne nel caso della -a, unica vocale finale conservata). In italiano, dunque, il maschile è caratterizzato dalla -o finale, il femminile dalla -a. In provenzale il maschile è sicuramente una parola ossitona, il femminile una parola piana. Questa tendenza incide anche sulla denominazione delle rime provenzali. Le rime toniche vengono definite maschili, quelle piane femminili; indipendentemente dalla parola concreta che si trova in rima alla fine del verso. "Una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina" è una freddura che si riferisce all'arbitrarietà della distinzione tra un dialetto ed una lingua. Con essa, si vuole mettere in evidenza l'influenza che la situazione sociale e politica può avere sulla percezione di una comunità su cosa debba essere considerato lingua, e cosa dialetto. Questo adagio conobbe una certa popolarità grazie a Max Weinreich, un sociolinguista specializzato nello studio dello yiddisch, che l'aveva sentito durante una delle proprie lezioni. 12

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Analizzando la prima strofa possiamo notare un'alternanza tra rime desinenziali fondate sull'infinito (quindi maschili) e rime femminili piane in -atges. Notiamo adesso l'evoluzione delle parole: DOMINA > donna : sincope della vocale post-tonica /i/ nella parola sdrucciola (o anche proparossitona) e assimilazione regressiva. In provenzale: domna/dona/donna, ma la seconda scripsio potrebbe anche essere accompagnata da una /p/ (dopna), ma si leggerebbe comunque /dona/. COPULA > cobla : sincope della post-tonica /u/ e sonorizzazione della labiale intervocalica (fenomeno che è avvenuto precedentemente). In italiano sappiamo che il nesso p+l evolve in p+j. La terza strofa è scritta in quello che per noi sarebbe il francese antico (all'epoca doveva essere, invece, molto moderno). Il francese è sicuramente la lingua che evolve maggiormente. È una lingua estremamente evolutiva, per ragioni storiche. La Gallia del Nord si è discostata di più rispetto alla lingua provenzale (e non è un caso che si chiami Provenza, indicava, infatti, la provincia romana per eccellenza). (3) Belle13 douce dame chiere 14, Bella dolce donna cara, A vos 15 mi doin e m'otroi 16; a voi mi dono e mi concedo; Je n'avrai mes joi'17 entiere io non avrò mai gioia intera

IL FUTURO NELLE LINGUE ROMANZE è perifrastico e si forma con l'infinito del verbo più il presente del verbo avere flesso. È una costruzione ricalcata sul latino parlato (è molto probabile, infatti, che i legionari la usassero). ITALIANO avere + ho / hai / ha PROVENZALE io ho EU AI (in fr. E) tu hai TU AS egli ha EL A => avere + ai / as / a avrai / avras / avrà Si potranno avere sia U che V, allotropi, perché la scripsio era varia.

Si je n'ai vos e vos moi. se io non avrò voi e voi me.

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In provenzale sarebbe: bella dousa (deriva da DULCIA, infatti il latino volgare delle Gallie non parte da DULCE) dona cara (< CARA, mentre il maschile CARUS> cars). 14

Possiamo notare un'altra regola: in francese la -A finale si trasforma in -E (nella lingua moderna, invece, dilegua; anche se a livello prosodico un po' rimane, come nell'inno francese). 15

La -O- tende ad una /u/.

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"Mi concedo". Il termine deriva dal latino AUCTORICARE (rendere qualcuno auctor). Si può notare la differenza con il provenzale, per cui qui non si conservano l'AUR primario, né l'AUT secondario. Infatti in francese monottonga. 17

Joie < GAUDIA (in latino classico era GAUDIUM, ma nel latino volgare molte parole hanno cambiato genere: è il caso anche del provenzale la amor); l'occlusiva velare sonora si trasforma nell'affricata [dʒ] davanti al dittongo con un processo di palatalizzazione, il dittongo [au] monottonga, -a passa ad -e, d+j si semplifica in j semplice.

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Mots estes male guerriere Molto siete mala 18 guerriera

Si je muer per bone foi; se io muoio per buona fede; Mes ja per nulle maniere ma già per nessuna maniera No.m partrai de vostre loi. non mi partirò dalla vostra legge. Con la terza strofa possiamo ora fare alcune considerazioni sull'intertestualità. Il concetto di intertestualità è stato coniato all'interno dello studio della letteratura ed illustra le relazioni che legano un testo ad altri. A partire da un singolo testo, infatti, è normale che un secondo ne riprenda alcune caratteristiche dando così origine ad un plagio, un'allusione, una parodia oppure a una vera e propria riscrittura di opere altrui, intesa come processo creativo. La relazione dinamica che i testi creano tra di sé lascia una traccia visibile di un testo in un altro. È infatti impossibile che un testo venga redatto a prescindere totalmente da tutto ciò che è stato scritto prima. Un insieme di rapporti più o meno visibili collega infatti tutti i testi scritti in un'unica rete. Questa va ben oltre le semplici somiglianze e consuetudini che accomunano gli stessi testi di un genere letterario. Prima della creazione di questa categoria si parlava di fonti, ora di vettori intertestuali. Un'opera importante in questa direzione è stata Le fonti dell'Orlando furioso: ricerche e studii di Pio Rajna. Nel componimento di Conon de Bethune, troviero del Nord della Francia, troviamo molte analogie. Innanzitutto per il primo verso, poi per quanto riguarda le rime. Una rima è un'analogia di terminazione fonetica (o equivalenza fonica), a partire dalla vocale tonica, fra parole poste a breve distanza. Per riconoscerla bisogna sempre guardare la vocale accentata. Raimbaut "ruba" tutti i rimanti in -IERE. Si può notare, nel caso di maniere, che è ripreso anche nule, raddoppiando la laterale; però bisogna ricordare che in quest'epoca non ci sono regole grafiche e ogni copista ha le sue. Quindi c'era una straordinaria v...


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