Giacomo Leopardi - Riassunto della vita e opera dell\'autore dal testo di Guido Baldi. PDF

Title Giacomo Leopardi - Riassunto della vita e opera dell\'autore dal testo di Guido Baldi.
Author j'adore Chanel
Course Letteratura italiana
Institution Università della Calabria
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Riassunto della vita e opera dell'autore dal testo di Guido Baldi....


Description

Giacomo Leopardi Nacque il 29 giugno 1798 a Recanati, nelle Marche. La sua famiglia poteva essere annoverata tra le più cospicue della nobiltà terriera marchigiana, ma si trovava in cattive condizioni patrimoniali. Giacomo crebbe in quell’ambiente bigotto che in primo tempo influenzò le sue idee.

Lettere e scritti autobiografici. Lettere Di Leopardi ci è giunto un folto gruppo di lettere, che pur non essendo scritti per la pubblicazione, sono testi di straordinaria bellezza e intensità. Da ricordare quelle a Pietro Giordani che era il sostituto della figura paterna a cui confessava i suoi tormenti interiori. Un altro gruppo cospicuo è indirizzato ai familiari: Al Fratello Carlo a cui lo legava sin dall’infanzia una forte complicità; alla sorella Paolina in cui trova un alter ego, un’anima solidale per sensibilità e interessi a cui confidare le proprie vicende più intime. Le lettere al padre rivelano una difficoltà di rapporto: il reazionario conte Monaldo era troppo lontano ideologicamente che culturalmente dal figlio. Dalle lettere emerge anche un bisogno d’affetto e di calore umano, ma anche l’irreparabile distanza. Oltre ai familiari ci sono lettere destinate a importanti personalità della cultura come Vincenzo Monti o Viesseux. Il romanzo autobiografico. Nel 1819 aveva concepito il disegno di un romanzo autobiografico che pensava di intitolare Storia di un’anima o Vita di Silvio Sarno : il primo titolo è significativo a indicare come il romanzo non si sarebbe dovuto incentrare sulla narrazione di fatti esteriori, ma sullo sviluppo di una vicenda intima. Sono pagine suggestive perché riprendono temi che tratterà nelle poesie.

Lo zibaldone Si tratta di una sorta di diario intellettuale in cui il poeta, tra il 1817 e dicembre 1832, annota un grande numero di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni sulla sua vita e le sue circostanze; sulle sue letture; la filosofia, politica; su l’uomo e le nazioni. La

parole Zibaldone significa “mescolanza di cose diverse” ed è usata da Leopardi in riferimento alla varietà degli argomenti trattati senza un criterio organizzativo, annotati giorno per giorno man mano che si affacciavano alla sua mente.

Il pensiero Natura benigna Tutta l’opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente mediate e sviluppate, il cui processo di formazione, prima dell’approdo ai testi compiuti, si può seguire attraverso le migliaia di pagine dello Zibaldone. Al centro della riflessione leopardiana si pone un motivo pessimistico, l’infelicità dell’uomo. Egli arriva ad a identificare la causa prima di questa infelicità: la identifica con la il piacere, sensibile e materiale. Ma l’uomo non desidera un piacere ma il piacere, cioè aspira ad un piacere che sia infinito, per estensione e per durata. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri goduti dall’uomo può soddisfare questa sua esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perduta, un vuoto incolmabile dell’anima. Da questa tensione inappagata verso il piacere infinito che sempre gli sfugge, nasce per Leopardi l’infelicità dell’uomo, il senso della nullità di tutte le cose. L’uomo per Leopardi è necessariamente infelice, per la sua stessa costituzione. La NATURA, che in questa prima face è concepita da Leopardi come madre benigna e provvidenziale attenta al bene delle sue creature, ha voluto sin dalle origini offrire all’uomo un rimedio: l’immaginazione e l’illusione con le quali ha velato le sue effettive condizioni. Per questo gli uomini primitivi e anche gli antichi Greci e Romani, che erano più vicini alla natura (come i fanciulli), quindi capaci di illudersi e immaginare, erano felici perché ignoravano la reale infelicità. Il progresso della civiltà ha allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata.

Pessimismo storico La prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita sull’antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Gli erano capaci di azioni eroiche e magnanime, erano forti fisicamente e questo favoriva la loro forza morale; la vita era più attiva e intensa

e ciò contribuiva a far dimenticare il vuoto dell’esistenza. Perciò essi erano più grandi di noi sia nella vita civile che nella vita culturale. Il progresso della civiltà e della ragione ha spento ogni slancio magnanimo, ha reso i moderni incapaci di azioni eroiche, ha generato viltà, meschinità, calcolo gretto ed egoismo, corruzione dei costumi. La colpa dell’infelicità presente è dunque attribuita all’uomo stesso che si è allontanato dalla vita tracciata dalla natura benigna. La sua civiltà la vede dominata dall’inerzia e dal tedio, soprattutto l’Italia. Da qui deriva il suo atteggiamento titanico : il poeta come unico depositario della virtù antica, si erge solitario a sfidare il fato maligno che ha condannato l’Italia a tanta abiezione e sferza violentemente la sua codarda età. Questa è la fase definita pessimismo storico: nel senso che la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di una decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione di felicità e pienezza vitale.

La natura malvagia Questa concezione di una natura benigna entrò in crisi. Leopardi si rende conto che più che al bene dei singoli individui, la natura mira alla conservazione della specie, e per questo fine può anche sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Ne deduce che il male non è sempre accidentale, ma rientra nel piano stesso della natura. Si rende conto che è la natura che ha messo nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Leopardi attribuisce la responsabilità al fato; propone una concezione dualistica, natura benigna contro fato maligno. Leopardi allora non concepisce la natura più come madre amorosa e provvidenziale, ma come meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature; meccanismo anche crudele, in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, poiché gli individui devono perire per la conservazione del mondo. E’ una concezione non più finalistica ma meccanicistica e materialistica. La colpa dell’infelicità dell’uomo non è più l’uomo stesso, ma solo della natura. L’uomo non è che vittima innocente della sua crudeltà.

Ora l’infelicità è dovuta ai mali esterni a cui nessuno può sfuggire: malattie, elementi atmosferici, cataclismi, vecchiaia, morte.

Pessimismo cosmico. L’infelicità dell’uomo non è più legata ad una condizione storica e relativa dell’uomo, ma solo ad una condizione assoluta, diviene da un dato esterno e immutabile di natura. Se la causa dell’infelicità è la natura stessa, tutti gli uomini in ogni tempo, ogni luogo, sotto ogni governo, sono infelici. Ne deriva, in un primo momento, l’abbandono della poesia civile e del titanismo: se l’infelicità è un dato di natura, vane sono la protesta e la lotta e non resta che la contemplazione lucida e disperata della verità.

LA POETICA DEL VAGO E INDEFINITO L’infinito nell’immaginazione La teoria del piacere, elaborata nel luglio 1820, è un crocevia fondamentale nel pensiero leopardiano. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi piaceri infiniti mediante l’immaginazione. La realtà immaginata costituisce l’alternativa a una realtà vissuta che non è che infelicità e noia. Si crea così la teoria della visione : è piacevole la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero perché allora lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. Così come la teoria del suono, Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi.

Il bello poetico Il bello poetico consiste nel «vago e nell’infinito» e si manifesta in immagini elencate nel tipo di quelle della teoria della visione e del suono. Queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene essenziale per il sentimento poetico. Poetica dell’infinito e poetica della rimembranza si fondono.

Antichi e moderni Leopardi osserva che maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi perché più vicini alla natura, erano appunto immaginosi come fanciulli. I moderni, hanno perduto questa capacità immaginosa e fanciullesca perché si sono allontanati dalla natura per colpa della ragione e per questo sono disincantati e infelici; ad essi non resta che una poesia d’immaginazione che nasce dalla consapevolezza del vero e dall’infelicità.

Leopardi e il romanticismo Il classicismo romantico di Leopardi Leopardi aveva avuto una formazione classicistica e nella polemica tra classicisti e romantici, aveva preso posizione contro le tesi romantiche in due scritti mai pubblicati e ignoti ai contemporanei. Le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti: la poesia è immaginoso e fantastico, proprio dei primitivi e dei fanciulli. Però rimprovera ai romantici un’artificiosità retorica e rimprovera loro anche il predominio della logica sulla fantasia, l’aderenza al vero che spegne ogni immaginazione. I classici sono per lui un esempio mirabile di poesia fresca, spontanea e immaginosa. Ma possiamo parlare di classicismo romantico cioè egli ripropone i classici come modelli con uno spirito romantico. Le conversioni leopardiane sono tre: 1. Erudizione: Periodo in cui si erudisce; 2. Il Bello: Periodo dei grandi idilli; 3. Il vero: ultima produzione, pessimismo cosmico.

I CANTI La produzione poetica significativa è tutta raccolta nei CANTI. Essi sono stati composti tra 1816-1837 e sono stati presentati in tre edizioni. Prima di pensare al

libro dei CANTI, Leopardi pubblicò molte stampe parziali dei testi composti fra canzoni e testi poi confluiti nei Canti. Il titolo allude ai canti dell’anima e quindi all’intima soggettività del poeta.

Le canzoni Le Canzoni sono componimenti di impianto classicistico che riprendono lo schema metrico fissato da Dante, le prime cinque (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Ad un vincitore nel pallone) affrontano tematiche civili. La visione leopardiana in questo momento è caratterizzata dal pessimismo storico, con aspri spunti polemici contro l’età presente, inerte o corrotta, incapace di azioni eroiche; a queste si contrappone un’esaltazione delle età antiche, generose e magnanime. La più significativa è Ad Angelo Mai che è una summa dei temi leopardiani. Bruto minore o L’ultimo canto di Saffo sono diverse: Leopardi non parla in prima persona ma delega il discorso poetico a Bruto, uccisore di Cesare, e Saffo. Il pessimismo storico giunge a una svolta: un’umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Non si incolpa ancora la natura, ma gli dei e il fato, visti come forze malvage che si compiacciono di perseguitare l’uomo. L’eroe singolo si contrappone a esso e afferma la propria libertà in un gesto di sfida suprema, dandosi la morte. E’ il titanismo di Leopardi. Altre canzoni Alla Primavera è una rievocazione nostalgica delle favole antiche; L’inno ai patriarchi l’unico dei progettati Inni Cristiani portati a termine.

Gli idilli Diversi dalle canzoni sia nelle tematiche, che sono intime e autobiografiche, sia nel linguaggio, che è più colloquiale e di limpida semplicità. Sono: L’infinito, La sera del giorno festivo, La ricordanza, Il sogno, Lo spavento notturno, La vita solitaria. Il termine idillio deriva dal greco e fa riferimento alla poesia idillica, ma questi idilli del 1819-21 non hanno nulla a che fare con la tradizione bucolica classica.

Negli idilli la rappresentazione della realtà esterna, delle scene di natura serena, è tutta in funzione soggettiva: ciò che preme a Leopardi è di rappresentare i momenti essenziali della sua vita interiore.

Il risorgimento e i grandi idilli del ’28-’30. Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, inizia per Leopardi un silenzio poetico fino al 1828. Egli lamenta la fine delle illusioni e lo sprofondare in uno stato d’animo di aridità che gli impedisce ogni moto dell’immaginazione e del sentimento; per questo non scrive più poesia e si dedica solo all’«arido vero». E’ il periodo del pessimismo assoluto e dell’abbandono del titanismo degli anni precedenti; una svolta si verifica nel periodo felice trascorso a Pisa nel 1828 dove il poeta assiste ad un risorgimento delle sue facoltà di sentire, commuoversi e immaginare e lo saluta scrivendo Risorgimento e A Silvia. Torna a Recanati nel 1829 e compone: Le Ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. A questa fase, anche se non c’è certezza, risale Il passero solitario. Questi componimenti risorgimentali riprendono temi e atteggiamenti degli idilli: illusioni, sperane, rimembranze, quadri di vita borghigiana, etc. Per questo è nell’uso definire i canti pisano-recanatesi come “grandi idilli”.

Distanza dai primi idilli Non sono solo la ripresa della poesia di dieci anni prima, perché nel mezzo si collocano esperienze decisive, la fine delle illusioni giovanili, la conquista del vero e il pessimismo assoluto. Per questo i grandi idilli sono percorsi da immagini liete ma sono accompagnati dalla consapevolezza del dolore, del vuoto dell’esistenza, della morte. Nuovo è anche il metro: il poeta non usa più l’endecasillabo sciolto, ma una strofe di endecasillabi e settenario che si succedono liberamente senza uno schema fisso con un gioco libero di rime e assonanze, è la tipica canzone libera leopardiana.

Il ciclo di Aspasia L’ultima stagione leopardiana segna una grande svolta di rilievo rispetto alla poesia precedente: Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del suo tempo. Appare più orgoglioso di sé, della sua grandezza spirituale . L’apertura si verifica anche sul piano piano personale, stringe amicizia con Antonio Ranieri; prima esperienza di amore passionale con Fanny Targioni Tozzetti. La fine e la delusione cocente di questo amore fa nascere il ciclo di Aspasia. Il ciclo consta di cinque componimenti scritti tra 1833-1835. Ora la sua poesia è più nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili, vi sono atteggiamenti energici, combattivi e eroici; il linguaggio è aspro e sintassi complicata.

La polemica contro l’ottimismo progressista La critica di Leopardi si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento per il futuro, grazie alle nuove scienze sociali, economiche e alle scoperte tecnologiche. A queste ideologie Leopardi contrappone il suo pessimismo che esclude ogni miglioramento delle condizioni umane affermando che l’infelicità e la sofferenza sono dati di natura, eterni e immodificabili. Allo spiritualismo di tipo religioso contrappone il suo duro materialismo che nega ogni speranza in un’altra vita. Queste tesi sono sviluppate in la Paolina al marchese Gino Capponi, inclusa nei canti che è una sorta di satira nei confronti della società moderna. Al di fuori dei canti si ha Ad Arimane in cui Leopardi adombra la sua natura nemica; I nuovi credenti satira di certi ambienti culturali napoletani di orientamento cattolico; Paralipomeni della Batracomiomachia, ampio poemetto in ottave che è una continuazione di Batracomiochia, poemetto ellenistico erroneamente attribuito a Omero.

La ginestra e l’idea leopardiana di progresso Una svolta essenziale si presenta con La Ginestra (che è un poemetto), lirica che chiude il suo discorso poetico. Qui leopardi non nega la possibilità di un progresso civile, anzi cerca di creare un’idea di progresso dal proprio pessimismo. La consapevolezza lucida della reale condizione umana può indurre gli uomini a unirsi

nella social catena per combattere la sua minaccia; questo legame può far cessare le sopraffazioni e le ingiustizie della società dando origine al vero amore tra gli uomini.

Operette morali e Arido vero Nel 1824 di ritorno da Roma, dopo esser uscito dalla prigione del nativo borgo ed esser venuto a contatto con una più vasta società, Leopardi si dedica a comporre l’ultimo punto del suo programma: le Operette morali che pubblicherà nel 1827. Le operette morali sono prose di argomento filosofico, non si tratta di filosofia puramente speculativa, ma lo scrittore si prefigge un fine pratico: scuotere la sua povera patria e il suo secolo. Alla base vi è un forte impegno morale e civile. Il diminutivo «operette» da un lato indica il taglio breve di questi testi e dall’altro sottolinea l’impostazione lontana dalla serietà dotta e ponderosa del trattato filosofico, la scelta di un tono più lieve, che faccia leva appunto sul comico e sull’ironia. Tuttavia, non si tratta di futili inezie, ma di scritti di profonda sostanza intellettuale, dove il pensiero non è affatto sminuito dalle forme del comico. Anche molte Operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature immaginose, personificazioni, personaggi mitici o favolosi, personaggi storici mescolati a quelli bizzarri e fantastici; in altri dialoghi l’interlocutore principale è proiezione dell’autore stesso. Altri hanno la forma narrativa come La storia del genere umano, altre di favola come La scommessa di Prometeo e altri. Leopardi contempla il vero e questo «arido vero» è la consapevolezza che la vita dell’uomo e di tutto l’universo non ha senso e perlopiù è infelice perché tende verso il piacere non un piacere che è raggiungibile....


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